FASCICOLO II - OTTOBRE 1923
ITALO GISMONDI: Le origini latine dell'abitazione moderna (II)
PORTICI E BOTTEGHE. Lo sviluppo dei portici sulla fronte delle case risalirebbe al-l’età di Nerone che nella ricostruzione di Roma li avrebbe voluti a protezione degli isolati contro gli incendii. In Ostia li tro-viamo non solo lungo le strade più larghe Decumano e via del Tempio ma an-che su vie minori come via della Fortuna.
La loro presenza accresce decoro e si-gnorilità alla strada, senza che per essi debba essere variato il tipo delle case, le quali, invece di appartamenti hanno al piano ter-ra delle botteghe; sopra i portici è natu-rale supporre delle terrazze, solaria, le quali sostituivano i balconi per il primo piano delle abitazioni (fig. 1 in. fasc. f. 1.° e 22); ciò che s’accorda pienamente con la testimonianza di Svetonio (Ner. 16).
Quanto alle botteghe esse sono in gran numero anche a Ostia. Quando la casa è a portici esse occupano tutta la fronte del piano terra; dove portici non sono, esse sono sostituite dagli appartamenti sia per una sola parte sia per tutta intera la lun-ghezza del caseggiato. Coperte a volta e con solai in legno, comunicano quasi sem-pre con una stanza superiore mediante una scaletta coi primi gradini in muratura e gli altri in legno. Le loro grandi aperture venivano chiuse con tavole scorrenti in basso in un canaletto della soglia di travertino e in alto, in un altro canaletto ri-cavato nell’architrave di legno; e se ne assicurava la chiusura mediante due paletti fermati nel centro da una serratura. Per la chiusura interna si usava una trave di legno che veniva forzata entro due fori ne-gli stipiti delle porte. Queste porte avevano telaio in legno di cui rimangono evidenti tracce sul muro.
ANGIPORTI E SCALE. — L’angiporto è in Ostia un passaggio coperto che unisce le due facciate della casa sia che il caseggiato stia tra due strade, via della Fon-tana, sia che stia tra una strada e una area privata, casa dei Dipinti. E insomma una specie di androne, ricavato sempre accanto al vano delle scale, il quale attra-versa il caseggiato in larghezza facilitando le comunicazioni. Talvolta si aprono sotto di esso gli ingressi agli appartamenti del piano terra (fig. 24); ma probabilmente, pur restando area privata, esso doveva essere un accesso libero a chiunque non volesse girare tutto il caseggiato per recarsi da una strada all’altra.
Il largo e il saggio impiego delle scale è una delle più salienti rivelazioni delle case ostiensi. Richieste dall’altezza di que-ste, esse sboccano direttamente sulla stra-da e sul cortile interno, e la loro distribu-zione è studiata in modo da rendere indi-pendenti le comunicazioni tra i vani appartamenti.
Gli appartamenti a piano terra compren-denti anche il primo piano avevano sem-pre la scala interna di comunicazione; qualche volta però al primo piano si ac-cedeva anche dalla scala esterna.
La distribuzione delle scale nei caseg-giati non è mai capricciosa, essendo le scale, intese anche dai Romani come ele-mento sostanziale di ordine e di economia distributiva: talvolta sono esse che dividono in più corpi il caseggiato. Tutte in mura-tura - le scale in legno sono limitate in Ostia agli ammezzati delle botteghe - si svol-gono per la maggior parte in facciata illuminate su ciascun pianerottolo da finestre. È erroneo quindi ritenere, come s’è rite-nuto, che le scale fossero in antico poche e buie e quasi sempre di legno.
La forma predominante di queste scale è quella con branche comprese fra le due pareti in muratura; più rare invece le scale con pozzo interno (fig. 23, 26). A soste-gno dei gradini è preferibilmente adoperata la vôlta a botte saliente, per le scale a pozzo i gradini poggiano su volte impo-state sui pianerottoli. I pianerottoli sono sostenuti da vôlta a botte, lunettata o no, secondo i casi, oppure da piccole vôlte a crociera. Gli scalini sono o di travertino o di mattoni, oppure collo spigolo in legno.
Ai piani si sale generalmente con una sola branca di scale, e, di solito, le branche e i ripiani sono ciascuno sopra la mede-sima colonna.
Decorativamente dove non vi siano por-tici, le scale quasi sempre sono contrasse-gnate sulla facciata, da lesene e timpano, come gli ingressi delle abitazioni a piano terra e come queste avevano la loro porta a due sortite.
Cortili. - Anche la distribuzione interna dei caseggiati Ostia si rivela con nuovi particolari.
Primo, il cortile, il quale ha l’ufficio di non possono fronteggiare su due strade. Il cortile non è paragonabile nè all’atrio nè al peristilio della casa greco-romana, sia perchè esso può servire a più cose (es. casa dei dipinti) sia perchè esso è utiliz-zato da tutti i piani e dagli appartamenti del caseggiato che vi aprono porte e fine-stre, e che sviluppano, per mezzo del cor-tile, una serie di ambienti interni l’appartamento del piano terra ed appar-tiene quindi, quanto a suolo, solo al proprietario o ad uno degli inquilini, può an-che essere messo a servizio di botteghe come e nella casa del lavano (fig. 29) do-ve parecchie taberne si aprono su di esso e il cortile stesso serve di comunicazione tra le due strade di questa casa d’angolo (fig. 30). I cortili hanno talvolta loggiati, tanto a piano terra quanto ai piani superiori. Ma più comunemente il cortile serve a dar luce e aria al piano terra che le riceve per mezzo di aperture ad arco, raramente me-diante finestre: in modo che questi cortili possono riaccostarsi, salvo le proporzioni minori, ai cortili a portico dei palazzi della rinascenza.
Nel cortile trovan posto e le scale in muratura per il primo piano, e fontane o vasche per la distribuzione dell’acqua: e poichè esso sostituisce l’atrio della domus tradizionale, sulle muta del cortile si di-spongono uno o più tratta, costituiti da bassorilievi in terracotta incorniciati da listelli laterizi, oppure graziose edicolette a nicchia in cotto con lesene e frontespizio e colla calotta della vôlta a tasselli di mat-toni e pomice in modo che ne risulta una semplice e simpatica policromia te accluse sono più chiare di ogni descrizione. Un primo tipo è formato da una serie di stanze allineate sulla facciata e in-tercomunicanti a mezzo di una specie di corridoio che rimane tra i loro muri divi-sorii e la facciata stessa: le camere estreme di questa serie sono da considerarsi le mi-gliori dell’appartamento (caseggiato di via della Fontana). I muri divisori delle stanze centrali di questo tipo non attaccano col muro di facciata ma lasciano uno spazio di circa due metri che può considerarsi co-me un corridoio di disimpegno. Le stanze centrali erano chiuse sul corridoio soltanto da tendaggi; le stanze estreme (a, b) oc-cupano invece tutta la profondità (fig. 24). Questo tipo di appartamento che prende luce da una sola facciata può identificarsi nei piani superiori delle case di via del in fasc. 1.° e 34). Un secondo tipo che occupa tutta la profondità del caseggiato beneficiando quindi di due facciate (fig. 12 in fasc. 1.°) risulta di tre corpi: un corpo centrale in cui si nota un passaggio e una stanza di comunicazione; e due corpi laterali con gli ambienti d e c non ammezzati. Un terzo tipo pur usufruendo di una sola facciata, approfitta della profondità disponibile per costruire una seconda ala di ambienti che prendono luce da uno spazio in-terno (cortile). Essendoci una sola scala in facciata è stato necessario unire i due corpi di ambienti con una loggia di colle-gamento (fig. 36).
Un quarto tipo è quello che usufruisce di due o più facciate su strada e di un cortile nel centro (fig. 9 in fasc. 1.° e 30).
IGIENE DELLA CASA. - In una città co-me Ostia, fornita di una vasta e ben di-stribuita rete di fognature, è naturale che anche le case avessero assicurato il de-flusso delle acque di rifiuto. Infatti consta-tiamo in ogni casa due tipi di canali di scarico: uno formato da un incasso rettangolare nella muratura ricavato in co-struzione e in cui dovevano essere appli-cate delle tegole chiuse da muratura o da intonaco nella parete esterna; l’altro otte-nuto, murando nel muro tubi di coccio.
Il primo tipo fa giustamente pensare a scarichi di latrine le quali per quanto non siano state ancora trovate nei piani supe-riori, sono però logicamente supponibili. Conosciamo invece delle latrine sia nelle botteghe, ricavate sotto la scaletta che por-tava alla camera superiore, sia in alcuni appartamenti a piano terra (casa di Diana) che ha una latrina di tipo militare. Le case ostiensi sono quindi dotate di fogne di di-verse dimensioni e coperte in prevalenza alla cappuccina, le quali si riallacciano alle grandi fogne stradali che scaricano nel Te-vere. E naturale pensare che le fogne delle case fossero fornite di acqua.
Le case erano poi dotate di acqua po-tabile essendosi conservati nell’interno di esse e condutture di piombo e fontane.
CONCLUSIONE. - Gli esemplari della edi-lizia ostiense e romana, qui illustrati e de-scritti, documentano che l’organismo della casa tradizionale latina si è interamente rinnovato sia nella pianta che nell’alzato, fin dal principio, almeno, dell’impero Ro-mano. L’abitazione è passata dalla forma chiusa e monotona della casa ad atrio al tipo più vivo movimentato di una casa a facciate, informandosi ad uno spirito di maggiore praticità e modernità che è in pieno accordo col rinnovamento della vita privata antica sotto l’impero.
Non è qui il caso di discutere se la tra-sformazione della abitazione sia avvenuta per influssi estranei alla civiltà romana; certo, allo stato delle nostre conoscenze non mi pare ci sia nessun documento si-curo per affermare che l’architettura ro-mana abbia preso a prestito, da altre civiltà, il nuovo tipo di casa. Il quale deve considerarsi non limitato ad Ostia, ma dif-fuso in tutto l'Impero con le varianti con-sigliate dalle condizioni delle singole regioni e dei singoli abitati.
Perchè se è giusto osservare che la casa ostiense è in pieno accordo col carattere della città fornita di strade larghe e diritte con aree fabbricabili regolari e forse poco costose così da permettere grandiosità e regolarità di abitazioni, non è men vero che il nuovo tipo di casa adattandosi a tutte le esigenze, molto più della casa ad atrio, deve aver avuto larga applicazione anche fuori di Ostia, là dove le condizioni della città fossero diverse. E infatti non solo lo ritroviamo a Roma stessa, dove le case dovevano però avere in genere una fronte più stretta delle ostiensi (in-gresso e bottega e due o tre finestre ai piani superiori), ma anche a Pompei dove gli ultimi scavi hanno rivelato abbondanza di tettoie, loggiati, balconi e qualche piano superiore, cioè ci hanno dato l’attestazione di un rinnovamento edilizio. Rinnovamento edilizio che non può meravigliare certo noi che abbiamo assistito negli ultimi anni ad una completa e rapida rinnovazione del-l’igiene e dell’estetica della città e degli abitati, sotto l’influsso di un maggior benessere di vita e di un maggiore accen-tramento urbano, cioè sotto condizioni a-naloghe a quelle che si riscontrarono con la pace imperiale.
Ma l’importanza delle case ostiensi non si limita a farci constatare nuove esigenze di vita e nuovi tipi di abitazione. Si osservano infatti in queste nuove forme e nuovi elementi architettonici e decorativi che rinnovano e improntano ad uno spi-rito di modernità tutta l’architettura antica. La quale si riallaccia alle architetture po-steriori e continua fino ai giorni nostri, con una vitalità che certo noi non sospet-tavamo. Molte forme che si ritenevano prodotte, da nuove esigenze di vita e da influssi di popoli e di civiltà straniere o posteriori alla latina, vanno invece riven-dicate all’architettura romana. Uno studio in questo senso potrebbe apportare forse molte sorprese. Ma a me basterà aver ri-vendicato alla più comune abitazione mo-derna una discendenza diretta della casa latina attraverso il Rinascimento.
GUIDO CALZA

(1) Augusto, secondo STRABONE, V, 134, limitò l’altez-za dei nuovi edifici a 70 piedi cioè cieca 20 metri; Nerone forse abbassò tale cifra e Traiano la fissò a 60 piedi, meno di 18 metri (AURELIO VITTORE, Epist.13). A Costantinopoli l’editto di Zenone del 423 (Cod. 8, 10, 12) consente 100 piedi d’altezza a quegli edifici che avessero un intervallo di 100 piedi con le costruzioni vicinati, cioè 29 metri.

APPENDICE.

All’articolo che precede il quale riassume ed illustra i dati di fatto raccolti nello studio accurato e sistematico delle costruzioni private romane, credo opportuno far se-guire alcune mie osservazioni di carattere tecnico che mi hanno servito di base alle ricostruzioni architettoniche da me qui date. (Si avverte che le illustrazioni sino al n. 21 trovansi nel fascicolo 1.°).

CASA IN VIA DEL TEMPIO. - Questo isolato con porticato (fig. 1) alto due piani (m. 6,50), alla pianta (fig. 2) risulta che doveva avere dei loggiati di altezza calcolabile in m. 3,50, necessari alla comunicazione dei vari ambienti dato che le scale sono situate alle due estre-mità del caseggiato. D’altra parte la rovina mi dà i se-guenti elementi di fatto: altezza del portico, imposta degli archi del portico, forma dei pilastri, altezza e forma delle porte delle botteghe e finestre del primo piano cioè tutti gli elementi della costruzione con le loro proporzioni fino all’altezza del secondo piano; sicchè dati questi elementi e fa certezza della presenza delle logge superiori ho potuto ricostruire questo caseggiato con un motivo architettonico di arcuazione triplice corrispondente all’asse di una sola arcata inferiore impostami dall’altezza minore dei piani soprastanti.
Questa forma architettonica, che la rovina ostiense au-torizza in tutto a supporre (il primo ordisse alto ed ampie aperture agli ordini superiori invece di minore proporzione) si riscontra nell’architettura romana. Basti rammentare:
Porta Palatina di Torino, emiciclo del Foro di Traiano, porte dei Borsari a Verona, porta di Saint Andrè e d’Ar-roux in Antun, ecc.

CASA IN VIA DELLA FORTUNA (fig. 22). - Sebbene la distribuzione degli ambienti di questa casa non richiedesse le logge a tutti i piani, pure mi pare logico e verosimile supporle al secondo e le ho immaginate soste-nute da colonnine di pietra in relazione a una recentissima scoperta fatta in Ostia negli scavi della via degli horrea Epagathiana, dove - si sono rinvenute delle colonnine cadute e allineate normalmente ad una facciata di casa a portico sostenuto da pilastri di mattoni. E siccome nello spazio dl due luci del portico si sono rinvenute cinque colonnine, bisogna ammettere che in corrispondenza all’asse di una arcata inferiore fosse ricavato un duplice intercolunio su-periore. Anche in questo edificio il portico occupa l’altezza di due piani mentre il loggiato bisogna svilupparlo nello spazio di un solo piano.
La conservazione della rovina (fig. 21) che in alcune parti fa vedere il pavimento del secondo piano, mostra chiara la fusione del portico col balcone sostenuto da mensoloni di travertino ancora in situ, e precise traccie dell’incatenamento del portico con tiranti in legno all’imposta della volta; esempio di incatenamento che si è ritrovato: anche in altri edifici come negli horrea Epagathiana.

CASA DI DIANA (fig. 8, 9). - Potendosi ancora co-statare chiare traccie di color rosso negli archi e sulla cornice del balcone, e durante lo sterco di questa casa non essendosi rinvenute che scarse testimonianze di cornici, credo che anche per questa come del resto per moltissime altre case ostiensi l’unica decorazione sia stata quella di colorate in rosso le piattabande e gli archi di scarico. Del resto è una concezione puramente romana quella di mettere in evidenza il più possibile la struttura.
Ho creduto inserire anche in questa facciata il motivo delle nicchie essendo venuti in luce frammenti di tale tiro di decorazione nello scavo della casa del Larario.
La fig. 7 mostra chiaramente fino a quale altezza è conservata la rovina.

FINESTRE E BALCONI. - Negli avanzi dei piani superiori che si conservano non solo in Ostia (fig.27, 34, 37) ma in Roma stessa (fig. 19, 20) si osserva che quasi tutte le stanze avevano parecchie finestre tenendo io poco conto i razionali criteri statico costruttivi; sicchè non è troppo ardito affermare che l’architetto si preoccupasse più dell’i-giene della casa fornendola di luce ed aria in abbondanza che non del disquilibrio nella disposizione dei vuoti e dei pieni specie sulla stessa verticale e perciò nelle mie rico-struzioni mi sembra di avere interpretato questo principio dell’architettura privata antica.

Data poi l’abbondanza dei balconi nei piani conservati nelle case ostiensi, abbondanza che si è chiaramente ma-nifestata negli ultimi scavi eseguiti con metodo rigoroso, usi è parso giusto di fornire di balconi anche i piani più alti (fig. 22, 25, 28) e ho variato nelle diverse case e nei diversi piani il tipo di questi balconi per la varietà dei tipi rinvenuti e l’ho ridotti a singoli ambienti dato che nei piani superiori essi non hanno più funzione di portico.

Se queste ricostruzioni di case ostiensi possono sembrare a prima vista informate ad uno spirito di modernità, bi-sogna tener presente che Ostia ha rivelato tipi ed elementi architettonici assolutamente ignorati e insospettati nel mon-do romano. Onde non è ardito affermare che molte forme architettoniche che ritroviamo nelle costruzioni del rinasci-mento debbono provenire direttamente, o in parte attra-verso il medio evo, dal mondo romano. E io credo che la prosecuzione degli scavi potrà mettere in luce altri elementi a conferma di questa conclusione.

ITALO GISMONDI

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