IL CONCORSO PER IL PENSIONATO D’ARCHITETTURA
1930
L’interesse per il Concorso Nazionale del Pensionato d’Architettura
era andato scemando negli anni del dopoguerra: causa non ultima l’esiguità
della borsa concessa al vincitore, insufficiente per vivere indipendentemente
a Roma, in modo anche modestissimo; per cui i giovani non erano indotti
a sopportare volentieri rischio e fatica quando l’esito, anche
ottimo, avrebbe loro presentato tanti punti interrogativi.
Da qualche anno osserviamo però con piacere risollevarsi le sorti
della competizione: buono fu il risultato della penultima, confortevole
davvero quello dell’ultima, che qui illustriamo.
Il tema era attraente, attuale, ricco: il progetto di un’Ambasciata
italiana in una capitale dell’America latina; ambiente dunque
sufficientemente libero da contatti storici per consentire una composizione
del tutto spontanea e moderna, ma tale da indicare insieme alcuni limiti.
L’edificio si doveva svolgere su di un’area rettangolare
con lati di m. 60 e m. 50, circondata da tre strade larghe 30 metri,
e prospiciente su di una larga piazza. La superficie totale, di mq.
3000, doveva essere coperta per due terzi e per il resto coltivata a
giardino.
Nell’edificio, oltre agli ambienti di ricevimento e rappresentanza,
e a un sontuoso alloggio per l’ambasciatore, dovevano aver posto
trenta ambienti organizzati in uno speciale settore destinato agli uffici.
Numerosi i concorrenti: la commissione di giudizio, composta dagli Accademici
architetti Piacentini e Bazzani, dall’onorevole arch. Alberto
Calza-Bini, dagli architetti Francesco Fichera ed Enrico Del Debbio,
dichiarò vincitore l’arch. Mario Ridolfi di Roma, a cui
fu attribuito il pensionato. Altri lavori furono giudicati degni di
attenzione: fra cui quello dell’arch. Renier Adami, che qui pubblichiamo
insieme col progetto classificato primo.
Mario Ridolfi, laureato alla Scuola Superiore d’Architettura di
Roma l’anno scorso, è già simpaticamente noto ai
lettori della Rivista come artista dalla sensibilità francamente
moderna; quando non s’intenda con ciò qualificare una tendenza
estrema e parziale dotata soprattutto di valor polemico, volta esclusivamente
e con evidente difetto di giudizio applicantesi più alla teoria
che alla pratica, a trasferire i valori plastici dal campo della sensibilità
e della fantasia formativa a quelli del raziocinio costruttivo; e quando
invece s’intenda con tale appellativo indicare lo sforzo sano
della nostra generazione, d’indirizzare le facoltà fantastiche
verso l’uso di mezzi espressivi che non ostino o velino, ma anzi
nascano in unità concorde con le realtà tecniche e dispositive
delle fabbriche attuali.
I pregi migliori del progetto Ridolfi risiedono appunto nelle intrinseche
qualità formative planimetriche e volumetriche.
Nel suo Palazzo per l’Ambasciata italiana ci piace la sagacia
con cui egli ha fatto giocare nelle zone più in vista del complesso
plastico i luoghi più nobili ed attraenti dell’edificio,
e specialmente il giardino che, chiuso fra i due corpi di fabbrica principali,
giunge ad affacciarsi sul prospetto frontale, dividendone l’insieme
in due parti di analoga e armonica proporzione, quella di sinistra stesa
orizzontalmente e forata da numerose e geometriche aperture, quella
di destra verticale e piena; le due parti sono congiunte con un portico
in cemento armato, dai lievi sostegni, attraverso cui si vede il giardino
ricco di verde e d’acqua, allietato da statue, chiuso nello sfondo
da un decorato ninfeo.
Ci piacciono nella fabbrica la continuità, la cubicità,
la ferma schiettezza dei volumi, privi di pleonasmi pittoreschi, reagenti
fra loro soprattutto in virtù dei reciproci rapporti di forma
e massa, e per il contrasto di peso tra intere zone di pareti ove s’aprono
i vuoti e altre del tutto solide e chiuse.
Né l’architettura può dirsi povera; è anzi
pervasa da una sensibilità un po’ scarna e lineare, ma
vigorosa e aristocratica, fatta da sobri e decisi elementi capaci di
segnare subito un carattere ed una volontà. Si risente in essa
da lontano il pompeiano; talune forme, come ad esempio gli obelischi
posti davanti alla facciata, benché si ispirino direttamente
al modello romano, sono tuttavia robustamente assimilate, sicché
nell’insieme può dirsi raggiunta una sintesi unitaria veramente
moderna e originale. Alcuni dettagli un po’ incerti, quali ad
esempio il poco convincente attacco del portico in cemento armato ai
muri di prospetto rivestiti di marmo, o l’ubicazione delle lapidi
decorative, interrompenti la cornice di davanzale, e stilizzanti drappi
sporti dalle finestre, velano di poco il piacere che abbiamo dal lavoro
del Ridolfi, ottima promessa per ulteriori progressi.
Il progetto dell’arch. Adami segue da lontano il vincitore: ha
una pianta meno interessante, più vicina ai tipi classici consueti:
la composizione della fronte, ispirata pure al classico, è peraltro
nobile per bontà di proporzioni e per moderno sintetismo di forme.
Non possiamo per brevità, produrre ulteriore documentazione dei
lavori presentati al Pensionato 1930, di cui altri sarebbero stati meritevoli
di menzione: riconfermiamo la speranza già espressa che la gara
biennale torni a riprendere l’interesse di cui godette per alcuni
anni nell’anteguerra.
Ora, mentre le tendenze architettoniche si sono chiarificate e la crisi
di formazione sta per sboccare verso indirizzi definitivi, una regolare
e fervida partecipazione alla gara giovanile produrrebbe frutti sempre
più confortevoli e fecondi
.
PLINIO MARCONI.