I RECENTI SVILUPPI DELL’ARCHITETTURA
ITALIANA IN RAPPORTO ALLE LORO ORIGINI
Affermazione preliminare circa l’universalità dell’architettura
contemporanea e della sua istintiva formazione.
Il momento architettonico italiano va ragionevolmente considerato nel
più vasto quadro del rinnovamento architettonico europeo e mondiale
e nei suoi riferimenti a più generali atteggiamenti della vita
contemporanea.
In tutti i campi l’individualità nazionale è oggi
meno differenziata di quel che non fosse qualche secolo fa. Ad accentuare
il processo generale di unificazione hanno concorso e concorrono tuttora
con un ritmo ben più celere che per il passato, molti coefficienti
d’ogni ordine: quelli dell’intelligenza, con lo sviluppo
di una tecnica e di una scienza di valore universale, capaci di livellare
non già i punti di arrivo ma le basi di partenza della vita intellettuale
individuale, e da un punto di vista pratico intese a fornire i mezzi
atti a promuovere e accentuare l’universalità stessa; quelli
della politica e dell’economia, per cui ogni popolo ha moltiplicato
il proprio bisogno d’interferire con gli altri mediante i più
svariati mezzi di scambio ed accordo; quelli della vita morale e sociale.
Le stesse imponenti guerre hanno nutrito la forza contraddittoria di
ristabilire equilibri, far reciprocamente conoscere le energie e le
qualità dei popoli, in ultima analisi scambiare vita e valori.
Un simile processo di sempre più intensa unificazione non significa
certo elisione delle differenze ed abolizione delle gerarchie; l’individualità
è un dato assoluto insopprimibile; essa anzi si approfondisce
indefinitamente, ma i suoi termini divengono sempre più interiori,
meno superficiali e contingenti.
L’unificazione si accentua dunque con celere ritmo sia per gli
individui singoli che per le individualità nazionali, ed ha valore
per tutti i campi dell’attività e del pensiero, non escluse
le arti, le quali, se mantengono inalterato il loro carattere di interiorità
e di personalità nei dati più intrinseci, si rendono sempre
più universali nei dati aventi rapporto coll’oggetto, col
mezzo usato, coi coefficienti di relazione esterna. Tanto a maggior
ragione ciò si verificherà per l’architettura, tra
tutte le arti la più legata a tali elementi estrinseci.
Architettura europea e mondiale dunque, intesa come arte concorde soprattutto
nei temi e nelle sorgenti pratiche, nei mezzi d’opera, nei criteri
generali di formazione.
Bisogna accogliere questa constatazione con misura: universale è
ben diverso da internazionale; anche in architettura: concordia non
è uguaglianza, ché buona parte degli elementi oggettivi
di cui abbiamo detto permangono diversi nei vari paesi, e soprattutto
rimangono diverse le attitudini soggettive le quali, pur nella unificazione
dei criteri direttivi generali hanno il modo di manifestarsi in tutta
la loro evidenza, se pure con maggior sottigliezza.
Una riprova dell’universalità degli stati d’animo,
del sincronismo e concordia delle sensibilità e dei criteri direttivi
dell’architettura moderna nel suo insieme, è dato dalla
contemporaneità dei tentativi verificatosi nella sua direzione,
ovunque, in Europa e in America, negli ultimi lustri.
Come preludente all’architettura moderna e concordemente animata
pur nella diversità di obiettivi e sensibilità da taluni
principi che in seguito si chiarirono compiutamente, possiamo infatti
considerare buona parte della produzione offerta, negli ultimi anni
dello scorso secolo o nei primi dell'attuale, dagli ibridi stili di
transizione svoltisi un po’ ovunque e segnanti il passaggio dall’eclettismo
ottecentesco all’era nuova; come ad esempio le opere di Hankar
e Horta nel Belgio, di Guypers e di Berlage in Olanda, di Root e Sullivan
in America, i lavori di Messel e le prime architetture di Behrens e
di Wagner in Germania ed in Austria, quelle di D'Aronco e Basile in
Italia. Analogie che si accentuano con identico carattere di universalità
quando, nel primo decennio del nostro secolo, l’architettura nuova
si va formulando ulteriormente e si realizzano le prime opere che ad
essa si possono ormai attribuire; ad esempio le costruzioni in cemento
armato dei fratelli Perret a Parigi, le ville di Wright nell’Illinois
e a Buffalo, le case di De Klerk ad Amsterdam, le opere di Boberg in
Svezia, soprattutto le genialissime concezioni del nostro Santelia.
Senza negare il contributo certamente recato dai concreti scambi di
cultura tra i vari paesi, non si può non ravvisare in una simile
concomitanza e contemporaneità d’indirizzo, oltre l’unità
della tecnica e dei criteri estrinseci, un’istintiva interiore
comunanza di sensibilità e di forza creatrice: istintività
ch’è base e sostanza dell’arte, per cui essa arte
sboccia come cosa di natura, al di fuori di predisposti indirizzi concettuali
e volitivi. L’istintività intuitiva determina con impulso
cieco quella realtà che la valutazione analitica soltanto segue;
onde accade talvolta che l’arte viva e nuova cozzi contro gli
ostacoli dell’incomprensione e la resistenza delle idee diffuse,
organizzate sui resultati ed i valori dell’arte precedente, con
un comprensibile ritardo di fase. (1)
Ritardo di fase delle valutazioni critiche nell’architettura
contemporanea: giustificazione con l’appartenenza di esse al pensiero
dell’Ottocento.
Nel pensiero critico architettonico contemporaneo e in esso comprendiamo
insieme le valutazioni culturali ed il gusto del pubblico, è
evidente tale ritardo di fase del giudizio, in confronto al valori efficienti
in concreto: esso pensiero è infatti ancora legato alle attitudini
mentali dell’800; il secolo più manchevole di architettura
e il meno adatto a comprenderla; segno questo di profonde e diffuse
deficienze nei caratteri generali della sua civiltà, giacché
è ben noto che lo splendore dell’architettura e la sua
adesione a diffuse esigenze spirituali si verificano appunto nelle civiltà
più complete ed equilibrate, di cui sono sintomo tangibile.
Caratteri generali dei pensiero critico e delle sintesi creative nell’Ottocento.
Il secolo XIX è infatti l’anticlassico per eccellenza,
il meno unitario, quello che vede alternarsi a breve intervallo di tempo
i sistemi filosofici più contradditori, quasi sempre appuntati
verso direzioni estreme del pensiero, idealismo assoluto, materialismo
intransigente: il secolo del romanticismo, di questo indefinito movimento
dell’animo che ha l’attributo negativo di contenere tutto
ciò che è incerto e squilibrato, tutto quanto non ha potuto
trovare punto d’appoggio per far leva verso l’unità
e che di tal contrasto tra i partiti opposti fa la sua stessa consistenza.
Secolo il quale, appunto perché assetato di verità assoluta,
perché teso verso la soluzione integrale del problema dell’essere,
svolge bensì e supera tal problema astrattamente, in sistemi
filosofici chiusi, non recanti in sé contraddizione, come sono
appunto soltanto ed ambedue gli estremi, che dei due termini dialettici
dell’assoluto negano totalmente l’uno riducendo tutto l’essere
all’altro: ma appunto per questo non può risolvere il problema
in concreto, nella prassi vitale, nella quale si riversano le antinomie
e le contraddizioni che dalla vita astratta del pensiero speculativo
si è avuta la superbia di ritenere eliminate. Mentre invece l’unità
concreta del pensiero operante e della realtà non si può
attingere con la prevalenza di uno dei due termini dell’opposizione
sull’altro, ma solo mediante la sintesi di entrambi, posti come
principi radicalmente alti e insopprimibili dell’essere; sintesi
da effettuarsi, oltre l’insuperabile dissidio dialettico, appunto
nel piano fecondo dell’azione creativa.
Cosicché il secolo XIX, a volta a volta il più chiaro
e profondo nei singoli prodotti del pensiero critico ed analitico, è
invece il più torbido e inconseguente nei dati sintetici attivi
della vita vissuta, nella quale si son viste in una sorta di caos, del
resto denso di futuro, con violenza cozzare le forze di un mondo che
finiva cogli impulsi di un altro vigorosissimo che sorgeva, tra loro
combattere le energie più opposte, idealmente sublimi le une,
brutalmente materiali le altre, alla vana ricerca di uno stabile equilibrio,
fino alla crisi della guerra recente, aprente il campo alle più
radicali evoluzioni.
Parallelo tra le suddette attitudini generali dell’Ottocento
e quelle particolari riferentisi all’architettura.
Non inopportunamente si è schematicamente accennato a taluni
caratteri generali della civiltà del secolo XIX, giacché,
come fu detto dianzi, tra essi e l’architettura dell’epoca
si possono riscontrare essenziali analogie.
Anche nella vita architettonica dell’800 notiamo una viva tendenza
alle teorizzazioni astratte, appuntate spesso verso soluzioni integrali
estreme, idealistiche o materialistiche: volte le une ad identificare
l’architettura col potere formativo astratto dello spirito, assolutamente
libero, svincolato da ogni legame condizionante esterno considerato
insussistente o almeno estraneo al valore estetico; volte le altre a
ricondurla invece all’esclusivo dato materiale estrinseco, cioè
soltanto ad uno sviluppo logico-matematico dei coefficienti tecnici,
statici, distributivi di base, per cui la bellezza architettonica sarebbe
soltanto il segno di una tale raggiunta logicità statica e scientifica
od altrimenti la semplice percezione di principi estetici obiettivi
fissi, esistenti in sé, al di fuori di un nostro contributo creativo,
approvati dai nostri sensi necessariamente. (2)
Mentre invece anche l’architettura, nella sua prassi formativa,
non può essere considerata esclusivamente in funzione di uno
dei termini dialettici, né del solo potere formatore soggettivo,
né del solo dato oggettivo condizionatore, ma, di entrambi, nella
loro antitesi criticamente non risolta; giacché tale antitesi
può risolversi soltanto nella sintesi attiva, nell’unità
concreta dell’opera d’arte realizzata.
Prevalenza della tendenza idealistica nel pensiero critico e nelle
sintesi creative dell’architettura ottocentesca.
Non è dubbio però che, essendosi appuntate le teorie
del pensiero materialistico del secolo scorso piuttosto verso il campo
scientifico o verso quello sociale e morale, scarsamente trattando l’estetica,
e per contro avendo il pensiero idealistico negato o trascurato la scienza
ed assunta l’estetica come tema dominante, l’architettura
come arte è stata soprattutto oggetto di valutazioni idealistiche,
specialmente nell’ultimo periodo del secolo e tuttora, sicché
la sua inattualità odierna e la scarsa comprensione possono considerarsi
piuttosto in rapporto ostile a tali valutazioni, che a quelle materialistiche.
Verso un eccesso di preoccupazioni idealistiche, astrattamente estetizzanti
e decorative pende anche il difetto concreto delle opere prodotte dall’Ottocento,
impersonando quell’antinomia a cui l’esigenza critica cerca
invece sfuggire.
Ciò risulta anche evidente dall’esame degli sviluppi architettonici
posteriori al Rinascimento, di cui qui converrà tratteggiare
brevemente alcuni caratteri essenziali interessanti ai nostri fini.
Giustificazione di tale prevalenza idealistica mediante l’esame
della derivazione dell’architettura ottocentesca dalla precedente.
Possiamo riconoscere nell’architettura del Rinascimento chiari
in sommo grado quei caratteri che, all’infuori degli attributi
formali specifici, si possono denominare classici; e cioè soprattutto
l’equilibrio unitario tra il dato espressivo-decorativo e quello
tecnico-costruttivo, dei quali nessuno predomina ma ciascuno contribuisce
alla raggiante e misurata pienezza: l’equilibrio è consapevole
e le opere critiche degli stessi massimi architetti, e specialmente
quella dell’Albero, ce ne persuadono facilmente. (3) Ma la perfezione
è breve ed il passaggio dal Rinascimento al Barocco può
essere ricondotto ad una disintegrazione dell’unità attuantesi
con direzione idealistica mediante la prevalenza dell’elemento
decorativo su quello costruttivo, processo che è un naturale
portato del progressivo affermarsi dell’individualità intrinseca
fantastico-formativa (aumento di umanità) sul legame estrinseco
logico-proporzionatore dell’oggetto e del mezzo. (4)
I caratteri più salienti del Barocco, sia quelli riguardanti
piuttosto il contenuto (ad esempio la scarsa razionalità, la
prepotenza estetizzante e anti-utilitaria nella dislocazione dei complessi
tettonici, l’insoddisfazione statica esprimentesi nel movimento,
curvatura e frattura dei volumi e dei profili, il loro deficiente valore
ritmico, la mancanza di misura e di limite) sia quelli attinenti piuttosto
alla formulazione plastica (ad esempio la pesantezza, vistosità,
ampollosità e mollezza delle masse, la sensualità e ipertrofia
decorativa, il valor pittoresco) si possono appunto riferire ad una
sopravalutazione di carattere idealistico della forma sulla sostanza,
del lirismo sulla logica, della libertà sul vincolo. Processo
che, svolgendosi, aggrava i suoi caratteri fino a provocare la scissione
e addirittura l’opposizione dei due elementi costitutivi dell’unità
concreta, che si manifestano nell’ultimo periodo del barocco in
vario modo: con gli assurdi costruttivi e statici dei frontoni spezzati
o delle colonne tortili e fratturate, con la finzione del materiale
costruttivo mediante un altro di natura meno nobile e più precaria,
ad esempio della pietra mediante lo stucco (5); con la sfrenatezza decorativa
che si permette ogni capriccio ed arbitrio, violentando la verità
del tema ed i vincoli tettonici.
Infine si perviene alla scenografia, all’architettura soltanto
disegnata e irrealizzabile in concreto; la forma assume allora una vita
propria che si applica indifferentemente ad una sostanza qualsiasi,
puro pretesto per le proprie esibizioni.
L’architetto non è più il costruttore, ma il figuratore
di forme.
Ci siamo soffermati sul passaggio dal Rinascimento al Barocco appunto
perché nell’identificazione dell’architettura con
la scenografia, nel criterio di pura apparenza e visibilità del
dato estetico, nella sopravalutazione della superficie, in questo idealistico
momento insomma in cui lo spirito formatore affermando la sua dispotica
padronanza sulla natura s’illude di averla vinta, totalmente superata
e negata come valore autonomo, sono da ricercarsi le origini della decadenza
iniziatasi nel ‘600 e protrattasi nel ‘700: quasi che la
stessa natura abbia voluto vendicarsi della superbia dello spirito togliendogli
la linfa ond’essa contribuisce al suo sviluppo, essicando così
la sua virilità e la sua vita. Tale decadenza risulta aggravata
ulteriormente negli stili svoltisi dal Barocco specialmente fuori d’Italia,
come nel Rococò francese e tedesco, mentre in qualche aspetto
del ‘700 Italiano essa risulta attenuata ma non risolta.
Caratteri della prevalenza idealistica nell’architettura dell’Ottocento.
Si giunge cosi al sec. XIX, alla cui soglia l’architettura italiana
ed in linea subordinata l’europea, si presentano con le caratteristiche
dell’impotenza creativa concreta e della unilaterale ed artificiosa
mentalità critica idealistica, pervicacemente perdurante. L’impotenza
è invero conscia di se stessa: ce ne convince la stessa parola
degli architetti e degli intenditori d’arte del ‘700, come
il Milizia e Padre Lodoli (6) in Italia ed i membri del cosiddetto Partito
degli Ingegneri in Francia e nel Belgio. (7)
Tali autori appuntano contro il decorativismo barocco e rococò
i loro strali e suggeriscono quale rimedio ai mali gravanti l’architettura
dell’epoca la rivalutazione delle qualità di misura, di
ordine, di equilibrio tra plastica e tettonica, che avevano caratterizzato
i periodi di fioritura classica: la loro analisi è talvolta cosi
cruda da assumere una forma quasi materialistica o razionalistica. Da
tali attitudini critiche settecentesche possiamo datare il periodico
formularsi di teorie materialistiche dell’architettura durante
tutto il sec. XIX, di cui abbiamo già parlato e che abbiamo visto
dividersi, con le idealistiche prevalenti, il campo della polemica architettonica
non ancora oggi sopita.
In concreto il momento di consapevolezza critica dalla fine del ‘700
non può far presa sulla più intima essenza dell’architettura:
l’estetica di Vitruvio, la stima dei valori formali classici,
sono ancora tanto radicate da non lasciar supporre l’esistenza
di altre possibili soluzioni: d’altra parte le condizioni estrinseche
dell’ambiente non sono tanto differenziate dalle precedenti da
far necessariamente scaturire forme costruttive radicalmente nuove:
ci vuole un altro secolo di vita vissuta per giungere a questo. Cosicché
codesta critica ha il limitato risultato di condurre gli architetti
a prendere in prestito le sode ed equilibrate qualità del classico
greco, romano, e della prima rinascenza. Il neoclassico e poi l’impero
sono dunque in ordine di tempo e di merito i primi fra gli stili imitativi
costituenti nel loro complesso l’eclettismo del sec. XIX, di questa
architettura concettuale e culturale, quasi esclusivamente parvente
e accademica, che la filosofia idealistica svoltasi all’inizio
dell’era romantica trova di sua pertinenza e approva in pieno.
Posto il principio del distacco dell’arte architettonica da una
diretta emozione plastica è naturale che in esso si continui.
Vediamo infatti l’idealismo romantico teutonico, con la parola
di suoi autorevoli rappresentanti, promuovere la risurrezione del gotico
come stile precipuamente adatto ad esprimere la propria nordica consistenza,
(8) e da allora il gotico dividerà col classico l’onore
di venir copiato dagli architetti tedeschi. Vediamo l’epoca napoleonica
scegliere per sé le forme espresse dai tempi ritenuti politicamente
analoghi. In seguito sempre più si accentua la tendenza all’imitazione
basata su criteri non architettonici; si preferirà costruire
in romanico o in gotico una chiesa giacché l’era romanica
e la gotica furono le più religiose, si costruiranno in classico
gli edifici monumentali ed aulici perché questo riferimento è
storicamente più conseguente; si farà la villa in stile
svizzero, un salotto si arrederà in rococò o in cinese,
ecc. Le sostanze tettoniche adottate per la realizzazione di simili
scenografie imitative sono indifferenti; quelle che costano meno, quelle
a portata di mano, alla meglio camuffate e falsate. Le strutture interessano
esclusivamente il tecnico puro, l’ingegnere, a cui sono affidati
il loro progetto e la loro realizzazione. Bipartito è sovente
anche l’insegnamento delle discipline che all’architettura
come arte decorativa e all’architettura come costruzione si riferiscono
e tal costume si trascina, ad esempio in Italia, fino a poco fa.
L’eclettismo è insomma avvicinamento arbitrario di contrari
non unificati, prodotto privo di emozione e di vita propria, non architettura.
Tutti gli sviluppi di esso hanno identico valor negativo, indipendentemente
dai modelli assunti: si può tuttavia concedere maggior pregio
all’imitazione del classico, la più diffusa (significativa
antinomia, nel secolo meno classico!), intesa, soprattutto come nostalgia
per delle forme giunte ripetutamente a quell’unità concreta
di cui l’Ottocento ha cocente ed insoddisfatto desiderio ed in
cui esso mantiene tenacemente la fiducia e la speranza: sentimenti certo
giustificati se si astragga dai dati formali e decorativi più
superficiali e ci si riferisca invece alle doti più interiori
di proporzione, di ritmo, di potenziale espressivo ulteriormente suscettibile
di sviluppo. (9)
In conclusione e riferendoci a quanto è già stato detto,
l’eclettismo nella sua formulazione teorica impersona il difetto
del pensiero critico romantico, il quale, proprio perché teso
verso una unificazione astratta fu costantemente bipartito ed incapace
di giungere ad una valida e generale sintesi. Nella prassi concreta
di esso risiede poi la mancanza d’unità con prevalenza
idealistica imputata quale deficenza creativa all’architettura
ottocentesca: si spiega allora l’atteggiamento reattivo assunto
dall’architettura contemporanea, che combattendo l’eclettismo
e mirando alla ricostituzione di una unità concreta si volge
prevalentemente contro cotesta valutazione idealistica, protrattasi
oltre il secolo XIX fino ai nostri giorni.
Caratteri universali dell’architettura contemporanea e loro particolari
individuazioni.
Come abbiamo visto per l’architettura dell’800, anche per
quella contemporanea si possono stabilire legami con valori più
generali.
Nuovi orizzonti nel pensiero critico e nelle sintesi creative del ’900.
Molti elementi si sono recentemente mutati nel pensiero speculativo
ed è presumibile che tutta la concezione della vita avrà
per l’avvenire un indirizzo diverso da quello assunto nel secolo
scorso. Mentre da un lato vediamo le teorie relativiste e le ultime
scoperte nel campo della fisica e della chimica battere in breccia i
rigidi postulati del materialismo scientifico ottocentesco, e ricondurre
la scienza mediante la consapevolezza dell’indefinita traslazione
dei suoi problemi ad una più modesta considerazione dei propri
limiti e possibilità nei riguardi della attingibilità
di una verità immobile mentre dall’altro lato vediamo gli
ultimi sviluppi dell’idealismo assoluto sboccare inevitabilmente
ad un contingentalismo di natura scettica; mentre in conclusione vacillano
i dogmi fra loro contrastanti formulati dal pensiero speculativo precedente
e prevalgono invece soluzioni attiviste e pragmatiste della realtà:
è da presumere che, accentuandosi tal tendenza, vedremo infine
alle unilaterali posizioni intellettualistiche superate sostituirsi
la totalità piena della vita intesa come atto e creatività,
unità concreta derivante dalla sintesi dialetticamente non risolta
dei contrari, nella quale riavranno il giusto e non mendace luogo i
valori della religione e dell’azione. Sorgerà allora, sulle
rovine del romantico secolo XIX una nuova epoca classica, che appunto
dal recuperato equilibrio del pensiero e delle opere trarrà la
sua nuova consistenza.
Riflesso di tali valori generali nel campo dell’ architettura
e punto critico risolutivo della sterilità architettonica dell’800.
Nel campo particolare dell’architettura tali valori più
generali possono avere soltanto l’analoga proprietà di
una tendenza all’unità sintetica concreta costituita di
una dualità astratta francamente ammessa, unità la quale
pertanto, oltre al dato formativo intrinseco dovrà tenere nel
massimo conto quegli elementi oggettivi di base e di legamento estrinseco
che l’eclettismo idealistico e accademico precedente aveva totalmente
esclusi e negati. D’ora in poi essi dovranno essere amorosamente
accolti, conosciuti, posseduti, per poter essere poi superati in sintesi
efficace. Qui sono le origini dell’atteggiamento antidealistico
riconosciuto poc’anzi all’architettura attuale: atteggiamento
comprensibile giacché appunto contro l’eclettismo precedente
cotesta architettura deve opporsi per affermarsi; ma che finirà
con l’apparire, chiuso il momento polemico, orientato nelle fonti
verso un dualistico naturalismo piuttosto che verso un unitario materialismo,
con il risultato di sboccare poi ad una rinnovata sintesi la quale troverà
la sua formulazione definitiva in uno stile moderno, classico non già
in senso superficiale e formale, ma profondo e sostanziale.
Ritorno alla natura, intanto, che è sempre stata il farmaco di
tutti i mali di perdizione e di esaurimento.
Contenuto fondamentale dell’architettura contemporanea.
La divisione in categoria delle arti è artificiosa; fra di esse
è unità di comportamento, di origini, di obbiettivi. (10)
Così in tutte esiste una natura, cioè una materia estrinseca,
ed uno spirito capace di plasmarla.
È agevole identificare la natura architettonica con la costruzione
intesa come dato oggettivo, cioè con l’insieme degl’infiniti
elementi costituenti nello stesso tempo la preziosa sostanza determinante
ed il tirannico ostacolo limitante la fantasia formativa: quindi anzitutto
il problema organico distributivo impostato sulla somma dei requisiti
utili (anche soltanto spiritualmente) richiesti dal tema assunto: poi
i mezzi atti da un punto di vista costruttivo e, in senso lato, economico,
per realizzarlo; e in ciò si comprendono tutti i vincoli offerti
dalle condizioni geografiche e climatiche, dai mezzi finanziari, dai
materiali disponibili o convenienti coi relativi caratteri statici e
tecnici, dalla volontà del committente, ecc.: vincoli di cui
l’architetto ha insieme amorevole rispetto e dura consapevolezza.
Ritorno alla natura significa per noi partire dalla considerazione e
dalla conoscenza di codesti dati inequivocabilmente estrinseci per arrivare
ad una loro formulazione plastica, libera da preconcette preoccupazioni
stilistiche: non già identificazione dell’architettura
con la costruzione, con la pura ragion materiale delle cose, con che
si arriverebbe solo ad una autoarchitettura predeterminata univocamente
dal calcolo razionale con esclusione conseguente dell’indispensabile
libertà formativa; ma virile creazione, sorgente da una emozione
capace di investire la sostanza organica elaborandola nei suoi precordi
e non soltanto accarezzandola all’epidermide. È questa
un'architettura nascente nella zona dei vincoli offerti dalla consistenza
materialmente razionale del tema, ma formulantesi per se stessa in quell’intorno
con esigenze distinte da ogni utilitarietà, anche nei temi più
umili e serrati, i quali, del resto, in pratica non sono mai tanto determinati,
neanche nel caso eccessivo delle costruzioni meccaniche, da non consentire
un qualche grado di libertà. L’equilibrio di una tale architettura
deriva dalla raggiunta unità nella dualità di spirito
e materia, e denota la forza amorosa di essi nel legarsi così
felicemente da far scomparire il senso della reciproca limitazione:
la sua bellezza è armonia fra i due elementi contrari per cui
la volontà di forma comprende l’indispensabile valore generativo
del vincolo materiale da cui essa poi si libera e per cui viceversa
detto vincolo, su di lei plasmandosi, mantiene integri i propri diritti
senza far sentire la propria presenza (la materia ci deve essere ma
non si deve sentire). L’architettura così intesa è
insomma, come ogni altra arte verace, intima ed ineffabile compenetrazione
di opposti in concreta creatività, da cui si origina realtà
nata per la prima volta, assolutamente irriducibile, concettualmente
inesauribile nel profondo, misteriosamente irreversibile.
Essa evidentemente può sorgere solo dalla mente complessa ed
unitaria di un solido e fecondo architetto e non dall’ibrido connubio
di un ingegnere arido e di un dolciastro decoratore.
Il bisogno del ritorno alla natura e all’unità, che abbiamo
visto formularsi fin dal 700, sboccare periodicamente a risultati parziali
o deviare in direzioni erronee nell’800 (chiaro esempio di deviazione
è lo stile floreale in cui un tal bisogno di ritorno alla natura
fu inteso nel senso ingenuo e grossolano di imitare con le membrature
architettoniche le forme naturali del mondo vegetale ed animale o comunque
oggettivo) ha trovato finalmente oggi il terreno adatto e l’efficace
punto di applicazione: giacché la natura estrinseca della costruzione
ha assunto negli ultimi anni un ritmo di evoluzione cosi rapido da rendere
in alcuni temi assurdo il tentativo pervicamente sostenuto dall’eclettismo
di stiracchiare l’epidermide delle forme decorative superate sulla
sua essenza radicalmente mutata; sicché in codesti temi nuovissimi,
che del resto sono oggi i più diffusi, la genesi del nuovi criteri
estetici si è dimostrata istintivamente inevitabile, infirmando
la validità dei dogmi eclettici per tutta l’architettura
nel suo complesso, non esclusa l’architettura monumentale, nonostante
questa sia, per il suo carattere, molto meno legata ai vincoli estrinseci.
Si possono qui sorvolare per brevità i singoli aspetti del rinnovamento
costruttivo, aspetti noti a tutti per essere stati tra l’altro
largamente considerati nelle recenti polemiche architettoniche.
Basterà accennare che ad essi partecipano elementi di mutazione
ambientale generale, come ad esempio l’enorme accrescimento delle
vite umane e le nuove condizioni di vita morale, sociale, economica
instauratisi dopo la guerra e miranti ad un assestamento non ancora
raggiunto con risultati molto più generali di quanto comunemente
si creda; attitudini psicologiche di varia natura, specialmente il moderno
realismo pragmatista, tendente alla esplicazione della massima potenzialità
di vita (ed i suoi aspetti correlativi come l’amore della velocità
e del record, l’economicità, la chiarezza sintetica e pratica,
lo spirito di serie, la standardizzazione e il taylorismo, ecc.); elementi
più propriamente tecnici, come le nuove scoperte scientifiche,
con gli enormi ben conosciuti risultati industriali, meccanici, costruttivi
(specialmente i tanto nominati nuovi materiali, ferro, cemento, sostanze
artificiali, ecc.). Dall’insieme di codesti coefficienti risultano
i temi in cui si esplica la nuova naturalità architettonica,
ad esempio l’architettura del nuovi mezzi di trasporto (navi,
automobili, treni, aeroplani, ecc.); l’architettura industriale
(fabbriche, silos, dighe, ponti, garages, aeroporti, ecc.); la recente
edilizia cittadina che tende ad allargare alle masse d’insieme
i problemi estetici oltre che pratici prima circoscritti al singolo
edificio, per cui è sorta, nuova disciplina, l’urbanistica,
con i suoi corollari edilizi dei grandi blocchi di case economiche e
popolari, dei grandi centri d’affari, degli enormi nuclei di vita
industriale.
L’universalità di codesti temi collabora a giustificare
il carattere universale (non internazionale) e l’istintiva contemporanea
nascita delle forme moderne, a cui si è accennato dianzi.
Aspetti intrinseci del Rinnovamento architettonico contemporaneo.
Ciò ch’è stato detto circa il contenuto duale dell’architettura
lascia intendere esser del tutto impossibile attribuire qualunque sua
formazione a coefficienti esclusivamente oggettivi. Al sorgere di qualsivoglia
stile hanno sempre concorso anche dati di creatività puramente
estetici irriducibili a cause esterne, (11) dati che non è difficile
individuare nell’attuale rinnovamento. Sotto questo punto di vista
la nostra arte, essendo animata da sensibilità plastiche non
dissimili da quelle di cui si materiano la pittura e la scultura, è
naturale risenta nei suoi valori espressivi dei più recenti sviluppi
di esse, il cui esame, naturalmente qui impossibile, sarebbe molto interessante
ai nostri fini. Ne risulterebbe che l’architettura subisce ora
in sintesi rapidamente conclusiva stati di crisi analoghi a quelli che
le arti figurative hanno cominciato ad attraversare già da tempo
ed ancora non hanno portato a risultati definitivi.
Il realismo pittorico della seconda metà dell’800, ad esempio
quello di Courbet in Francia, dei macchiaioli toscani in Italia, reagendo
all’accademismo neoclassico ed insieme al manierismo romantico,
voleva conseguire la liberazione dai dogmi scolastici con l’immergere
la personalità dell’artista nel vero, per ottenerne dirette
emozioni. L’impressionismo poi accentuava tale tendenza proponendosi
di riattivare le disseccate fonti del lirismo nella materia pittorica
e plastica, col risalire alle sue radici, cogliendo di esso gli attimi
più preziosi e momentanei, le piccole e profonde sensazioni di
luce, colore e movimento.
Il contenuto di codesti due atteggiamenti artistici è in fondo
riducibile ad una sorta di naturalismo plastico, col quale il naturalismo
architettonico sopravvenuto con ritardo di fase ha un significativo
addentellato. Come infatti nell’impressionismo la pittura e la
scultura dissolvettero il precedente potere riassuntivo di ritmo e di
composizione viziato dall’accademismo, riducendosi ad ascoltare
ed esprimere con la massima immediatezza il dato elementare della sensibilità
rinnovata, così l’architettura, scossi ora i suoi precedenti
canoni formali, si compiace di stendersi nella naturalezza delle forme
emergenti direttamente dalla vita costruttiva reale.
Il contatto fra i caratteri dell’impressionismo plastico e quelli
dell’architettura moderna non va oltre questa generica analogia
psicologica, tanto più che la conquista impressionistica si svolse
a detrimento o meglio con la trascuranza di quei valori sintetici di
forma, di volontà costruttiva di linea di superficie e volume,
che le arti figurative con l’architettura hanno in comune e che
pertanto sull’architettura in quel momento non potevano influire.
Ma i successivi sviluppi di esse, lo stesso maturo impressionismo di
Cézanne e Gauguin e poi il post-impressionismo, l’espressionismo,
il cubismo, il futurismo, infine il così detto nostro novecentismo,
sul terreno ridivenuto libero e fecondo dall’emozione elementare,
combatterono per una plastica più volitiva, per ripristinare
in un piano rinnovato i valori indispensabili della composizione e della
forma. L’architettura approfittò cosi del proprio ritardo
di fase per assumere, insieme ai criteri rivoluzionari ed erosivi dell’impressionismo,
quelli ricostruttivi di cotali più recenti formazioni; specialmente
del cubismo e del futurismo, che offrirono un notevolissimo contributo
estetico all’architettura contemporanea nella sua più radicale
manifestazione di avanguardia; il che si spiega con l’indirizzo
maggiormente astratto e decorativo delle loro ricerche, in confronto
a quelle d’altre correnti più completamente ed anche sostanziosamente
pittoriche o scultorie.
Il cubismo è caratterizzato dalla sintesi di due singolari espressioni
della psicologia contemporanea. La prima consiste nella tendenza all’arcaicità
e alla primitività essenziale, la quale tendenza investe oggi
tutti gli aspetti della vita e si presenta come reazione alla decadente
complicazione spirituale del secolo scorso: tendenza che alcune correnti
artistiche hanno creduto svolgere con evidente artificio ispirandosi
formalmente a manifestazioni estetiche ingenue e rudimentali, come le
arti dei popoli primitivi e incivili, o l’arte dei bambini (folclorismo,
negrismo, dadaismo, fantoccismo); altre invece, fra cui il cubismo,
mediante l’aderenza alle forme plastiche più elementari
ed atomiche, più obbiettive e frigide, meno vicino alle passioni
e ai sensi umani, a quelle insomma della geometria e della meccanica.
La seconda attitudine psicologica concorrente ai valori cubistici ha
la sua fonte nella tendenza attuale all’interiorizzazione dei
valori e degli stati d’animo, all’espressione di un contenuto
spirituale del tutto intrinseco ed astratto avente valore di per sé
al di fuori di ogni oggettività, tendenza che ad es. l’espressionismo
ed il realismo magico vollero sviluppare con formulazioni non molto
lontane dalla stessa oggettività normale ed il cubismo invece
mediante una plastica convenzionale, immediata cristallizzazione e stilizzazione
del dato sensibile in una decoratività sintetica, riconducente
per altra via alla frigida durezza della geometria e della meccanica.
É veramente singolare che due manifestazioni così diverse,
come l’arcaicità semplificatrice e l’interiorità
astraente, abbiano concordemente contribuito a fissare i valori del
cubismo: ed è singolare ancora, ma perfettamente comprensibile,
che codeste correnti estetiche puramente intrinseche si siano rese nel
concreto concomitanti con la diffusione delle forme geometriche e meccaniche
rese famigliari e onnipresenti nel mondo dalla nuova scienza e dalla
nuova tecnica.
Il cubismo estetico dunque ha il proprio correlato esterno in ciò
che Le Corbusíer chiama il macchinismo contemporaneo: si spiega
allora la sua aderenza immediata alla civiltà industriale di
alcuni paesi nordici ed invece la difficoltà da esso incontrata
nell’adeguarsi alla mentalità mediterranea che lo accolse
solo trasformato e vivificato nei valori più completi ed accesi
del futurismo.
La natura plastica del cubismo consiste nell’immediato cristallizzarsi,
circoscriversi, sezionarsi dalla sostanza sensibile in modulazioni dure,
nette, estremamente pure ed elementari, quali rette, angoli, cerchi,
poligoni nel piano, sfere, cubi, cilindri o prismi nello spazio: figure
componentesi e compenetrantesi in astratte atmosfere nelle quali vibra
come in una solidificata sinfonia il contenuto emotivo dei loro rapporti
di posizione, peso, forma e colore. (12)
Mentre nelle arti figurative il cubismo, manifestatosi poco prima della
guerra, sta ovunque decadendo rapidamente per l’evidente deficienza
di contenuto pittorico e scultorio, sta invece svolgendosi fecondamente
nelle arti decorative e specialmente nell’architettura d’avanguardia,
ai cui valori intrinseci esso validamente contribuisce, insieme ad elementi
sensibili che il suddetto macchinismo solo all’architettura può
direttamente ispirare: quali, ad esempio, certe formulazioni proprie
delle costruzioni meccaniche e industriali (parabole, ellissi, catenarie,
eliche, svariate superfici e solidi di rivoluzione, ecc.) o certe espressioni
della loro visibilità, quali la liscia lucidità, la linearità
essenziale o tagliente, lo splendore metallico, ecc. Dalla sintesi di
questi valori con quelli estrinseci relativi alla nuova natura tettonica,
derivano dunque i caratteri complessivi dell’architettura contemporanea
nelle sue tendenze limiti: tendenze che in concreto si realizzano di
rado integralmente risultando quasi sempre temperate da altri elementi,
come si vedrà in seguito. Ma non sarà male premettere
qualche cenno sui termini e sulle teorie onde l’architettura attuale
cerca denominarsi e definirsi concettualmente.
Definizioni e denominazioni dell’architettura contemporanea.
La mania critica ed analitica del secolo XIX ha lasciato in retaggio
alle arti l’abitudine non utile e spesso dannosa di analizzare
e denominare le proprie correnti di produzione prima che esse si svolgano
ed esauriscano: sovente accade che sia oggi più notevole la fatica
spesa nell’illustrare un movimento artistico di quanto lo stesso
contenuto di esso non abbia richiesto per manifestarsi. Nell’architettura
moderna il contenuto esiste e si potrebbero abolir le parole; invece
queste sono numerose, ma fortunatamente, nonostante il diverso valore
letterale e la frequente deficienza di chiarezza che han generato talvolta
equivoci ed errori, esse stanno a indicare presso a poco la stessa cosa:
notiamo le più diffuse.
Nelle riviste scandinave si vede spesso usato il termine funzionalismo,
che l’Asplund ha teorizzato; si riferisce alla richiesta aderenza
rigorosa della forma complessiva dell’edificio alla sua funzione
organica distributiva e della configurazione dei singoli membri architettonici
alla loro funzione statica ed in genere tecnica ed utile. L’affermazione
è vecchia, la poneva perfino letteralmente il Milizia tra i suoi
principi: “Quanto è in rappresentazione deve essere in
funzione”. (13) Ma il Milizia aggiungeva molte altre cose: la
denominazione, così cruda, è dunque almeno insufficiente;
non afferma nulla riguardo principi propriamente estetici.
Ancor più manchevole è il termine costruttivismo che talvolta
si vede riesumato dal passato: esso infatti limita il proprio riferimento
quasi esclusivamente alle qualità tecnico-statiche dei materiali,
incidendo di meno nei valori organici, distributivi e plastici d’insieme.
Il termine razionalismo, molto usato in Francia e adottato anche da
noi, ha una portata più vasta, ma, applicato all’architettura
è ambiguo e dà luogo a interpretazioni non corrispondenti
alle intenzioni di molti tra coloro stessi che l’adoperano. Esso
infatti può attribuirsi alle forme espressive per se stesse,
indipendentemente dal loro rapporto con la materia oggettiva a cui si
applicano, ovvero può attribuirsi loro in quanto da essa materia
dipendano univocamente.
Nel primo caso il termine è stato usato nella storia delle arti,
compresa l’architettura, almeno in due diversi modi: nel senso
integrale, platonico, di identificare la potenza formativa fantastica
umana con l’intelletto raziocinante nell’ipotesi che esso,
come tale, sia capace di adeguarsi a presupposte leggi estrinseche di
bellezza assoluta nel loro valore oggettivo (non altrimenti, ad esempio,
Vitruvio contrappone ratiocinatio a fabrica, attribuendo al primo termine
un senso ben diverso da quello con cui oggi è usato da molti)
(14): ed in un senso più attenuato, applicato, per esempio, alle
arti plastiche classiche o neoclassiche, per indicare che in tali formazioni
artistiche l’apporto emotivo di creatività intrinseca,
esclusivamente umana, pienamente ammesso, non ha un carattere sfrenato
e dissoluto ma è anzi controllato dalla ragione, esplicandosi
quindi in composizioni ben limitate, formulate, equilibrate, sottoposte
ad oculate volontà di proporzione e di ritmo.
Invece, nel secondo caso, il termine razionale, attribuendosi ad un’opera
d’arte in quanto possa presumersi la sua univoca dipendenza dalla
materia oggettiva a cui essa si volge e che adopera, ha un significato
ben diverso. E mentre una simile attribuzione risulta istintivamente
inammissibile nel caso delle altre arti, in cui il dato oggettivo ha
un peso minimo in confronto a quello soggettivo, ed in cui la tecnica
non può avere un valore indipendente (così nessuno potrebbe
pensare che il termine razionale, applicato ad una pittura o ad una
statua volesse significare che la loro bellezza potesse dipendere, ad
esempio, dai sentimenti appartenenti in proprio alle persone prese a
modello o derivare dalle virtù chimiche dei colori adoperati)
invece essa risulta possibile in architettura in cui l’elemento
oggettivo, e cioè la costruzione, ha un peso molto più
ragguardevole e la tecnica ha un suo valore ben distinto realizzabile
per se stesso. Con questa interpretazione il termine razionale applicato
all’architettura è facilmente accessibile nel senso dell’identificazione
di essa con la propria tecnica e definisce soltanto l’autoarchitettura,
cioè l’ingegneria.
Ed infatti tale è la portata eccessiva che, trabordando dai limiti
del naturalismo architettonico di cui fu detto dianzi verso quelli di
un materialismo integrale, dànno alla moderna architettura le
falangi di estrema sinistra, ad esempio, almeno in teoria, la nuova
scuola russa, portando in architettura l’accesa cecità
che distingue il rinnovamento spirituale e sociale di quel popolo.
Non questo senso invece dànno alla parola razionalismo ed al
contenuto dell’architettura contemporanea gli architetti italiani,
a quanto si può rilevare dal programma bandito dal primo gruppo
di razionalisti, il cosidetto gruppo “sette” (15) nel quale
vengono discretamente messe in luce, insieme alle esigenze del rinnovamento
su basi obiettive, quelle della permanenza di valori estetici astratti
pur consoni a quelle basi; a quanto si può ancor più desumere
dai susseguiti chiarimenti del M. I. A. R. (Movimento Italiano per l’Architettura
Razionale) ribaditi nelle recenti polemiche: talvolta le loro intenzioni
sono state tradite dalla effettiva impossibilità di riassumere
in una denominazione unica un fatto estremamente complesso. (16) Ad
onor del vero nemmeno l’enfatico Le Corbusier condivide in pieno
simile criterio totalmente materialista dell’architettura, chè
le sue opere son piene (17) di riferimenti a valori estetici puramente
astratti, sia pur limitati al potere espressivo di proporzioni e ritmi.
Le Corbusier usa poi raramente il termine razionalismo e, come già
fu detto, preferisce esprimere il contenuto dell’architettura
contemporanea col vocabolo più largamente simbolico di macchinismo
riferendosi così a tutto un insieme di attributi psicologici,
pratici, estetici della civiltà contemporanea.
Più precisi e conseguenti nelle denominazioni sono infine i tedeschi,
i quali applicano generalmente anche all’architettura quell’appellativo
Die neue Sachlichkeit da loro usato per indicare tutta una nuova concezione
di vita discesa, qual reazione, dalla guerra: tale espressione che significa
letteralmente il nuovo cosalismo o cosalità (press’a poco
nuovo realismo), applicato all’architettura, mentre indica che
si debba tener conto del dato estrinseco nelle sue naturali manifestazioni
materiale, non esclude che l’opera risulti in definitiva determinata
da una sintesi tra codesto dato e l’atto spirituale creativo.
Ecco dunque i termini più frequentemente in uso per indicare
i recenti atteggiamenti della nostra arte: di fronte ad essi sta l’effettiva
sostanza dell’architettura attuale, dotata, nonostante i diversi
nomi, di proprietà omogenee e di caratteri universali.
Breve analisi descrittiva dell’architettura contemporanea nelle
sue tendenze limiti.
Converrebbe qui dunque descrivere particolarmente tali caratteri, quali
risultano da ciò che fu osservato considerando il contenuto fondamentale
dell’architettura contemporanea e gli aspetti del suo rinnovamento
intrinseco ed estrinseco: descriverli dapprima nelle loro tendenze limiti
generali, poi nelle singole e più temperate individuazioni. Sorvoleremo
rapidamente questi temi per necessaria brevità. (18)
Nelle suddette tendenze limiti è anzitutto fondamentale l’esigenza
dell’essenzialità, che si esplica nell’esaurire il
tema tettonico con la maggiore completezza e coi metodi più attuali
ed economici e nell’elaborarlo esteticamente con emozione ma senza
enfasi, nei precordi e non già all’epidermide; per cui
i mezzi della nuova plastica sono specialmente le forme e le proporzioni
di masse, gli andamenti complessivi di piani e linee, il rapporto di
pieni e vuoti, i valori tonali delle luci e delle ombre, le sensazioni
statiche delle reazioni fra masse inerti e sostegni e quelle geometriche
astratte delle direzioni, delle forze, delle scale di grandezza, ecc.
Esigenza che si esplica ancora nel bisogno di portare in luce non già
gli elementi delle strutture più minuziosi a quelli significativi
ed espressivi, come si dirà tra poco: nel criterio di subordinare
il particolare al generale, il superficiale al volumetrico, il futile
al profondo, con la conseguente svalutazione della decoratività
epidermica, non solo di quella pseudo o anticostruttiva cara all’eclettismo,
ma perfino di quella tenue e appropriata. Onde, procedendo ulteriormente
ed alzandosi tali caratteri verso lo stile, si arriva alla valutazione
estetica della lucida nudità, del gioco astratto nell’atmosfera
di volumi puri, continui, non turbati da suddivisioni e accentuazioni
particolari ottenute con l’uso di cornici, fascie, lesene, riquadrature.
Detti volumi e le relative superfici sono quelli propri del cubismo
plastico: le linee profilanti le masse d’insieme o segnanti gli
elementi secondari come cancellate, ringhiere, vetrate od altro, sono
distese, schematiche, prevalentemente orizzontali. (19)
Dai criteri della costruzione in serie e dello standard discende la
preferenza per l’omogeneità, la geometrica ed insistente
disposizione ritmica nell’insieme delle forme particolari, specialmente
dei vani di finestra e porta; e quella per la composizione dei blocchi
complessivi con l’articolazione di elementi di volume analoghi
ed autonomi.
Dall’esigenza di portare in luce i valori tettonici significativi,
di cui si disse prima, deriva tutta una serie di proprietà legate
alla natura dei moderni scheletri struttivi, specialmente quelli in
cemento armato e in ferro, le cui virtù statiche hanno tanto
contribuito a differenziare la plastica architettonica attuale. Dal
loro uso infatti deriva la svalutazione estetica dell’arco e della
volta, e la valutazione dei fori rettangolari e degli ambienti cubici:
nel quali la possibilità di realizzare travate di copertura lunghissime
fa preferire le proporzioni tese longitudinalmente con la conseguente
tendenza ad invertire il nostro senso euritmico abituato finora ad apprezzare
forme più slanciate nel senso verticale. Il cemento armato ci
ha anche abituati all’azzardo statico delle esilissime strutture
cavalcanti gli spazi, alle sottigliezze tavolari delle solette a sbalzo,
ai ritmi sincopati, claudicanti e sottili delle masse sospese, slanciantesi
nel vuoto o bilanciantesi sui tenui sostegni: è questa tutta
una nuova materia sensibile greggia che richiede di essere elaborata
architettonicamente. Oltreché nei rapporti dello scheletro, anche
nei dettagli plastici secondari vige la costante preoccupazione dell’aderenza
della forma alla sostanza, per cui ogni elemento decorativo vuole anche
rivestire una funzione utile e per cui ogni elemento costruttivo esige
essere elaborato con preoccupazioni estetiche. Così è,
ad esempio, che si cerchi attribuire, nelle facciate di edifici, la
mansione di ripartire gli spazi ad organi aventi rapporti con l’interno
o con uno scopo utile (ad es. a lunghe vetrate segnanti l’ubicazione
delle scale e degli ascensori, o perfino alle condutture dell’acqua
piovana), anzichè a membrature decorative, o che si affidi attributo
di arricchimento plastico e di fulcro di bellezza alle sorgenti luminose,
nel loro organismo estetico connaturato alla struttura, di giorno, nella
loro funzione illuminante, di notte. Così è che si esiga
l’assoluta corrispondenza tra il pregio dei rivestimenti, come
marmi, cortine di mattoni, ceramiche o intonaci vari, ed il carattere
economico della fabbrica, abolendo il disonesto uso dei materiali finti
a tutto vantaggio della differenziazione gerarchica della fabbrica stessa
nella scala saliente dall’utile al monumentale: e che, nella ricerca
dell’aderenza all’interiorità, si preferisca ridurre
al minimo l’elaborazione formale di tali rivestimenti, svalutando
la modanatura a vantaggio della bellezza pura del materiale. Ecco infine,
in assenza di elementi decorativi superficiali, la grande importanza
assunta dal colore.
L’attuazione di simili criteri estetici implica sovente, nelle
tendenze limiti dell’architettura e contro la tesi razionale di
essa, il trabordare verso attitudini artificiose: quale ad esempio,
nei paesi del Nord, l’abolizione del tetto, che agli effetti della
cubicità formale è un elemento perturbatore ma, a quelli
di una sana costruttività resta sempre un mezzo di copertura
opportuno, specialmente se nevichi spesso: od invece, nei paesi del
Sud, l’uso di finestre basse e allungate nel senso orizzontale
o di quelle angolari, le quali, se hanno un contenuto estetico aderente
ai nuovi materiali, non diffondono la luce logicamente, data la notevole
altezza degli ambienti, ed in ogni modo mal si prestano al collocamento
di chiusure solide ed economiche, indispensabili nel nostro clima contro
la luce e le offese esterne: o le cancellate e ringhiere costituite
da poche barre orizzontali, molto significative in rapporto alla longitudinalità
plastica astratta, ma pericolose per i bambini ed invoglianti i malintenzionati
a scavalcarle.
Tuttavia tali eccessi contribuiscono a convincerci che, nemmeno nelle
sue tendenze limiti, l’estetica abdica ai suoi diritti, ma al
contrario, sulla base di un arcaismo formale va elaborando un nuovo
stile, espressione della permanente esigenza di superamento spirituale
della realtà; estetica che pertanto rimane fondata su quelle
stesse categorie di ordine, euritmia, proporzione, che di essa hanno
sempre costituito l’essenza.
Individuazioni dell’architettura contemporanea.
Dopo un periodo di elaborazione diffusa dei principi moderni, la massima
reazione concreta all’architettura eclettica e la conseguente
adesione radicale alle tendenze limiti del rinnovamento, si manifestarono
giustamente nei paesi nord-europei, specialmente in Germania. Ivi infatti
l’eclettismo aveva assunto le forme più negative, arrivando
fino alla contaminazione, nel corpo di uno stesso edificio, tra stili
disparati e non assimilati, tutti, escluso il gotico, d’importazione
e mal costringenti gli organismi tettonici naturali; ovvero, eccedendo
nella nullità accademica, fino alla copia integrale di edifici
monumentali classici. L’abbandono di tali impacci fu dunque salutato
lassù come liberazione da un vassallaggio straniero mal sopportato.
D’altronde in Germania, all’ambiente più favorevole
in causa della intensa vita industriale e della maggiore modernità
dei valori tecnici, si aggiunsero dopo la guerra addentellati estetici
con diffuse esigenze di rivoluzione spirituale accese dalla sconfitta
e volgentesi in ogni campo contro le tradizionali direzioni del pensiero
giunte al fallimento. Le tendenze limiti dell’architettura contemporanea,
dopo la primitiva impostazione radicale, assunsero in un secondo tempo
un contenuto più equilibrato oltrechè in Germania in tutti
gli altri paesi ove si erano espanse, specialmente nelle regioni scandinave
e in Francia, mentre, passate in Russia, suscitarono l’entusiasmo
di quel popolo e continuarono ivi ad essere applicate con esacerbata
teoricità, distruggendo, nella uniforme impostazione materialista,
collettivista e proletaria dei temi, la gerarchia dei valori architettonici.
Ovunque altrove già assistiamo alla formazione di un contenuto
estetico moderno sempre più definito e fecondo, differenziante
le produzioni dei singoli paesi, sui caratteri delle quali non è
possibile qui soffermarci. Fermi restando i principali punti acquisiti,
le fabbriche si vanno arricchendo di ritmi, di nuovi centri di bellezza
plastica, con che il movimento di generazione ex novo si va saldando
ad un altro opposto il quale gli va incontro risalendo, attraverso un
lavoro di selezione e di semplificazione, dalle sensibilità stilistiche
tradizionali.
Mentre l’architettura temporale degli organismi in movimento e
quella industriale continuano per la via delle finezze dinamiche e delle
ardite ed espressive aridità, nell’edilizia si vanno oggi
instaurando nuovi valori poetici, assunti dalla vita contemporanea.
Rinasce anche l’architettura monumentale di cui abbiamo visto
recentemente, specialmente nell’Europa nordica, poderosi esemplari:
umane e mistiche chiese, monumenti ai caduti della guerra sentiti nella
profondità di sintetici valori plastici penetranti e commossi.
Recenti sviluppi dell’architettura italiana.
Abbiamo già accennato al contenuto critico delle più
recenti tendenze architettoniche italiane.
Per quanto riguarda le formazioni concrete, dopo le geniali concezioni
degli architetti futuristi (20) l’Italia ha un po’ segnato
il passo nella marcia verso il rinnovamento il quale oggi invece si
formula in pieno con caratteri generali non dissimili da quelli espressi
a proposito dall’architettura moderna in generale.
L’aggiornamento dei nostri valori è più tardo e
riflessivo: non sarà stato un male se appunto per questo diverrà
più ricco e fecondo.
Il nostro ritardo, oltrechè colla resistenza delle valutazioni
critiche di cui si parlò nella prima parte di questo articolo
(resistenza ben più comprensibile in Italia che altrove, poichè
non ci dobbiamo già liberare da elementi estranei, ma dobbiamo
superare una parte di noi stessi molto amata) va giustificata con varie
altre cause; specialmente colla minore variazione della nostra naturalità
architettonica di oggetto e di mezzi in confronto a quella dei paesi
nordici, colla costante economicità, razionalità e bellezza
di vari materiali usati anche nel passato e colla permanente logicità,
dato il clima e l’ambiente mediterraneo, di elementi ritmici e
proporzionatori propri di quegli schemi tradizionali che il nostro clima
appunto produsse. Tali osservazioni sono state fatte frequentemente
(21) in questi ultimi tempi ed è inutile ripeterle.
Ora, mentre lo sforzo ricostruttivo del nostro attuale periodo politico
sta promuovendo vigorosamente le attività produttrici e il rinnovamento
della vita sociale, col conseguente sempre più intenso sviluppo
delle architetture industriali e delle edificazioni urbane moderne,
verso tali temi si appunteranno i valori estetici più radicalmente
aggiornati, mentre negli altri temi si dovrà sempre tener conto
di alcuni criteri di permanenza da applicarsi non già ai valori
decorativi superficiali, ma a quelli strutturali ed essenziali, i quali
criteri si dovranno dunque riferire alle esigenze di sensibilità
e logicità intrinseca prima citate e non ad altre più
artificiose, come a quella della radicale opposizione ad acquisizioni
non autoctone, potendosi provare facilmente che un simile ritegno non
ha mai avuto in arte efficacia e giustificazione sufficienti; od a quella
dell’adattamento all’ambiente, che pure non ha avuto valor
decisivo nelle epoche di virilità architettonica e contro la
quale si può sostenere che soltanto il coscienzioso senso di
una nuova forza vittoriosa (ma conviene guardarsi dalla presunzione)
può essere giudice circa la possibilità di costruire un
edificio radicalmente attuale al cospetto di un bel monumento del passato.
Data la complessità degli elementi in gioco, la moderna architettura
italiana si va formulando in limiti di variazione piuttosto vasti: così
è che alcune fra le opere riprodotte in questo articolo non risentono
quasi affatto di valori tradizionali, altre di più, sempre però
nei limiti dell’essenzialità di cui fu detto dianzi.
La materia illustrativa è stata disposta secondo i temi, progredendo
da quelli di carattere più utilitario verso quelli di carattere
più ricco e monumentale. Le figure 1-25 riguardano infatti edifici
industriali e case popolari ed economiche; le figure 26-62 ville e villette,
case di civile abitazione, palazzi e relativi interni e arredamenti;
le figure 63-68 interni di negozi ed uffici, le figure 69-70 padiglioni
di rappresentanza, le figure 71-81 chiese e tombe.
Nonostante la comprensibile mancanza di unità dovuta alla fase
incipiente di sviluppo, in queste idee esiste già un senso di
gerarchia nettamente formulato: dalla sana e attuale impostazione dei
temi architettonici non è in esse disgiunto un robusto e caldo
senso di formazione plastica, sicura promessa di prossimo completo sviluppo.
PLINIO MARCONI
(1) Ottime osservazioni sulla odierna inattualità dell’Architettura
vedansi nel Cap. I dell’ “Estetica dell’Architettura”
di Salvatore Vitale, ed. Laterza. Bari, 1928.
(2) Quasi tutti i letterati e filosofi dell’800, trattando l’estetica,
accennano all’architettura; e molti architetti e critici dedicano
ad essa intere opere, teorizzanti il suo contenuto negli elementi di
derivazione. Valutazioni idealistiche di vario ordine, sia intese da
un punto di vista piuttosto spiritualistico, sia piuttosto sensistico
(importante la diffusa teoria dell’Einfühlung), talvolta
con elementi di sovrapposizione, furono offerte ad esempio da Hegel,
Schelling, Fischer, Lipps, Adamy, Beltcher, Ruskin, Behrens, Croce.
Valutazioni prettamente materialistiche od invece razionalistiche (nel
senso dell’intellettualismo astratto), con elementi di coincidenza
e fusione furono date ad esempio da Schopenhauer, Viollet-Le-Duc, Pugin,
Semper, Thiersch, Cloquet, Garnier, ecc.
Una compresiva esposizione di coteste teorie con abbondante bibliografia
vedasi nella voce “Architettura” redatta da Gustavo Giovannoni
nell’Enciclopedia Italiana: un esame completo in M. Borissavlievitch
“Les theories de l’Architecture”, ed. Payot, Parigi.
(3) Il pensiero critico dell’Alberti ed anche quello degli architetti
trattatisti posteriori, come il Vignola, Palladio, il Serlio, lo Scamozzi,
è da ritenersi equilibrato in rapporto alle valutazioni del dato
intrinseco e di quello estrinseco. Il pensiero invece di alcuni critici,
come il Luca Pacioli, più vicini alla cultura umanistica scientifica,
seguendo correnti analoghe a quelle instaurate anche al riguardo delle
altre arti plastiche (v. Leonardo) e portando alle estreme conseguenze
le premesse di Vitruvio, originò già in quell’epoca
teorie radicalmente razionalistiche dell’architettura, sia pure
intese non tanto nel senso materialistico quanto in quello intellettualistico
astratto dell’aderenza della virtù estetica a leggi logiche,
geometriche e matematiche.
(4) Eccellente analisi degli sviluppi dei caratteri architettonici dal
Rinascimento al Barocco in Erich Wölfflin, “Renaissance u.
Barock”, Bruckmam A. G., Monaco, traduz. L. Filippi, ed. Vallecchi,
Firenze.
(5) Processo inverso a quello verificantesi spesso nei periodi di formazione
di un’architettura, in cui i materiali più stabili sostituiscono
i più precari assumendone provvisoriamente le forme.
(6) Fra Carlo Lodoli (1690-1761) non scrisse direttamente: le sue valutazioni
sono riportate dall’Algarotti e specialmente dal suo biografo
Andrea Memmo in “Elementi di architettura Lodoliana ossia l’arte
del fabbricare con solidità scientifica e con eleganza non capricciosa”.
Zara, 1834.
(7) Vedi Maurice Casteels nella prefazione al volume “L’art
moderne primitif”. Bruxelles, 1931.
(8) Vedi, ad es., H. Hegel “Estetique” traduzione francese
di Ch. Bènard. Parigi, 1875, III parte, vol. I.
(9) Comprensivo chiarimento dei caratteri dell’architettura ottocentesca
in “Marcello Piacentini: Architettura d’oggi”. Paolo
Cremonese ed. Roma, 1930.
(10) Si può apprezzare pienamente a questo proposito, quanto
dice B. Croce nel suo capitolo “Di alcune difficoltà concernenti
la storia artistica dell’architettura” in “Problemi
di estetica”, ma non certo nel senso che il dato estrinseco si
possa nell’architettura, come nelle altre arti, identificare in
qualsiasi modo con l’intrinseco, o svalutarlo fino a farne sparire
il valore efficiente.
(11) Vedasi, a proposito della complessità dei determinanti architettonici,
la citata voce “Architettura” redatta da G. Giovannoni nell’
“Enciclopedia Italiana”.
(12) Sui valori plastici delle arti figurative contemporanee vedasi
ad es.: Margherita Sarfatti: “Storia della pittura contemporaneaC.
Ed. Cremonese, Roma. - Ardengo Soffici: “Periplo dell’arte”.
Ed. Vallecchi, Firenze. Collezione dei “Valori plastici”,
Roma, con scritti di Carrà, Soffici, ecc. - Emil Waldmann: “Die
Kunst des Realismus u. Impressionismus”. Propiläen Verlag,
Berlino. Karl Einstein: “Die Kunst des 20 Jahrhunderts”.
Propiläen Verlag, Berlino - Albert Gleizes: “Du cubisme et
des moyens de le comprendre”. Ed. Pawlozky, Parigi. - Gustave
Coquiot: “Cubistes, Futuristes, Passèistes”. Ed.
Ollendorp, Parigi. - G. Severini: “Du cubisme au Classicisme”.
Ed. Pawlozky. - Andrè Breton: “Le surrealisme et la Peinture”.
Ed. Gallinard, Parigi. - Louis Hautecoeur: “Considérations
sur l’Art d’aujourd’hui” . Librairie de France,
Parigi.
(13) Vedi F. Milizia: “Dell’arte di vedere nelle belle arti
del disegno”. Ed. Pasquali, Venezia, 1761. Cap. III, pag. 176.
- Nella stessa pagina si possono leggere frasi come le seguenti altre:
“Ma poiché l’architettura è fondata sul necessario
segue chiaramente...: che tutto il suo bello prenda carattere dalla
necessità stessa...; che gli ornati hanno da derivare dalla natura
stessa dell’edificio e risultare dal suo bisogno...: niente perciò
è da vedersi in una fabbrica che non abbia il suo ufficio e che
non sia parte integrante della fabbrica stessa...: non si ha mai da
far cosa di cui non si possano rendere buone ragioni..., ecc.”.
Un razionalista attuale non si esprimerebbe diversamente.
(14) Vedi a questo proposito quanto è stato detto nella nota
3 circa la formulazione di teorie estetiche di carattere algebrico e
geometrico per parte degli umanisti, sulle orme di Vitruvio. Tali teorie
delle proporzioni astratte non sono infrequenti nemmeno in epoca posteriore;
ad esempio quella della Sezione Aurea dello Zeising, o quella del Triangolo
rettangolo di lato 3, 4, 5 del Viollet-Le-Duc (triangolo citato anche
da Platone e le cui proprietà euritmiche eran note agli egiziani);
ne prospettarono perfino recentissimamente i futuristi italiani, a proposito
dei valori plastici estensibili a tutte le arti (v. Severini, op. cit.).
(15) Vedansi la sarte di articoli pubblicati dai componenti il Gruppo
sulla “Rassegna Italiana” fascicolo dicembre 1926, febbraio-marzo
1927, febbraio - marzo 1928, aprile 1929.
(16) Ad identiche difficoltà di interpretazione e possibilità
di equivoci si prestano del resto quasi tutte le parole usate comunemente
per indicare oggetti troppo lati; ad esempio le espressioni classicismo,
romanticismo, verismo, parole che hanno un significato non assolutamente
precisabile ed a cui ciascuno attribuisce diverse sfumature.
(17) Specialmente in “Vers un’architecture” e in “Almanach
d’architecture moderne” ma anche nelle altre opere (Les
editions G. Crès e C., Parigi).
(18) Dei caratteri dell’architettura moderna trattano, oltre le
innumerevoli Riviste d’ogni paese, molte e note pubblicazioni
di carattere esegetico generale. Sintetiche e comprensive sono ad es.
le seguenti: A. Platz: “Die Baukunst der Neuesten Zeit. Propiläen
Vertag”. Berlino. - M. Malkiel Yirmounsky : “Les tendences
de l’Architecture contemporaine”. Ed. Delagrave, Parigi,
1930.
(19) Come bene osserva il Vitale nell’opera citata, l’orizzontalità,
che l’architettura moderna ha in comune con l’architettura
greca, determinando direzioni prospettiche che finiscono, sempre con
l’arrestarsi contro qualche ostacolo, è istintivamente
adatta ad esprimere volontà di forme finite, conclusive, attivamente
umane, mentre la verticalità coi suoi punti di fuga perdentisi
nell’infinito del cielo è adatta ad esprimere stati d’animo
indefiniti, inconcreti, romantici e mistici.
(20) Oltre le geniali previsioni grafiche ed il manifesto dell’architettura
futurista di S. Elia, i progetti di Schiattone, e Pranpolini, piace
qui accennare agli articoli ed agli scritti divulgativi di Virgilio
Marchi.
(21) Vedi ad es.: Marcello Piacentini, op. cit.
ERRATA-CORRIGE
A pag. 769, quartultima riga di destra, leggasi altri e non alti.