FASCICOLO XIII - SETTEMBRE 1931
ARDUINO COLASANTI : Antonio Maraini scultore, con 30 illustrazioni

ANTONIO MARAINI SCULTORE


Una volta, essendo stato domandato ad Antonio Maraini un motto che riassumesse il suo credo artistico, egli rispose: “L’architettura è la sincerità dell’arte; la sincerità è l’architettura della vita.”
Queste parole hanno bisogno di una spiegazione e di un commento.
La plastica italiana degli ultimi cinquanta anni non è stata afflitta soltanto dall’incertezza dei mezzi tecnici, ma anche da quella dell’indirizzo ideale. Nella lotta contro il convenzionalismo della scultura accademica e contro la schiavitù del manierismo lisciato e inespressivo, come è avvenuto anche per la pittura, essa smarrì spesso il concetto iniziale della reazione.
Quale era infatti il suo scopo? Combattere un idealismo affettato, che, muovendo dal desiderio di rievocare la bellezza plastica antica; si era congelato in ricette; sottrarsi alla rigida convenzione scolastica, alla anatomia perfetta ma vuota di vitalità, incapace di espressione e quindi priva di ogni ragione di esistenza.
Per conseguire codesto fine era necessaria una forte ondata di realtà percepita ed espressa, magari un impeto di brutalità ritempratrice. Un genio non ne avrebbe avuto bisogno, ma i geni sono rari nella storia dell’arte moderna; perciò, per rinsanguare la plastica che, ormai lontana dalla natura, non era più che un ricettario di formule convenzionali, un artifizio di virtuosità tecnica inutile perchè scopo a se stessa, nulla parve più adatto del verismo.
Fu come un’eco profonda della famosa epopea naturalistica e popolare dello Zola, la cui influenza si estendeva a tutte le manifestazioni del pensiero: romanzo, teatro, pittura, scultura. E poichè nella pittura l’impressionismo era apparso, in fondo, come una rivoluzione contro i principi della tecnica metafisica delle Accademie, anche gli scultori si volsero all’impressionismo, ansiosi di sostituire alla costruzione lenta e frammentarla di un insieme plastico una visione rapida e comprensiva.
Ma presto si comprese che l’arte plastica non poteva ridursi tutta alle Impressioni d’Omnibus di Medardo Rosso, e un bisogno non soltanto intellettuale ma anche sensuale riconciliò con le figurazioni ideali gli artisti che nelle rinate allegorie ricondussero in onore la retorica del nudo, e, modellando grovigli muscolosi in attitudini violente, si illusero di emulare Michelangelo e Rodin.
D’altra parte anche codesto idealismo plastico, mentre voleva proclamare la rinascita dello spiritualismo che feconda tutto il pensiero moderno, non sapeva sottrarsi alle formule del naturalismo integrale. La sprezzatura impressionistica e la nudità eroica, il meschino materialismo documentario e la pretesa allegorica ubbidivano sempre ugualmente al verbo verista. Ma verismo è parola pericolosa, e ogni programma che si imperni su di essa diventa inevitabilmente angusto e ingannatore quando scambi il mezzo con lo scopo e smarrisca la visione.
Codesta visione non ha smarrita Antonio Maraini, il quale, avendo per di più compreso che la conquista dello stile deve essere compiuta dall’intimo, non dall’esterno, ha posto tutto l’interesse non in una contraffazione del vero “realistica” ma nel trovare rispondenze architettoniche in un equilibrio e in una armonia di masse.
Così, mentre gli altri discutevano, polemizzavano, creavano teorie a giustificare ogni stravagante indirizzo, mentre la maggior parte degli artisti, divenuti a un tratto letteratoidi, illustravano e chiosavano ogni loro pennellata e ogni colpo di scalpello, Maraini, non contaminato da bacilli filosofici, non irrigidito da schemi cerebrali, non preoccupato da ostentazioni di falsa cultura, - lui che ha cultura vera, costruita su solidissime basi universitarie rimaneva attaccato alle sue idee senza obbedire a criteri opportunistici e di moda.

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Ricordo una vecchia illustrazione satirica della Jugend, nella quale sono indicate con sette autoritratti le fasi successive dell’evoluzione artistica di un immaginario pittore moderno, il cui nome Modeslaw Manierewicz, è tutto un programma. Dal giorno della pubblicazione di quella arguta e profonda presa in giro della irrequietezza frenetica che induce gli artisti a seguire a pochi mesi di distanza le vie più contradditorie, sono passati moltissimi anni, ma, se essa appare oggi invecchiata, è soltanto perchè la serie delle trasformazioni di Modeslaw Manierewicz, passato dalle lisciature accademiche all’imitazione olandese, dal realismo del plein air alle spennellazzature impressionistiche, dal simbolismo ingenuo alla pittura a filamenti e a puntini multicolori, dovrebbe essere continuata fino ai giorni presenti attraverso le successive fasi evolutive della moda.
Maraini, invece, fino dalla sua prima opera, il Perseo, che eseguì da solo, senza maestri, nel 1910, mentre frequentava nell’Università di Roma i corsi della facoltà di legge, e che ottenne la medaglia d’argento all’esposizione universale di Bruxelles, poneva solidamente i principi della sua arte, destinati a rimanere, nella loro essenza, immutati, perchè egli doveva seguirli senza deviazioni durante tutta la sua carriera. Nella ridda delle metodologie e degli imparaticci truccatori Antonio Maraini non si preoccupava di essere ne un iniziatore nè un eccentrico nè un rivoluzionario, ma voleva essere soltanto uno scultore italiano, fedele alle belle tradizioni dei padri, capace di comporre, aiutato da un istinto felice, secondo una visione decorativa.

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C'è una legge dei corsi e dei ricorsi non soltanto nelle grandi vicende dell’umanità, ma anche nella storia dell’arte. Ai periodi nei quali si compiace della semplicità dentro cui si raccoglie la maggiore intensità di vita, succedono quelli in cui l’artista torna a preferire il tormento della forma indagata fino allo spasimo per presentare tutte le espressioni dell’aspetto fisico dell’uomo. Cosi la scultura, per esempio, di volta in volta, accentua e rinnega la sua funzione architetturale, oscillando fra lo stilismo e il realismo più audace.
Nel V secolo a. C. e al principio del Quattrocento la scultura mira a liberarsi dal vincolo architettonico, e l’arte è tutta impegnata nella lotta per il conseguimento della terza dimensione. Ma dopo la parentesi realistica, conseguita l’indipendenza da ogni legame e l’individualità della statua come pura espressione plastica, essa torna a schemi compositivi di un più raccolto carattere monumentale e architettonico. E ciò che sta accadendo ai nostri giorni.
La scultura di Antonio Maraini fino dalle prime opere è concepita in funzione architetturale; perciò è in essa un costante desiderio di misura, un sentimento unitario che si manifesta in semplificazioni di linee larghe e pacate, in limpide trasfigurazioni ideali. Il tempo non ha fatto che sviluppare queste predilezioni dell’artista, arricchendole di quanto l’esperienza via via veniva insegnandogli.
Tale esperienza ha consistito sopra tutto in lavori affidatigli da architetti, poichè il Piacentini, il Giovannozzi, il Ferrati, il Cerpi e altri hanno sentito come nel Maraini l’architettura trovi una rispondenza che gli permette di mettersi all’unisono con le loro intenzioni. Perchè fare della scultura architettonica non significa applicare delle statue o dei gruppi qualsiasi a un’architettura qualunque, come è avvenuto nel monumento a Vittorio Emanuele II in Roma, che per questo solo fatto è divenuto il campionario di cattivo gusto della plastica italiana di venticinque anni or sono, ma vuol dire concepire e sentire architettonicamente, dare alla figura umana il senso statico della colonna ed il valore decorativo di un motivo nato insieme col pilastro, con l’architrave, con la volta che esso è destinato ad adornare.
Una tale intima compenetrazione può attuarsi soltanto per mezzo del ritmo, che appare allo scultore contemporaneamente all’idea cui la creta darà la forma. Come nella musica e nella poesia, esso è l’elemento ideale, l’elemento vivo dell’opera sua. Quest’opera non diventa creazione se in essa non penetra l’anima espressiva e musicale, se le forme non si inseriscono nelle forme secondo una legge misteriosa di ritmo e di proporzione, come le note in un accordo.
Ne deriva la necessità di procedimenti tecnici e di accorgimenti di mestiere indispensabili per accordare la ragion d’essere figurativa dei valori plastici con quella superiore di una ideale armonia di spazi, di linee, di chiaroscuro. Bassorilievi, gruppi, figure, tutto il Maraini studia accuratamente con bozzetti in scala, applicati al plastico dell’edificio cui sono destinati. Tale studio preliminare è per lo scultore parte importantissima della preparazione dell’opera, e si addentra fino nei minimi particolari, senza modelli, con un lavoro di pura fantasia per potersi “musicalmente” intonare con le linee architettoniche.
Ma lo accompagnano studi dal vero delle varie parti della composizione, in disegno e in plastica. Il Maraini infatti sa che la perfetta bellezza non si compone solo di potere suggestivo, ma anche di armonia formale, e che c’è un verismo il quale non esclude, ma cerca la bellezza e la poesia, vuole l’intensità espressiva, concilia la virtù dell'osservazione e la rappresentazione della realtà con la commozione dell’anima e con lo splendore del sogno. Per questo egli riesce a disciplinare la forma, a semplificare la tecnica, a tendere allo stile senza dimenticare la realtà. Dalle statue per il teatro Savoia in Firenze alla Pietà presentata al Concorso per il monumento alla Madre Italiana, dalla sala individuale nella XVI Biennale Veneziana agli stucchi per la Banca d’Italia in Roma, dalla Via Crucis per la Cattedrale di Rodi alla Tomba di Puccini, dalle statue per il palazzo delle Assicurazioni di Stato in Roma ai bassorilievi per la Cappella De Ferrari a Staglieno, al fregio per il palazzo della Società Anonima Montecatini in Milano, alla porta per la Basilica di S. Paolo in Roma, alle Cariatidi della sede dell’Istituto delle Assicurazioni sociali in Milano, è sempre lo stesso desiderio di infondere una vita serena in bei corpi possenti, di sottrarsi a ogni convenzione, di non ammettere limitazioni alle ricerche dell’armonia, di muovere dalla realtà per creare immagini musicali secondo un ritmo astratto sgorgato dalla fantasia. Insomma la bellezza per lui non è che l’idea espressa in forma sensibile e vera.
Sprezzatura, fascino dell’abbozzo geniale, suggestione dell’impreciso, tutte bellissime cose, ma nella scultura ogni fantasma emotivo deve assumere un valore plastico e lo sforzo dell’artista deve tendere a creare costruzioni di valore non accidentale, ma universale.
La scultura grottesca, puerile ed informe che un oscuro apparato filosofico-critico cerca di imporre all’attenzione del pubblico, il quale nella sua inesauribile dabbenaggine si rassegna spesso ad ammirare quello che non capisce perchè teme di far brutta figura confessando di non comprendere, l’arte da scansafatiche che sopprime addirittura le difficoltà che la realtà impone, avrà la vita di un’ora.
Antonio Maraini con la sua opera in cui equilibrio, ponderazione, volume, gusto, senso decorativo, elementi poetici e plastici, capacità di trasformare idealmente il vero si conciliano nella ricerca della forma severa, ha sempre almeno la nobile ambizione di giungere all’arte sana ed espressiva, quella che nel suoi effetti dura immutata attraverso i tempi e il cui segreto non è nelle formule, ma nell’anima dell’artista.

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Questo, non altro, significa essere uno scultore italiano, restare fedele alle belle tradizioni dei padri.
Anche nei sommi l’arte come linguaggio, come mezzo di espressione, come potenza di domare la materia, è tradizione. I grandi maestri non trasmettono le idee, le quali sono immobili e luminose dentro le anime geniali, ma insegnano il modo di esprimerle, educano la mano a obbedire al divino cenno interiore.
Soltanto, mentre i mediocri, i quali non scoprono le idee, riproducono del maestri la parte formale, coloro che possono chiamarsi veramente artisti - e oggi sono pochissimi, sebbene in nessun’altra epoca si sia veduta tanta abbondanza di quadri e di statue - scorgono la luce delle opere magistrali e ne sentono la potenza risvegliatrice.

Concentrandosi tutto nell’arte, vivendo di essa e per essa in quel suo ampio studio che apre le sue vetrate sulla vista di Firenze, tra i cipressi e gli olivi, il Maraini, nella sua gioia di respirare dinanzi alla natura sente risvegliarsi intera, nel profondo, l’anima che vive negli antichi capolavori dell’arte toscana.
Ma quel ricordo non serve se non a rendere più limpidi i suoi occhi al cospetto del vero. Il vero, il reale, diventa per l’azione magica dell’antico ciò che tra le conquiste dello spirito merita il nome di verità.
Come non scorgere nell’Abbondanza e nella Famiglia l’influenza delle composizioni piramidali di Raffaello? E chi non sente una larga eco di cadenze donatelliane nella severa Maternità della Galleria Nazionale di Roma, o un riflesso dell’arte michelangiolesca nei tipi e negli atteggiamenti del S. Giovanni e del S. Giorgio che fiancheggiano l’ingresso della Galleria in Piazza Portello a Genova, e nel gruppi d'angolo del Palazzo delle Assicurazioni Sociali in Milano? E il diacono che sostiene la Croce dietro S. Pietro in atto di fondare la Sede papale in Roma, rappresentato su uno dei pannelli della Basilica Ostiense, non richiama forse uno dei due angeli del Battesimo di Gesù di Piero della Francesca nella National Gallery di Londra? Ma non è questo che conta. L’iconografia non spiega nulla, perchè l’arte è qualche cosa che non si coglie con i confronti, e l’analisi non riesce mai a chiarirne il mistero. Come avviene in ogni vero artista, il Maraini studiando l’antico muove alla ricerca di se stesso. Egli si sviluppa ed estrae la sua personalità dagli elementi del ricordo e della imitazione, i quali, successivamente assorbiti per servire alla sua formazione artistica, riappaiono in un mondo nuovo, come antiche vibrazioni sottoposte a un nuovo ritmo e a una nuova legge.
Oggi che nei comodi seggi bene o mal conquistati, i più furibondi salvatori dell’arte italiana, divenuti impiegati fissi della bellezza, mettono pancia leggendo le vite dei Santi Padri, è facile proclamarsi seguace della tradizione, ma quando quei fieri rivendicatori si lasciavano crescere i capelli e andavano perfino in letto con la fiaccola e con la scure in pugno, ci voleva una gran dose di coraggio a fare un’arte schietta, semplice, italiana, evidente, la quale aspirasse a essere come una realtà in se compiuta e non come un segnacolo e un emblema.
Questo coraggio ha potuto avere Antonio Maraini non soltanto come scultore, ma anche come critico nobilissimo e acuto, e come segretario della Biennale Veneziana. Basta pensare ai programmi delle due ultime esposizioni, alla istituzione dei premi, alla obbiettività con la quale ha cercato di far sentire agli artisti il bisogno di non immiserirsi in pure questioni tecniche, alla formazione di quell’archivio di fotografie, di studi, di notizie, che diverrà il più importante repertorio, il centro più vitale di ricerche nel campo dell’arte contemporanea. E se l’effetto non ha sempre corrisposto alle sue intenzioni, bisogna pur pensare che la critica non ha mai avuto il potere di creare gl’ingegni, e che un organizzatore di esposizioni deve a forza contentarsi di quello che l'arte gli offre.
Insomma, il desiderio di chiarezza che il Maraini cerca di esprimere nell’arte è in fondo in fondo anche nelle sue azioni, nel senso di misura e di continuo perfezionamento che egli consegue in se stesso e intorno a se. L’artista in lui nasce dall’uomo, da tutto quello che, come uomo, egli accoglie in sè a nobilitare la sua vita.
Di quanti altri si potrebbe oggi dire altrettanto?

ARDUINO COLASANTI.

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