CORRIERE ARCHITETTONICO
DUE TOMBE AL CIMITERO PRINCIPALE DI TORINO
Dell’Arch. ARMANDO MELIS.
L’Arch. Armando Melis ha costruito al Cimitero principale di
Torino due tombe di buona ispirazione realizzate con ricchi materiali,
felicemente usati. Aggiungiamo che la tomba della famiglia Zuffi è
stata internamente affrescata con scene della Passione dal pittore Teonesto
Deabate.
N. D. R.
CRONACA DEI MONUMENTI
ROMA. S. Maria Maggiore. - Restauri di grande importanza l’Amministrazione
pontificia sta eseguendo da tempo nella insigne basilica liberiana,
alcuni veramente utili e provvidi, altri molto meno...
Ha tra i primi il primo posto il restauro del grande musaico sistino
che riveste l’arco trionfale. L’intonaco in molti punti
distaccato, il disgregamento della compagine delle tessere, le stesse
riparazioni malamente eseguite in vari periodi precedenti, rendevano
ormai precaria la conservazione della mirabile opera, il cui interesse
iconografico (a cui fanno capo le tante discussioni sulla data) è
non minore di quella artistico. Il rimedio adottato è stato radicale:
il distacco per singole zone, la riparazione ed il nuovo collocamento
in opera sull’intonaco nuovo, rimarginando con tessere di color
neutro gli squarci e le lacune.
Eseguito con cura paziente e minuziosa dai musaicisti della fabbrica
vaticana sotto la sapiente guida del professor Biagetti, il lavoro ha
consentito uno studio nuova della tecnica con cui il musaico fu eseguito:
del tipo delle tessere di smalto, del procedimento con cui la loro posizione
in opera è stata preceduta da una più o meno completa
dipintura in affresco sulla parete, forse come esperimento dell’effetto
o forse come guida del lavoro. E tali risultati son stati dallo stesso
prof. Biagetti recentemente illustrati in una interessantissima comunicazione
presso la Pontificia Accademia d’Archeologia.
Ben diversa dal giudizio favorevole che va rivolto a questa provvida
opera di conservazione è quella che ha per oggetto la demolizione,
ora eseguita, della volta quattrocentesca posta sopra l’altare
della Confessione. Si ritorna con essa al tipo ormai vieto dei restauri
alla Viollet Le Duc che si propongono di risalire nel tempo, dando ad
un edificio una forma prossima alla primitiva; e se vi è monumento
che a siffatte sistemazioni non si presti è appunto la Basilica
di S. Maria Maggiore pervenuta a noi attraverso rimaneggiamenti e sovrapposizioni
per cui ogni secolo ha lasciato la sua nota d’arte, sì
da conferire all’insieme il vero carattere di museo dell’architettura
e della decorazione per tutto il Medio Evo e per tutta la Rinascenza
fino al periodo moderno. E sono organiche opere costruttive, come quella
della forse totale ricostruzione del V secolo, o della aggiunta del
transetto e di una nuova abside nel XII, del campanile trecentesco,
delle cappelle Paolina e Sistina e delle altre addossate sui due fianchi,
e delle facciate anteriore e posteriore, e degli interni restauri del
Fuga: o sono opere di ornato e di suppellettile, come il pavimento cosmatesco,
i musaici dell’abside e della facciata, i resti di altari quattrocenteschi,
il soffitto di Alessandro VI e gli altari e le tombe del Seicento e
del Settecento. Ognuno di tali elementi ha il suo valore ed il suo significato
e non può senza grave danno per la storia e per l’arte
esser mutato o rimosso per una personale preferenza, per il prevalere
di altri periodi.
Così per, la volta eretta dal cardinale d’Estonteville
alla fine del Quattrocento sul transetto. La mania del restauro ad oltranza
ha in un primo tempo chiamato in aiuto le ragioni statiche per decretarne
la distruzione; ed invero la sua spinta deve in un primo tempo esser
stata causa di una lesione che si è riscontrata nella chiave
dell’arco trionfale, la quale però non esce dal carattere
di quegli assestamenti che non mancano in qualunque vecchio edificio.
Poiché pareri unanimi di tecnici ed opere di rinforzo accuratamente
eseguite hanno escluso ogni pericolo, la mania del restauro ha seguitato
ad esercitare la sua suggestione ed ha ottenuto alfine l’abbattimento
della volta: deplorevole non soltanto per la pagina di storia del monumento
che cancella, ma pei quesiti che presenta come conseguenza necessaria,
e che non possono risolversi altro che con falsificazioni ed aggiunte
arbitrarie. L’alto transetto che viene così a scoprirsi,
presenta, è vero, traccie di interessanti pitture dei primi del
Trecento, forse della scuola del Cavallini, ma talmente indebolite e
mutile da essere prive ormai di funzione decorativa; e converrà
ridipingerle, completarle con l’aggiunta di altre opere pittoriche
dieci volte più estese di quelle autentiche; converrà
provvedere alla copertura che rimarrà visibile dal basso e che
invece la volta nascondeva. E come conformarla? Inventando capriate
apparenti dipinte? O ripetendo un soffitto analogo a quello sangallesco
esteso sulla nave centrale?
In questi casi si sa come si comincia e non si sa come si finisce. I
problemi tra loro incatenati portano inevitabilmente lontano e da una
prima opera che sembra modesta, finiscono a mutare l’aspetto ad
un monumento sostituendo un falso in luogo del vero.
Il deplorevole spostamento dell’abside della basilica lateranense,
avvenuto sotto papa Leone XIII non ha dunque insegnato nulla?
G. GIOVANNONI.
CAGLIARI. - È prossima ad essere terminata la nuova facciata
della Cattedrale, che sorge nel punto più alto della vecchia
città: ed è forse uno dei maggiori restauri di innovazione
che sono in corso nel momento attuale in Italia.
Il disegno qui unito, dovuto al chiaro arch. prof. Giarrizzo, ne mostra
le linee: è una facciata pisana, come son pisane quasi tutte
le chiese medioevali sarde, coi tre portali tra le arcatelle cieche
nella zona basamentale e con la serie di gallerie nella parte superiore.
Ed il disegno è bello, ma purtroppo la attuazione, quale appare
ormai nel lavoro quasi finito è disastrosa!
La inesorabile regolarità meticolosa delle linee, la finitezza
degli ornati tutti uguali, il senso del simmetrico, del rigido, del
vignolesco che pervade tutta l’architettura della facciata rappresentano
il maggior contrasto col carattere stilistico che si è voluto
seguire e dànno all’osservatore una triste impressione
di freddezza banale, compassata ed inarmonica che si sostituisce alla
vibrante vivezza delle facciate autentiche, in cui la libera collaborazione
degli artefici accendeva quella che il Ruskyn chiama “la lampada
della vita”.
La colpa dell’insuccesso non è dell’architetto valoroso,
non degli esecutori, che hanno lavorato troppo bene, ma del principio.
Quando si comincerà ad intendere che le forme architettoniche
medioevali, quando si esca dalle espressioni semplici e soltanto geometriche,
non sono suscettibili di essere imitate o portate ad espressioni nuove?
Nessuna energia di artista, nessuna valentia di artefici potrà
togliere a queste opere il carattere di falsificazione mal fatta da
cui esula ogni significato ed ogni sentimento d’arte, e tutto
un magnifico sforzo andrà, come appunto è avvenuto a Cagliari,
perduto.
G. G.
PAVIA. S. Pietro in Ciel d’Oro. - La bella basilica lombarda,
ricordata da Dante e dal Boccaccio, sta per ricevere la non desiderata
aggiunta di un campanile.
Ad ognuna di queste opere di innovazione su antichi monumenti, si risollevano
le discussioni ed i quesiti sui restauri, ed, a voler essere franchi,
nessuna formula riesce a risolverli adeguatamente.
Si può vietare in modo assoluto che una fabbriceria od un monastero
voglia munire di un campanile una chiesa che non sia monumento-museo,
ma abbia ancora la sua vita e la sua funzione? Evidentemente no. Ed
allora come eseguirlo? In uno stile similare all'antico: falsificazione,
quasi sempre banale e grossolana. In uso stile del Rinascimento, come
quello che ancora nelle espressioni monumentali è più
radicato nella nostra coscienza d’arte: falsificazione ed arbitrio.
In uno stile moderno “alla moda ” è arbitrio, disarmonia,
carattere effimero. In una forma puramente costruttiva; rinunzia ad
ogni espressione d’arte, condanna pietosa del nostro tempo, che
nessuno (e meno di tutti i donatori ed il popolo) vorrà accettare.
La semplicità delle linee, il ricorrere ad elementi geometrici,
il designare onestamente la data delle parti aggiunte, sono mezzi che
possono diminuire gli inconvenienti insiti in ciascuna delle soluzioni
suaccennate, ma non toglierli. Essi permangono tali da non potere, come
formula generale, imporne una ad esclusione delle altre.
Sono queste le ragioni per cui il Consiglio Superiore delle Belle Arti
in un recente suo voto non ha creduto di potere opporsi alla costruzione
di un campanile romanico, di forma semplice e sobria, progettato per
la basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro. Solo ha richiesto che
il campanile non facesse parte del corpo della chiesa e ne venisse distaccato,
come opera completamente nuova, ed ha raccomandato che una serie di
testimonianze epigrafiche indicasse il tempo dell'aggiunta.
G. G.
RECENSIONI
A. W. CLAPHAM. - English Romanesque Architecture before the Conquest.
- Oxford, 1930. 30 scellini, pagine XX, 168; 65 tavole e 52 illustrazioni
nel testo.
Questa volume, riccamente illustrato, tratta dei primi due periodi
dell’architettura romanica in Inghilterra, che si svolgono nei
secoli VII-VIII e X-XI, fino cioè alla conquista avvenuta per
opera dei Normanni nell’anno 1066. Non esisteva finora una trattazione
complessiva di questo soggetto, poiché l'architettura e la scultura
decorativa erano state studiate separatamente. Può sembrare che
l’architettura romanica inglese abbia prodotto degli effetti modesti,
ed infatti, come dice l’autore, con essa, siamo ad un livello
più basso, è vero, dell’architettura gotica (che
ha prodotto dei risultati quasi perfetti ed alla quale l’arte
romanica ha servito quasi d’introduzione) ma il suo risultato
è stato più intimo e socievole. La sua espressione, quantunque
ricca e varia, ha tutte le debolezze ed imperfezioni proprie ad un’
arte in istato d’evoluzione illustrando così bene la mentalità
dei suoi autori ed il periodo nel quale sorse.
Questi primordi comuni hanno però un interesse speciale, e furono
già trattati nel secondo volume dell’Architettura lombarda
del Rivoira, opera che pare non sia stata tenuta abbastanza in conto
dal nostro autore, che la cita una sola volta (1).
Dopo il Rivoira, altri studiosi hanno voluto cambiare un poco la datazione
da lui proposta, per lo più anticipandola, specialmente per ciò
che riguarda le chiese sassoni del secondo periodo (2) delle quali si
parlerà tra breve. Anche queste non sono molto grandi, poiché
le magnifiche cattedrali romaniche di cui l’Inghilterra si vanta
furono tutte costruite dopo la conquista normanna (3). Le chiese del
primo periodo possono essere divise in due gruppi principali, uno nel
sud-est dell'Inghilterra, nella contea dì Kent, e l’altro
nella Northumbria, cioè nell’estremo nord-est del paese.
Il gruppo di Kent fu costruito da maestranze italiane o galliche condotte
da S. Agostino (597 in poi): tutte queste chiese furono edificate prima
della venuta di S. Teodoro e Sant’Adriano nel 669. Sono piccole
chiese ad una sola navata con abside, e con una coppia di camere laterali
esterne fra la navata e l’abside, e qualche volta con un’altra
coppia al di fuori della navata. Queste camere si ritrovano nelle chiese
del V e VI secolo nella Siria e nell’Africa settentrionale, ma
non a Roma né nell’Italia occidentale. L'abside è
della medesima larghezza della navata, divisa da essa per mezzo di una
triplice arcata, come nella cappella dell’Episcopio a Parenzo:
la pianta in genere pare sia di origine italiana, con una forte influenza
orientale piuttosto che romana, la quale però può essere
venuta dall’esarcato bizantino od anche da Roma stessa, e non
necessariamente da un centro più lontano.
Invece, dopo l’anno 669, abbiamo una chiesa di primissimo ordine,
forse la più grande di quell’epoca che si possa additare
a nord delle Alpi, quella di Brixworth (Norlthants) già illustrata
dal Rivoira.
Le chiese più antiche dell’altro gruppo si trovano a Monkwearmouth,
Jarrow, Escomb e Corbridge, e vengono attribuite allo stesso secolo
VII, ma non colla stessa certezza, poiché questa datazione dipende
dall’identificazione delle due prime con quelle costruite da Benedetto
Biacop, il quale avrebbe portato delle maestranze dalla Gallia in Inghilterra,
ove venne insieme con Teodoro. II Rivoira è dello stesso parere,
salvo per la terza, quella di Escomb, che egli vorrebbe assegnare ad
età più tarda, cioè al sec. XI.
Anche la scultura delle grandi croci di pietra è superiore ad
ogni altro lavoro contemporaneo del genere, mentre la forma dei monumenti
stessi non si riscontra altrove. Nel passato sono state attribuite ad
epoche diverse; quelle di Ruthwell e di Bewcastle vengono ora assegnate
od alla fine del sec. VII oppure al principio dell’ VIII, mentre
il Rivoira, che pure le descrive, preferisce metterle nel secolo XII
per ragioni stilistiche, ammettendo invece il secolo VII per i frammenti
dalle croci del sepolcro di Acca, vescovo di Hexham, che crede essere
lavoro francese. Il Clapham segue il Brönsted nel supporre che
tali lavori stano ispirati da scultori orientali o forse ravennati,
probabilmente eseguiti da lavoratori indigeni, eccezione fatta per i
frammenti di Hexham, che egli crede lavoro straniero.
Quanto alle chiese del secondo periodo, delle quali le più grandi
(4) sono sparite, il Baldwin Brown (5) aveva già proposto di
assegnarle alla seconda metà del secolo X: ed ora il Clapham
preferisce per alcune una data un pò più remota, cioè
la prima metà dello stesso secolo. Il Rivoira aveva espresso
molto chiaramente e decisivamente le sue conclusioni, attribuendo ad
una data abbastanza avanzata nel sec. XI il gruppo di chiese, di cui
Barnack, Barton-on-Humber ed Earls Barton, sono i migliori esemplari.
“Dalla disposizione per fianco e per alto delle pietre”
- egli dice – “da noi veduto in San Pietro di Monkwearmouth
(a. 675) non risulta, giudicando secondo i monumenti tuttora esistenti,
che se ne estendesse l’uso nella Gran Brettagna, come ripiego
ora costruttivo, ora decorativo ed ora costruttivo e decorativo insieme,
applicato o solamente alle aperture, od anche nelle spigolature sporgenti,
prima del regno di Edgar (a. 957-975). Il quale modo di murare, accompagnato
alla decorazione delle lesene raggiunse, a mio avviso, la massima espressione
decorativa nei monumenti dell’utima età anglosassone”
(6).
Ed ancora “sono da rilevarsi nella fabbrica (di San Pietro di
Barton-on-Humber) due caratteristiche - le balaustre delle aperture
bifore coi loro coronamenti, e la decorazione ad arcatelle - come gli
unici elementi che possono darci una qualche luce sulla loro cronologia:
che già il Baldwin Brown ha fissato, andando contro corrente,
nell'ultima parte del secolo X... Talché, tutto ben pesato, e
tenendo presente che... il primo affacciarsi nella Gran Brettagna del
motivo delle lesene applicato alla decorazione delle chiese non avvenne
in età anteriore a Dunstan e prima del 965, ma dovè accadere
avanti il 1034..., non ci scosteremo molto dal vero, stabilendo la chiesa
di Borton-on-Humber... nei primi anni del regno di Edoardo (a. 1042
0 1043 1066)” (7).
Il Clapham, trattando delle varie forme di capitelli che si riscontrano
nelle chiese inglesi di questo periodo, non pare che voglia ammettere,
come invece sostiene il Rivoira, l’influenza lombarda, ma non
si pronunzia definitivamente nella questione della loro origine. Tutta
l’architettura ed arte ecclesiastica dell’epoca sassone
in Inghilterra ha avuto uno sviluppo assai particolare e richiedeva
una trattazione a sé, come ora l'ha avuta nel bel libro che ci
sta dinnanzi (8).
È molto notevole che anche le cripte, due delle quali sono databili
all’ultimo quarto del secolo VII (Hexham e Ripon) non abbiano
riscontro in Italia, cosicché si può soltanto desumere
che siano state copiate da S. Pietro vecchia, mentre la cripta di S.
Grisogono (9) non è anteriore all’anno 730.
Entrando in alcuni particolari troviamo che il Clapham (10) pare che
non abbia visto il rapporto più recente sugli scavi di Parenzo
(11) ove viene detto definitivamente che nel 1922-26 fu accertato che
il bel mosaico esterno alla Cappella di S. Mauro (lato N del Duomo)
costituisce un tutto unico con il tratto ad essa sottostante, contrariamente
all’opinione fino allora prevalsa, che questo fosse una sala privata
dell’abitazione del vescovo Mauro, convertita in oratorio lui
vivente, e non ingrandita in chiesa se non dopo la pace di Costantino.
La pianta mostra chiaramente che si tratta di un tutto unico, di una
chiesa vera e propria, che non può essere stata costruita se
non dopo il 313.
Quanto alla basilica di Porta Maggiore (12) dopo quanto è stato
scritto, si potrebbe, crederei, accettare l’idea che abbia da
fare col neo Pitagorismo. Pochi invece sono i confronti con monumenti
italiani; poiché all’A. preme più di ogni altra
cosa mostrare la singolarità dell’architettura di cui tratta.
Bisogna poi ricordare che il Clapham dichiara nella prefazione che egli
ha tentato di fare una descrizione consecutiva e logica di quell’epoca,
e con questo scopo non ha esitato di riempire le lacune con teorie proprie
che potranno essere convalidate o no da ulteriori ricerche. In conseguenza
egli ha fatto sempre distinzione tra fatto e teoria, in modo che il
lettore possa sempre sapere ciò che potrà respingere,
se vorrà farlo. Ha testato inoltre di non turbare le questioni
adducendo troppi esempi o descrivendo a lungo i singoli oggetti: invece
ha lasciato parlare le illustrazioni, avendo capito per esperienza purtroppo
amara che un’illustrazione vale più di molte pagine stampate.
E in ciò, come in molte altre cose, ha perfettamente ragione.
TH. ASHBY.
(1) Pag. 109, n. 1.
(2) È doveroso dire che nella seconda edizione del lavoro del
Rivoira, che uscirà prossimamente in inglese, si terrà
debito conto di tutte queste nuove vedute.
(3) Il Clapham (pag. 77) però crede che l’architettura
sassone dal IX secolo fino alla vigilia della conquista normanna abbia
prodotto delle grandi chiese (ora sparite) che, sebbene più piccole
di quelle contemporanee d'Europa, fossero però, come importanza,
non inferiori ad esse: e che almeno nelle arti minori la conquista normanna
sia stata una rovina, cancellando una buona tradizione ed una tecnica
provetta, per sostituirvi un’arte semibarbarica che fece poco
e male.
(4) V. pag. 87 e segg. ove viene rilevato che sembrano aver avuto vari
punti di somiglianza colle chiese Carolinge: importanza quasi uguale
data alle due estremità dell’edifizio, doppie torri lungo
l’asse maggiore, coppie di torri minori contenenti scale come
ha rilevato il Rivoira, di origine romana (v. per es. le terme diocleziane)
e l’atrio direttamente derivato dal Duomo di Aquisgrana (pagg.
146 e segg).
(5) The Arts in Early England, II (1925).
(6) Arch. Lombarda, II, 310.
(7) Ivi, 331, 332.
(8) Anche la scultura figurata ancora non permette una classifica né
si lascia confinare entro uno schema cronologico. Un pezzo che sta a
sé è una Vergine col Bambino da York, attribuita al sec.
XI, rassomiglia molto ad una scultura trovata nel 1922, ed ora conservata
nel Museo di Costantinopoli: e non mancano altri paralleli in Italia
ed anche in Germania. Se il pezzo di York possa essere di importazione
non viene detto, né si potrà sapere senza conoscerne prima
il materiale comparativo.
(9) RICCI, Romanesque Architecture in Italy, p. VIII.
(10) Pag. 2 e segg.
(11) TAMARO in Not. Scavi, 1028, 411.
(12) CLAPHAM, 5, 6.
NOTIZIARIO TECNICO
COPERTURE VETRATE
Nell’architettura di oggi, e per essa principalmente negli edifici
destinati a scopi sanitari, sportivi o industriali, una funzione di
primissimo ordine spetta alle superfici vetrate. Esse permettono alla
luce naturale di penetrare abbondantemente negli ambienti dell’edificio
e la buona illuminazione naturale oltre che vantaggiosa dal lato igienico
e di benessere per coloro che debbono negli edifici lavorare a lungo,
è altresì fonte di tornaconto economico per l’industriale
ed indice della sua sana mentalità organizzatrice.
L’architetto di spirito moderno sente istintivamente questo bisogno
che rappresenta una delle caratteristiche delle nuove espressioni architettoniche,
ma la realizzazione pratica di grandi superfici vetrate è cosa
tutt’altro che semplice.
Non parliamo qui di grandi coperture vetrate mobili, come, per esempio,
quelle costruite sulla terrazza di un grande albergo di Berlino dove
un salone vetrato di m. 70 per m. 9 può essere, mediante movimento
elettrico, aperto completamente e trasformarsi in giardino aperto. Entrano
allora in giunco altri elementi che complicano la costruzione delle
parti vetrate ed in primo luogo precisamente le vibrazioni a cui sono
soggette queste vetrate mobili. Si comprende che le barre portavetri
di queste coperture debbano avere elementi elastici tali da assorbire
le vibrazioni che possano danneggiare le lastre di vetro.
Ma, senza divagare, dobbiamo osservare che grandi superfici vetrate
si possono realizzare con vari sistemi, completamente diversi come principio;
per ora lasciamo da parte le vetrate verticali o formanti parete, come
pure le coperture vetrate composte di vetro-cemento armato. Se si volesse
entrare nell’esame di queste strutture e di tutte le loro particolarità,
si finirebbe con il comporre, bene o male, un vero trattato: lo scopo
di questa rubrica invece è di dare soltanto dei cenni su dettagli
costruttivi più o meno noti.
Soffermiamoci perciò agli appoggi per lastre di vetro nelle coperture
vetrate, ai cosiddetti portavetri.
E questo con speciale riguardo agli edifici di carattere industriale
in cui le superfici vetrate rappresentano una forte percentuale dell’area
totale coperta.
Tutti noi tecnici abbiamo riscontrato come la principale difficoltà,
nell’applicazione di lastre di vetro, sia precisamente nel foro
appoggio che dovrebbe essere stabile, leggero, impermeabile all’acqua,
alla polvere, che sia atto ad impedire gocciolamento d’acqua infiltrata
o condensata, eco. Questi “portavetri” consistono principalmente
in profilati di ferro omogeneo o di acciaio, e debbono perciò
essere protetti contro le corrosioni facilissime negli stabilimenti
industriali, stazioni ferroviarie, ecc. I vecchi tipi di lucernari a
mastice non rispondono certo alle esigenze costruttive odierne ed i
portavetri più perfezionati hanno, chi in una forma chi in un’altra,
tentato l’abolizione del mastice per realizzare ugualmente una
perfetta stabilità e tenuta delle lastre di vetro.
Il cemento armato non ha mancato di portare il suo contributo innovatore
anche in questo campo della costruzione edilizia, per mezzo delle interessantissime
applicazioni del vetrocemento basate su elementi vitrei a forma di piastrelle,
di lastre, di dischi, ecc.
Ma rimanendo nell'argomento del portavetri senza mastice esaminiamo
dettagliatamente alcuni sistemi più caratteristici che adempiono
al loro scopo pur con forme alquanto diverse.
Ci piace illustrare i prodotti “Vittoria” e “Wema”
(della Soc. An. Costruzioni Impianti Lucernari - Milano) che riproduciamo
nelle figg. 1-2-3-4, e che sono del resto fra i più usati nella
castrazione. Essi sostanzialmente consistono in profili di ferro omogeneo
laminato a caldo a forma di U con delle espansioni alla estremità
superiore delle ali. II primo incavo (vedi figure) di questa espansione
serve come sede della treccia di amianto rivestita di piombo che forma
l’appoggio diretto del vetro e che, con la pressione ottenuta
per mezzo delle viti, realizza un’ottima chiusura: altrettanto
si ottiene nella parte superiore per mezzo del coperchio (che può
essere in lamiera, in zinco, in piombo o in vetro, come nelle figure
è appunto dimostrato). L’interno del ferro a U funziona
anche come una canalizzazione atta a ricevere le eventuali infiltrazioni
perché può raccoglierle e convogliarle agli scarichi.
I detti portavetri, perché abbiano una protezione contro le corrosioni,
a seconda della loro importanza, sono verniciati o con soluzione antiruggine,
o zincati, o, anche meglio, piombati.
Per i casi in cui si reputi necessaria la protezione contro eccessivi
disperdimenti di calore si costruiscono portavetri a doppia vetratura
con camera d'aria (fig. 5), (figg. 6 e 7 vista di vetrate S. A. C. I.
L.).
Nello stabilire la portata dei portavetri bisogna tener presente lo
scomparto dei vetri (che varia di 3 in 3 cm.) e della pendenza data
alla copertura. Con i tipi della S. A. C. I. L. si possono ottenere
portate libere fino a circa 5 metri.
Criterio completamente diverso ha informato i costruttori del portavetri
brevettato " Eclipse " (fig. 8) che si compone di un profilo
di acciaio dolce a forma di T capovolto con due scanalature sulle superfici
superiori della base. L'acciaio è completamente rivestito di
piombo dolce puro previa applicazione di uso strato di soluzione antiruggine.
Anche i fori di fissaggio e le estremità delle barre sono protetti
nello stesso modo. Della barra fanno parte solidale tre alette di piombo
per ogni lato, alette che adempiono alla funzione di chiusura e d’appoggio
per la lastra di vetro. Si noterà dalla figura che il vetro è
fermato e preso in mezzo a queste alette senza aiuto di viti od altri
apparecchi di pressione: ciò rappresenta un vantaggio costruttivo:
naturalmente necessita una notevole accuratezza nella messa in opera
dei vetri onde evitare eventuali distacchi delle alette di piombo.
Questo portavetro si costruisce in tre tipi che differiscono solo per
le dimensioni: le portate libere possono giungere a m. 2,90.
Nelle figg. 9 e 10 diamo un interno di opificio ed un dettaglio di costruzione
del portavetro “Eclipse”.
Un altro buon tipo di portavetro è raffigurato nei due primi
tipi della fig. 13 in cui la barra ha una forma circa di doppio T. I
difensori di questo tipo di cui la barra è facilmente accessibile
da ogni lato ne sostengono la facilità di manutenzione con pulizia
e verniciatura. Anche qui l’appoggio dei vetri avviene su lastrine
di piombo; l’acqua che possa infiltrarsi o condensarsi è
raccolta e convogliata dalle grandi ali inferiori della barra.
La descrizione di questi tre tipi di portavetro dà una chiara
idea dei criteri costruttivi seguiti nella produzione industriale di
questo accessorio dell’edilizia.
È però interessante vedere anche il tipo "Wimdekmecht"
che è appunto applicato nelle costruzioni vetrate mobili.
Si tratta di un ferro a U (fig. 11) nel quale è incastrato un’altra
parte su cui appoggiano le lastre di vetro, e che è formata da
lamina di acciaio elastica. Questa è fissata al ferro a U per
mezzo di bulloni trasversali: però dei fori ovalizzati concedono
una certa possibilità di spostamenti verticali. Nella fig. 12
si vede un campo da tennis coperto con tettoia vetrata mobile sistema
Windeknecht.
Con questo sistema sono in gran parte eliminate le rotture dei vetri
dovute a vibrazioni.
Perché i lettori abbiano una specie di rassegna completa dei
principali tipi di portavetri, riproduciamo una serie di sezioni di
tipi diversi (fig. 13); sarà facile comprenderne le varie caratteristiche
e lo spirito innovatore dei vari industriali produttori.
GAETANO MINNUCCI.
SINDACATO NAZIONALE ARCHITETTI
PAGINE DI VITA SINDACALE
IL XIII CONGRESSO
DELLA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE
DELL’ABITAZIONE E DEI PIANI REGOLATORI
Il primo giugno si aprirà a Berlino il XIII congresso della
Federazione Internazionale dell’Abitazione e dei Piani regolatori,
del cui programma e delle cui caratteristiche abbiamo dato
notizia nel fascicolo di marzo.
E' annessa un’ esposizione internazionale sul tema, a cui l’Italia
ha partecipato riunendo in un riuscitissimo stand quanto di meglio è
stato da noi realizzato nel tema. Espongono il Governatorato di Roma
(con uno documentazione ampia e molto a mirata dello studio di piano
regolatore redatto, com’è ben noto, lo scorso anno), il
Comune di Milano, i comuni di Brescia, Torino e Bari. Espongono nel
tema dell’abitazione, gli Istituti per le case popolari di Roma
e di Milano.
ASSEMBLEA NAZIONALE DEL SINDACATO.
Nella seconda quindicina del mese di giugno avrà luogo in Roma
l’assemblea generale dei Sindacati Regionali ed Interprovinciali.
CONCORSI
CONCORSO PER IL MONUMENTO
AL CARDINALE GIUSEPPE BENEDETTO DUSMET
IN CATANIA
Verrà elevato in Catania, Piazza S. Francesco d’Assisi,
un monumento all’Arcivescovo Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet,
che dovrà illustrare in bronzo la vita e le opere del santo Arcivescovo
e raffigurarlo in abito benedettino.
I concorrenti possono svolgere il tema in modo esclusivamente scultoreo
oppure scultoreo architettonico.
Il Comitato corrisponderà al vincitore Lire 80.000 per l’esecuzione
e posa in opera del monumento, escluse le opere di fondazione e la fornitura
del marmo grezzo, che il Comitato fornirà.
Il termine per la presentazione dei progetti è le ore 16 del
31 luglio 1931.
Per ulteriori schiarimenti rivolgersi alla Segreteria del Comitato:
Palazzo Arcivescovile, Catania.
ESITO DEL CONCORSO
PER IL PIANO REGOLATORE DI GENOVA
La commissione esaminatrice del Concorso per il piano regolatore di
Genova ha classificato i 20 progetti presentati. La graduatoria è
risultata la seguente:
1) Ing. Aldo Viale e prof. Giulio Zappa (progetto Janua);
2) Ing. Luigi Carlo Daneri e Luigi Ferrari (Progetto Januensis Ergo
Mercator);
3) Arch. Griffini, Bottoni e Pucci (Progetto Antoniotto Usodimare).
Vennero ammessi al rimborso delle spese l’arch. Giuseppe Crosa
(progetto Maktub), gli arch. Fineschi, Renato Haupt e Castello (Progetto
Balilla), gli Ing. Della Valle, Dodero, e sig. Ferrarini (progetto Post
Fata Resurgam).
I risultati del Concorso per il piano regolatore di Genova verranno
prossimamente illustrati nella nostra Rivista.
N.B. - A proposito dell’esito di detto concorso è pervenuto
al Segretario Nazionale dal Sindacato Architetti una protesta di alcuni
concorrenti: protesta che è stata trasmessa al Podestà
di Genova.
PROROGA DEL CONCORSO
PEL PROGETTO DELLA SEDE DEL MERCATO
DEL GRANO IN FOGGIA
Il Sindacato Nazionale Fascista Ingegneri comunica che il termine del
concorso per il progetto della sede del Mercato del Grano e del Mercato
della Lana con ampliamento della sede del Consiglio Provinciale della
Economia di Foggia (v. fascicolo aprile 1930) è stato prorogato
di due mesi e cioè al 10 agosto p. v.