FASCICOLO X - GIUGNO 1926
NOTIZIARIO
IL CONCORSO DELLA CASA DI TAVOLE A DRESDA.

La ditta "Deutsche Werkstätten A. G. Hellerau"che già nel 1921 aveva presentato una " Plattenhaus tutta di legno, ha esposto l'anno scorso a Dresda un nuovo tipo di casa di tavole che dovrebbe rappresentare, oltre che nella economia e nella tecnica, anche nel suo arredamento e nella espressione artistico-culturale (per dirla alla tedesca) una delle più moderne soluzioni del problema dell'abitazione.
- Costruita su disegni dell'arch. Bruno Paul La casa di tavole. come lo dice il suo nome è composta tutta di larghe tavole di legno; le pareti come il tetto come i pavimenti.
Esternamente la protegge una rivestitura di tavole di Eternit con un riempimento di Oybesto e di cemento Portland.
- Caratteristico il tetto quasi piano, che oramai va diffondendosi anche nei paesi nordici (p. es. in Olanda), e che ci fa ricordare le case della nostra Toscana.
- Nella pianta e nella distribuzione dei mobili massimo risparmio di spazio, ottima distribuzione, estrema semplicità: siamo ben lontani dalle complicatissime e movimentatissime piante dei villini tedeschi di dieci anni fa.
- Molto studiati dal punto di vista economico anno gli impianti: una sola stufa nel centro della casa la scalda tutta ed ogni stanza da letto è provvista di acqua corrente calda e fredda e di comodi armadi a muro. E insomma la tecnica delle comodità e dell'economia dell'albergo che si trasporta nella casa: la casa studiata con l'economia con la quale è costruito un piroscafo direbbe Le Corbusier ! La casa di tavole, che consta in tutto di sole cento parti smontabili, è stata montata nei giardini dell'esposizione in soli nove giorni e le sue rifiniture, impianti, arredamento ecc, portarono via sei settimane. Il suo costo totale e risultato minore del 20 per cento circa nei confronti dl una analoga costruzione eseguita con i sistemi ordinari di muratura.
Per concludere, nulla di aulico, di accademico, di retorico, ma una grande modestia ed una rifinitezza del dettaglio che compensano la assoluta mancanza dl decorazione; e che si addicono ad una casa moderna costruita in tempi di ristrettezza economica.

LUIGI PICCINATO.
LE DECORAZIONI DEL VITTORIALE.

Siamo lieti di poter offrire una primizia: le ornamentazioni che il pittore Guido Cadorin ha immaginato ed eseguito per la residenza ove il Poeta mantiene acceso il sacro fuoco delle memorie acciò l'itala gente non dorma.
Nella camera da letto i fantasmi della vita avventurosa trascorsa dal Poeta nelle belle tenzoni per l'idea e per l'ideale, passano e ripassano sulle pareti e sul lacunare. Le porte di un armadio s'ornano con le immagini delle cose maggiormente predilette. La vetrata sfavilla di mille luci che paiono accendersi sui versetti della lauda francescana.
Veramente Cadorin ha incontrato l'anima del Poeta. Poichè noi conosciamo il tormento dl questo eclettico dipintore che attraverso all'arte di tutti i secoli, ma specialmente del medioevo italiano, tende ad esprimere con le forme l'ideale che gli splende nel cuore.
C. CECCHELLI
NOTA.

Architettura e mobili di Carlo Maroni architetto di D'Annunzio. Decorazioni, vetri e pitture di Guido Cadorin. La stanza è denominata da D'Annunzio ?Zambra del misello? (camera del lebbroso). Le pareti sono ricoperte di pelle scamosciata grigia rilegata con fettuccie di pelle dorata. Tutte le parti in legno scoperte sono laccate in bruno-violaceo molto neutro. Le tende dell'alcova sono in pelle uguale alle pareti. Il letto ricoperto di una grande coperta lo cuoio bruno con grandi riporti in oro, raffigurante un sole con la leggenda ?Dona e non isciema?. I vetri sono soffiati a Murano. Le balaustre e tutte le altre dorature sono in oro dl zecchino puro. Tutte le pitture sono eseguite con tempere preziose di materia.



DUE NUOVI EDIFICI DELLA CAPITALE.

La nuova Sede della Pontificia Università Gregoriana a Piazza della Pilotta e la Sede dell'Associazione Nazionale per il soccorso dei Missionari Italiani all'Estero a Via Cavour angolo S. Francesco di Paola.
Due notevoli sistemazioni di eminente carattere architettonico son dovute a due chiari pro
fessionisti romani l'ingegnere Giulio Barluzzi e l'arch. Antonio Farolfi.
L'una è costituita dal progetto dell'Università Gregoriana a Piazza della Pilotta. Con essa si salvano in primo luogo i bei ruderi del Tempio del Sole alti ben trentacinque metri dalla quota stradale. Essi stanno sulla Villa Colonna e sono ora nascosti al pubblico e chiusi fra un labirinto di catapecchie. Tenendosi tutto il nuovo edificio verso la confraternita dei Lucchesi ove il terreno è libero del tutto, si mette in evidenza nel corso degli scavi la Roccia, si crea a destra un ampio giardino che racchiude i monumentali avanzi resi liberi da tutte le sovrapposizioni; ed anzi con due fornici aperti sulla Via della Pilotta se ne lascia libera visione ai passanti.
Indi, rispettando l'asse della Piazza e non addossandosi col fabbricato alto al Giardino Colonna, ma bensì creando una casetta a ridosso del muro seicentesco che divide la Villa Colonna, si crea un edificio monumentale tanto in pianta (il solo salone delle Conferenze copre una superficie di mq. novecento) quanto nella facciata la cui linea prettamente romana ben si addice a tutta la nobiltà e la austerità che la nuova sede della Pontificia Università Gregoriana richiedeva per sè e per l'ambiente in cui vien posta.
La sede dell'Associazione Nazionale per il soccorso dei Missionari Italiani all'Estero risolve un tema di sistemazione edilizia quanto mai arduo in un ambiente assai caratteristico. Su di un'area infelicissima si è risolto l'inquadramento della loggia dei Borgia con un edificio che, giocato nelle masse e sobrio nelle linee architettoniche, nulla ha tolto alla bellezza del vecchio angolo romano.


CRONACA DEI MONUMENTI

TRIESTE. - Per un'ottima iniziativa dei Direttore Generale per le belle Arti, Comm. Colasanti, sono stati ripresi studi pei restauri alla chiesa di S. Giusto, i quali si riannodano ad una serie di proposte precedenti, tra cui notevoli quelle (di cui qui già si ebbe a dar cenno) di Guido Cirillli per la esterna sistemazione e per la liberazione del campanile, e quelle contenute in una chiara relazione del 1912, ancor nel periodo austriaco, che reca le firme del Ricci e del Venturi,
Interessante argomento questo di S. Giusto, monumento così significativo per le vicende complesse d'Arte e per il valore d'italianità! Giunto a noi attraverso le sovrapposizioni di opere di vario tempo, dall'antichità romana al basso Medio Evo, fino al sec. XIII o XIV in cui le due basiliche parallele sono state fuse in una ed il campanile è stato elevato, e fino ai tempi moderni che hanno fatto a gara ad aggiungervi ibride superfetazioni, serba ancora mirabili gioielli nascosti od alterati, e, d'altro lato, mostra volgarità e brutture che ne deformano il carattere.
Lasciando dunque per ora da parte i provvedimenti di sistemazione esterna, che richieggono ricerche archeologiche ed investono problemi generali di edilizia, il restauro intrinseco della chiesa e dei suoi dintorni più che grandi quesiti dl principio richiede uno studio spicciolo ed analitico, fatto con amore e con senso d'arte: ed a questo si è accinta la apposita Commissione nominata dal Ministero della Istruzione, della quale fanno parte, oltre al Comm. Colasanti, i Prof. Toesca e Giovannoni, il Dott. Sticotti, l'Arch. Forlati.
Principali proposte della Commissione son quelle di abbassare il piano del presbiterio delle tre absidi, modificando o togliendo gli ingombranti altari, di riportare a modeste proporzioni le aperture delle cappelle laterali che ora si aprono sguaiate ed enormi togliendo alla chiesa il suo carattere, di completare le coperture e, specialmente, restaurare la cupola della basilica di destra, di togliere man mano pulpiti, altari, balaustrate, elementi inadatti ed inarmonici: ricercare a lato della chiesa l'antico battistero demolendo tutta la volgare costruzione che lo nasconde e che goffamente si addossa al fianco di sinistra; togliere nel fabbricato di destra tutta la mascheratura pseudogotica, pur senza demolirlo nelle parti essenziali per lasciare al sagrato il suo tipo racchiuso e raccolto; sistemare la facciata studiando con opportuni saggi la possibilità di riportarla alla sincera forma del paramento visto, o, se questo non fosse attuabile, togliendo inopportune aggiunte e sul rustico intonaco applicando quelle epigrafi e quegli elementi decorativi attinenti alla chiesa ed al suo luogo.
Tra tutti questi provvedimenti si avanza un problema grave, in cui si riaffacciano tutti i quesiti relativi all'arte decorativa moderna, alla sua espressione sincera, alle sue capacità di ambientarsi. L'abside principale, da cui fu distrutto un affresco quattrocentesco rappresentante l'Incoronazione della Vergine, presentasi ora con una decorazione banale che, accentuata dalla luce che vi giunge dall'alto, e l'elemento più in vista e più brutto di tutta la chiesa, sicchè sulla opportunità della sua sostituzione neanche i più feroci conservatori possono sollevare dubbi. Come sostituirla?
La Commissione propone di aprire tre altre finestre nella parte inferiore dell'abside e di decorare la superficie interna di tale parte, in basso con un bel coro di legno tratto da altra chiesa abbandonata, e in alto con rivestimento di semplici lastre di marmi secondo i tanti modelli veneti. Per il semicatino dell'abside una decoraziore a musaico, contenente una iscrizione ed una composizione decorativa raffigurante, come quella distrutta, l'incoronazione della Vergine; e pel disegno e pel colore di tale musaico converrà bandire un pubblico concorso tra gli artisti italiani, con un severo programma che, senza vincolare l'espressione del personale concetto d'arte, assegni limiti precisi, dati dall'ambiente e dallo stesso significato, del luogo austero, il quale non ammette tentativi fatti alla leggera o manifestazioni di mode effimere. E sarà uno dei più belli più ardui temi in quell'Arte che deve alfine risorgere, cioè la decorazione pittorica, considerata non a sè, ma come elemento essenziale dell'Architettura: come sempre è stata,

G. GIOVANNONI


BRESCIA. - Stanno per iniziarsi (sembra col consenso del Ministero della Pubblica Istruzione, ma non certo col parere favorevole della Sovraintendenza ai Monumenti e del Consiglio superiore delle Belle Arti) i lavori di demolizione del Canton Vescovo presso la Porta Venezia, cioè di uno dei pochi tratti rimasti delle mura cinquecentesche costruite dalla Repubblica Veneta. Esso fa parte di tutto un magnifico gruppo monumentale col Canton Monbello e con gli spalti di San Marco, cui si giunge salendo alla Pustieria ed alla Città alta in vista del Castello; e sia per ricordi storici, sia per bellezza di spettacolo meritava altra sorte che d'essere lasciato in balìa dei distruttori,
Questi si pascono delle solite frasi, come, necessità della vita nuova?, ?sviluppo cittadino?, ?igiene?,? vecchi ruderi ingombranti, che nascondono quasi sempre la incomprensione e la incompetenza di chi non riesce a trovare il modo di conciliare le due esigenze ed i due doveri, pratico e materiale l'uno, e spirituale l'altro; esigenze e doveri che gli studiosi chiaroveggenti e le città più progredite salvano con ricerca agile e viva che dà a ciascuno dei campi dell'edilizia la propria sede.
Quando mai s'intenderà ovunque da noi che il rispetto ai gloriosi segnacoli dell'Arte e delle vicende del passato è uno dei primissimi doveri d'italianità, e che le leggi, gli istituti, le procedure che li difendono, non sono ostacoli da girare, ma autorità da rispettare, amici da cui attendere consiglio ed aiuto?

G.G.

MANTOVA., — Altra volta fu qui dato l'allarme per il pericolo di distruzione del bel ponte medioevale sul Mincio presso Mantova; oggi la minaccia si rinnova più grave. Allora era il Genio Civile che non vedeva altro mezzo per rendere il ponte adatto al movimento moderno che demolirlo e ricostruirlo; ora è un'adunanza di rappresentanti di Comuni del Mantovano che esprime lo stesso proposito barbaro ed insano.
Ad ogni persona di buon senso che non fosse invasa da frenesia anti-italiana, in quanto incosciente del valore dei nostri, ricordi monumentali, la soluzione apparirebbe semplice; lasciare il vecchio ponte dov'è e com'è e costruire un altro un po' discosto, ricongiungendovi le vie che nella campagna vi conducono. Ma la soluzione è troppo gravosa finanziariamente, poichè a quanto sembra, c'è nella valutazione dell'importanza dei monumenti una specie di tariffa, ed il lavoro previsto la supera! Meglio, dunque abbattere il vecchio ponte, su cui forse Dante pensò i versi 'Suso in Italia bella giace un laco??
Vorrei dare un consiglio al Sindaco di Mantova, il quale intanto sta agitandosi per. promuovere le prossime feste in onore di Virgilio. Risparmi i denari per le feste e pel monumento, li impieghi invece a salvare il vecchio ponte e dedichi questo all'altissimo poeta. Avremo una brutta scoltura di meno ed un bel monumento ?vero? di più. ?Non è, bene ha detto il Ruskyn, col seminare statue che si raccolgono gli uomini intorno alla patria, ma rispettando le pietre del suolo natìo.

G. G.

PISA. - Giorno davvero lieto per l'Arte italiana quello del 26 maggio scorso, in cui, alla presenza del Capo del Governo, venne solennemente inaugurato il pergamo di Giovanni Pisano ricomposto nella cattedrale all'antico suo luogo! Così nota è la buona novella, che non è il caso di ritornarvi ora, se non per accompagnare la grafica illustrazione che qui si riporta, e per segnalare le alte benemerenze della Primaziale Piasana, del Ministero della Istruzione e delle Commissioni di studio da essi nominate, e sopratutto del Sovraintendente ai Monumenti. Prof. Pèleo Bacci, che il restauro ideò e diresse.
Una recente pubblicazione, dotta e geniale, del Bacci (P. BACCI .- La ricostruzione del pèrgamo di Giovanni Pisano, nel Duomo di Pisa - Bestetti e Tumminelli, 1926), riassunti brevemente i dati storici che si riferiscono alla esecuzione dal 1302 al 1310, della magnifica opera, e le vicende della scomposizione e della dispersione dopo l'incendio del 1595, esamina gli studi recenti ed antichi, tra cui quelli del Supino, dello Schubring, del Venturi e del Frey, sulla forma e negli elementi dal pergamo, risale alle preziose testimonianze contenute in una descrizione della fine del Cinquecento ed in quella del canonico Roncioni più recente, analizza le ragioni iconografiche che danno un ordine logico ed un preciso significato alla successione delle varie istorie ed al collocamento delle figure rappresentanti le virtù, o le parti del mondo, o i fiumi: riassume sobriamente la cronaca degli studi concreti, dal modello del Fontana eseguito nel 1872, al progetti ultimi svoltisi dal 1911 ad oggi.
Discussioni e lotte vivaci, ora quietate finalmente dall'ottimo risultato raggiunto, hanno caratterizzato quest'ultimo periodo; ed in fondo c'è da esserne soddisfatti. Meglio vedere appassionarsi. studiosi, artisti, amministratori, cittadini intorno ad un bel problema d'Arte, e tentare di raggiungere in esso il vero ed il bello con la serietà delle ricerche con la genialità audace delle ipotesi, che il lasciar cadere nell'abbandono per trascuranza e scarso affetto tanti nostri capolavori, tante testimonianze del genio italiano. Le polemiche svolte intorno alla ricomposizione del pergamo e la solenne cerimonia inaugurale si integrano a darci una lieta speranza del risorgere di una coscienza d'Arte nel nostri dirigenti e nel nostro popolo,

G.G.

MILANO. - Della chiesa di S. Protaso ai Monaci scrisse qui (nel fascicolo di Novembre-Dicembre del 1925), allarmato, quello strenuo e dotto difensore che è Gustavo Giovannoni. Ma egli può con noi, mantenete la fede e il buon volere.
La Chiesa di S. Protaso vive tuttora ed è tuttora aperta al culto; nonostante che ad insidiarne la vita avesse contribuito lo scopo nobile (come ben, si disse) di trovare i mezzi per erigere chiese nei centri periferici della più grande Milano: Questa, dei depopulamento di fedeli dell'antico centro della nostra città, dove le anime hanno ceduto il posto agli uffici ed alle banche, e le parrocchie sorgono in mezzo ad edifici senza? parrocchiani, è un aspetto dell'urbanesimo, il quale, se giustamente assilla l'Autorità ecclesiastica, deve essere considerato senza indugi e con serenità da noi tutti, che ci occupiamo delle caratteristiche edili delle città, per ottenerne (non metto in dubbio) l'armonica salvezza loro nei rinnovamento pur che questo sia oculato e sapiente.
E, tornando al S. Protaso, e per l'appunto in codesto ordine dl idee, credo giovevole di pubblicare quanto, dopo di avere riassunto le caratteristiche di arte e di storia della chiesetta, osservavo in proposito della sua minacciata alienazione e conseguente eventuale demolizione, tosto che il pericolo fu segnalato, il gennaio del 1925.
Nell'assieme architettonico del centro cittadino, la chiesa dl S. Protaso costituisce la goccia di chiaroscuro storico-artistico all'altro capo di quella via dei Clerici, che si inizia colla settecentesca architettura del palazzo Clerici, ora Corte d'Appello.
Non minacciata dal Piano regolatore, è ora, bensì, insidiata dalla speculazione per gli uffici del centro ma, anche sotto questo rispetto, si discute molto oggigiorno sulla estensione materiale (nello spazio) e d'uso (di opportunità e di necessità) di quello che s'intende per Centro.
Perchè si possa pensare demolita la chiesa di S. Protaso per le sopraggiunte ed impellenti necessità del centro dl Milano, si dovrebbe assieme pensare di aver sott'occhio tutto un piano edile di ricostruzione, tra la località di essa e la Piazza della Scala; il quale, con l'alto decoro architettonico, potesse sostituire il ricordo storico-artistico tuttodì affermato dalla chiesetta di S. Protaso.
E quando, allato di essa, si venissero a costruite grandi edifici, la Sopraintendenza all'arte medioevale e moderna, l'Ufficio dei monumenti ed il Comune posseggono i mezzi legali per ottenerne la necessaria e conveniente lineatura architettonica, perchè la rimasta chiesa di S. Protaso non venga soffocata. Così dicevo, e ripeto.
Ed è rimasta. E rimane.
Demolendo si sta invece la Chiesa di S. Maria Beltrade.
Ciò fu concesso dal Ministero della pubblica istruzione con apposito motivato Decreto fin dal 1924. Chè, dopo le intrinseche deturpazioni di varii tempi e dopo la trasformazione a mezzo del secolo XIX, la chiesetta di S. Maria Beltrade solo conservava, di importante interesse per l'arte e per la storia, un bassorilievo ed alcuni frammenti murali esternamente sul suo fianco; i quali con quegli altri avanzi architettonici o scultorii che si potessero rinvenire nelle demolizioni, saranno dallo Stato ceduti in deposito al Museo archeologico del Castello sforzesco.
La Chiesa di S. Protaso intanto mi fornisce l'occasione di incominciare, con essa, ad illustrare quei rilievi dal vero anche e specialmente delle nostre scuole di architettura, dei quali sarà a suo tempo detta una apposita parola; e a rendere conto per mezzo di essi del ?Barocco?, milanese, il quale ha tante ragioni di essere più noto e più ricercato, per i suoi pregi ed anche per i suoi difetti; gli uni e gli altri a me, architetto milanese, fonte di studi carissimi.
In particolare i rilievi che si presentano sono stati eseguiti sotto la mia direzione nel 1918 dall'alunno Ferdinando Visentini dei secondo anno della Scuota di Architettura nel R. Politecnico di Milano.

AMBROGIO ANNONI.

BOLOGNA. Il Comitato per Bologna storico-artistica nell'adunanza del 5 dicembre u. s., ha fermata la sua attenzione su un progetto di allargamento della via detta di Portanuova, contenuto nel piano regolatore approvato nell'anno 1889, ed ha in proposito votato il seguente ordine del giorno:
"Il Comitato per Bologna storico-artistica, ricordando con compiacimento come l'Amministrazione Comunale abbia accettata la modificazione del piano regolatore del 1889 nella parte che riguarda Piazza della Mercanzia, come, proponeva il Comitato.
"Considerando che anche in altri punti della città occorre rivedere i deliberati del piano regolatore allo scopo di meglio coordinare le esigenze della, moderna viabilità e dell'attuale sviluppo edilizia col rispetto ad antichi monumenti e a caratteristici aspetti pittoreschi.
?Fa noto che nella sistemazione di via Portanuova non venga mutilata la casa Castaldini nell'angolo con via Barbaziana (Cesare Battisti) nè demolito il torresotto detto di Portanuova, ?che dà accesso alla Piazza Malpighi, come propone il piano regolatore: edificio, il primo, del secolo XV, che mantiene inalterata l'originaria struttura con gentili motivi decorativi e che inquadra mirabilmente la piazzetta di S. Salvatore; ricordo, il secondo, della cerchia di mura del 1200, sorta mentre il Comune iniziava il sito più glorioso periodo storico".


CONCORSO PER UN PROGETTO DI CONGIUNZIONE FRA LA NUOVA FRONTE DEL PALAZZO DEL SENATO SU VIA DELLA DOGANA VECCHIA E IL PALAZZO GIUSTINIANI.

Il Senato del Regno bandisce un concorso nazionale tra gli architetti italiani per un progetto di congiunzione del Palazzo del Senato col Palazzo Giustiniani.
La congiunzione dovrà essere effettuata a mezzo di due cavalcavia inquadranti artisticamente l'ambiente con il praticabile all'altezza del primo piano del palazzo Giustiniani tenendo presente che la Via della Dogana Vecchia dovrà risultare allargata secondo il nuovo progetto di Piano Regolatore.
I cavalcavia saranno disposti in modo da armonizzare con il motivo del portale di Palazzo Giustiniani. Lungo il lato del palazzo del Senato prospiciente la Via della Dogana Vecchia dovrà essere costruito un portico per tutta la lunghezza della facciata al fine di costituire un passaggio pedonale che amplii la sezione stradale utile sino alla larghezza di m. 20 (circa).
I concorrenti dovranno presentare anche il progetto delle nuove facciate del Palazzo del Senato sia lungo la Via della Dogana Vecchia, tenendo sopratutto conto dell'asse stradale della Salita dei Crescenzi, sia lungo la Piazza Sant'Eustacchio e la Via S. Salvatore.
Il nuovo progetto dovrà tener conto del carattere dell'architettura dei due palazzi che devono essere collegati, e della convenienza dl formare col portico e con gli eventuali sostegni del cavalcavia un insieme architettonico organico tale peraltro da evitare pregiudizio alle necessità del traffico alle quali intende provvedere il nuovo Piano Regolatore.
I concorrenti dovranno presentare i progetti non più tardi delle ore 12 del giorno 30 settembre 1926 all'Economato del Senato. Detto termine non potrà essere prolungato per nessuna ragione.
I progetti saranno contrassegnati da un motto, il quale motto dovrà esser ripetuto sopra una busta chiusa contenente il nome e l'indirizzo dell'Autore.
Tali progetti dovranno comprendere:
1° - Una planimetria generale nella scala 1 : 200.
2° - I disegni geometrici nella scala di 1 : 100 delle piante, sezioni e prospetti sufficienti a dare
completa l'idea della soluzione proposta.
3° - un particolare della scala di 1 : 20.
4° - due prospettive con punto dl vista ad altezza non superiore di m. 2 dal piano stradale; esse dovranno rispettivamente mostrare la facciata del Palazzo Giustiniani e la nuova facciata del Senato con la soluzione adottata per il congiungimento.
Tutti i disegni presentati dovranno essere eseguiti soltanto a bianco e nero.
Sono istituiti due premi, il primo di L. 15.000 ed il secondo di L. 10.000.
Il vincitore del primo premio qualora l'opera da lui progettata venga eseguita dovrà prestare assistenza artistica e fornire i particolari necessari, in tal caso percepirà un altro premio di L. 25.000, senza diritto ad ulteriore compenso.
La Commissione giudicatrice il cui giudizio sarà insindacabile è presieduta da S. E. il Cav. Tommaso Tittoni Presidente del Senato, e composta dai Signori:
S. E. Pietro Fedele - Ministro della P. I.
S. E. il Senatore Filippo Cremonesi Governatore di Roma
Senatore Conte Pompeo di Campello
Senatore Prof. Guglielmo Mengarini
Senatore Corrado Ricci
Senatore Ing. Edmondo Sanjust di Teulada
Dr. Arduino Colasanti - Direttore Gen.le dell'Antichità e Belle Arti
Ing. Prof. Tullio Passarelli — Presidente della Insigne Accademia di S. Luca
Prof. Arch. Alberto Calza Bini — Presidente dell'Associazione dei Cultori di Architettura
Ing. Prof, Gustavo Giovannoni e Prof. Arch. Ghino Venturi - per il Governatorato di Roma.

N. d. D. Il programma dettagliato con le planimetrie può domandarsi all'Economato del Senato del Regno o al Governatorato di Roma riparto V.

COMMENTI E POLEMICHE

VENEZIA E MARGHERA

Le recenti affermazioni su Venezia di S. E. Mussolini e di S. E. Volpi hanno veramente allargato il cuore di quanti amano la meravigliosa città e ne comprendono la bellezza unica. Non può e non deve essere turbato il suo carattere. Basta con la occupazione edilizia dei giardini e dei pochi spazi liberi rimasti, basta con la tendenza all'addensamento ed al soffocamento. Il nuovo sviluppo di Venezia deve essere in terraferma intorno al porto dl Marghera che così provvidamente è stato promosso negli scorsi anni ed a cui così vivo impulso imprime il fervido interessamento filiale del ministro Volpi.
In nessuna città del mondo come in Venezia possono e debbono trovare applicazione precisa e serrata le due formule edilizie che lentamente vanno avanzandosi, pur tra incomprensioni ed errori e prevalenze di interessi individuali, ovunque lo sviluppo della nuova edilizia si incontra con un vecchio organismo cittadino già costituito, nello schema, nel carattere, nella tradizione e nell'arte: cioè le formule dello spostamento del nuovo centro il più possibile indipendente dal vecchio, ed il graduale diradamento del nucleo esistente.
Il porto di Marghera è il centro nuovo, la moderna grande città. Officine, stazioni ferroviarie e portuali, quartieri di case operaie, ampie e ben disposte, pubblici uffici e istituzioni varie, centri di sport e giardini, vi siano opportunamente ed organicamente collocati con un vasto piano non affrettatamente disegnato da tecnici incompetenti, ma ideato come creazione nuova, adatta non solo alle esigenze contingenti, ma, anche più, a quelle vastissime del futuro sviluppo. E vi trovino attuazione i principi moderni, ancora così poco noti e poco seguiti in Italia, del preciso sdoppiamento tra vie di circolazione e vie di abitazione, della chiara divisione in quartieri di vario tipo fabbricativo, del tracciato di vie, della forma delle piazze, del ridente aspetto dei giardini, che abbiano un carattere individuale e vivo di Arte ed insieme rispondano precisamente ai criteri bene intesi dl utilità edilizia e siano sottratti alla monotona e piatta volgarità di linee aridamente geometriche.
Ed il diradamento dell'interno di Venezia, con l'apertura di piazzette, di giardini, con la ricostituzione di cortili tra gli isolati, con l'eventuale abbassamento di uno o più piani di qualche casa in cui le sopraelevazioni abbiano mutato l'originario carattere d'Arte e sanità, venga a creare piccoli polmoni ed a ripristinare luci e visuali, senza alterazioni radicali della fibra edilizia, senza mutamenti del carattere inimitabile impresso dai secoli: lavoro modesto e discreto studiato calle per calle e canale per canale, con pazienza fatta di religione e di amore, con spirito non legato a preconcetti dl regolarità e di simmetria. Poco si tolga e pochissimo si aggiunga; minime siano le sostituzioni di edifici nuovi ed edifici antichi, ed in quelle abbia la massima prevalenza il sentimento architettonico ambientale, non certo nella copia precisa di elementi antichi (come quelli del magazzino di ?Zenaro? di porte e finestre di cemento), ma nella comprensione di quanto v'è di permanente, per massa, per linee per colore nel pensiero architettonico e paesistico veneziano.
Quando questo programma divenisse viva realtà, non soltanto in senso negativo coi divieti artificiosi, necessari anch'essi ma scarsamente efficaci, ma come pratico e positivo avviamento, tutte le questioni contingenti che, quale quella dell'Isola di S. Elena, hanno tanto preoccupato gli edili e gli artisti ed il pubblico, potrebbero esservi inquadrate ed essere opportunamente risolte. Lo stesso grave quesito del ponte tra Venezia e la terraferma potrebbe essere considerato con tutta tranquillità. Chi sa che invece di presentare un pericolo mortale d'nvasione e di alterazione progressiva non potesse divenire mezzo efficace di sfollamento e di avviamento verso il nuovo centro?
G. GIOVANNONI.

ARCHITETTI, ARCHEOLOGI E STORICI D'ARTE

Nello scorso anno, per una benemerita iniziativa del ministro Pietro Fedele, è stato istituito presso la Facoltà di lettere della Università Romana un Istituto di Archeologia e di Storia dell'Arte. Cattedre importantissime quali quelle di Archeologia, di Etruscologia, di Topografia italica, di Storia dell'Arte Medioevale e Storia dell'Arte Moderna, ed altre complementari, nomi illustri come quelli del Rizzo, del Venturi, del Toesca, del Giglioli, del Della Seta, assicurano, che la nuova fondazione terrà alto il nome italiano in questo vasto campo di studi e valorizzerà, con pensiero italiano, tutto il nostro patrimonio artistico e monumentale.
Ma in tutta questa vasta concezione nessuno ha pensato all'Architettura. Eppure non era difficile integrare l'istituzione dando impulso a quell'Istituto di studi dei monumenti che già trovasi, per così dire, in embrione nel quadri d'insegnamento della scuola superiore d'architettura di Roma, e, che, ravvivato, munito di mezzi, collegato con molteplici nodi agli studi archeologici, avrebbe potuto e potrebbe rappresentare, non solo un ausilio prezioso, ma addirittura un complemento indispensabile.
Si ripete con ciò il fenomeno di incomprensione che da decenni nei riguardi dell'architettura e degli architetti (i quali, per vero dire, non mancano di colpe gravi) pervade in Italia non solo l'opinione dei più, ma anche quella delle persone colte: niuno vede il carattere particolare dei problemi architettonici nella storia e nella vita, nè si accorge nell'incontro che è in essi tra le ragioni positive con quelle di un'arte quasi sempre di spazi e non di superficie ; niuno pensa alla preparazione tecnica che occorre per affrontarli e per veder chiaro, non solo nei quesiti statici che spesso sono a base della concezione architettonica, ma altresì nella organizzazione delle opere mediante cui essa si è realizzata, con una complessità di collaborazione di energie palesi e nascoste, che non trova nelle altre Arti nulla di paragonabile. Ancora da noi quasi sempre, Archeologi e storici d'Arte si sentono maturi per trattare i più ardui temi d'Architettura, e l'Architetto è, tutto al più, da loro considerato come un esecutore che disegna bene.
Invece, circoscrivendo le considerazioni al campo degli studi sui monumenti, può ben affermarsi che solo una cooperazione intima e feconda tra studiosi d'Archeologia e di Storia d'Arte e gli Architetti, lontana dal dilettantismo, animata da un sentimento di modestia e di onestà, che è proprio dei competenti, può essere in grado di dare resultati, per quanto è possibile, completi e definitivi. Esempi di tali riunioni noi troviamo in tutti i maggiori contributi portati agli studi suddetti: ed ecco Koldwei e Puchstein, Dehio e von Bezold, Perrot e Chipiez, Strzygowsky e Caraman, Lanckoronsky e Niemann, Calza e Gismondi; ecco i magnifici risultati dei grandi istituti esteri che in Roma ed in Atene rappresentano l'Archeologia, dai quali son partite tante grandi pubblicazioni ricostruttive che vanno pel mondo. Talvolta la associazione di pensiero è resa più piena da una vasta preparazione culturale dei collaboratori che consente a ciascuno la chiara comprensione diretta del temi reciproci; talvolta invece essi realizzano la storiella del cieco e dello zoppo portato sulle sue spalle, a compensare le mutue deficienze e guidare cogli occhi dell'uno le gambe dell'altro?
Solo così, superando i pregiudizi e riempiendo le lacune gravi, la nuova istituzione potrà davvero giungere a risultati magnifici, trionfalmente prendendo posto, con la italiana genialità di ricerca, tra i tanti istituti congeneri che tutte le nazioni civili mantengono in Roma da decenni od addirittura da secoli. E quale meraviglioso lavoro essa potrebbe così avviare, nello studio dei nostri monumenti ! Dalle opere etrusche in cui si prepara tutta una grande tradizione costruttiva, ed in cui tanti quesiti interessanti attendono ancora chiarimenti, dai monumenti romani che, con una grandiosa unità (invano combattuta dagli anti-romanisti di mestiere) diffondono per tutte le regioni allora conosciute un concetto tecnico ed un'armonia spaziale, alla lenta ed oscura elaborazione nei primo Medio Evo, ed al fervido lavoro di nuova germinazione e di assimilazione nei secoli dall'XI al XV, agli edifici del Rinascimento, in cui l'anima italiana ritrovò alfine sè stessa, a quelli barocchi coi quali riprese il cammino della conquista imperialista del mondo e con cui iniziò la elaborazione dei grandi temi architettonici moderni, è tutta una continua via trionfale che attende ancora di essere dissepolta e portata alle nostre sicure conoscenze, per la gloria d'Italia.

G. GIOVANNONI.

BIBLIOGRAFIA

PAUL AUGROS - Bèton armé - Possibilités techniques et architecturales - Ch. Massin et C.ie Paris.

Ilmateriale è uno del fattori essenziali dell'opera artistica. La tela o il fresco, il marmo o il bronzo, la pietra o il ferro modificano profondamente l'espressione estetica di uno stesso programma. L'artista quindi deve conoscere le qualità, i difetti e le maniere di utilizzazione della materia scelta, non dopo ma nel momento stesso nel quale concepisce. Nel corso dei secoli l'architettura ha saputo variare le proprie forme ed appropriarle ai graniti egizi, ai marmi greci, alle pietre romane, o gotiche, alla ghisa e al ferro d'oggidì.
Se abitudinario e pigro, l'architetto al trincera in ciò che conosce bene: se veramente artista egli ricerca, accoglie, studia ogni elemento sconosciuto, ogni processo inedito che può aumentare le sue risorse, allargare il campo della sua immaginazione, dargli la gioia di una nuova concezione.
Questo è ciò che ci porta il cemento armato, diminuendo o sopprimendo i punti d'appoggio, scavalcando delle portate inaudite, sopportando dei carichi inverosimili, allarmando i vecchi, entusiasmando i giovani: i primi spaventati dalla minaccia contenuta nelle parole ?cemento armato, cemento vulcanico, pietra liquida?: i secondi, esclusivisti dimenticano i servizi resi dai buoni vecchi materiali conosciuti e provati.
La verità è nel mezzo: noi abbiamo un'arma di più.
Maneggiata con intelligenza e sincerità essa ci crea gli ammirevoli hangars d'Orly maneggiata altrimenti, essa produce le strutture menzognere, mascherate con pietre inutili, delle nostre case d'affitto. Per utilizzarla razionalmente bisogna conoscerla bene. È questa conoscenza che ci porta il libro di M. Augros, tranquillizzando l'architetto contro l'apprensione dei calcoli, rovesciando le sue previsioni, mostrandogli le realizzazioni verosimili, chiare e pratiche. Queste parole di prefazione di Louis Bonnier, sintetizzano mirabilmente lo spirito del libro di Augros.
Impiegato nell'ufficio centrate della casa Hennebique per la verifica delle strutture costruite all'estero, Augros ha avuto la rara fortuna di vedere sfilare sotto i propri occhi tutte le applicazioni più diverse e tutte le condizioni più disparate del cemento armato. Egli ha dovuto portare il proprio studio sia sulle costruzioni adatte ai climi equatoriali come su quelle destinate ai paesi Scandinavi, su quelle dell'alta montagna come su quelle destinate a lottare contro le pressioni marine: una pratica eccezionale quindi ed una conoscenza completa gli hanno permesso di comporre questo libro. Il quale si può dire è informato ad una idea completamente nuova.
Fino ad oggi sono stati compilati molti manuali sia pratici che teorici i quali tutti hanno per mira il calcolo del cemento armato, la determinazione cioè del rapporto tra il cemento ed il ferro. Ma in questi manuali il materiale non acquista netto e chiaro il proprio valore architettonico: essi ci mostrano la via per risolvere i problemi ma non ci propongono un sistema costruttivo con la sua propria fisonomia architettonica: essi ci permettono insomma di calcolare, non di disegnare il cemento armato, ed attraverso essi difficilmente il cemento armato ci apparisce come capace di esprimersi architettonicamente, ma piuttosto come qualche cosa di inerte che ha bisogno di essere mascherato da false strutture. Il libro di Augros invece non è di questi manuali, non dà formule, non dà o quasi calcoli, esso è piuttosto come lo ha chiamato l'autore stesso, una guida in una larga serie di esempi preceduti da poche tabelle ci mostra tutte le possibilità costruttive del nuovo materiale: i vari casi, quasi catalogati e schematizzati ci si presentano come altrettante possibilità architettoniche nelle quali il cemento armato si esprime con una propria chiarezza estetica e dalle quali balza fuori l'architettura del cemento armato.
Sono i Silos, i magazzini, il serbatoio di Bron, le tribune di Longchamp. il sanatorio di Compiègne, la casa a gradoni di Sauvage, gli hangars d'Orly, ponti aerei. monumenti commemorativi? che ci passano davanti con la loro rigida ossatura, nudi nei loro schema primitivo.
?Con l'aiuto di esempi abbiamo cercato, così conclude l'Augros, di dimostrare il legame intimo e permanente che unisce l'architettura creatrice alla tecnica dell'esecuzione?. Il libro di Augros mette in grado di proporzionare le membrature dell'edificio allo sforzo che sono chiamate a sopportare, di disegnare il cemento, armato come si disegna l'architettura della pietra, quella dei mattoni, quella del legno, quella del ferro.
Invero se la via per la formazione di un'architettura moderna si basa, come si vuole, nella ricerca della possibilità architettonica attraverso la possibilità tecnica dei materiali moderni, è evidente che l'architetto deve anzitutto formarsi la nuova coscienza costruttiva con la conoscenza dei mezzi. Quando questa cultura sarà entrata nella sua anima e sarà vissuta nelle contingenze della pratica professionale, solo allora l'architetto potrà creare qualche cosa di moderno. E questo libro, soprattutto se in una nuova edizione potrà essere completato di altri esempi e sfrondato di qualche ramo superfluo, sarà indubbiamente un libro base per la formazione della nuova coscienza architettonica.

LUIGI PICCINATO

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