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ROBERTO PAPINI: Due concorsi accademici, con 38 illustrazioni |
La Rivista illustrata del Popolo d'Italia aveva bandito due concorsi col preciso e confessato scopo d'incoraggiare la formazione d'uno stile nazionale, italiano e moderno, nell'architettura e nell'arredamento. Li aveva dotati di premi vistosi, aveva dato ai bandi la massima diffusione, aveva allettato in ogni modo gli artisti a concorrere.
Sia lecito, almeno questa volta, lodare gli ideatori di quei concorsi, Giacomo Paulucci de' Calboli Barone e Manlio Morgagni, e biasimare gli architetti che non hanno concorso. Prima -di tutto è molto lodevole il fenomeno, e rarissimo, di persone che, senza alcun interesse se non ideale, bandiscono concorsi e stanziano somme ragguardevoli, unicamente perché amano l'architettura e comprendono come in Italia ogni rinascimento dell'arte debba essere in primo luogo architettonico. E' poi grandemente confortevole constatare come i bandi di quei concorsi fossero compilati proprio secondo le oneste norme che furono sempre consigliate dall'Associazione artistica fra i cultori d'architettura, patrona questa rivista. È straordinariamente significativo infine che si sia sentito il bisogno di accoppiare un concorso d'architettura con uno d'arredamento, verificandosi una volta di più l'inscindibilità di quel binomio " Architettura e arti decorative", scritto a capo di queste pagine come si scrive sulle insegne un'impresa di battaglia e di fede. Era quindi lecito aspettarsi una larga partecipazione degli architetti ai due concorsi. Purtroppo non è stato così. Potranno coloro che oggi rimpiangono di non avervi partecipato portare tutte le giustificazioni plausibili della loro assenza; ma se guardano nell'intimo della loro coscienza troveranno due sole vere ragioni: pigrizia e sfiducia, in chili detestabili vizi che indicano, in chi li coltiva, vecchiaia e non gioventù. Quando si è e si vuol essere giovani si affrontano rischi, fatiche, delusioni con lieto cuore, e le gare, quando sieno oneste e serie, si cercano e non si disertano; chè altrimenti, per eccesso di prudenza, di saggezza e di calma, si diventa decrepiti prima del tempo, si dànno le dimissioni da " belle speranze " della Patria e dell'Arte. Ora, io non starò a ripetere ciò che è stato detto nella relazione della giuria riguardo ai progetti premiati. Ma credo opportuno che su queste pagine si traggano le conclusioni di quei concorsi, per esaminare se nel travaglio dell'architettura italiana contemporanea si sia almeno raggiunta una tappa che permetta di prevedere ulteriori fortunati sviluppi per l'avvenire. Constatiamo in un primo tempo che entrambi i primi premi dei concorsi sono stati assegnati a chi era andato più oltre nel tentativo di contemperare tradizione con modernità. Con ciò si è voluto nettamente affermare un principio: che cioè il difficile non è nel vecchio o nel nuovo in senso assoluto, giacchè voler fare tutto vecchio è viltà e voler fare tutto nuovo è presunzione; il difficile sta nel trasformare il vecchio per ridurlo al nuovo, potendosi d'altra parte ogni novità ridurre a forme già note, intese con spirito rinnovato. Sarebbe invero una buffissima fantasia quel la d'immaginare Filippo Brunelleschi o Donato Bramante tutti preoccupati di fare del nuovo ad ogni costo. Quelli volevano fare l'antico e lo confessavano; perciò andavano studiando e misurando e frugando senza posa i monumenti di Roma. Fare l'antico però senza copiarlo e fare il nuovo così senza saperlo; tale era il metodo loro, non dissimile in nulla da quello d'ogni novatore. E il genio poteva fare miracoli appunto perchè non perdeva li tempo a preoccuparsi di lambiccate originalità, di presupposte novità. Ciò sia detto perchè la storia insegni almeno qualcosa al genii di nido che, tentano il primo volo. Constatiamo poi che i premi sono stati assegnati ad architetti di Roma, di Venezia e di Milano, cioè ai rappresentanti dei tre soli ambienti architettonici vivi che oggi possegga l'Italia. Posso testimoniare che la giuria non s'era affatto accorta d'esser giunta a quella conclusione, la quale e venuta spontanea e naturale, come a significare che laddove più vivo è il tormento e più fervida è la gara, meglio si progredisce e più sicuramente si raggiunge. Constatiamo ancora che i migliori progetti, sono apparsi quelli nei quali era più intima la connessione fra struttura e decorazione, tanto nella concezione delle architetture come in quella del mobilio. S'è visto una volta di più che la semplicità, la chiarezza, la logica trionfano; che son finiti i tempi in cui l'architettura si concepiva come un rivestimento di parata ed il mobile lo si creava secondo la bizzarrìa di un capriccio. Oggi si vuol veder chiaro e di tutto si chiede di sapere il perchè; qualunque trovata, anche geniale, che non risponda ad una necessità non ci piace; qualunque errore di logica ci disturba. La ritmica delle proporzioni è quella che c'interessa più d'ogni altra cosa, più assai degli ornamenti, delle modanature, dei particolari in genere. Siamo cioè in tempi di chiarificazione e di deciso rinnovamento. Corrispondono, dopo ciò, i progetti premiati all'ideale che i banditori dei concorsi s'erano proposto? È facile rispondere di no. La stessa relazione della giuria, mentre giustifica l'assegnazione dei premi, non assume il tono trionfale di chi scopre perchè non perdeva il tempo a preoccuparsi di lambiccate originalità, di presupposte novità. Ciò sia detto perchè la storia insegni almeno qualcosa al genii di nido che, tentano il primo volo. Constatiamo poi che i premi sono stati assegnati ad architetti dl Roma, di Venezia e di Milano, cioè ai rappresentanti dei tre soli ambienti architettonici vivi che oggi possegga l'Italia. Posso testimoniare che la giuria non s'era affatto accorta d'esser giunta a quella conclusione, la quale e venuta spontanea e naturale, come a. significare che' laddove più vivo è il tormento e più fervida è li gara, meglio si progredisce e più sicuramente si raggiunge. Constatiamo ancora che i migliori progetti, sono apparsi quelli nei quali era più intima la connessione fra struttura e decorazione, tanto nella concezione delle architetture come in quella del mobilio. S'è visto una volta di più che la semplicità, la chiarezza, la logica trionfano; che son finiti i tempi in cui l'architettura si concepiva come un rivestimento di parata ed il mobile lo si creava secondo la bizzarrìa di un capriccio. Oggi si vuol veder chiaro e di tutto si chiede di sapere il perchè; qualunque trovata, anche geniale, che non risponda ad una necessità non ci piace; qualunque errore dl logica ci disturba. La ritmica delle proporzioni è quella che c'interessa più d'ogni altra cosa, più assai degli ornamenti, delle modanature, del particolari in genere. Siamo cioè in tempi di chiarificazione e di deciso rinnovamento. Corrispondono, dopo ciò, i progetti premiati all'ideale che i banditori dei concorsi s'erano proposto? È facile rispondere di no. La stessa relazione della giuria, mentre giustifica l'assegnazione del premi, non assume il tono trionfale di chi scopre la terra promessa. Non c'è -siamo schietti - la decisa affermazione dello stile raggiunto; non c'è la travolgente preponderanza dei pregi sui difetti; non c'è la decisa originalità della ispirazione. C'è in compenso molta nobiltà, molta serietà, una buona cultura, un gusto, quasi sempre, equilibrato e signorile. D'altra parte che cosa si poteva pretendere di più? Roma non è stata fatta in un giorno; uno stile non si crea e non si rivela con un concorso. A noi basta che in una simile gara, per quanto la partecipazione fosse parziale, sia apparso il cammino percorso nella prima tappa del rinnovamento, sì da rendere possibili le constatazioni che abbiamo fatto. Bisogna andar oltre. Dio guardi se non ci fosse questa necessità d'andare oltre e di perfezionare, correggere, elaborare; chè altrimenti si starebbe fermi a impaludare. Dei singoli progetti premiati non parlo. C'è una relazione della giuria alla quale rimando chi vuol conoscere un giudizio che porta anche la mia firma. D'altronde le illustrazioni fotografiche parlano chiaro agli architetti che leggono questa Rivista. Voglio piuttosto rilevare, concludendo, la grande utilità di concorsi come questi che ho chiamato, per lodarli, accademici. Qualcuno ha creduto di biasimarli rilevando il fatto che nel bando non v'era promessa di pratica esecuzione. In quel biasimo è un errore fondamentale di superficialità. Se veramente v'è una riaffermazione dei valori ideali in confronto di quelli materiali, come deve essere in ogni epoca viva e degna di rispetto, se veramente s'ha da guardare più all'essenza che all'apparenza delle cose, si deve esser lieti che all'arte sia offerto il modo di manifestarsi con ogni libertà, lontana dalle preoccupazioni e dagli impacci che la realtà materiale della vita spesso le impone, emancipata dagli imperativi categorici del discutibile gusto dei committenti, Temi vasti, suscettibili delle risoluzioni più varie; ispirazione non vincolata da alcun presupposto di stile obbligato; premi indubbiamente tali da invogliare a vincerli. Che si desiderano di più gli artisti? Ma c'è anche un grande vantaggio pratico di cui bisogna tener conto, ed è la possibilità di ricondurre il grande pubblico all'amore verso l'architettura e la decorazione, C'è tutta un'educazione del gusto che è da rifare, dopo il disorientamento del secolo passato. I concorsi d'architettura con le relative esposizioni, specialmente quando i temi sieno tali da appassionare le masse, servono magnificamente per ridestare nel pubblico la coscienza architettonica, in quel pubblico cioè che è saturo e stufo di esposizioni di belle arti che non dicono nulla, Proprio quest'anno al secondo piano del Palazzo di via Nazionale a Roma s'è vista un'eccellente mostra del Sindacato Nazionale degli Architetti, insieme con quella dei progetti presentati ai due concorsi di cui ho parlato finora. Al primo piano, in una mostra detta d'arte marinara, erano adunati tutti i mari e tutti i pesci e tutti i granchi presi dai vari pittori e scultori d'italia, Chi ha saputo vedere e confrontare quelle esposizioni s'è accorto che al primo piano era la vera accademia e che al secondo, fra le architetture realmente eseguite dai componenti il Sindacato e quelle immaginate per i due concorsi chiamati accademici, erano veramente l'arte e la vita, ROBERTO PAPINI "Volentieri stralciamo i punti più salienti della relazione compilata dalla Commissione giudicatrice e pubblicata nel numero di gennaio della Rivista illustrata del Popolo d'Italia, specialmente quelli che entrano nel vivo dei problemi e nell'apprezzamento dei singoli progetti premiati. Dice la relazione, fra l'altro: " Un primo esame dei progetti presentati ci ha confermato che esistono nell'architettura italiana odierna due tendenze divergenti: l'una che dall'elaborazione dei ricordi del passato trae la speranza di poter creare nuove combinazioni di forme, l'altra che arditamente si slancia alla ricerca del nuovo partendo da quell'estetica delle macchine, a fondamento nettamente utilitario e costruttivo, che è venerata da alcuni idolatri stranieri. Entrambe le tendenze, prese agli estremi sono condannabili proprio perchè l'esperienza della storia e la spassionata considerazione di ciò che oggi si chiede all'architettura moderna, insegnano che la tendenza giusta sta nel mezzo, libera cioè da quei presupposti teoretici e da quelle idolatrie che han sempre condotto non all'arte vera, autentica rappresentante degli ideali e dei bisogni d'un'epoca, ma alla fredda e cerebrale accademia di qualunque specie. " Così siamo stati indotti a fare una prima scelta dei progetti escludendo senz'altro dall'assegnazione del premio sia quei concorrenti che delle forme tradizionali e delle reminiscenze stilistiche han fatto abuso, sia coloro che della trazione italiana non hanno tenuto alcun conto, ricercando l'ispirazione in forme suggerite dal concetto volgare del progresso, il quale, nella sua vera essenza e nella sua capacità di concretarsi in arte, non consiste affatto nelle applicazioni pratiche della scienza dalla radiotelegrafia al velivolo, ma in ben più vaste conquiste dello spirito umano nei campi del pensare e dei sentire. " Scartati dunque tanto quei progetti che nella concezione architettonica si mostrano troppo scolasticamente ligi alle forme del passato, quanto quelli che della novità hanno solo la superficiale apparenza, tre soli dei dieci presentati ci apparvero degni di maggior considerazione: quelli firmati dagli architetti Carlo Enrico Rava, Oscar Prati e Duilio Torres. " Il Rava ha imaginato di poter raggruppare in un unico gigantesco edificio tutti i locali destinati nelle Terme agli usi più disparati. A questo edificio ha dato una piacevole veste architettonica esteriore ispirata a motivi dell'architettura provinciale e tombale dell'impero romano, modernamente interpretati. Ma la serietà del suo lavoro e il gusto dell'ispirazione architettonica sono compromessi da inesperienze giovanili manifeste in molti spazi planimetricamente sprecati, in altezze eccessive date ad alcune parti degli edifici, in simmetrie artificiose fra elementi a destinazione diversissima, in una certa freddezza di concezione del tutto e delle parti, dovuta alla posizione alquanto accademica nella quale s'è messo l'autore di fronte al tema. Pur tuttavia il Rava con la collaborazione dell'ing. Mario Cavallè ha dimostrato nel suo progetto quella serietà di propositi, quella fondatezza di preparazione, quell'equilibrio di fantasia che fanno porre nei giovani, i quali ne appaiono dotati, le più liete speranze. " Con più maturo senso pratico e con maggiore padronanza dei propri mezzi creativi il Prati ha disposto i vari edifici delle sue Terme secondo una ben coordinata planimetria che consente una buona disposizione dei campi di gioco all'aperto ed un razionale reparto dei tre edifici principali. Inoltre sono suoi meriti l'essersi ispirato ad un schietta semplicità di forme architettoniche, l'aver cercato varietà di masse e di motivi in rispondenza alla destinazione dei singoli edifici, l'essersi contenuto strettamente nei limiti di spesa suggeriti dal bando. Purtroppo egli non ha raggiunto, se non nell'interno dell'anfiteatro per rappresentazioni sportive quella decisa impronta di monumentalità che il tema richiedeva. La grandiosa semplicità della concezione e l'arditezza desiderata nel rendere evidenti i moderni metodi di costruzione sono state sacrificate ad una modestia e ad una timidità eccessive di concepimento e di espressione. " Migliore di tutti certo è il progetto del Torres, il quale ha inteso più d'ogni altro lo spirito del tema. Il suo più felice risultato raggiunto sta nella fusione, in talune parti pienamente riuscita, fra le moderne strutture lineari del cemento armato, e le tradizionali forme plastiche della colonna e dell'arco. Ciò è ottenuto in una architettura sobria nella sua semplicità e misura, severa nel suo rifuggire dagli ornamenti superflui. Egli ha dimostrato cioè come si possa, quando s'infreni la fantasia con la disciplina, avviarsi verso quell'ideale stile architettonico moderno ed italiano che risusciti con attualità di mezzi e novità di idee lo spirito glorioso della tradizione. Certamente il progetto del Torres non è immune da difetti: la soverchia preoccupazione accademica della planimetria, lo scarso caratterizzarsi degli edifici, l'eccesso di spazi e di costruzioni non sufficientemente destinati come la cupola e gran parte dell'edificio centrale, una generale monotonia nella ripetizione dei motivi contrastano ai pregi che abbiamo segnalato ma non li soverchiamo, sì che fra i vari concorrenti il Torres mantiene il primo posto, mentre sono da porre al secondo posto il Prati ed al terzo il Rava. " Se il premio di L. 50000 fosse stato divisibile noi avremmo proposto di equamente ripartirlo fra i tre concorrenti migliori affinchè non troppa fosse la differenza fra il primo e il secondo e fra questo e il terzo; ma poichè il bando di concorso lo proclama chiaramente indivisibile noi proponiamo concordi di assegnare il primo premio di L. 50000 all'Arch. Duilio Torres, e di costituire, con la somma posta a disposizione della giuria, due altri premi, uno di dodicimila lire da assegnare al Prati ed uno di ottomila lire da assegnare al Rava. Nessun progetto ci e sembrato tale da esser premiato con la menzione onorevole. Il secondo concorso per l'arredamento d'una Ambasciata d'Italia è stato ben più agevole a giudicare. Degli otto progetti presentati quattro sono stati subito scartati come immeritevoli dell'onore d'una pubblica esposizione, in base alla provvidenziale facoltà a noi concessa dal bando di concorso. Dei quattro che saranno esposti uno solo, a gran distanza dagli altri, merita il premio, quello degli Architetti Tomaso Buzzi e Giovanni Ponti. "Mentre gli altri concorrenti hanno dimostrato di non aver capito lo spirito e la lettera del bando di concorso e delle premesse, gli uni perchè si sono presentati con deplorevole incoscienza, senza aver neppure una mediocre pratica del disegno, gli altri perchè hanno confuso signorilità e decoro con fastosità chiassosa e disarmonica, gli Architetti Buzzi e Ponti si sono posti dinanzi al tema con una serietà di intendimenti pari alla raffinatezza del loro gusto. I mobili che essi hanno ideato con arte delicata e con sicuro intuito di ciò che deve essere la sede d'una ambasciata, imaginandoli con felice rispondenza al carattere delle decorazioni murali, si ricollegano alla tradizione italiana fra la fine del Settecento e il principio dell'Ottocento pur senza essere di quell'epoca una pedissequa derivazione. I due architetti hanno evitato cioè il duplice pericolo d'una eccessiva aderenza alle forme degli stili antichi e d'un facile orientamento verso forme indubbiamente nobili e moderne, ma non italiane, che hanno trionfato nella recente esposizione di Parigi. Inoltre si sono attenuti strettamente a quei criteri di solennità e nello stesso tempo di praticità che erano richiesti dal bando. Hanno infine imaginato di risuscitare sulle mura quella decorazione pittorica che è vanto dei più bei periodi dell'arte italiana quando l'uso esotico di coprire le pareti con legni o con stoffe non aveva ancora inquinato la millennaria tradizione latina. " Nuoce un poco al loro progetto alcunchè di eccessivamente prezioso che volge al frivolo là dove si vorrebbe vedere una minor ricerca d'eleganza ed una più schietta semplicità di sagome e d'ornamenti; ma la distanza grandissima di questo progetto dagli altri in ordine di merito e più ancora i pregi reali che esso possiede ci conducono a proporre, unanimi e senza esitazione, che venga assegnato il premio di L. 30000 agli Architetti Tomaso Buzzi e Giovanni Ponti, esprimendo nello stesso tempo il voto che il Capo del Governo e Ministro degli affari esteri, sotto i cui auspici il concorso fu bandito, voglia dare al progetto vincitore, in una Ambasciata d'Italia" pratica e reale attuazione. " Nessun altro progetto ci sembra degno di premio e di menzione onorevole. " Vorremmo, concludendo, esprimere un desiderio. Abbiamo dovuto constatare con rammarico la mancata partecipazione alle gare di alcuni giovani artisti che in simili concorsi avrebbero potuto vittoriosamente affermarsi, Forse la mole del lavoro richiesto è sembrata loro tale da compromettere il proficuo esercizio della loro professione, se si fossero cimentati nella gara. D'altra parte noi siamo convinti della grande utilità di concorsi come quelli banditi dalla Rivista illustrata del Popolo d'Italia specialmente quando la partecipazione dei giovani sia larga e spontanea. Desidereremmo quindi che simili gare si rinnovassero con le lievi modificazioni che l'esperienza odierna ha suggerito in modo da maggiormente invogliare i concorrenti. " Si bandiscono ogni anno in Italia gare di automobili come d'areoplani, di pugilato come di scherma per provare l'efficienza dei motori e la potenza delle ali, la forza dei muscoli e l'agilità delle membra. Non siamo troppo arditi augurando che la millesima parte del denaro che si spende in quelle gare sia destinato a premiare i vincitori di concorsi annuali del tipo e dello spirito di quelli sui quali abbiamo espresso il nostro giudizio, di concorsi cioè che abbiano lo scopo di provare l'efficenza delle forze vive, delle energie latenti della Nazione nel campo dell'arte e singolarmente dell'architettura e della decorazione. " La Rivista illustrata del Popolo d'Italia ha dato, in nome del Fascismo, il savio e generoso esempio. Vivamente desideriamo, per il bene dell'arte nostra, che tale esempio sia largamente seguito. |
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