IL CONCORSO NAZIONALE PER IL PROGETTO
DELLA NUOVA PALAZZATA DI MESSINA
Notiamo da qualche tempo in Sicilia, e più particolarmente nella
sua regione orientale comprendente le città di Catania, Siracusa
e Messina, un fervore di studi architettonici, una ripresa di lavoro,
un rifiorire ed un ringiovanire di sensibilità, che danno adito
alle migliori speranze.
Mentre al complesso di tali iniziative e nuove attitudini ci proponiamo
dedicare un articolo in uno del prossimi fascicoli della Rivista, illustriamo
qui i risultati di una interessante competizione svoltasi recentemente
nella nostra cara isola.
Il Podestà di Messina bandiva l’anno scorso, com’è
ben noto, un concorso per il progetto della facciata tipo verso mare
e delle due testate laterali estreme della nuova Palazzata, da costruirsi
nella zona dell'antica “Palizzata” distrutta dal terremoto
del 1908.
Il concorso è stato ora aggiudicato ed il risultato è
degno d’essere meditato più ancora che per il suo valore
intrinseco, per la mole di quesiti architettonici ch’esso investe
ed implica; quegli stessi quesiti, quelle stesse alternative, quelle
stesse antitesi di sensibilità e di principi che rendono ardente
se pur talvolta torbido, vibrante di vitalità se pur inquieto,
denso di futuro se pure oscuro e tormentato, l’attuale momento
architettonico italiano.
Il testo del bando di concorso per la Palazzata conteneva delle clausole
ch’è indispensabile conoscere per avere un giudizio esatto
circa le soluzioni proposte dal concorrenti e circa il verdetto della
Commissione Giudicatrice.
Riassumiamo qui dunque e riportiamo integralmente ov’è
opportuno, i più significativi articoli del bando:
Art. 1. - Tratta della planimetria generale predisposta per la zona
della Palazzata, con le quote relative; planimetria che deve costituire
il punto di partenza per la redazione del progetto.
“Art. 2. - Ai concorrenti, compatibilmente con le esigenze di
una organica e razionale utilizzazione delle aree, nel limiti imposti
dalla necessità di non ridurre la zona riservata alle calate
portuali, è lasciata ampia libertà di creazione artistica.
Essi, nello interpretare l’unanime desiderio della cittadinanza,
che anela a vedere ricostruita un’opera altrettanto monumentale
quanto la distrutta “Palazzata”, potranno anche modificare
la distribuzione schematica degli isolati (indicati nella planimetria
allegata), variando la lunghezza dei fronti longitudinali e potranno
creare corpi di collegamento fra gli isolati stessi, tenendo presente
che la larghezza degli intervalli scoperti tra un isolato e l’altro
non dovrà risultare inferiore a m. 14,50.
L’isolato indicato nella planimetria generale col N. 3, destinato
alla costruzione della nuova sede del Banco di Sicilia, resta escluso
da qualsiasi modifica tendente a variare la impostazione degli assi
stradali che lo limitano nel senso trasversale alle vie Garibaldi e
1° Settembre e non dovrà subire alcuna riduzione dell’area
coperta, quale risulta delimitata nella planimetria stessa.
Art. 3. - Tutti gli isolati della costruenda “Palazzata”
dovranno avere un’inquadratura architettonica inspirata ad unico
stile, come nella distrutta “Palizzata” evitando però
effetti di monotonia, che possano nuocere alla funzione estetica e panoramica
della prospettiva portuale.
Art. 4. – L’altezza degli edifici è stabilita di
m. 14,50 misurata dal piano di banchina alla linea di gronda e con tre
piani rispettivamente di altezza m. 5 per il piano terreno e m, 4,75
per ciascuno dei piani superiori, salve quelle limitatissime variazioni
che potranno derivare da inderogabili esigenze architettoniche.
Devono i concorrenti tener presente che i locali del piano terreno verranno
destinati esclusivamente ad uso del commercio e della navigazione ed
a pubblici ritrovi, mentre i locali dei piani superiori verranno utilizzati
per uffici commerciali e per abitazioni signorili.
Art. 5. - I prospetti dei costruendi edifici avranno la zoccolatura
in pietra da taglio proveniente da cave della Sicilia; la rimanente
sopraelevazione verrà eseguita con rivestimento ad intonaco di
graniglia.
L’intiera costruzione dovrà, in armonia con le norme tecniche
ed igieniche per i paesi colpiti dal terremoto, risultare costituita
da una intelaiatura portante in cemento armato e da muri interni ed
esterni di mattoni e tramezzi di mattoni; la copertura dovrà
essere a terrazza”.
Art. 6-7-8. - Danno le norme relative al termini di consegna del progetti,
al numero degli elaborati richiesti, ecc.
“Art. 9. - Una apposita Giuria, formata da cinque membri e nominata
dal Podestà, sceglierà quei progetti, in numero non superiore
a tre, che risulteranno studiati con spiccata genialità di concezione
architettonica e che siano in tutto rispondenti alle condizioni del
presente bando di concorso.
Fra i progetti come sopra prescelti, la Giuria dovrà inoltre
stabilire una graduatoria.
La Giuria deciderà a maggioranza assoluta dl voti.
Il giudizio della Giuria è inappellabile.
Art. 10. - Il Podestà approverà con sua deliberazione
il progetto classificato primo dalla Giuria e lo rimetterà per
la prescritta approvazione al Consiglio Superiore delle Antichità
e Belle Arti.
Se il predetto Consesso approverà il progetto approvato dal Podestà,
il progetto medesimo diventerà esecutivo; se il predetto Consesso
non lo approvi o faccia osservazioni di tale entità, che, ad
insindacabile giudizio del Podestà, richiedano sostanziali modifiche
del progetto medesimo, il Podestà revocherà la precedente
sua approvazione e approverà con nuovo provvedimento il progetto
classificato secondo dalla Giuria, e, qualora le stesse circostanze
si ripetano anche per questo, il progetto classificato terzo.
Art. 11. - Dopo l’approvazione definitiva del Consesso di cui
al precedente articolo e subordinatamente a tale approvazione, il Comune
pagherà un premio di L. 30.000 (trentamila) all’autore
del progetto definitivamente approvato e divenuto esecutivo; e agli
autori degli altri due progetti, nell’ordine della graduatoria
stabilita dalla Giuria, rispettivamente i premi di L. 20.000 (ventimila)
e L. 15.000 (quindicimila).
Art. 12. - Il premio di L. 30.000 verrà pagato in quanto ai 3/5
dello ammontare dopo l’approvazione del Consiglio Superiore delle
Antichità e Belle Arti ed in quanto ai 2/5 dopo che il progettista
avrà apportato al suo elaborato le modifiche od aggiunte eventualmente
suggerite dalla Giuria o dal predetto Consiglio Superiore. Art. 13.
- I tre progetti prescelti dalla Giuria diverranno, per il semplice
fatto della corresponsione dello ammontare dei premi, di libera ed esclusiva
proprietà del Comune, il quale potrà a suo libero piacimento
disporne nel senso più largo in tutto od in parte, anche con
aggiunte, stralci, fusioni e modifiche.
Di quello dei progetti, che sarà definitivamente approvato, il
Comune imporrà la esecuzione ai proprietari acquirenti o cessionarii
delle aree.
Il Comune potrà però fare eseguire anche solo in parte
il progetto medesimo e potrà modificarlo in tutto od in parte,
anche a mezzo di altri Ingegneri ed Architetti o dell’Ufficio
Tecnico Comunale e ciò senza che il progettista possa sollevare
eccezioni a riguardo dei diritti artistici e di autore o per qualsiasi
altro titolo.
Art. 14. - Oltre ai premi di cui agli articoli precedenti il Comune
pagherà altri quattro premi di L. 2500 (duemilacinquecento) ciascuno,
subordinatamente ad analoga proposta della Giuria, agli autori dei quattro
progetti che, dopo i primi tre come sopra prescelti, saranno dalla Giuria
medesima designati”.
Art. 15-16-17-18-19-20. - Si riferiscono alla clausole concernenti la
prevista prestazione d’opera del vincitore del concorso per la
direzione artistica dei lavori della costruenda Palazzata, delle modalità
della consegna e ritiro dei progetti, ecc.
Abbiamo qui riportato per esteso le parti più importanti del
bando giacché in esse appunto sono contenute alcune clausole
che resero difficile la soluzione dei quesiti posti per parte dei concorrenti
e non meno ardua l’opera della Giuria chiamata a deliberare sul
concorso. La Giuria si adunò allo scopo l’11 maggio u.
s. e stese una relazione firmata dai seguenti componenti:
Ugo Ojetti, Presidente
On. Ing. Edmondo Del Bufalo
Arch. Francesco Fichera
Vincenzo Salvatore, Podestà di Messina
Roberto Papini, relatore.
Da detta relazione stralciamo qui i brani più significativi:
“Vogliamo prima di tutto e francamente riconoscere che di rado
un concorso d’architettura ha presentato per i concorrenti le
difficoltà di questo, che siamo chiamati a giudicare. Difficoltà
che provengono essenzialmente dalla inevitabile impostazione del problema
i cui dati suggeriscono soluzioni particolari cosi antitetiche fra loro
che è arduo conchiuderle in una soluzione unitaria.
“Si richiede da Messina, fiera un tempo della sua Palazzata più
volte abbattuta e altrettante ricostruita, che questa sua facciata sul
mare abbia la solennità di un monumento, ma si è costretti,
per i regolamenti antisismici, a limitarne l’altezza dal suolo
quando certamente, in una fronte lunga 1180 metri, l’altezza costituisce
elemento importante di monumentalità.
“Si vuole giustamente che la nuova Palazzata abbia un tono di
nobiltà e di signorilità, ma si deve imporre il massimo
possibile di sfruttamento delle aree e quindi il minimo possibile di
costo relativo delle murature e dei paramenti. Si desidera opportunamente
che la lunghissima fronte non generi monotonie con la ripetizione dei
motivi, ma si deve pretendere che la Palazzata abbia rigorosa unità
stilistica fondata su elementi tipo da ripetere, e che questi elementi,
per ragioni dipendenti dalle condizioni climatiche, siano collegati
in massa compatta.
“I cittadini di Messina desiderano che lo stile dei nuovi edifici
non sia in contrasto con quel classicismo di forma a cui s’erano
ispirati gli architetti delle due ultime Palazzate, ma si prescrive
per obbligo che i metodi costruttivi siano proprio i più moderni,
cioè i meno affini alle forme classiche e tradizionali.
“Tali antitesi fondamentali non sono errore o capriccio del bando
di concorso: sono il portato di dure necessità dalle quali non
si può prescindere anche se appaiano tiranniche e se vincolino
molto la libertà della creazione artistica. D’altra parte
l’architettura è proprio nella sua essenza quell’arte
nata dalla fantasia e dalla logica che può e deve conciliare
le antitesi del tema in una armonia che le comprenda e le secondi.
“Appunto alla ricerca di questa conciliazione fra necessità
pratiche ed ideali ci siamo di proposito rivolti, scegliendo quale dei
concorrenti rabbia meglio raggiunta. Aggiungiamo anche che nel bando
di concorso alcune norme, e precisamente quelle contenute nell’articolo
13, ci hanno lasciati perplessi circa i pericoli che esse contengono
quando non siano interpretate in modo da salvaguardare la serietà
del concorso e la dignità stessa dell’arte e del nostro
giudizio. Supporre o ammettere fin d’ora che al progetto da noi
prescelto per l’esecuzione si possano apportare modificazioni
sostanziali e perfino totali, senza che l’autore del progetto
sia chiamato ad intervenire con la responsabilità e l’autorità
conferitagli dal fatto stesso che noi l’abbiamo scelto e premiato
per mandato assegnatoci dalla Città di Messina, ci è parso
ingiusto a pericolosissimo. Il Podestà di Messina ci ha rassicurato
su questo punto interpretando lo spirito che ha ispirato i messinesi
nel bandire il concorso ed affermando che, in ogni modo, nessuna delle
modifiche eventualmente suggerite dalla pratica nel corso d’esecuzione
del progetto, potrà certamente essere ammessa senza la collaborazione
necessaria e doverosa di chi è l’ideatore ed ha anche,
a norma stessa dell’art. 16 del bando di concorso, la direzione
artistica dei lavori”.
Esaurita questa disamina dei dati posti dal bando di concorso, dati
che forzatamente dovevano anche vincolare il giudizio della Commissione
ed in certo senso circoscriverne il compito, la relazione continua rendendo
conto del procedimento tenuto nell’eliminare in un primo tempo
successivamente sui 29 progetti presentati i 22 che non avrebbero potuto
essere compresi nei 7 per cui era previsto un premio, e poi il criterio
di classificazione dei rimanenti. Il primo premio di L. 30.000 fu aggiudicato
concordemente al progetto “Post Fata resurgo” redatto dal
gruppo di Architetti siciliani Camillo Autore, Raffaele Leone, Giuseppe
Samonà e Guido Viola, avendo la Commissione trovato ch’esso
contiene più degli altri progetti molte delle qualità
richieste dal bando: furono tuttavia in esso rilevate parecchie deficienze,
riferentisi specialmente alla mancanza dei collegamenti previsti dal
bando tra i singoli edifici della Palazzata, ed all’uso molto
esteso di serie continue di vetrine al pianterreno degli edifici, a
scapito dell’effetto di solidità della loro base: per contro
furono apprezzati soprattutto dalla Commissione nel progetto “lo
spirito di sobria e ritmica monumentalità” e il criterio
architettonico generale “informato ad una felice fusione di modernità
di spirito con italianità tradizionale di forme” e basato
su “un’alternanza di partiti verticali con partiti orizzontali
molto felicemente trovata per evitare i pericoli della monotonía
lungo tutta la fronte”.
Il secondo premio di L. 20.000 fu dalla Commissione giudicatrice attribuito
al progetto contrassegnato dal motto “Jonio” redatto dagli
architetti Ernesto e Gaetano Rapisardi nel quale fu rilevato il “pregio
di una continuità lodevole tra i vari edifici anche se non effettivamente
collegati tra loro” pregio diminuito però “da un
eccesso di uniformità dei motivi dominanti e della linea terminale”.
Secondo la Commissione cotesto progetto “ha un carattere che ben
s'accorda con le tradizioni locali nel ricordo dell’antica Palizzata”;
ma “l’infelice inquadratura delle finestre del primo piano,
la mancanza di intima connessione tra la massa muraria della fronte
e i motivi delle colonne destinate, in funzione puramente decorativa,
a reggere soltanto blocchi staccati di trabeazione e statue, si risolvono
in deficienza di sobrietà e organicità del complesso”.
L’assegnazione del terzo premio richiese una lunga discussione,
chiusasi con un voto di maggioranza. Dice la relazione:
“Avevamo portato la nostra particolare attenzione su due progetti,
quelli contrassegnati coi motti Rinascita e 2 P 931, l’uno ispirato
a motivi tradizionali, l’altro decisamente intonato a modernità
di forme. È parso alla maggioranza di noi che i pregi del primo
progetto bastassero a compensare l’eccesso di ossequio a motivi
tradizionali, non sufficientemente rielaborati e rivissuti con modernità
di spirito; è parso d’altra parte che nel secondo progetto
la lodevole spregiudicatezza con cui il tema è stato affrontato
e le studiate, ingegnose soluzioni planimetriche dei singoli edifici
non compensassero la mancanza di quel tono di solennità che,
nel tema della Palazzata, si doveva ottenere. E se è vero che
in questo secondo progetto esistono richiami felici al carattere delle
antiche abitazioni di Ostia e di Pompei con forme chiare e linde, sì
che non del tutto vi si astrae dalla tradizione, è altresì
vero che il tono generale del progetto è più adatto per
una città balneare che per il prospetto di una città gloriosa
e del maggior porto commerciale della Sicilia. Nè è da
trascurare il fatto che i telai di cemento armato che costituiscono
i loggiati dei piani superiori dovrebbero subire, per le norme antisismiche
obbligatorie, modificazioni tali da perdere di grazia e d’armonia”.
Assegnato quindi a maggioranza di voti il terzo premio al progetto che
reca il motto “Rinascita” redatto dagli architetti Angelo
Di Castro e Antonio Tagliolini, la Commissione si trovò unanime
nel desiderare che il merito dell’altro progetto “2P 931”
opera dell’arch. Giuseppe Marletta con la collaborazione dell’arch.
Bruno La Padula fosse chiaramente distinto fra quelli a cui l’art.
14 del bando di concorso prescriveva di assegnare i quattro premi uguali
di L. 2500.
Fu quindi stabilita una graduatoria di merito fra i quattro progetti
che, tolti i primi tre, rimanevano dei sette prescelti, assegnando il
primo posto al progetto segnato col motto “2 P 931”; il
secondo a quello segnato col motto “Tre” redatto dagli architetti
Mario Fagiolo, Adalberto Libera e Mario Ridolfi; il terzo a quello col
motto “Va 2”, di cui è autore l'architetto Vincenzo
Canella; il quarto a quello col motto “Emanuele Filiberto”,
opera degli architetti Glulio Pediconí e Mario Paniconi.
La relazione della Commissione si chiude con un fervido elogio all’iniziativa
del Comune di Messina per aver bandito il concorso chiusosi “con
l'affermazione decisa di architetti giovani e col chiaro indizio di
una fervida rinascita dello spirito architettonico in Sicilia”.
Ben a ragione la Commissione osserva che se tale dovere di ricorrere
a pubblici concorsi si fosse sentito fin da quando l’Italia concorde
volle che Messina rinascesse dalle macerie, si sarebbe evitato che l’aspetto
della città risorta, nella mirabile cornice dei monti e del mare,
fosse dal punto di vista estetico volgare e brutto quale purtroppo ora
è.
Aggiungiamo poche chiose alla esauriente relazione della Commissione
giudicatrice.
Anzitutto riproduciamo degli architetti Gaetano ed Ernesto Rapisardi
oltre le fotografie del loro progetto di concorso, alcune tavole riferentisi
ad un progetto di Palazzata da essi redatto in precedenza, per incarico
del Podestà di Messina; tale progetto era riuscito di pieno gradimento
alla Commissione Edilizia della città e della Sottocommissione
nominata allo scopo dalla Consulta Municipale: in seguito a posteriore
decisione, fu bandito il concorso nazionale. Ciò non toglie che
il primo progetto Rapisardi contenga interessanti elementi risolutivi.
In conclusione si può osservare che ben a ragione la Commissione
giudicatrice si è felicitata dell’Iniziativa e dell’esito
del concorso; si moltiplichino tali prove, sopratutto cercando impostarle
su basi sane, si spronino i giovani ad investirsi delle più attuali
questioni dell’edilizia e dell’architettura in genere: matureranno
rapidamente risultati pieni e fecondi.
Se nel caso specifico non sembrano essere emerse soluzioni totalmente
appaganti, se in tutte troviamo elementi che ci lasciano inquieti e
pensosi, ben fu detto dipendere ciò in gran parte dal sommarsi
di circostanze contradittorie e negative insite nel modo stesso con
cui il problema fu impostato, e questo non tanto per colpa degli iniziatori
singoli, quanto soprattutto per la stessa natura dell’attuale
clima architettonico italiano in cui giocano idee, abitudini, valori,
non concordi, non chiari, non definitivi. Chè, se alla somma
di tali discordi esigenze si cerchi soddisfare, si rischia di sboccare
a soluzioni prive di carattere e sbiadite appunto perchè troppo
sottilmente equilibrate: se, per contro, si conceda di più al
positivo o al negativo di esse, molto facilmente un lato del problema
resta insoluto.
Nel nostro caso è evidente ch’era estremamente difficile
ottenere soluzioni intimamente monumentali quando circostanze di forza
maggiore (e di qual peso!) imponevano di ridurre di circa un terzo l’altezza
della Palazzata precedente, di cui tuttavia si lasciavano pressochè
immutate la lunghezza, la giacitura e la continuità orizzontali.
Venendo a mancare nelle proporzioni predisposte il più grande
ed essenziale coefficente di monumentalità, abbiam visto parecchi
concorrenti, fra cui alcuni premiati dopo il primo (che invece seppe
mantenersi in una linea di sottile equilibrio), ricorrere agli aspetti
meno intimi e maggiormente parventi della monumentalità stessa,
seguendo da vicino le forme di essa definite con tanta sanguigna forza
nel suo particolare clima, così diverso dal nostro, dal classicismo
cinquecentesco e secentesco: ritmi costituiti da ordini giganti di semicolonne
e perfino di colonne del tutto isolate dalla massa muraria, portanti
trabeazioni o porzioni staccate di trabeazioni: gli aspetti cioè
della monumentalità più da vicino ed organicamente legati
all’uso della pietra da taglio a grandi blocchi. Eppure, se c’è
un luogo ove tali schemi costruttivi e architettonici dovrebbero essere
risolutamente abbandonati (qualora usati sinceramente) questo è
appunto la nostra magnifica isola così duramente provata dalla
natura: altrimenti vorrebbe dire che il tempo e le più tragiche
vicissitudini nulla son capaci di insegnare all’uomo, pervicacemente
legato alla propria inerzia mentale anche contro le più vitali
ragioni di mutamento, ed incapace di adeguare la forma dell’arte
alla vita, nonostante i mezzi che la sua stessa mente ha escogitato
per risolvere i singoli problemi nel piano pratico.
È ben vero che una colonna di pietra si potrebbe costruire con
un’anima di ferro o di cemento armato: è vero ancora che,
prescrivendo il bando di concorso l’uso della pietra da taglio
solo per la zoccolatura e per tutto il resto un rivestimento ad intonaco
di graniglia, forse si pensava di realizzare colonne e architravi di
cemento armato e muratura, ricoprendoli poi di un ben dipinto impasto
artificiale. Appunto questo del resto si usa da noi nel malcostume dell’edilizia
corrente. Ma... Gravi problemi, che si impongono all’attenzione
di quanti sono pensosi della sanità e della validità dell’arte
nostra e che non è questo il luogo di considerare.
Per rifuggire integralmente a simili contraddizioni sostanziali abbiamo
visto alcuni concorrenti abbandonare risolutamente gli schemi estetici
del classico monumentale e dar forma a progetti aderenti senza sottintesi,
se pur talvolta con qualche artificioso e non razionale eccesso, alle
sostanze strutturali imposte dai regolamenti: opere simpatiche, fresche
di idee, eleganti, feconde, ma che, in parte a causa della stessa antimonumentalità
dei volumi predisposti dal bando, in parte per il temperamento semplice,
sintetico, essenziale, moderno degli autori, risultarono prive di quel
senso di fasto e imponenza che il bando di concorso prescriveva come
indispensabile. Converrebbe qui dunque trattare il tema tanto controverso
della monumentalità, parlando degli aspetti sostanziali e di
quelli soltanto parventi di essa, della possibilità di realizzarla
aderendo ai più moderni schemi architettonici, e di tanti altri
problemi connessi all’argomento così importante e delicato.
Ma tali considerazioni ci porterebbero ben più lontano di quanto
non sia richiesto da queste brevi note.
Ci limiteremo a constatare come dalla prova superata, come del resto
da altre precedenti, si affermi sempre più viva la formazione
di fresche correnti architettoniche. È nostra opinione che soltanto
se fra tali correnti e le immediatamente precedenti non si determinerà
inconciliabile antitesi, se la feconda sintesi e la mutua compenetrazione
si produrranno, sia pur attraverso lotte leali, ma con serena reciproca
comprensione e senza attriti estranei e collaterali, l’architettura
italiana potrà svolgersi sempre più verso duraturi valori
moderni senza sperperi di forza e con quella pienezza che la nostra
rinnovellata vita di grande popolo merita ed esige.
PLINIO MARCONI.