FASCICOLO XII - AGOSTO 1931
PLINIO MARCONI : Il Concorso Nazionale per il progetto della nuova Palazzata di Messina, con 53 illustrazioni

IL CONCORSO NAZIONALE PER IL PROGETTO DELLA NUOVA PALAZZATA DI MESSINA


Notiamo da qualche tempo in Sicilia, e più particolarmente nella sua regione orientale comprendente le città di Catania, Siracusa e Messina, un fervore di studi architettonici, una ripresa di lavoro, un rifiorire ed un ringiovanire di sensibilità, che danno adito alle migliori speranze.
Mentre al complesso di tali iniziative e nuove attitudini ci proponiamo dedicare un articolo in uno del prossimi fascicoli della Rivista, illustriamo qui i risultati di una interessante competizione svoltasi recentemente nella nostra cara isola.
Il Podestà di Messina bandiva l’anno scorso, com’è ben noto, un concorso per il progetto della facciata tipo verso mare e delle due testate laterali estreme della nuova Palazzata, da costruirsi nella zona dell'antica “Palizzata” distrutta dal terremoto del 1908.
Il concorso è stato ora aggiudicato ed il risultato è degno d’essere meditato più ancora che per il suo valore intrinseco, per la mole di quesiti architettonici ch’esso investe ed implica; quegli stessi quesiti, quelle stesse alternative, quelle stesse antitesi di sensibilità e di principi che rendono ardente se pur talvolta torbido, vibrante di vitalità se pur inquieto, denso di futuro se pure oscuro e tormentato, l’attuale momento architettonico italiano.

Il testo del bando di concorso per la Palazzata conteneva delle clausole ch’è indispensabile conoscere per avere un giudizio esatto circa le soluzioni proposte dal concorrenti e circa il verdetto della Commissione Giudicatrice.
Riassumiamo qui dunque e riportiamo integralmente ov’è opportuno, i più significativi articoli del bando:
Art. 1. - Tratta della planimetria generale predisposta per la zona della Palazzata, con le quote relative; planimetria che deve costituire il punto di partenza per la redazione del progetto.
“Art. 2. - Ai concorrenti, compatibilmente con le esigenze di una organica e razionale utilizzazione delle aree, nel limiti imposti dalla necessità di non ridurre la zona riservata alle calate portuali, è lasciata ampia libertà di creazione artistica. Essi, nello interpretare l’unanime desiderio della cittadinanza, che anela a vedere ricostruita un’opera altrettanto monumentale quanto la distrutta “Palazzata”, potranno anche modificare la distribuzione schematica degli isolati (indicati nella planimetria allegata), variando la lunghezza dei fronti longitudinali e potranno creare corpi di collegamento fra gli isolati stessi, tenendo presente che la larghezza degli intervalli scoperti tra un isolato e l’altro non dovrà risultare inferiore a m. 14,50.
L’isolato indicato nella planimetria generale col N. 3, destinato alla costruzione della nuova sede del Banco di Sicilia, resta escluso da qualsiasi modifica tendente a variare la impostazione degli assi stradali che lo limitano nel senso trasversale alle vie Garibaldi e 1° Settembre e non dovrà subire alcuna riduzione dell’area coperta, quale risulta delimitata nella planimetria stessa.
Art. 3. - Tutti gli isolati della costruenda “Palazzata” dovranno avere un’inquadratura architettonica inspirata ad unico stile, come nella distrutta “Palizzata” evitando però effetti di monotonia, che possano nuocere alla funzione estetica e panoramica della prospettiva portuale.
Art. 4. – L’altezza degli edifici è stabilita di m. 14,50 misurata dal piano di banchina alla linea di gronda e con tre piani rispettivamente di altezza m. 5 per il piano terreno e m, 4,75 per ciascuno dei piani superiori, salve quelle limitatissime variazioni che potranno derivare da inderogabili esigenze architettoniche.
Devono i concorrenti tener presente che i locali del piano terreno verranno destinati esclusivamente ad uso del commercio e della navigazione ed a pubblici ritrovi, mentre i locali dei piani superiori verranno utilizzati per uffici commerciali e per abitazioni signorili.
Art. 5. - I prospetti dei costruendi edifici avranno la zoccolatura in pietra da taglio proveniente da cave della Sicilia; la rimanente sopraelevazione verrà eseguita con rivestimento ad intonaco di graniglia.
L’intiera costruzione dovrà, in armonia con le norme tecniche ed igieniche per i paesi colpiti dal terremoto, risultare costituita da una intelaiatura portante in cemento armato e da muri interni ed esterni di mattoni e tramezzi di mattoni; la copertura dovrà essere a terrazza”.
Art. 6-7-8. - Danno le norme relative al termini di consegna del progetti, al numero degli elaborati richiesti, ecc.
“Art. 9. - Una apposita Giuria, formata da cinque membri e nominata dal Podestà, sceglierà quei progetti, in numero non superiore a tre, che risulteranno studiati con spiccata genialità di concezione architettonica e che siano in tutto rispondenti alle condizioni del presente bando di concorso.
Fra i progetti come sopra prescelti, la Giuria dovrà inoltre stabilire una graduatoria.
La Giuria deciderà a maggioranza assoluta dl voti.
Il giudizio della Giuria è inappellabile.
Art. 10. - Il Podestà approverà con sua deliberazione il progetto classificato primo dalla Giuria e lo rimetterà per la prescritta approvazione al Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti.
Se il predetto Consesso approverà il progetto approvato dal Podestà, il progetto medesimo diventerà esecutivo; se il predetto Consesso non lo approvi o faccia osservazioni di tale entità, che, ad insindacabile giudizio del Podestà, richiedano sostanziali modifiche del progetto medesimo, il Podestà revocherà la precedente sua approvazione e approverà con nuovo provvedimento il progetto classificato secondo dalla Giuria, e, qualora le stesse circostanze si ripetano anche per questo, il progetto classificato terzo.
Art. 11. - Dopo l’approvazione definitiva del Consesso di cui al precedente articolo e subordinatamente a tale approvazione, il Comune pagherà un premio di L. 30.000 (trentamila) all’autore del progetto definitivamente approvato e divenuto esecutivo; e agli autori degli altri due progetti, nell’ordine della graduatoria stabilita dalla Giuria, rispettivamente i premi di L. 20.000 (ventimila) e L. 15.000 (quindicimila).
Art. 12. - Il premio di L. 30.000 verrà pagato in quanto ai 3/5 dello ammontare dopo l’approvazione del Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti ed in quanto ai 2/5 dopo che il progettista avrà apportato al suo elaborato le modifiche od aggiunte eventualmente suggerite dalla Giuria o dal predetto Consiglio Superiore. Art. 13. - I tre progetti prescelti dalla Giuria diverranno, per il semplice fatto della corresponsione dello ammontare dei premi, di libera ed esclusiva proprietà del Comune, il quale potrà a suo libero piacimento disporne nel senso più largo in tutto od in parte, anche con aggiunte, stralci, fusioni e modifiche.
Di quello dei progetti, che sarà definitivamente approvato, il Comune imporrà la esecuzione ai proprietari acquirenti o cessionarii delle aree.
Il Comune potrà però fare eseguire anche solo in parte il progetto medesimo e potrà modificarlo in tutto od in parte, anche a mezzo di altri Ingegneri ed Architetti o dell’Ufficio Tecnico Comunale e ciò senza che il progettista possa sollevare eccezioni a riguardo dei diritti artistici e di autore o per qualsiasi altro titolo.
Art. 14. - Oltre ai premi di cui agli articoli precedenti il Comune pagherà altri quattro premi di L. 2500 (duemilacinquecento) ciascuno, subordinatamente ad analoga proposta della Giuria, agli autori dei quattro progetti che, dopo i primi tre come sopra prescelti, saranno dalla Giuria medesima designati”.
Art. 15-16-17-18-19-20. - Si riferiscono alla clausole concernenti la prevista prestazione d’opera del vincitore del concorso per la direzione artistica dei lavori della costruenda Palazzata, delle modalità della consegna e ritiro dei progetti, ecc.

Abbiamo qui riportato per esteso le parti più importanti del bando giacché in esse appunto sono contenute alcune clausole che resero difficile la soluzione dei quesiti posti per parte dei concorrenti e non meno ardua l’opera della Giuria chiamata a deliberare sul concorso. La Giuria si adunò allo scopo l’11 maggio u. s. e stese una relazione firmata dai seguenti componenti:

Ugo Ojetti, Presidente
On. Ing. Edmondo Del Bufalo
Arch. Francesco Fichera
Vincenzo Salvatore, Podestà di Messina
Roberto Papini, relatore.

Da detta relazione stralciamo qui i brani più significativi:
“Vogliamo prima di tutto e francamente riconoscere che di rado un concorso d’architettura ha presentato per i concorrenti le difficoltà di questo, che siamo chiamati a giudicare. Difficoltà che provengono essenzialmente dalla inevitabile impostazione del problema i cui dati suggeriscono soluzioni particolari cosi antitetiche fra loro che è arduo conchiuderle in una soluzione unitaria.
“Si richiede da Messina, fiera un tempo della sua Palazzata più volte abbattuta e altrettante ricostruita, che questa sua facciata sul mare abbia la solennità di un monumento, ma si è costretti, per i regolamenti antisismici, a limitarne l’altezza dal suolo quando certamente, in una fronte lunga 1180 metri, l’altezza costituisce elemento importante di monumentalità.
“Si vuole giustamente che la nuova Palazzata abbia un tono di nobiltà e di signorilità, ma si deve imporre il massimo possibile di sfruttamento delle aree e quindi il minimo possibile di costo relativo delle murature e dei paramenti. Si desidera opportunamente che la lunghissima fronte non generi monotonie con la ripetizione dei motivi, ma si deve pretendere che la Palazzata abbia rigorosa unità stilistica fondata su elementi tipo da ripetere, e che questi elementi, per ragioni dipendenti dalle condizioni climatiche, siano collegati in massa compatta.
“I cittadini di Messina desiderano che lo stile dei nuovi edifici non sia in contrasto con quel classicismo di forma a cui s’erano ispirati gli architetti delle due ultime Palazzate, ma si prescrive per obbligo che i metodi costruttivi siano proprio i più moderni, cioè i meno affini alle forme classiche e tradizionali.
“Tali antitesi fondamentali non sono errore o capriccio del bando di concorso: sono il portato di dure necessità dalle quali non si può prescindere anche se appaiano tiranniche e se vincolino molto la libertà della creazione artistica. D’altra parte l’architettura è proprio nella sua essenza quell’arte nata dalla fantasia e dalla logica che può e deve conciliare le antitesi del tema in una armonia che le comprenda e le secondi.
“Appunto alla ricerca di questa conciliazione fra necessità pratiche ed ideali ci siamo di proposito rivolti, scegliendo quale dei concorrenti rabbia meglio raggiunta. Aggiungiamo anche che nel bando di concorso alcune norme, e precisamente quelle contenute nell’articolo 13, ci hanno lasciati perplessi circa i pericoli che esse contengono quando non siano interpretate in modo da salvaguardare la serietà del concorso e la dignità stessa dell’arte e del nostro giudizio. Supporre o ammettere fin d’ora che al progetto da noi prescelto per l’esecuzione si possano apportare modificazioni sostanziali e perfino totali, senza che l’autore del progetto sia chiamato ad intervenire con la responsabilità e l’autorità conferitagli dal fatto stesso che noi l’abbiamo scelto e premiato per mandato assegnatoci dalla Città di Messina, ci è parso ingiusto a pericolosissimo. Il Podestà di Messina ci ha rassicurato su questo punto interpretando lo spirito che ha ispirato i messinesi nel bandire il concorso ed affermando che, in ogni modo, nessuna delle modifiche eventualmente suggerite dalla pratica nel corso d’esecuzione del progetto, potrà certamente essere ammessa senza la collaborazione necessaria e doverosa di chi è l’ideatore ed ha anche, a norma stessa dell’art. 16 del bando di concorso, la direzione artistica dei lavori”.

Esaurita questa disamina dei dati posti dal bando di concorso, dati che forzatamente dovevano anche vincolare il giudizio della Commissione ed in certo senso circoscriverne il compito, la relazione continua rendendo conto del procedimento tenuto nell’eliminare in un primo tempo successivamente sui 29 progetti presentati i 22 che non avrebbero potuto essere compresi nei 7 per cui era previsto un premio, e poi il criterio di classificazione dei rimanenti. Il primo premio di L. 30.000 fu aggiudicato concordemente al progetto “Post Fata resurgo” redatto dal gruppo di Architetti siciliani Camillo Autore, Raffaele Leone, Giuseppe Samonà e Guido Viola, avendo la Commissione trovato ch’esso contiene più degli altri progetti molte delle qualità richieste dal bando: furono tuttavia in esso rilevate parecchie deficienze, riferentisi specialmente alla mancanza dei collegamenti previsti dal bando tra i singoli edifici della Palazzata, ed all’uso molto esteso di serie continue di vetrine al pianterreno degli edifici, a scapito dell’effetto di solidità della loro base: per contro furono apprezzati soprattutto dalla Commissione nel progetto “lo spirito di sobria e ritmica monumentalità” e il criterio architettonico generale “informato ad una felice fusione di modernità di spirito con italianità tradizionale di forme” e basato su “un’alternanza di partiti verticali con partiti orizzontali molto felicemente trovata per evitare i pericoli della monotonía lungo tutta la fronte”.
Il secondo premio di L. 20.000 fu dalla Commissione giudicatrice attribuito al progetto contrassegnato dal motto “Jonio” redatto dagli architetti Ernesto e Gaetano Rapisardi nel quale fu rilevato il “pregio di una continuità lodevole tra i vari edifici anche se non effettivamente collegati tra loro” pregio diminuito però “da un eccesso di uniformità dei motivi dominanti e della linea terminale”. Secondo la Commissione cotesto progetto “ha un carattere che ben s'accorda con le tradizioni locali nel ricordo dell’antica Palizzata”; ma “l’infelice inquadratura delle finestre del primo piano, la mancanza di intima connessione tra la massa muraria della fronte e i motivi delle colonne destinate, in funzione puramente decorativa, a reggere soltanto blocchi staccati di trabeazione e statue, si risolvono in deficienza di sobrietà e organicità del complesso”.
L’assegnazione del terzo premio richiese una lunga discussione, chiusasi con un voto di maggioranza. Dice la relazione:
“Avevamo portato la nostra particolare attenzione su due progetti, quelli contrassegnati coi motti Rinascita e 2 P 931, l’uno ispirato a motivi tradizionali, l’altro decisamente intonato a modernità di forme. È parso alla maggioranza di noi che i pregi del primo progetto bastassero a compensare l’eccesso di ossequio a motivi tradizionali, non sufficientemente rielaborati e rivissuti con modernità di spirito; è parso d’altra parte che nel secondo progetto la lodevole spregiudicatezza con cui il tema è stato affrontato e le studiate, ingegnose soluzioni planimetriche dei singoli edifici non compensassero la mancanza di quel tono di solennità che, nel tema della Palazzata, si doveva ottenere. E se è vero che in questo secondo progetto esistono richiami felici al carattere delle antiche abitazioni di Ostia e di Pompei con forme chiare e linde, sì che non del tutto vi si astrae dalla tradizione, è altresì vero che il tono generale del progetto è più adatto per una città balneare che per il prospetto di una città gloriosa e del maggior porto commerciale della Sicilia. Nè è da trascurare il fatto che i telai di cemento armato che costituiscono i loggiati dei piani superiori dovrebbero subire, per le norme antisismiche obbligatorie, modificazioni tali da perdere di grazia e d’armonia”.
Assegnato quindi a maggioranza di voti il terzo premio al progetto che reca il motto “Rinascita” redatto dagli architetti Angelo Di Castro e Antonio Tagliolini, la Commissione si trovò unanime nel desiderare che il merito dell’altro progetto “2P 931” opera dell’arch. Giuseppe Marletta con la collaborazione dell’arch. Bruno La Padula fosse chiaramente distinto fra quelli a cui l’art. 14 del bando di concorso prescriveva di assegnare i quattro premi uguali di L. 2500.
Fu quindi stabilita una graduatoria di merito fra i quattro progetti che, tolti i primi tre, rimanevano dei sette prescelti, assegnando il primo posto al progetto segnato col motto “2 P 931”; il secondo a quello segnato col motto “Tre” redatto dagli architetti Mario Fagiolo, Adalberto Libera e Mario Ridolfi; il terzo a quello col motto “Va 2”, di cui è autore l'architetto Vincenzo Canella; il quarto a quello col motto “Emanuele Filiberto”, opera degli architetti Glulio Pediconí e Mario Paniconi.
La relazione della Commissione si chiude con un fervido elogio all’iniziativa del Comune di Messina per aver bandito il concorso chiusosi “con l'affermazione decisa di architetti giovani e col chiaro indizio di una fervida rinascita dello spirito architettonico in Sicilia”. Ben a ragione la Commissione osserva che se tale dovere di ricorrere a pubblici concorsi si fosse sentito fin da quando l’Italia concorde volle che Messina rinascesse dalle macerie, si sarebbe evitato che l’aspetto della città risorta, nella mirabile cornice dei monti e del mare, fosse dal punto di vista estetico volgare e brutto quale purtroppo ora è.
Aggiungiamo poche chiose alla esauriente relazione della Commissione giudicatrice.
Anzitutto riproduciamo degli architetti Gaetano ed Ernesto Rapisardi oltre le fotografie del loro progetto di concorso, alcune tavole riferentisi ad un progetto di Palazzata da essi redatto in precedenza, per incarico del Podestà di Messina; tale progetto era riuscito di pieno gradimento alla Commissione Edilizia della città e della Sottocommissione nominata allo scopo dalla Consulta Municipale: in seguito a posteriore decisione, fu bandito il concorso nazionale. Ciò non toglie che il primo progetto Rapisardi contenga interessanti elementi risolutivi.

In conclusione si può osservare che ben a ragione la Commissione giudicatrice si è felicitata dell’Iniziativa e dell’esito del concorso; si moltiplichino tali prove, sopratutto cercando impostarle su basi sane, si spronino i giovani ad investirsi delle più attuali questioni dell’edilizia e dell’architettura in genere: matureranno rapidamente risultati pieni e fecondi.
Se nel caso specifico non sembrano essere emerse soluzioni totalmente appaganti, se in tutte troviamo elementi che ci lasciano inquieti e pensosi, ben fu detto dipendere ciò in gran parte dal sommarsi di circostanze contradittorie e negative insite nel modo stesso con cui il problema fu impostato, e questo non tanto per colpa degli iniziatori singoli, quanto soprattutto per la stessa natura dell’attuale clima architettonico italiano in cui giocano idee, abitudini, valori, non concordi, non chiari, non definitivi. Chè, se alla somma di tali discordi esigenze si cerchi soddisfare, si rischia di sboccare a soluzioni prive di carattere e sbiadite appunto perchè troppo sottilmente equilibrate: se, per contro, si conceda di più al positivo o al negativo di esse, molto facilmente un lato del problema resta insoluto.
Nel nostro caso è evidente ch’era estremamente difficile ottenere soluzioni intimamente monumentali quando circostanze di forza maggiore (e di qual peso!) imponevano di ridurre di circa un terzo l’altezza della Palazzata precedente, di cui tuttavia si lasciavano pressochè immutate la lunghezza, la giacitura e la continuità orizzontali. Venendo a mancare nelle proporzioni predisposte il più grande ed essenziale coefficente di monumentalità, abbiam visto parecchi concorrenti, fra cui alcuni premiati dopo il primo (che invece seppe mantenersi in una linea di sottile equilibrio), ricorrere agli aspetti meno intimi e maggiormente parventi della monumentalità stessa, seguendo da vicino le forme di essa definite con tanta sanguigna forza nel suo particolare clima, così diverso dal nostro, dal classicismo cinquecentesco e secentesco: ritmi costituiti da ordini giganti di semicolonne e perfino di colonne del tutto isolate dalla massa muraria, portanti trabeazioni o porzioni staccate di trabeazioni: gli aspetti cioè della monumentalità più da vicino ed organicamente legati all’uso della pietra da taglio a grandi blocchi. Eppure, se c’è un luogo ove tali schemi costruttivi e architettonici dovrebbero essere risolutamente abbandonati (qualora usati sinceramente) questo è appunto la nostra magnifica isola così duramente provata dalla natura: altrimenti vorrebbe dire che il tempo e le più tragiche vicissitudini nulla son capaci di insegnare all’uomo, pervicacemente legato alla propria inerzia mentale anche contro le più vitali ragioni di mutamento, ed incapace di adeguare la forma dell’arte alla vita, nonostante i mezzi che la sua stessa mente ha escogitato per risolvere i singoli problemi nel piano pratico.

È ben vero che una colonna di pietra si potrebbe costruire con un’anima di ferro o di cemento armato: è vero ancora che, prescrivendo il bando di concorso l’uso della pietra da taglio solo per la zoccolatura e per tutto il resto un rivestimento ad intonaco di graniglia, forse si pensava di realizzare colonne e architravi di cemento armato e muratura, ricoprendoli poi di un ben dipinto impasto artificiale. Appunto questo del resto si usa da noi nel malcostume dell’edilizia corrente. Ma... Gravi problemi, che si impongono all’attenzione di quanti sono pensosi della sanità e della validità dell’arte nostra e che non è questo il luogo di considerare.
Per rifuggire integralmente a simili contraddizioni sostanziali abbiamo visto alcuni concorrenti abbandonare risolutamente gli schemi estetici del classico monumentale e dar forma a progetti aderenti senza sottintesi, se pur talvolta con qualche artificioso e non razionale eccesso, alle sostanze strutturali imposte dai regolamenti: opere simpatiche, fresche di idee, eleganti, feconde, ma che, in parte a causa della stessa antimonumentalità dei volumi predisposti dal bando, in parte per il temperamento semplice, sintetico, essenziale, moderno degli autori, risultarono prive di quel senso di fasto e imponenza che il bando di concorso prescriveva come indispensabile. Converrebbe qui dunque trattare il tema tanto controverso della monumentalità, parlando degli aspetti sostanziali e di quelli soltanto parventi di essa, della possibilità di realizzarla aderendo ai più moderni schemi architettonici, e di tanti altri problemi connessi all’argomento così importante e delicato.
Ma tali considerazioni ci porterebbero ben più lontano di quanto non sia richiesto da queste brevi note.
Ci limiteremo a constatare come dalla prova superata, come del resto da altre precedenti, si affermi sempre più viva la formazione di fresche correnti architettoniche. È nostra opinione che soltanto se fra tali correnti e le immediatamente precedenti non si determinerà inconciliabile antitesi, se la feconda sintesi e la mutua compenetrazione si produrranno, sia pur attraverso lotte leali, ma con serena reciproca comprensione e senza attriti estranei e collaterali, l’architettura italiana potrà svolgersi sempre più verso duraturi valori moderni senza sperperi di forza e con quella pienezza che la nostra rinnovellata vita di grande popolo merita ed esige.
PLINIO MARCONI.

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