FASCICOLO VIII - APRILE 1931
PLINIO MARCONI : Il concorso per il Pensionato d'Architettura 1930, con 14 illustrazioni

IL CONCORSO PER IL PENSIONATO D’ARCHITETTURA 1930


L’interesse per il Concorso Nazionale del Pensionato d’Architettura era andato scemando negli anni del dopoguerra: causa non ultima l’esiguità della borsa concessa al vincitore, insufficiente per vivere indipendentemente a Roma, in modo anche modestissimo; per cui i giovani non erano indotti a sopportare volentieri rischio e fatica quando l’esito, anche ottimo, avrebbe loro presentato tanti punti interrogativi.
Da qualche anno osserviamo però con piacere risollevarsi le sorti della competizione: buono fu il risultato della penultima, confortevole davvero quello dell’ultima, che qui illustriamo.
Il tema era attraente, attuale, ricco: il progetto di un’Ambasciata italiana in una capitale dell’America latina; ambiente dunque sufficientemente libero da contatti storici per consentire una composizione del tutto spontanea e moderna, ma tale da indicare insieme alcuni limiti.
L’edificio si doveva svolgere su di un’area rettangolare con lati di m. 60 e m. 50, circondata da tre strade larghe 30 metri, e prospiciente su di una larga piazza. La superficie totale, di mq. 3000, doveva essere coperta per due terzi e per il resto coltivata a giardino.
Nell’edificio, oltre agli ambienti di ricevimento e rappresentanza, e a un sontuoso alloggio per l’ambasciatore, dovevano aver posto trenta ambienti organizzati in uno speciale settore destinato agli uffici.
Numerosi i concorrenti: la commissione di giudizio, composta dagli Accademici architetti Piacentini e Bazzani, dall’onorevole arch. Alberto Calza-Bini, dagli architetti Francesco Fichera ed Enrico Del Debbio, dichiarò vincitore l’arch. Mario Ridolfi di Roma, a cui fu attribuito il pensionato. Altri lavori furono giudicati degni di attenzione: fra cui quello dell’arch. Renier Adami, che qui pubblichiamo insieme col progetto classificato primo.
Mario Ridolfi, laureato alla Scuola Superiore d’Architettura di Roma l’anno scorso, è già simpaticamente noto ai lettori della Rivista come artista dalla sensibilità francamente moderna; quando non s’intenda con ciò qualificare una tendenza estrema e parziale dotata soprattutto di valor polemico, volta esclusivamente e con evidente difetto di giudizio applicantesi più alla teoria che alla pratica, a trasferire i valori plastici dal campo della sensibilità e della fantasia formativa a quelli del raziocinio costruttivo; e quando invece s’intenda con tale appellativo indicare lo sforzo sano della nostra generazione, d’indirizzare le facoltà fantastiche verso l’uso di mezzi espressivi che non ostino o velino, ma anzi nascano in unità concorde con le realtà tecniche e dispositive delle fabbriche attuali.
I pregi migliori del progetto Ridolfi risiedono appunto nelle intrinseche qualità formative planimetriche e volumetriche.
Nel suo Palazzo per l’Ambasciata italiana ci piace la sagacia con cui egli ha fatto giocare nelle zone più in vista del complesso plastico i luoghi più nobili ed attraenti dell’edificio, e specialmente il giardino che, chiuso fra i due corpi di fabbrica principali, giunge ad affacciarsi sul prospetto frontale, dividendone l’insieme in due parti di analoga e armonica proporzione, quella di sinistra stesa orizzontalmente e forata da numerose e geometriche aperture, quella di destra verticale e piena; le due parti sono congiunte con un portico in cemento armato, dai lievi sostegni, attraverso cui si vede il giardino ricco di verde e d’acqua, allietato da statue, chiuso nello sfondo da un decorato ninfeo.
Ci piacciono nella fabbrica la continuità, la cubicità, la ferma schiettezza dei volumi, privi di pleonasmi pittoreschi, reagenti fra loro soprattutto in virtù dei reciproci rapporti di forma e massa, e per il contrasto di peso tra intere zone di pareti ove s’aprono i vuoti e altre del tutto solide e chiuse.
Né l’architettura può dirsi povera; è anzi pervasa da una sensibilità un po’ scarna e lineare, ma vigorosa e aristocratica, fatta da sobri e decisi elementi capaci di segnare subito un carattere ed una volontà. Si risente in essa da lontano il pompeiano; talune forme, come ad esempio gli obelischi posti davanti alla facciata, benché si ispirino direttamente al modello romano, sono tuttavia robustamente assimilate, sicché nell’insieme può dirsi raggiunta una sintesi unitaria veramente moderna e originale. Alcuni dettagli un po’ incerti, quali ad esempio il poco convincente attacco del portico in cemento armato ai muri di prospetto rivestiti di marmo, o l’ubicazione delle lapidi decorative, interrompenti la cornice di davanzale, e stilizzanti drappi sporti dalle finestre, velano di poco il piacere che abbiamo dal lavoro del Ridolfi, ottima promessa per ulteriori progressi.
Il progetto dell’arch. Adami segue da lontano il vincitore: ha una pianta meno interessante, più vicina ai tipi classici consueti: la composizione della fronte, ispirata pure al classico, è peraltro nobile per bontà di proporzioni e per moderno sintetismo di forme.
Non possiamo per brevità, produrre ulteriore documentazione dei lavori presentati al Pensionato 1930, di cui altri sarebbero stati meritevoli di menzione: riconfermiamo la speranza già espressa che la gara biennale torni a riprendere l’interesse di cui godette per alcuni anni nell’anteguerra.
Ora, mentre le tendenze architettoniche si sono chiarificate e la crisi di formazione sta per sboccare verso indirizzi definitivi, una regolare e fervida partecipazione alla gara giovanile produrrebbe frutti sempre più confortevoli e fecondi
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PLINIO MARCONI.

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