FASCICOLO II - OTTOBRE 1926
ROBERTO PAPINI: Il concorso per il quartiere dell'artigianato in Roma, con 30 illustrazioni
Raramente un concorso si è presentato così facile a decidere: un progetto cioè di molto superiore a tutti gli altri e tale che la sua scelta s'impone.
Perché s'impone? Prima di tutto per una considerazione generale: è ora di finirla con tutto quel tritume pittoresco e decorativo di cui si compiacciono purtroppo molti dei giovani architetti romani. L'architettura è una cosa seria, né si affronta e si risolve con l'animo di chi vuol cavarsela a forza d'arabeschini, timpanucci, finestrelle, cornicine e bugnette. A continuare per quella strada si ricasca nell'insulso decorativo ottocentesco, d'infelice e maledetta memoria,
L'architettura cioè, oggi più che mai, dev'essere principalmente logica struttura, ritmico gioco di proporzioni, oculato risparmio di decorazione. Ogni edificio dev'essere caratterizzato, anche dall'esterno, secondo la sua destinazione, il suo scopo, il suo ambiente. Chi non capisce queste cose elementari può anche togliere il nome d'architetto da! proprio biglietto da visita e mettercene qualunque altro, dal tappezziere al coiffeur pour dames, se se lo merita.
Non v'è dubbio che il progetto presentato dai Gruppo Aschieri (Architetti Pietro Aschieri, Mario De Renzi, Luigi Ciarrocchi, Mario Marchi, Costantino Vetriani, Giuseppe Wittinch) risponde ad una chiara concezione struttiva, ad un sicuro caratterizzarsi degli edifici, ad una benintesa parsimonia decorativa.
In secondo luogo la scelta s'impone perché non basta aver chiari in testa i generali principi direttivi dell'architettura moderna; occorre saperli applicare con discernimento, con misura, con gusto. Indubbiamente il Gruppo Aschieri possiede queste rare ed invidiabili qualità.
V'è di più e di meglio: sei architetti si sono riuniti in gruppo ed hanno raggiunto una perfetta fusione di stile, sì che l'opera è riuscita organica ed unitaria. Né credo sia tutto merito dei componenti il gruppo. V'è ormai una affermazione sempre più decisa di certi principi regolatori dell'architettura moderna in ogni paese, contro i quali non è più lecito andare. V'è qualcosa nell'aria che non consente di tornare indietro perché uno stile ormai c'è ed è fatto di semplicità, di chiarezza, di logica, come nei tempi più classici,
Lodando come faccio il progetto del gruppo Aschieri so di essere conseguentemente severo con gli altri concorrenti. È una severità doverosa verso giovani architetti dai quali, per il loro ingegno e per la loro preparazione, è lecito aspettarsi molto di meglio, quando avran mutato strada.
Parlo specialmente del progetto dell'architetto Nori, di quello degli Arch. D. Rossi e R. Morozzo della Rocca, di quello dell'architetto Ceas. Sono i progetti premiati come secondi, alla pari, dalla Commissione,
Del Nori dirò che è troppo bravo. La stia formula in questo progetto è: Viterbo + Sangimignano + reminiscenze varie fra Veneto e Romagna.
E la formula è sbagliata, per quanto usata con maestria grande. Ne risulta una architettura in superficie, gustosa ma senza stile, pittoresca ma non caratterizzata. È quella la via che conduce alla scenografia romantica e non all'architettura.
Del Rossi e del Morozzo dirò che il loro progetto mi pare dei tre secondi premi il migliore, studiato com'è con gusto, con serietà, con equilibrio. Ma la preoccupazione tradizionalistica è troppo presente nel classicismo campagnolo da vecchio convento di provincia. Né ci si libera da un senso di freddezza compassata come quello che ispirano certe persone "d'una certa età" troppo bene educate. Più giovani bisogna essere e più arditi.
Del Ceas aggiungerò che anch'egli s'è lasciato trasportare dalla ricerca del pittoresco. Più prezioso e più raffinato del Nori, dimostra un'eleganza da salotto, manifestata non solo nella concezione delle architetture ma anche nei grafici disegnati con gusto delicato da silografo o da tardo seguace di Callot. Né sarà male ricordare una volta di più come gli architetti antichi disegnassero male e costruissero bene. Oggi disegnano troppo bene e il disegno prende loro la mano.
Ciò sia detto per l'esteriorità dei progetti, ché, se si dovessero analizzare planimetrie generali e piante, troppo lungo sarebbe il discorso,
Un'ultima osservazione rivolta specialmente al Gruppo Aschieri. Anche i suoi componenti non si salvano da certi accenti tradizionalistici, inutili e perciò dannosi,
Il loro progetto è un discorso piano, suadente, logico nel quale sono introdotte alcune frasi ampollose, a definire le quali vorrei coniare la parola "eloquénfasi", Per vera fortuna son poche e potranno essere corrette nell'esecuzione.
Ho detto inutili; la felicissima iniziativa del Governatore di Roma accettata dall'Istituto per le Case Popolari con bello slancio poiché quello romano è, per merito dell'arch. Alberto Calza-Bini, assolutamente all'avanguardia rispetto ad ogni altro Istituto analogo d'Italia, non richiedeva eloquenfasi. Non si tratta di palazzi, ma di case per artigiani. Il tradizionalismo che nei palazzi monumentali è quasi inevitabile, in tempi come questi d'immaturo rinnovamento architettonico, diviene inutile nelle case dell'artigianato. Poiché l'architettura quando è sana, logica, proporzionata, semplice sta bene in qualunque ambiente.
Fatte le lodi ed i biasimi, devo anche riconoscere che il concorso di cui ho scritto è una magnifica prova in quasi tutti i concorrenti della vitalità, della perizia, dell'energia potenziale che fervono nel laborioso ambiente dei giovani architetti di Roma. L'aurora è rosea; si prevedono giorni di sole.

ROBERTO PAPINI

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