FASCICOLO IV - DICEMBRE 1926
CARLO CECCHELLI: Elementi architettonici e decorativi - Transenne, con 25 illustrazioni
Forse agli artisti importerà fino ad un certo punto il sapere che l'etimologia del nome transenna non e cosi semplice come a prima vista parrebbe.
I filologi antichi e moderni (cui si associa il Lafaye nell'articolo del Dictionnaire d'antiquités grecques et romaines del Daremberg-Saglio) respingono la quasi ovvia derivazione da transeo e, dopo avere inutilmente almanaccato, finiscono col dire che l'etimo è ignoto. Perciò di tal questione non c'immischieremo più a lungo... Transeat.
Al fatti però (che sono i più importanti per noi) vi è da constatare che il nome "transenna" è applicato proprio ad un'apertura, Si narra ad esempio di un festino nella casa di Q. Cecilio Metello Pio, in cui si vide una imagine della Vittoria porre una corona sulla testa del festeggiato (transenna demissum Victoriae simulacrum. Sallustio - Hist. II ap. Mart. Marcello e Macrobio - Satura II, 9). Lo stesso episodio è raccontato da Valerio Massimo il quale spiega che la Vittoria calò dal lacunare (IX, 1, 5). Dunque in questo caso la transenna era un lucernario, o una botola.
Ma transenna si diceva pure di una placca forata, giacchè un antico glossario
greco-latino traduce transenna con Kéramos photagogòs, vale a dire una placca cotta che lascia passare la luce.
Mentre peraltro il vocabolo, in rapporto ai fatti citati allude indubbiamente ad un passaggio (e ciò si opporrebbe ai filologi di cui sopra), in relazione ad altri allude ad un impedimento. Dicevasi ad esempio: transenna la corda tesa attraverso l'ippodromo per obbligare i cavalli a partire tutti insieme. Transennae erano pure i lacci per catturare gli uccelli. Ed infine transenna (qui veniamo all'architettura) era un intreccio davanti a una finestra che faceva passare una luce moderata. "Quasi per transennam adspicere" scriveva Cicerone (De Orat. I, 35). E noi diremmo: occhieggiare come tra gelosie,
Ignoriamo se si debbano chiamar transenne quelle staccionate che si vedono in figurazioni di giardini, esempligrazia in quelle della villa di Livia a Prima Porta. Ma certo la transenna marmorea romana con quel semplice incrocio che conosciamo ha molto della struttura lignea. Sul momento non potrei affermare la data probabile della introduzione del tipo ad archetti che dipende invece dal ferro battuto. Ma mi sembra piuttosto tarda giacchè lo vediamo prevalere nel IV, V, VI secolo.
Nelle prime basiliche cristiane transenne di questo tipo erano applicate alle finestre e sul davanti delle confessioni. Tipica la confessione della basilica di S. Alessandro sulla Via Nomentana dove nel secolo V si pose una griglia marmorea per dar modo al fedeli di calare i brandea, o pannolini, sopra il sepolcro del martire. In questo stesso periodo papa Sisto III ornò la "transenna" presso la confessione del martire S. Lorenzo in agro Verano, E S. Paolino da Noia in una lettera (ad Severum) parla di tre archi della basilica di S. Felice chiusi da transenne (laetissima vero conspectu sola haec basilica memorati confessoris aperitur trinis arcubus perlucente transenna). Noi dobbiamo interpretare il passo come alludente ad una cancellata (ferrea più che marmorea).
Ed ora, dopo le chiusure di confessioni, di finestre, di arcate ci rimane di far cenno degli impedimenti (cioè dei recinti) guarniti di transenne. Nelle catacombe un esempio molto antico è quello della cripta papale nel cemeterio di Callisto avente il tipo a fori triangolari curvilinei. Può datarsi dalla fine deI III secolo,
Il cancello traforato passa nelle prime basiliche a separare la zona del clero dal quadratum populi. Non bisogna tuttavia pensare col Martigny (Dictionnaire d'antiq chrét), alla necessaria derivazione dai cemeteri. Questo poteva esser detto nell'epoca in cui si credeva che la liturgia ordinaria si svolgesse, durante le persecuzioni, nelle catacombe. Oggi invece abbiamo accertato che le consuete sinassi avvenivano in edifici privati, come a tempo apostolico. Gli scavi ci han rivelato un notevole esempio di questi luoghi,
È nella più antica basilica aquileiese (posta sotto il campanile) che può riconoscersi (come altrove ho dimostrato) il luogo di un'antica abitazione con tracce di adattamenti provvisori per le assemblee liturgiche. Un canaletto del pavimento serviva senza dubbio all'incastro di un cancello in legno destinato ad isolare il clero dal popolo. Presto il simbolismo proprio del rito eucaristico contribuì a dare un carattere a questo impedimento. L'idea della vinea Domini suggerì l'analogia con la pergula specie quando sul parapetto marmoreo delle prime basiliche s'inalzarono colonne che, per stare in armonia con l'immagine simbolica, si fecero flessuose, tortili come il fusto delle viti. Bellissima la pergula della basilica Costantiniana di S. Pietro ancora ricostruibile nella memoria degli artisti del secolo XVI, come dimostra l'affresco della "donazione di Costantino" nelle stanze di Raffaello. Le colonne tortili furono, come si sa, utilizzate dal Bernini nelle logge delle reliquie.
La cancellata, seguendo sempre l'imagine agreste, avrà pure un'altra ingegnosa trasformazione. Giacchè gli artisti imiteranno con essa i recinti di vimini intrecciati (si veda il magnifico esempio di S. Clemente sec. VII) o le siepi spinose che la primavera riveste di fiori. Gli artefici ravennati ce ne dettero esempi genialissimi.
Ed ecco l'ultima fantasia, L'idea della corda che serviva a trattenere lo slancio dei cavalli può aver suggerito gl'intrecci di corde e di nastri che prevalgono sulle transenne dell'alto medio evo.
Di questo genere non furono inventori i Barbari, giacchè possono trovarsene precedenti nella decorazione classica romana (si vedano in proposito gli studi di Ferdinando Mazzanti). Ma certo piacque molto ai Barbari che, alla pari dei popoli primitivi, avevano il gusto per le figurazioni complicate, per gli eninmi, per le astruserie. Sotto l'influsso barbarico l'intreccio transennale si fa complesso e diviene una cosa originalissima. Sembra che l'artefice si sia proposto di non lasciarci indovinare il segreto del suo giuoco di annodature. Viene in mente che il superstizioso uomo del Medio-Evo abbia pensato di burlare il diavolo costringendolo a perdersi in queste circonvoluzioni labirintiche prima di entrare nella casa del Signore. I manoscritti irlandesi debbono avere offerto il modello di tali intrecciature. Finora gli studiosi non si sono accorti che una pagina intrecciata del libro di Durrow può mettersi a confronto con specchi di plutei contemporanei, ad esempio con quelli di S. Sabina,
Un tipo assai più semplice, usato più che altro per le finestre, è la lastra semplicemente forata. I fori sono circolari, triangolari, a losanga curvilinea, ecc.
Quando si tratta di fori molto larghi, si può pensare che in essi vi fosse l'incastro di vetri colorati. Molti passi di scrittori accennano alla luce policroma scendente dalle finestre delle antiche basiliche, Oltre i vetri si usò il metallum gypsinum. Che cosa fosse, non era chiaro fino agli ultimi tempi. Fu merito del Munoz di essersene accorto dopo averne trovato delle tracce in situ nella basilica di S. Sabina. Trattavasi di selenite (calcite spatica) ridotta in lastre sottili che lasciavano filtrare un chiarore perlaceo. NeI restauro della nominata basilica, tutte le transenne, rifatte su antico modello, hanno ricevuto i loro vetri di selenite che (tranne la solubilità) sono preferibili alle lastre d'alabastro o di vetro. Anche il costo è inferiore perché di questo minerale vi è abbondanza in Italia.
Tornando alle transenne da finestre, noi dobbiamo notare il loro grande sviluppo nella piena età romantica. Originale è un esempio di Bari che sembra tenda a ripetere il giuoco di legnetti di una "mucharabiech" orientale (sec. XI). Più originale ancora la chiusura di un oculus di Pomposa ove si fa strada la decorazione zoomorfica (sec. X-XI). Sopra un'altra transenna (appartenente ad una chiesa istriana) si va più in là giscchè vi si rappresenta nientemeno che una Crocefissione.
E' in fondo in fondo una transenna la chiusura del rosone di facciata delle cattedrali romaniche (specie quella di Troja, sec. XIII) e gotiche. Ma per carità dove andremmo a finire se ci fermassimo in questi argomenti? Un architetto d'oggi potrebbe arrivare sino alle pareti-transenna della chiesa ultra moderna del Raincy, ideata dai fratelli Perret.
Meglio quindi venire al Rinàscimento in cui, scegliendo "fior da fiore" ci appaiono stupende sopra tutte le transenne a bei corni d'abbondanza, lacci d'amore e monogrammi scolpite per le cappelle del tempio malatestiano di Rimini.
Qui bisognerebbe illustrare tutta una cospiqua serie che va dalla Rinascita all'età barocca, non trascurando l'età contemporanea.
Ma questo articolo potrà essere argomento di un secondo articolo; come pure altrove sarà il caso d'illustrare le transene in bronzo, di cui diamo qui soltalto il poco noto esempio carlolingio di Aquisgrana poiché si rannoda completamente ai tipi marmorei di tradizione classica.


CARLO CECCHELLI

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