CORRIERE ARCHITETTONICO
LA CASA DI LAVORO DEI CIECHI DI GUERRA IN
ROMA
L’Arch. Pietro Aschieri, per incarico dell’On. Carlo Delcroix,
ha architettato la casa di lavoro dei ciechi di guerra, che sorgerà
in Via Rovereto a Roma e di cui è già stata posta la prima
pietra. Nell’edificio, per cui è prevista la spesa di L.
1.500.000, troverà posto l’officina di protesi per mutilati,
e il laboratorio di maglieria; esso permetterà il soggiorno al
lavoro di 80 ciechi e di circa 100 ragazze per i lavori di bobinatura
e finitura. Ospiterà permanentemente 14 suore addette al servizio
e 24 uomini di truppa accompagnatori con graduato.
Oltre i laboratori veri e propri ed i servizi relativi, l’edificio
conterrà, distribuiti in tre piani fuori terra, oltre il seminterrato:
refettori, cucine e servizi per ciechi, suore e militari di truppa;
uffici di Direzione;
locali di rappresentanza e trattenimento, (atrio, salone per musica
e conferenze, biblioteca, sala di lettura, oratorio, ecc.);
magazzini, garages, lavanderia;
alloggi per circa 30 ciechi di passaggio.
L’Arch. Aschieri, in una sua relazione al progetto, dice di essersi
proposto nel redigerlo i seguenti obiettivi principali:
1. - che la forma della pianta discenda con spontanea e logica aderenza
dalla configurazione del terreno;
2. - che la successione e la posizione relativa dei vari servizi sia
la più comoda, pratica, e quella che risponde nel modo migliore
al loro funzionamento;
3. - che l’organismo dell’edificio sia tale da garantire
in modo assoluto la ventilazione e l’illuminazione (i ciechi sentono
se l’ambiente è illuminato o no, vogliono la luce) indispensabili
all’igiene di locali in cui conviene al lavoro una notevole quantità
di individui.
Così continua la relazione Aschieri:
“L'edificio che ha in linea approssimativa la forma di un “S”
ripartisce il residuo terreno in cortili aperti e giardini fra loro
indipendenti, i quali hanno ciascuno una propria destinazione.
L’aspetto esteriore dell’edificio è l’immediata
derivazione della ossatura, dell’organismo, delle necessità
interiori della costruzione.
Superfici liscie, chiare, piene, che si alternano con le zone forate.
Assenza assoluta di decorazione (il laboratorio dei Ciechi di Guerra
non ha bisogno di figurazioni allegoriche e di finzioni ornamentali
per essere valorizzato).
Tutto l’effetto architettonico è basato sul gioco dei volumi
semplici, che io non ho voluto tormentare con fasciature o cornici;
dei rapporti delle masse, dei vuoti e dei pieni e della gamma dei colori.
L’intonazione generale dei colori sarà sui toni grigi e
andrà dal bianco (adoperato nei piani rientranti normali alle
pareti) al grigio ardesia delle scorniciature e delle parti scure (finestre,
rientri, zoccolatura).
I ferri dei finestroni saranno rosso vermiglio, le balaustrate metalliche
in alluminio.
Il prospetto in curva che si presenta come un trittico o una icona aperta
si lega al terreno con una linea di fontane ove l’acqua scende
in cascatelle su gradinate circolari. Il rumore dell’acqua in
movimento e il profumo dei fiori del giardino circostante saranno gli
elementi sensibili e vivi dell’edificio per i ciechi che lavorano
nell’interno.
La parte rientrante su strada che forma cortile aperto è quella
che contiene la maggior parte dei laboratori e i servizi ed ha l’aspetto
esteriore di un edificio industriale. Le parti rotonde che formano contrafforte
verso il cortile sono determinate dalla presenza, sull’angolo,
dell’oratorio.
L’ossatura in cemento armato della scala principale d'accesso
mostra sinceramente in vista le pareti in cemento naturale come restano
dal getto, semplicemente martellinate per regolarizzarne la superficie.
I gradini in marmo di colore lucidato restano incastrati fra le due
travate.
Dello stesso marmo lucido è il portale d’ingresso. Le ringhiere
laterali della scala sono in canna di ferro alluminato.
L’edificio, su questa fronte, si lega al terreno per mezzo di
scarpate seminate a prato alternate a ripiani coltivati a fiori.”
Con questa nuova opera l’Arch. Aschieri prosegue francamente nella
sua via che lo porta a realizzare opere dotate in sommo grado di libertà,
sanità e vitalità architettonica.
Anche in questo lavoro vediamo infatti le forme espressive essere esenti
da ogni retorica ed emergere dalla sostanza stessa della fabbrica per
aderenza diretta di sensibilità, esplicantesi in tutta la gamma
dei valori, da quelli più intimamente costruttivi agli altri
più particolarmente decorativi. L'organismo della pianta nasce
con chiarezza dalla forma del terreno, e si differenzia distributivamente
ed esteticamente in funzione degli ambienti ospitati, più larga
e sontuosa nella parte destinata a sale di soggiorno e rappresentanza,
ubicate nel corpo di fabbrica a settore circolare tra le due ali laterali,
più modesta ed utilitaria in quella adibita ai laboratori, affacciantesi
al cortile aperto rettangolare. I volumi sorgono accentuando il valore
espressivo delle forme planimetriche: con ampio respiro di pareti piene
e largo ritmo nella ripartizione dei vuoti nella zona più monumentale,
con secca e schematica cubicità dei laboratori. Gli elementi
decorativi di superficie, da cui esulano integralmente le forme pseudo
costruttive ed ogni diretta reminiscenza parassitaria, sono affidati
oltrechè alle forme, al valore di bellezza intrinseca delle sostanze
scelte per realizzarli e concorrono in definitiva a differenziare le
singole parti.
È da notar d’altra parte che gli stretti criteri di razionalità
e di interiorità architettonica recanti un’impronta di
fresca modernità all’opera dell’Aschieri, nulla tolgono
di calore e di fecondità artistica alle forme; la potenza formativa
ha potuto realizzarli non ai danni della ispirazione estetica, ma a
vantaggio di essa, che ne risulta soltanto più approfondita ed
appropriata.
N. D. R.
POSTO TELEFONICO DELLA “STIPEL”
A TORINO
A Torino, sotto i portici di Piazza Castello, la “Stipel”
ha inaugurato un posto pubblico telefonico con una modernità
di gusto che è altamente significativa.
Con una soluzione architettonica d’impianto veramente felice,
in un solo e vecchio locale, l’Ufficio Tecnico della Stipel, egregiamente
diretto dall’ing. Franco Del Corno, ha saputo trovar posto per
l’ingresso, per una saletta d’attesa posta in fondo al locale,
sopraelevata di cinque gradini, per una doppia fila di cabine disimpegnate
dalle balconate laterali e infine per i sottostanti uffici delle prenotazioni
e dei gettoni.
Tutto ciò è cosi bene coordinato e risolto che merita
una lode a parte.
Le fotografie illustrano chiaramente la decorazione della saletta d’attesa
affidata a Giulio Rosso, i soffitti, i pavimenti, i mobili, i rivestimenti.
Ogni cosa è stata eseguita con raffinatissima eleganza, con materiali
moderni, nuovi, gustosamente scelti ed accoppiati: radica di noce ed
ebano Macassar, palissandro e radica del Caucaso, marmo nero Piemonte,
rosso jaspè e viola antico, velluti, ringhiere in alluminio,
specchi, vetri e lampade razionali. Infine tutta la ricercatezza di
materiali che si suole accompagnare a quella linea un poco rude e scontrosa
che è entrata a caratterizzare lo stile di oggi e di domani,
non so se di dopodomani.
Un poco meno gustosa la facciata del locale, tutta in marmo, con una
grossa scritta e due aperture che si potevano forse comporre più
felicemente.
Ma si tratta di dettagli e la “Stipel” e l’ing. Del
Corno vanno incondizionatamente lodati per aver fatto eseguire un ambiente
che è certamente tra i più ricchi e belli del genere.
A. MELIS.
LA VILLA DELLA CONTESSA CASALINI
A LESA SUL LAGO MAGGIORE
dello Scultore FRANCO LOMBARDI
Merita davvero di essere segnalata questa costruzione, non di un architetto
consacrato ufficialmente, ma d’uno scultore: Franco Lombardi,
scultore milanese, favorevolmente conosciuto tra i migliori, scrupoloso
e cautamente moderno. E quest’è, dunque, la prima sua prova
nella maggiore delle Arti. Con tutta sincerità, noi architetti,
non possiamo che rallegrarcene.
È andata così. La Contessa Evelina Casalini gli aveva
dato, or è un anno, la commissione per una fontana da collocarsi
nel giardino prospiciente una sua villa di cui, su piani sommariamente
predisposti, s’era iniziato lo sterro a Lesa, in riva al Lago
Maggiore. Ed apprezzando subito quel che il Lombardi per la fontana
gli andava ideando, gli estese addirittura l’incarico anche per
la fabbrica. Cosicchè il neoarchitetto, pur dovendo utilizzare
certe murature già parzialmente gettate, modificando quà
e là i piani, riusciva, fuori terra, a crear opera del tutto
personale.
La villa è pressochè quadrata, ed il suo vivo è
occupato da un grande vestibolo che tutta l’attraversa, da giardino
a giardino, e da cui, per una scala a due rampe si accede ai piani superiori.
A terreno son sale, salotti, studi, cucina, servizi; al primo stanno
gli appartamenti notturni; al secondo, pur lasciando spazio per le stanze
del personale, ecco un vasto terrazzo che corre su tre lati della fabbrica.
Il merito maggiore dell’architettura sta nella buona disposizione
delle masse, ritmi di pieni e di vuoti.
Sovratutto il primo piano, verso il lago, tutto a finestre accoppiate
è di elegante effetto, ben equilibrato, sereno e gustoso. E tanto
si deve dire anche per le due esedre terrene, di buona trovata, di buona
massa, anche se non di felicissima soluzione architettonica: le colonne
e le trabeazioni avrebbero qui acquistato in grazia se maggiormente
ossequienti alle più rigide norme ormai acquisite dall’architettura...
secolare. Troppo spesso il voler rinnovar a tutti i costi conduce fuori
strada, e, d’altronde, la licenza non raggiunge l’effetto
sperato. Ma, nel caso nostro, buon giudice deve riconoscere che v’ha
della buona stoffa; e come primo saggio non c’è che da
applaudire, anche se talvolta lo scultore o l’inesperienza prendon
la mano all’architetto.
Del resto, anche gli interni testimoniano in favore. La decorazione
ed il lusso sono affidati soprattutto ai marmi, vari e preziosi, dallo
Strona al rosso Francia, alla Labradorite: sempre disposti con gusto
e con rara accuratezza, in pavimenti, zoccoli, stipiti, a rivestire
completamente, poi, il bagno padronale. E accanto ai marmi, ecco poca
e ben appropriata decorazione a stucco, in riquadri appena sentiti.
Recinge il giardino un’elegante cancellata in ferro, ben composta
e di gusto francamente moderno.
Infine un cenno sulle pietre esterne: furono qui adottati i serizzi
della Valdossola ed i graniti del Lago Maggiore. I contorni delle finestre
sono in pietra di Saltrio.
F. R.
IL MONUMENTO AGLI AVVOCATI BERGAMASCHI
CADUTI IN GUERRA
Dell’Arch. PINO PIZZIGONI
L’architetto Pino Pizzigoni ha disegnato - per eternare la memoria
degli avvocati bergamaschi caduti in guerra - il cippo che qui presentiamo.
La composizione, volutamente quasi “frammentaria”, ricorda
alcuni cippi sepolcrali classici, e non è priva di un reale interesse
un po’ pittoresco. È, insomma, piacevole e bonaria; cosicchè
certe sue scorrettezze diventano quasi elementi di maggior pregio.
Il cippo fu eseguito interamente in marmo di Musso.
R. F.
EDICOLA FUNERARIA POZZI-MAESTRI
AL CIMITERO MONUMENTALE DI MILANO
Dell’Arch. GORGONI CARLO
L’arch. Gorgoni Carlo ha costruito al Cimitero Monumentale di
Milano questa simpatica Edicola Funeraria che presentiamo volentieri
ai lettori della Rivista.
L’Edicola contiene nove loculi in un sottostante ambiente interrato,
sette loculi e sedici colombari nell’ambiente fuori terra.
N. D. R.
NOTIZIARIO
RELAZIONI PRESENTATE DA DELEGATI ITALIANI
AL XII CONGRESSO INTERNAZIONALE DEGLI ARCHITETTI
A BUDAPEST
Nel precedente fascicolo, dedicato all’Esposizione ed al Congresso
internazionale tenutisi in Budapest nel settembre 1930, per deficienza
di spazio non abbiamo potuto riprodurre, come sarebbe stato nostro desiderio,
due delle relazioni presentate dai delegati italiani, che riuscirono
sopratutto interessanti ai delegati stranieri; l’una del prof.
Gustavo Giovannoni, sul primo tema, avente ad oggetto “La riforma
dell’insegnamento professionale architettonico in rapporto alle
esigenze della pratica”, l’altra dell’arch. On. Alberto
Calza-Bini sul seconda tema, avente ad oggetto “Le associazioni
d’interesse tra architetti”, che si svolse con la presidenza
dello stesso nostro egregio collega, Segretario Nazionale del Sindacato.
Ambedue i relatori diedero notizia di quanto è stato realizzato
in Italia nelle due materie e fu unanimemente rilevato dai colleghi
forestieri che i risultati acquisiti in concreto da noi superano quanto
è stato espresso come semplice voto platonico dall’assemblea
(vedi fascicolo gennaio-febbraio della Rivista).
Ecco le due relazioni riprodotte nelle toro parti più importanti:
riusciranno certo interessanti a molti lettori che non sono al corrente
degli ultimi avvenimenti e provvedimenti.
RELAZIONE GIOVANNONI SUL PRIMO TEMA:
“ LA RIFORMA DELL’INSEGNAMENTO
PROFESSIONALE ARCHITETTONICO IN
RELAZIONE ALLE ESIGENZE
DELLA PRATICA ”
Gli studi architettonici in Italia hanno subito nel secolo scorso la
stessa crisi di sviluppo e di indirizzo che si è verificata in
tutte le nazioni europee.
Quando nel secolo XVII al libero tirocinio professionale negli studi
degli architetti (fino allora unico mezzo di formazione accompagnato
or si or no da generici studi umanistici) ha cominciato a sostituirsi
la preparazione didattica regolare, questa ha avuto sede nelle nascenti
accademie, tra cui quella di S. Luca in Roma e la Clementina in Bologna.
Ivi si insegnavano la geometria, la prospettiva, il disegno, le regole
degli ordini architettonici ed insieme le norme di costruzione e di
meccanica, con un inizio di preparazione positiva, non più affidata
agli stanchi libri di Vitruvio, ma avviata a divenire scienza. E l’equilibrio
tra tecnica ed arte si è mantenuto finchè non sono giunti
i grandi progressi scientifici, le conquiste della meccanica, la suddivisione
e la complicazione delle esigenze dei temi pratici attinenti alla vita
moderna, e finchè al sentimento artistico non è venuta
a mancare la unità dogmatica di uno stile. È cominciato
allora un dissidio di forma e di sostanza tra due tendenze didattiche,
tra due figure unilaterali di professionisti dell’Architettura,
e si è esplicato in due diversissime istituzioni, che solo da
pochi anni sono tornate a comprendersi e ad integrarsi.
Per intendere le condizioni attuali dell’insegnamento architettonico
in Italia occorre risalire ad un tempo di circa 50 anni fa, quando ricostituitasi
definitivamente l’Italia a nazione, lo Stato ha impresso unità
agli studi superiori ed ai loro istituti, nei quali pertanto è
venuta a mancare ogni ingerenza, fino allora dominante, delle Accademie
artistiche locali.
In questi nuovi ordinamenti l’Architettura si è per così
dire, sdoppiata ed ha seguito due vie diverse. Da un lato essa si è
trovata aggregata alle Scuole d’Ingegneria civile, che per impulso
del Cremona, del Brioschi, del Colombo assunsero una importanza ed una
elevatezza grandissime nel campo della scienza e della tecnica; sicchè
per molto tempo il titolo e la funzione dell’Architetto sono stati
assorbiti da quelli assunti dall’Ingegnere civile, con una ottima
preparazione tecnica, ma con talvolta insufficiente preparazione artistica.
Dall’altro lato gli Istituti di Belle Arti, creati in numero grandissimo
nelle varie città italiane, associavano l’insegnamento
dell’Architettura a quello della Pittura e della Scultura, dando
così origine ad artisti architettonici della forma più
che della sostanza, nei quali all’ottima educazione nel disegno
e nella concezione scenografica non faceva riscontro una preparazione
nelle discipline tecniche necessarie per la costruzione e neanche un’adeguata
coltura generale di base.
I sostenitori dei due partiti a cui faceva capo questo sdoppiamento
di studi trovarono spesso i loro argomenti nel citare te grandi figure
del passata, come Antonio di Vincenzo, il Brunelleschi ed Aristotile
Fioravanti, e Francesco di Giorgio, e Leon Battista Alberti e Leonardo
da Vinci, ed il Sammicheli, il Sangallo, il Bernini, il Vanvitelli:
geni universali che spesso alternavano opere di scultura o di pittura
con progetti di bonifiche e di porti e con operazioni meccaniche, pur
partendo da nozioni embrionali o da un pratico tirocinio d’Arte.
Essi non vedevano, in questi loro riferimenti, come la Scuola non sia
fatta per produrre le figure di eccezione, masi rivolga all’«uomo
medio»: nè si rendevano conto delle mutate condizioni della
vita moderna, in cui non è più possibile completare autodidatticamente
la coltura scientifica, ora che la scienza è ardua, complessa,
macchinosa, nè la preparazione artistica, ora che l’Arte
Architettonica, è chiamata a risolvere, scarsamente sorretta
dalla tradizione, i più gravi problemi stilistici. Mai come ora
è stata necessaria per l’Architetto una coltura integrale,
ma questa coltura deve adeguare i suoi ordinamenti alle condizioni nuove.
I tentativi per dare agli studi architettonici ed al titolo di Architetto
una consistenza piena e completa sono stati numerosissimi in questi
ultimi 50 anni. Hanno avuto per istituzioni secondarie le istituzioni
di Sezioni speciali per allievi Architetti create presso Politecnici,
delle quali quella di Milano mantiene ancora una importanza notevole
ed uno sviluppo fiorente per organica serie d’insegnamenti e per
numero di studenti. Ed hanno culminato finalmente con la recente istituzione
della Scuola Superiore d’Architettura in Roma, creata con decreto
dell’ottobre 1919, divenuta così organo centrale dell’insegnamento
architettonico e del conferimento del titolo di Architetto. Ad essa
hanno seguito in questi ultimi anni le istituzioni delle Scuole di Architettura
in Venezia, Torino, Firenze e Napoli.
Sono queste Scuole di Architettura istituzioni universitarie a cui si
accede con una preparazione di cultura media analoga a quella dei Licei,
ed insieme con un inizio di preparazione artistica. La durata dei corsi
è di 5 anni; e gli studi sono insieme di carattere scientifico,
artistico, professionale, graduati cioè per la progressiva formazione
della coltura della mente e del senso d’Arte.
Si è, in altre parole, avuto di mira in quest’ordinamento
la figura dell’Arcbitetto integrale, per cui l’Arte non
sia astratta, ma abbia espressione in positivi temi concreti, e la scienza
non sbocchi ad una tecnica arida di risorse e di forme. E si è
con questo superato il pregiudizio della incompatibilità tra
i due ordini di studi, col riaffermare invece che l’attitudine
per l’esercizio dell’Architettura può aversi solo
in chi sa comprenderli ambedue e contemperarli armonicamente.
Il tipo e la serie logica degl’insegnamenti che s’impartiscono
in dette scuole risultano dalla seguente tabella, che si riferisce alla
Scuola di Roma sulla quale, salvo lievi differenze, sono modellate le
altre.
Elenco ed orario degli insegnamenti della R. Scuola superiore d’Architettura
di Roma.
1° Anno Lezioni Esercizi
ore ore
Analisi matematica (complementi d’Al-
gebra calcolo infinitesimale) . . . . 3 1
Geometria analitica e descrittiva . . . . 3 2
Orzato e figura . . . . . . . . . . . . . - 8
Storia dell’Arte . . . . . . . . . . . . . 2 -
Storia dell’Arte: Visite a Monumenti e
Musei ............ - 3
Architettura: a) Storia dell'Architettura
e stili Architettonici . . . . . . . . 2 3
b) Elementi di composizione e disegno
architettonico . . . . . . . . . . . . 2 10
c) Elementi costruttivi . . . . . . . . 2 3
__________________________
Totale 14 30
2° Anno Lezioni Esercizi
ore ore
Chimica e tecnologia dei materiali da
costruzione . . . . . . . . . . . . . 3 -
Meccanica razionale . . . . . . . . . . 3 1
Mineralogia e geologia . . . . . . . . . 2 -
Decorazione applicata . . . . . . . . . . - 8
Architettura:
a) Storia dell’Architettura e stili archi-
tettonici .... 3 6
b) Composizione architettonica - 7
c) Rilievo e restauro monumenti . . - 5
Storia dell'arte . . . . . . . . . . . . . 2 -
_______________________________
Totale 13 27
3° Anno Lezioni Esercizi
ore ore
Scienza delle costruzioni . . . . . . . . 3 2
Topografia e costruzioni stradali . , . . 2 3
Igiene . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 -
Fisica sperimentale e tecnica . . . . . . 2 2
Decorazioni applicate . . . . . . . . . . 1 5
Plastica ornamentale . . . . . . . . . . - 5
Architettura:
a) Carattere degli edifici . . . . . . . 3 -
b) Composizione architettonica . . . . - 10
c) Rilievo e restauro monumenti . . 8 3
_______________________________
Totale 20 30
4° Anno Lezioni Esercizi
ore ore
Disegno di costruzioni . . . . . . . . . - 3
Idraulica applicata ed impianti vari . . 2 3
Materie Giuridiche Amm. ad economiche 3 -
Prospettiva e scenografia . . . . . . . . 1 5
Plastica ornamentale . . . . . . . - 3
Architettura:
a) Architettura tecnica e professionale 2 -
b) Composizione architettonica . . . . 2 10
c) Arredamento e decorazione interna,
ecc. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 4
____________________________
Totale 12 28
5° Anno Lezioni Esercizi
ore ore
Edilizia ed arte dei giardini . . . . . . 2 2
Architettura:
a) Architettura tecnica e professionale 2 -
b) Composizione . . . . . . . . . . . 2 16
c) Arredamento e decorazione interna 2 10
Scenografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 5
Conferenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . - -
____________________________
Totale 9 33
Corso speciale dl Studia dei monumenti aggregato alla
Scuola superiore di Architettura.
Elenco ed orario degli insegnamenti.
Lezioni Esercizi
ore ore
Studio storico, tecnico ed artistico dei
monumenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 3
Nozioni d'archeologia e tecnica degli scavi 2 2
Rilievo e restauro dei monumenti . . . . . . . 1 10
Conferenze e esercitazioni su speciali ar-
gomenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1
______________________________
Totale 7 16
In questo ordinamento sono stabiliti vari cicli di materie: materie
scientifiche aventi per termine la scienza delle costruzioni (Resistenza
dei materiali e calcolo degli schemi costruttivi), la cui trattazione
si svolge con metodo rigorosamente scientifico analogo a quello delle
scuole per gli Ingegneri, pur limitate alla speciale finalità:
materie artistiche, dapprima nel campo della preparazione generale,
poi fin quello della decorazione e delle applicazioni varie architettoniche
ed ornamentali: materie pratiche e professionali; materie di carattere
storico; materie infine direttamente architettoniche, tra cui primeggia
la Composizione Architettonica in cui tutte le altre discipline vengono
a far capo, come affluenti di un unico fiume. Tenendo presente il principio
di interessare i giovani in temi concreti, anzichè trattenerli
in lunghe esercitazioni astratte od in copie di disegni, l’avviamento
alla composizione, in cui lo studente cominci ad articolare il suo cervello
ed a formarsi il suo gusto d’arte, si ha fino dal primo anno.
Ma le prime composizioni ai svolgono su argomenti semplicissimi come
costruzione e come importanza artistica: la composizione del 2°
anno comprende principalmente temi di carattere stilistico (proposti
entro ben deteminati ambienti di edilizia e di arte) a commento del
corso di Storia dell’Architettura; nel 3° anno e nel 4°
i temi acquistano una maggiore vastità sia nei riguardi costruttivi
sia in quelli della rispondenza alla speciale destinazione (carattere
degli edifici). Il 5° anno infine, oltre alla trattazione di alcune
materie accessorie, è dedicato alla compilazione di progetti
completi in tutti i loro particolari, ben corredati di tutti gli elementi
artistici, tecnici, pratici, economici."
Dopo essersi diffusa a considerare più particolarmente i criteri
didattici informanti l’insegnamento delle singole materie nella
Scuola Romana, ed a giustificare la formazione delle altre quattro scuole
consorelle sorte ultimamente, la relazione del prof. Giovannoni considera
altre attività e iniziative svoltesi in Italia di recente al
fine di approfondire ed estendere nel pubblico l’amore per gli
studi architettonici e ritorna poi a parlare degli ordinamenti scolastici
oggi in vigore e specialmente di due provvedimenti testè attuati,
capaci di avere grandissimo influsso sulla educazione architettonica
e sulla posizione dell’Architetto nella moderna vita italiana,
così continuando testualmente:
“La prima di queste innovazioni è data dalla istituzione
per la professione di Architetto come per tutte le altre, di un esame
di Stato necessario per l’abilitazione, il quale è nettamente
distinto dalla laurea, che rappresenta il termine degli studi ufficiali.
Si crea così un regime che può dirsi intermedio tra quello
anglo-sassone e quello in vigore in quasi tutte le altre nazioni europee,
richiedendo cioè la frequenza di studi in istituti superiori
di Stato, ma lasciando una relativa libertà di ordinamenti.
Di ben più vasto respiro è tutto l’ampio riordinamento
recato nell’insegnamento artistico, partito dal concetto di riunire
in un solo tipo di istituzioni le due che finora esistevano, tra loro
indipendenti, cioè gli Istituti di Belle Arti, volti ad uno studio
astratto, quasi può dirsi accademico, dell’Arte, e le Scuole
d’Istruzione professionale, dipendenti dal Ministero dell’Economia
Nazionale e non da quello dell’Istruzione, le quali comprendono
gli Insegnamenti artistici industriali. La riforma Gentile fonde i due
insegnamenti, stabilendo come principio che lo studio dell’Arte
deve cominciare, come nelle «botteghe» del Rinascimento,
dalle applicazioni industriati e decorative per avviarsi poi all’Arte
pura; ed innesta a questa educazione artistica corsi di coltura generale
che giungono fino a veri e completi Licei artistici.
La riforma si propone così il duplice scopo diretto:
1° di ravvivare l’insegnamento artistico, che ora troppo spesso
traligna in un’Accademia di carattere vecchio o di carattere nuovo
e che si risolve non raramente in una fabbrica di spostati, perchè
i giovani pittori o scultori che ne escono non hanno altra via da battere
che quella infida delle Esposizioni d’Arte;
2.° di fornire nuovo impulso alle tante industrie artistiche fiorenti
in Italia, che richieggono di essere fecondate con nuove energie e nuove
competenze per avviarsi anch’esse ad una vivace ripresa.
Senza entrare in precisi e diffusi particolari della nuova istituzione,
il che richiederebbe troppo tempo e ci condurrebbe lontano dal tema
principale, basti dire che essa contempla il seguente curriculum: Scuole
d’Arte, Istituto d’Arte, Accademia od Istituto Superiore
di Industrie Artistiche, ed accanto adesso il Liceo Artistico, scuola
d’istruzione media che unisce insegnamenti artistici ad insegnamenti
di coltura letteraria, storica e scientifica.
Orbene, nel riguardi degli studi architettonici e della posizione e
della possibilità dell’Architettura, questo radicale riordinamento
degli studi artistici reca due utilissime funzioni essenziali. Rappresenterà
in primo luogo la diretta preparazione ai Corsi superiori d’Architettura
di cui i Licei Artistici rappresentavo il gradino immediatamente precedente,
senza con questo escludere che, mediante l’esame di Stato all’ammissione
alla Scuola superiore d’Architettura non possa giungersi con altri
studi, o ufficiali, o autodidattici. In altre parole l’inizio
della Scuola superiore di Architettura rappresenta una piattaforma a
cui può giungersi per mezzo di una vasta scalea, che è
quella dei suddetti Istituti d’Arte, ma a cui può giungersi
anche seguendo sentieri o gradinate laterali a ripiani comunicanti con
la scalea principale.
La seconda funzione utile sarà quella di preparare i collaboratori
necessari agli Architetti in tutti quei giovani che si fermeranno ai
ripiani intermedi e si dedicheranno alle industrie artistiche.”
Dopo aver messo in chiaro e convenientemente valutato i pregi delle
riforme suddette, in quanto capaci di dare nuovo impulso alle arti decorative
ed applicate, ed alla formazione dei loro cultori, in stretto legame
con quella degli Architetti, la relazione così conclude:
“Così con la ripresa di tutti gli insegnamenti d’arte
che hanno l’Architettura al loro vertice, e col riconoscimento
della figura professionale dell’Architetto, contemporaneamente
avvenuto alla costituzione del Sindacato fascista degli Architetti,
si viene nuovamente formando in Italia quella coscienza architettonica
che nei periodi passati ha rappresentato condizione essenziale per l’ampio
e mirabile sviluppo dell’Architettura, formata, secondo la formula
vitruviana, ex fabrica et ratiocinatione. E forse questo pieno ritorno
non sarà senza importanza nell’Architettura mondiale, a
cui ogni nazione deve contribuire col suo lavoro. Forse il compito riservato
all’Italia ora come per il passato sarà quello di mantenere
il culto per la pura bellezza, che non prescinde dalle leggi costruttive
e dalle logiche espressioni delle esigenze, dei materiali, dei procedimenti
moderni, ma dà ad esse lo splendor vitae, il sentimento del ritmo
melodico, del pensiero chiaro e luminoso”.
GUSTAVO GIOVANNONI.
Dicemmo in principio che l’altra relazione importante presentata
ai Congresso di Budapest fu quella dell’Architetto On. Alberto
Calza-Bini sul secondo tema: ne riproduciamo i brani più interessanti:
RELAZIONE CALZA-BINI SUL SECONDO TEMA:
“LE CAMERE SINDACALI”
“II Governo italiano ha voluto riconoscere il diritto dei professionisti
e degli artisti di riunirsi in sindacati, per la tutela dell’esercizio
della propria arte e professione, e ne ha inquadrato anzi le rispettive
associazioni nello Stato Corporativo, dando ad esso funzioni e prerogative
nel Governo e nell’Amministrazione del Paese.
L’aspirazione degli Architetti e degli Ingegneri italiani ad
avere una legge che ne riconoscesse i titoli, ne assicurasse la tutela
e regolasse in conseguenza l’esercizio professionale datava da
molti anni; e sino dai primi anni del secolo XX era stata presentata
al Parlamento un’apposita legge, che tuttavia non fu approvata
per la ostilità degli uni e la pigrizia mentale degli altri.
Subito dopo la Marcia su Roma, costituiti i Sindacati Fascisti degli
Ingegneri e degli Architetti e presa da questi ultimi specialmente,
l’iniziativa di un accordo tra le due classi, il Governo Fascista
presentava al Parlamento la legge fondamentale “Sulle tutele del
titolo e sull’esercizio delle professioni degli Ingegneri e degli
Architetti” (Legge 24 Giugno 1924 N. 1395).
La legge precisava che il titolo di Ingegnere e di Architetto spetta
esclusivamente a coloro che hanno conseguito il relativo diploma negli
Istituti Superiori autorizzati a conferirlo (Art. 1); costituiva l’Ordine
degli Ingegneri e degli Architetti inscritti negli Albi di ciascuna
Provincia (Art. 2): stabiliva il principio che negli Albi fossero inscritti
solo coloro che avevano diritto di portare il titolo (Art. 3); e che
le pubbliche Amministrazioni e le Autorità Giudiziarie non potessero
affidare incarichi e perizie che agli inscritti negli Albi (Art. 4).
Con 1’Art. 5 definiva la attribuzione del Consiglio dell’ordine
e cioè: formazione e revisione dell’Albo professionale;
costituzione delle Commissioni per gli emolumenti e la risoluzione delle
controversie professionali; vigilanza e tutela dell’esercizio
della professione, del decoro e dell’onore degli iscritti.
Con disposizioni transitorie, finalmente si sanava la posizione di
coloro che avevano diritti di equipollenza di titoli demandando ad una
Commissione Ministeriale l’esame dei titoli e delle domande.
Con R. D. 23 Ottobre 1925 N. 2537 veniva finalmente approvato il Regolamento
per l’applicazione della Legge, Regolamento che definiva importantissime
questioni; la costituzione della Commissione Centrate degli Ingegneri
e degli Architetti, che funziona quasi come una suprema Corte di disciplina
per gli inscritti agli Albi e per tutto quanto concerne l’esercizio
professionale; (Art. 14) le norme per la costituzione e il funzionamento
dell’Ordine e dei Consigli (poi sostituiti dai Sindacati) e le
sanzioni disciplinari; e finalmente, più importanti fra tutte
le disposizioni, quelle relative all’oggetto ed ai limiti della
professione dell’Ingegnere e di quella dell’Architetto.
(Art. 51-52-53-54-55-56)
Seguivano le istruzioni per le sanatorie, e le ammissioni negli Albi.
Era così introdotto nella legislazione italiana, e ufficialmente
riconosciuto, il principio della tutela dell’esercizio della professione
dell’Architetto, fino ad allora confuso con l’Ingegnere,
che aveva altra preparazione, altra sensibilità ed altra, sia
pur nobilissima, funzione, e con il disegnatore e l’artista che
a sua volta era privo di cognizioni tecniche e di preparazione culturale
e scientifica quale deve avere il vero Architetto.
Fu dunque quello dell’approvazione del Regolamento un gran passo
per gli Architetti italiani. Essi vedevano finalmente riconosciuta l’importanza
della loro missione nella vita del Paese, non solo, ma anche quella
del loro titolo che andava così riacquistando il valore e la
dignità che ne avevano fatto nel passato, e ne fanno ancora,
all’estero, un segno di distinzione e di nobiltà.
Ma l’opera non era compiuta".
A questo punto, la relazione Calza-Bini si diffonde a considerare l’attività
svolta dal Sindacato Architetti ad integrazione dell’opera legislativa
dello Stato, allo scopo di conferire alla categoria degli Architetti,
esigui di numero in confronto a quella degli Ingegneri, una autonomia
ed una libertà di manovra che la unicità dell’Ordine
difficilmente avrebbe potuto consentire: attività che si applicò
soprattutto nell’organizzazione sindacale degli iscritti e nell’azione
combattuta in favore appunto della divisione dell’Ordine e degli
Albi e per la costituzione delle Scuole superiori di Architettura.
Così continua la relazione Calza-Bini:
“In altra reazione si parlerà di queste Scuole: se ne è
qui fatto accenno perchè della loro istituzione il Sindacato
Nazionale degli Architetti fece cardine di ogni sua azione, e perchè
esse rappresentano un’altra brillante conquista dell’azione
sindacale degli Architetti italiani.
Intanto colla Legge del 3 aprile 1926 N. 563 lo Stato italiano andava
perfezionando la fisionomia sindacale del suo ordinamento, fissando
le norme della collaborazione delle classi e il diritto di associazione
per tutti i lavoratori e i datori di lavoro.
L’Art. 23 della detta Legge e l’Art. 12 del R. Decreto 1°
Luglio 1926 N. 1130 sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi
di lavoro, provvedevano a delegare ai Sindacati le attribuzioni e le
funzioni degli Ordini professionali.
Si rendeva quindi necessario modificare la Legge sulla Professione e
sul Titolo, sopprimendo gli Ordini e i rispettivi Consigli, ed integrando
con appositi organi l’azione dei Sindacati anche nel campo della
disciplina professionale.
Fu così che la Legge 27 ottobre 1927, N. 2145 dava all’ordinamento
del Sindacato Architetti ed a quello del Sindacato Ingegneri, un definitivo
assetto.
Provvedeva l’Art. 1° anzitutto alla separazione degli Albi
e l’Art. 2° passava ai Sindacati, e per essi alle rispettive
Giunte Sindacali da nominarsi dal Ministro Guardasigilli su proposta
dei Sindacati medesimi, la formazione e 1a custodia dell’Albo
e tutte le attribuzioni del soppresso Consiglio dell’Ordine.
In virtù di delta Legge (art. 7) spetta al Sindacato di curare
che siano repressi l'uso abusivo del titolo di Ingegnere e di Architetto,
e l’esercizio abusivo della professione presentando ove occorra,
denuncia al Procuratore del Re.
Spetta altresì al Sindacato di compilare ogni triennio la tariffa
professionale, che deve essere approvata dai Ministri della Giustizia
e dei Lavori pubblici, sentito il parere della Commissione Centrale.
Detta Commissione, nominata a sua volta dal Ministro dei Lavori Pubblici,
comprende i rappresentanti dei due Sindacati degli Ingegneri e degli
Architetti, ed è, come è stato detto, il supremo organo
di controllo per tutto quanto si riferisce alla vita professionale degli
Ingegneri e degli Architetti.
Essa decide sui ricorsi relativi alle iscrizioni o cancellazioni dall’Albo,
anche su domanda del Procuratore del Re, o avverso le deliberazioni
del Magistrato stesso, e le sue decisioni sono inoppugnabili, salvo
il ricorso alle sezioni riunite della Corte di Cassazione del Regno,
per i soli casi di incompetenza o eccesso di potere.
Esposte così le principali provvidenze legislative emanate dallo
Stato italiano a favore della classe degli Architetti è opportuno
aggiungere che sempre più si va affermando in Italia il principio
del riconoscimento e del rispetto per l’Associazione Sindacale.
Basti dire che quasi tutte le Commissioni, dai Consigli Superiori dei
vari Ministeri a quelle tecniche dei Comuni, hanno autorevoli membri
designati dai Sindacati Architetti; che nelle Consulte delle principali
città italiane, (Consulte che sostituiscono i vecchi Consigli
Comunali) sono frequenti i rappresentanti ufficiali dei Sindacati: che
un architetto (l’attuale Segretario Nazionale) è Deputato
al Parlamento in rappresentanza ufficiale del Sindacato Architetti;
che i tre Architetti assurti all’altissima dignità di Accademici
d’Italia sono tutti e tre inscritti al Sindacato e ne sono legittima
emanazione; e che infine nell’ultimo grande organismo corporativo
(il Consiglio Nazionale delle Corporazioni) cui sarà affidato
dallo Stato l’esame e la soluzione dei più gravi problemi
economici e quelli dei rapporti tra la produzione e il capitale, tre
architetti vi rappresentano ufficialmente il Sindacato: nelle Sezioni
dei liberi Professionisti, degli Artisti e degli Artigiani.
Va ricordato infine che con la definitiva approvazione degli Statuti
Sindacali, in corso di stampa alla data di oggi, saranno demandate al
Sindacato Architetti le funzioni di propaganda e di propulsione per
la diffusione della cultura architettonica, e il compito di organizzare
le esposizioni di architettura in Italia e all’estero; e finalmente
di controllare la disciplina dei concorsi.
Naturalmente non tutto ancora è ottenuto quello che nell’interesse
della categoria, o meglio, dell’Arte stessa dell’Architettura,
si deve raggiungere.
Per esempio, se pure è vero che la Legge da diritto di perseguire
l’uso abusivo del titolo e l’esercizio abusivo della professione,
è anche vero che norme precise per le sanzioni ancora mancano.
Ma come abbiamo già in Italia la Legge sui cementi armati (7
luglio 1928 N. 1431) che prescrive per ogni progetto e per ogni esecuzione
la firma di un ingegnere o di un architetto inscritti negli Albi, e
come abbiamo nelle principali città i regolamenti edilizi che
prescrivono la firma e la direzione di un ingegnere o di un architetto
inscritti negli Albi, così confidiamo che presto a nessuno che
non sia inscritto negli Albi possa essere consentito di esercitare la
professione dell’Architetto o dell’Ingegnere comunque e
dovunque.
E speriamo anche di vedere sempre meglio disciplinato e definito il
campo di azione dei vari professionisti che ancora oggi a danno reciproco
si contendono l’attività professionale, così come
abbiamo fede di vedere generalizzato il sistema della liquidazione delle
specifiche professionali su conforme parere dei Sindacati, in modo da
dare al Sindacato anche in questo campo (meno ideale ma necessariamente
pratico), una precisa ed efficace attribuzione.
In Italia dunque le Camere Sindacali, come con espressione di valore
internazionale è stato indicato dal tema, esistono in pieno ed
effettivo funzionamento, in seno ai Sindacati Provinciali o Regionali,
assommati nel Sindacato Nazionale.
Essi hanno assoluto e perfetto riconoscimento giuridico da parte dello
Stato; hanno l’incarico della formazione e della custodia degli
Albi, vigila,, sulla disciplina professionale, perseguono l’uso
abusivo del titolo e dell’esercizio, controllano e disciplinano
le esposizioni e i concorsi, danno i loro rappresentanti alle pubbliche
giurie e commissioni tecniche ed artistiche, ai Comandi Superiori dei
Ministri, alle Consulte Comunali e ai Consigli Provinciali e al Parlamento.
Tanta somma di autorità e di prestigio che il Governo italiano
ha voluto riconoscere a favore della classe degli Architetti, non potrà
non dare il suo benefico frutto nell’interesse della categoria
e meglio ancora in quello della cultura, dell’Arte, e, della Nazione
".
ARCH. ALBERTO CALZA-BINI
Abbiamo ampiamente riprodotto sulla Rivista le due importanti relazioni
di cui sopra, oltre che pel valore da esse assunto al Congresso internazionale
di Budapest, anche perchè si volgono ad argomenti poco noti a
molti colleghi, argomenti che invece rivestendo grandissima importanza
per lo sviluppo della nostra Arte e della nostra professione è
bene siano ben risaputi.
N. D. R.
CRONACA DEI MONUMENTI
PAVIA. - Una interessante notizia viene da Pavia. Si è già
da tempo, sotto la presidenza del vescovo, costituito un Comitato di
egregie persone per promuovere l’opera di completamento della
cattedrale; ed i lavori sono cominciati da qualche mese, e già
dai fianchi della chiesa si elevano i primi pilastri in cemento armato.
La prima impressione è invero lieta. Ancora dunque v’è
chi ama i monumenti e ne intende l’importanza e si pone il nobile
proposito di portali a forma completa; v’è, pur in momenti
difficili, chi dà fondi cospicui per un’opera d’Arte
e di pietà ed affronta senz’altro l’ardua iniziativa.
La seconda impressione è invece di stupore e di sgomento, quando
si apprende che il Ministero dell’Educazione Nazionale nulla sa
della impresa, che il Consiglio superiore delle Belle Arti non è
stato interpellato in proposito, che la direzione generale dei lavori
è affidata ad un tecnico che è un’alta autorità
scientifica per le costruzioni in cemento armato, ma a cui, appunto
per questa sua decisa competenza in un ramo, non se ne può riconoscere
nessuna nel campo dell’Architettura ed in quello del restauro
dei Monumenti. Ed in quale mondo siamo? Forse l’Italia, modello
d’ordine e di disciplina, sta ritornando nell’anarchia?
Quale incredibile incoscienza può muovere ad affrontare alla
leggera problemi, ardui, quasi trascendentali, che non ammettono soluzioni
men che perfette, quali sono quelli che riguardano il carattere, la
vita stessa di un grande nostro monumento? Appartiene questo ad una
Fabbriceria o ad un Comitato che son liberi, pur con ogni buona intenzione,
di farne lo strazio che vogliono, o non fa parte del sacro patrimonio
artistico nazionale?
Ed il monumento è davvero insigne. Inuguale, confuso, imbastardito
da contaminazione e da aggiunte, porta però un’impronta
di grandezza, un senso di proporzioni negli spati, un carattere scenografico
nell’interna veduta, da rivelare la nobiltà dell’origine.
Documenti recentemente rinvenuti hanno convalidato e precisato quanto
era stato, circa la paternità dell’opera, affermato dal
Geymüller (1), dal Malaguzzi-Valeri e da tanti altri studiosi insigni
di questioni bramantesche. Risulta da essi (2) che nello scorcio del
1488 Bramante fu, certo per suggerimento del cardinale Ascanio Sforza,
chiamato da Milano a Pavia, ove si trattenne più giorni per la
fabbrica del duomo: si parla inoltre di un disegno preparato per la
detta fabbrica «de novo redificanda per magistrum Bramantum de
Urbino, Johannem Antonium de Amadeis, magistrum Cristoforum (de Rochis)
inzignerius seu architectores, et magistrum Bartholorneum de Castronovo,
magistrum Jacobum de Candia, m. Martinum Fugatiam magistros a muro».
Dallo stesso documento risulta che il De Rocchi aveva precedentemente
avuto l’incarico di eseguire il modello in legno (che nel Rinascimento
era l’abituale mezzo per dare forma concreta ai progetti) ma che
non aveva mantenuto l’impegno. Sembra che l’incarico sia
poi passato, dopo il 1497, all’Amadeo e che questi, valendosi
dell’opera di un maestro Gian Pietro Fugazza, abbia eseguito il
modello grande e magnifico di legno di cipresso che ancora conservasi
nel palazzo vescovile e che corrisponde alle parti allora costruite
del duomo.
Fino a prova contraria rappresenta quel modello la concezione di Bramante,
senza che sia giustificalo l’immaginare, come fanno vari scrittori
locali, precedenti progetti a pianta centrale. Seguendo il sistema di
collaborazione secondo cui quasi sempre svolgevasi l’opera dei
grandi architetti, sovraccarichi di lavoro, possiamo ritenere che di
Bramante sia lo schema, la grande composizione spaziale, e dei suoi
aiutanti la contaminazione con quella minuta ed antiarchitettonica faraggine
decorativa di pinnacoli, mensoloni, gallerie nella fronte, ove si scorgono
tanti riflessi della facciata della Certosa di Pavia e del fianco della
cattedrale di Como.
È interessante notare la somiglianza, non certo fortuita, della
pianta con quella della Madonna di Loreto, iniziata vent’anni
prima da Marino di Marco Cedrino e proseguita da Giuliano da Maiano.
Questa somiglianza, che a Bramante ci riconduce per altra strada, che
è quella della nostalgia verso il monumento maggiore della sua
terra adriatica, potrebbe sembrare quasi una tappa di stanchezza nell’opera
mirabilmente progressiva del Maestro. Eppure anch’essa ci mostra
un esperimento grandioso. Il tema del raccordo tra la triplice nave
basilicale e lo spazio della grande cupola poligonale avente larghezza
uguale a quella di tutto l’edilicio è affrontato nelle
due piante secondo il nuovo concetto del triangolo isoscele aperto da
tutti i lati, cioè con soluzione ben diversa dalle precedenti
di S. Maria del Fiore (triangolo massiccio che quasi chiude il fondo
delle navatelle) e del duomo di Siena (associazione di arcate rette
e sghembe come in un porticato continuo: ed il tentativo era costruttivamente
e progressivamente ardito, tale da richiedere il controllo di un edificio
già avviato verso la costruzione. Nell’avvenire appariva
già alla mente di Bramante la visione del grande problema della
cupola vaticana.
Così, pur tra le deficienze di collaboratori e di esecutori postumi
(tra cui son da notare all’interno le disgraziate proporzioni
degli ordini e delle loro trabeazioni), per la grandezza dei temi di
architettura spaziale affrontati e per la complessità dell’organismo,
il duomo di Pavia rappresenta, forse più di S. Maria delle Grazie
di Milano, il capolavoro di Bramante nel periodo lombardo. La sua orma
vigorosa appare ogni tanto anche in taluni speciali schemi planimetrici,
come quelli delle singolari sacrestie (che appaiono evidenti nel modello)
a pianta poligonale polilobata che ricorda gli schemi delle sale di
Roma e di Ravenna: ed in particolari architettonici, come quelli della
cripta e delle absidi.
È di alto interesse il rilevare come a questa concezione bramantesca
non sia stato estraneo il pensiero di un altro grande genio, Leonardo.
I documenti ci danno notizia della venuta di Leonardo a Pavia, insieme
con Francesco di Giorgio nel 1490 per «consultazione» sulla
fabbrica dal Duomo; e tra i disegni architettonici del Maestro (3) alcuni
hanno grande attinenza o con la pianta longitudinale del Duomo, ovvero
con lo schema centrale delle suddette sacrestie. Quali possano essere
i rapporti di questi disegni con la costruzione vera e propria non ci
è dato sapere; ma certo risulta da essi una convergenza con Bramante
negli studi su di un grande tema architettonico così come tra
loro era comune la ricerca mai sazia di sapere, l’alta visione
dell’Arte degli spazi.
Tutta questa nobiltà di origine aumenta dunque l’importanza
della cattedrale pavese e deve, o dovrebbe, rendere reverenti ed umili
gli uomini che vogliono ora mettervi le mani. Invece di iniziare i lavori
con così colpevole disinvoltura affrontando così tremende
responsabilità di fronte alla Storia ed all’Arte, essi
dovrebbero sentire il dovere di una preparazione profonda e prudente
espressa non solo in storiche ricerche, ma in rilievi precisi ed in
progetti concreti, portate all’esame degli organi competenti ed
alla discussione degli studiosi, senza voler schivare obbiezioni e controlli.
In temi di questo genere, in cui solo deve dominare lo spirito dal monumento,
il restauratore deve difendere sè stesso contro l’orgoglio
individualistico, che lo porta a sostituire il proprio pensiero a quello
che aleggia sull’opera, e contro le ipotesi, in cui entra sempre
un coefficiente di probabilità, quando il restauro deve essere
certezza (4).
Basti qui presentare, senza volerli risolvere, alcuni quesiti fondamentali,
alcuni dei quali sollevano questioni formidabili, che potrebbero dirsi
profondamente filosofiche, in quanto investono tutto il pensiero del
nostro tempo ed i suoi rapporti coi tempi passati e con le loro più
nobili ed alte espressioni. I primi riguardano addirittura la possibilità
del restauro: è desso veramente ammissibile di contro alle tante
opere aggiunte in cui si è espressa la vita del monumento, principale
tra esse la cupola che ha linea diversa dall’originale, tempo
tanto più tardo (5) dall'inizio? Il modello (che evidentemente
rappresenta la guida di ogni studio di restituzione) è stato
seguito nella costruzione, ovvero ci sono differenze essenziali che
recheranno incertezze e quindi adattamento arbitrario di misure e di
forme? La ricostruzione può veramente ritrovare nel disegno e
nella esecuzione il sentimento originario, o non avrà per triste
risultato una falsificazione mal riuscita?
Ed ancora: è legittima l’adozione del cemento armato nelle
opere nuove? Due teorie possono trovarsi a battagliare su tale problema
con argomenti ugualmente rispettabili: l’uno che richiede non
solo stile di forme, ma anche di struttura similare all’antico,
l’altra invece che favorisce diversità che, pur ottenendo
unità di masse, non illudano i posteri e denotino la data della
restituzione. Ma nei riguardi in particolare del cemento armato i quesiti,
un po’ storici, un po’ praticamente costruttivi, si moltiplicano
e ai complicano. La sua struttura che è fatta per uno schema
tipicamente discontinuo è davvero adatta per un organismo a pareti
massime, che debbono poi essere completate col riempimento? Se questo
si fa spesso nelle costruzioni comuni, è logico seguire tale
sistema insincero in un edificio monumentale che ha un suo carattere
ed una sua storia? Ed il collegamento con le strutture esistenti, specialmente
con quelle della cupola, come potrà avvenire intimo e stabile,
senza che si sia obbligati in un secondo tempo a ricostruire tutto?
Ed il collegamento tra l’ossatura murale ed il rivestimento in
pietre e marmi come potrà avvenire con una saldezza ed una durevolezza
paragonabile a quella che si ha negli innnesti delle comuni vecchie
strutture murarie?
Queste domande, a cui potrebbero aggiungersi tante altre più
minute circa le particolarità esecutive, mostrano di quante cautele
debba circondarsi lo studio di una proposta, che in se è affascinante
e seduce uomini di chiesa, di arte e di studio, ma che deve essere severamente
vagliata nelle sue possibilità prima, nelle sue modalità
poi. Le buone intenzioni non bastano, e mai anzi come in questi temi
son pronte a «lastricare la via dell’inferno». Il
duomo stesso di Pavia ne offre un non lieto esempio nella facciata dal
Maciachini: collocata arbitrariamente alla terza campata della chiesa,
e fredda, secca nel suo geometrismo e nella sua regolarità inesorabile,
priva di ogni vita e di ogni vibrazione, non espressione sincera del
proprio tempo, ma neanche interpretazione sentita dell’Arte del
monumento... Chi mai dei pavesi che abbiano senso d’Arte ed affetto
pel «loco natio» non deporre in cuor suo la iniziativa,
anche essa nobilissima, che la fece sorgere. Ed era il tempo, nel 1895,
in cui la scienza del restauro dei monumenti era ancora all’inizio;
ben più inescusabile sarebbe seguirne l’esempio con facile
dilettantismo ora che essa poggia su canoni stabili, fissati dallo studio
e dall’esperienza.
GUSTAVO GIOVANNONI.
(1) GEYMÜLLER, Les projets primitifs pour St. Pierre ecc., Parigi,
1875. Cap. II; MALAGUZZI-VALERI, La corte di Lodovico il Moro, Milano,
1915. Vol. II (Bramante e Leonardo).
(2) R. MAIOCCHI, Le chiese di Pavia, Pavia, 1903, vol. I: F. GIANANI,
Il duomo di Pavia, Pavia, 1930.
(3) Sull’opera architettonica di Leonardo vedi GEYMÜLLER.
in J. P. Richter, The literary Works of L., Londra, 1883: vedi anche
GAYE, Carteggio inedito, ecc., Firenze, 1839, v. II, pag. 94. I disegni
che più direttamente hanno attinenza col Duomo di Pavia sono
stati riprodotti nei GEYMÜLLER, Projets, ecc., op. cit. a pag.
1 e tav. 43 e dall’HOFMANN, Die Entstehung des S. Peter in Rom,
Zittau, 1926. Anche ebbero a trattarne il POZZI ed il SOLMI in vari
numeri del Boll. della Soc. Pavese di Storia patria, dal 1903 e dal
1911.
(4) Dice molto opportunamente il Leon: “Dove comincia l’ipotesi,
deve finire il restauro” e mai una massima saggia ed onesta è
stata meno seguita. Per il Duomo di Pavia già i sostenitori del
restauro (Cf. GIANONI, op. cit.), parlano di pianta centrale, più
consona al pensiero bramantesco, e di quattro sacrestie invece delle
due del modello: il quale è considerato quasi più un ostacolo
noioso, che una guida . . .
(5) Il tamburo della cupola è settecentesco, ma la cupola è
stata costruita nel 1882 dal Maciachini, architetto milanese, lo stesso
autore della nuova facciata.
RIVISTA DELLE RIVISTE
ITALIA
Rassegna di Architettura (Ottobre 1930). Direttore G. Rocco - via Podgora
4 – Milano.
Il nuovo Palazzo degli uffici Municipali di Milano. Architettura funeraria
con opere di A. Molta, G. Rocco, U. Stacchini, A. Tibaldi, G. Wenter
Marini.
Rassegna d’architettura (Novembre 1930).
La casa dei Balilla di Gallarate dell’Arch. Paolo Mezzanotte
- Il Supercinema Verona dell’Arch. Dezzutti.
Domus (Novembre 1930). Direttore G. Ponti - Via S. Vittore 4 - Milano.
Aspetti di architettura contemporanea in Italia. (Case d’Abitazione
degli Arch. G. Ponti e C. Lancia in via Domenichino a Milano) - Vetri
e ceramiche dell’Esposizione di Stoccolma - La Villa “Finella”
dell’Arch. R. Grath a Manchester (testo di Yoi Maraini).
Domus, (Dicembre 1930).
Aspetti dell’Architettura contemporanea in Italia (Il Palazzo
per l’Università Cattolica a Milano, dell’Arch. G.
Muzio).
Tessuti, metalli e ambienti dell’Esposizione di Stoccolma - Stanza
da Bagno nel castello di Racconigi decorata da Fiore Martelli di Monza
- Villino di città in Brasile, dell’Arch. T. Buzzi (testo
di G. Ponti).
STATI DELL'AMERICA DEL NORD
Architecture (Ottobre 1930). 597 Fifth Avenue at 480th Street. New
York.
L’Hotel Rolyat in Si. Petersburg Fla. L'architetto Harrison Gill
è riuscito a comporre opera nobile nel suo aspetto estetico e
nello studio di pianta, sviluppando la costruzione in superficie anzichè
in altezza ed ottenendo effetti davvero suggestivi nel succedersi dei
cortili, del patio, dei portici e delle loggie che li circondano. L’intonaco
rustico, l’alternarsi dalla pietra da taglio colle saperfici liscie
e coi tetti riesce simpatico, se pure la classica linea dell’architettura
spagnuola ci può sembrare la meno adatta per un grande albergo.
Non bisogna però dimenticare che esso sorge quasi in aperta campagna
in un paesaggio incantevole e, sopratutto, che siamo nella Florida.
Buono ci sembra, sia nella disposizione plamimetrica sia nel largo studio
di massa l’edificio che ad uso commerciale hanno costruito in
Miami, sempre nella Florida, per la Ditta Sears, Roebuck & Co. gli
architetti Nimmons Carr & Wright. Potremo osservare che la decorazione
è superflua. Vediamo in fine la Sinagoga di Philadelphia opera
degli arch. Simon in collaborazione collo scultore Nicola d’Ascenzo,
ma essa non ci sembra cosa felice. Su di una struttura nella quale sono
evidentissimi i ricordi di Bisanzio, sia essa pure adattata con criteri
moderni alle nuove funzioni, gli autori hanno profuso con grande ricchezza
tutta una docorazione in cui l’effetto plastico è diminuito
dalle note cromatiche e viceversa. Planimetricamente riteniamo che l’opera
risponda alle sue funzioni.
Architecture (Novembre 1930). New York.
Il Blackstone Shop: è un magazzino di mode che Philips B. Maher
ha costruito in Chicago. Si avvicina al razionalismo, e precisamente
a quel razionalismo così largamente in voga, nel campo architettonico,
in Europa, ma alcune caratteristiche, forse un poco rudi a giudizio
dell’autore, sono state volute attenuare con motivi decorativi
che, a nostro avviso, non si addicono all’ossatura sulla quale
sono poste. In questa materia è difficile ammettere compromessi.
La Bank of Manhattan, Wall Street, New York, classico esempio di grattacielo
americano.
Interessante una rassegna di vari tipi di recinzioni in legno per parchi
e giardini: può essere utile e dilettevole sfogliarla.
The Architectural Forum (Ottobre 1930). 521 Fifth Avenue. New York.
Nel numero in esame ci viene mostrato il Chrysler Building, che noi
già conosciamo.
The Architectural Forum (Novembre 1930). New York.
Il News Building. New York. Illustrato in maniera così completa
da renderci perfettamente padroni dell’opera degli architetti
John M. Howells & Raymond H. Hood.
The Architectural Forum (Dicembre 1930). New York.
Numero questo interessantissimo, sulle stazioni passeggeri. In una
vastissima rassegna si studiano e si esaminano le più recenti
stazioni ferroviarie, in America ed in Europa; da quella di Hamilton,
Ontario, Buffalo a quelle di Cleveland, South Bend Ind., Atlanta. Si
passa da quelle di grande importanza in cui la media del traffico giornaliero
si aggira sui 15.000-20.000 passeggeri, a quelle più modeste
come Boise, Idaho, Topeka. Di quelle europee si riportano quelle di
Helsingfors, Königsberg, Stoccarda e Viborg, che noi già
conosciamo e dove ritroviamo nomi ben noti come quelli degli architetti
Saarinen, Richter, Brnatz e Gesellius. La rivista non si limita ad illustrare
la parte estetica con ottimo materiale fotografico, essa è completata
da profondo esame dello studio planimetrico come dall’elenco di
tutti i requisiti tecnici cui l’edificio doveva rispondere e delle
soluzioni adottate per i problemi, alcuni invero molto complessi, presentatisi
agli autori; poi si passa ad uno studio così ricco di dati e
di fotografie come il precedente, degli aeroporti civili in uso sulle
linee aeree di grandi comunicazioni. In questo campo è il primo
che mi sia dato di vedere, ricco di molto materiale interessante se
pure per necessità di spazio si limiti ad illustrare i maggiori
aeroporti degli Stati Uniti, Burbank, Glendale, Wayne County, Los Angeles,
Chicago, Detroit, Miami, Washington, lasciando in secondo piano l’Europa
di cui non si mostra che l’aerodromo di Tempelhof in Berlino.
Il fascicolo bis della Rivista, parallelo al primo, ma come è
noto, volto soprattutto ad illustrare le questioni tecniche inerenti
agli edifici illustrati, offre campo ricchissimo di studio, e fornisce
quelle notizie che, se pure elementari per il pilota civile o per l’ingegnere
ferroviario, sono difficili ad ottenersi per il progettista anche perchè
non esiste, specialmente per la costruzione degli aeroporti, una speciale
letteratura tecnica.
The American Architect (Dicembre 1930). Fifty-seventh Street at Eighth
Av. New York.
Vi sarebbe molto da dire nell’esaminare quanto è ampiamente
illustrato in questo numero della Rivista Americana, ma oltrepasseremmo
i limiti della nostra rassegna per entrare nel campo della critica alle
tendenze dell’Architettura contemporanea; ci contenteremo di indicare
i soggetti trattati dal periodico d’oltre oceano: l’Esposizione
di Stoccolma e le più recenti manifestazioni architettoniche
nella Unione delle Repubbliche Sovietiche.
The Architect (Novembre 1930). 485 Madison Avenue New York.
Civic Opera House, Chicago. Il teatro, immenso, e di buona disposizione
planimetrica è ricavato in un grattacielo, sicchè nulla
abbiamo da dire sul suo aspetto esterno, soltanto che non è un
teatro. All’interno il vecchio teatro ottocentesco: non una parete
od un angolo senza cornici, decorazioni, ori e colori.
Manakiki Country Club, Cleveland, Ohio. Il ricco golf club americano:
molto confort, buona disposizione planimetrica, nulla di interessante
dal punto di vista architettonico.
Architectural Record (Novembre 1930). 115, W. 40th Street. New York.
La villa di campagna di John D. Newbold in Chestnut Hill, Pasadena;
arch. Edwards ed Hoffmann. La classica villa californiana con architettura
tipicamente mediterranea.
INGHILTERRA
The Architectural Review. (Ottobre 1930).9 Queen Anne's Gate. Westminster.
London. S. W. 1.
Cambridge Theatre; Seven Dials; London. All’incrocio di sette
vie a traffico intenso, colla necessità di dover prevedere la
platea a livello stradale, o quasi, onde eliminare le scale, e l’ingresso
sul fronte stradale, limitatissimo, prospiciente il crocevia, il problema
si presentava molto difficile di risoluzione, ma è stato studiato
con amore e risolto con arte.
Esso è coperto da una volta ellittica con raggio di curvatura
gradatamente più grande a mano a mano che, in prossimità
del proscenio, esso è visibile da maggior numero di spettatori,
non essendo più nascosto dal doppio ordine di balconate. Fasci
di luce tagliano la copertura e giungono, senza soluzioni di continuità,
fino a terra sulle pareti laterali. Massima semplicità nella
decorazione che può dirsi virtualmente abolita per quel che riguarda
i valori plastici, mentre è affidata, quasi esclusivamente, ad
effetti cromatici luminosi. Degno di particolare attenzione per lo svolgersi
dell’arte pittorica contemporanea a decorazione di ambienti, il
sipario di sicurezza. Su di esso G. W. Leech ha rappresentato le trasformazioni
edilizie subite dal 1330 al 1930 del luogo sul quale ora sorge il teatro,
chiamato Seven Dials; è un’assonometria piacevole e di
grande valore decorativo resa su fondo chiaro con prevalenza delle tinte
usate per la decorazione ambientate.
Architetti: Wimpers, Simpson & Guthrie.
The Architectural Review. (Novembre 1930). 9 Queen Anne’s Gate.
Westminster. London S. W. 1.
Lord Bembow ha indetto un concorso, aperto ad ogni architetto od artista,
inglese o residente nelle isole britanniche, per l’arredamento
di due ambienti della sua dimora londinese: sala da pranzo e salone
di soggiorno. Il primo premio è stato dalla giuria aggiudicato
al lavoro di Raymond Mc Grath, il secondo a quello di Paul Nash ed infine
il terzo a quello di Vanessa Bell. Il concorso, ampiamente illustrato,
è molto interessante, soprattutto perchè ci mostra in
modo palese l’influsso delle tendenze decorative contemporanee
sulle opere di artisti inglesi.
Quello che poco fa dicevamo pel Teatro Cambridge e che potremo ora in
parte ripetere per il Whitehall Theatre dell’architetto E. A.
Stone, ci fa quasi dubitare di essere in Inghilterra e nel cuore di
Londra; ci ricorda molto, forse troppo, il Bar Presto ed il Teatro Pigalle
in Parigi.
Vediamo anche ampiamente illustrata e giudicata nella sua vera importanza
l’arte decorativa italiana alla Mostra di Monza.
The Architectural Review. (Dicembre 1930). 9 Queen Anne's Gate. Westminster.
London. S. W. 1.
Marylands. Hurtwood nel Surrey. Architettura di Oliver Hill.
La vera villa residenziale per una grande famiglia inglese. Se sono
sempre presenti il classico spirito della dimora feudale in Inghilterra
e la cura e l’amore alla casa come culla dalla famiglia e santuario
di tradizioni che si oppongono alle innovazioni, pure, nelle linee dell’architettura,
nella decorazione, limitata ai pavimenti ed ai soffitti e volutamente
non estesa alle pareti, alle porte ed agli infissi e nemmeno alle cornici
e modanature, vediamo il segno dei nostri tempi; i portici, la loggia,
il patio arricchito da una fontana, piccola gemma nella rudezza del
materiale che la incornicia, ci danno aspetti molto piacevoli senza
per questo perdere quel senso di «home» proprio della casa
inglese. Nobilissimi i materiali impiegati i quali si sostituiscono
essi stessi alla decorazione: maniglie in argento, porte in radica di
noce, lacche, majoliche, ecc.
Il New Victoria Cinema; Wilton Road; London. Architetti W. E. Trent
e E. Wamsley Lewis.
Sir Giles Gilbert Scott in Putnev, presso Londra ha costruito il Collegio
Whitelands; di ottima soluzione la pianta, di maestoso effetto l’insieme,
per quanto ciò sia forse dovuto piuttosto alle più grandiose
proporzioni dell’opera, alla nobiltà dei materiali impiegati
che non ad alcuna particolare soluzione di carattere estetico o decorativo.
The Architectural Journal. (Novembre 1930). 9 Queen Anne’s Gate.
Westminster. London.
Il Monumento eretto in Kiel ai caduti della Marina Imperiale Germanica.
La casa di campagna costruita in Ben Rhydding, Yorkshire, da john C.
Procter. Razionalismo completo ed assoluto, non mutilato da convenzionalismi
ed infingimenti.
The Studio. (Ottobre 1930). 44 Leicester Square. London.
Già conosciamo gli interni dovuti all’architetto Kem Weber.
La Rivista ce ne mostra altri, eseguiti sulle coste del Pacifico per
sudditi Americani immigrati da poco, in Los Angeles. Praticità,
economia. I termini per il giudizio si spostano: la bellezza, secondo
gli autori, è data dalla utilità e dalla comodità
del mobile e non già l’utilità dalla bellezza. Ci
avvicineremo ad una estetica nuova.
Henry Clouzot ci parla dell’arte di arredare una tavola e ci mostra
in alcuni dettagli, aspetti ed oggetti di incomparabile finezza: gli
argenti, le porcellane, i cristalli ed i merletti.
FRANCIA
L’Architecte. (Novembre 1930). 2 Rue de l’Echelle. Paris.
Di due opere tratta questo numero della migliore Rassegna Francese
di Architettura: una casa di civile abitazione ad appartamenti costruita
in Parigi, Rue Méchain, da Robert Mallet Stevens.
La fabbrica di tabacchi Erven de Wed, J. Van Melle a Rotterdam, Olanda,
dagli architetti J. A. Brinkmann, L. C. Van der Vlugt.
La prima, costituita da 14 appartamenti distribuiti su 9 piani fuori
terra, presenta una ottima soluzione planimetrica, resa più difficile
e quindi tanto più ammirevole, dalla difficoltà presentata
dall’area chiusa sui due lati maggiori. L’architettura è
il logico risultato dell’ossatura in béton, senza inutili
sovrastrutture e mentre la limitata altezza dei piani ed il bisogno
di grandi aperture per l’illuminazione di ambienti di notevoli
dimensioni porta come conseguenza la prevalenza di linee orizzontali,
a queste fanno contrasto gli elementi verticali delle aperture delle
scale e degli ambienti di uso comune (atrio, ecc.) nei quali sono consentite
maggiori altezze.
La seconda, la Fabbrica per lavorazione dei Tabacchi in Rotterdam, ci
ricorda molto con le sue immense pareti a vetri non interrotte all’esterno
da nessun elemento verticale portante in muratura, i magazzini Schocken
in Chemnitz.
M. Corbiot illustra in un articolo a carattere prevalentemente tecnico,
l’uso di luci indirette e proiettale per l’illuminazione
di edifici monumentali.
L’Architecture. (Ottobre 1930). 39 Rue du Géneral Foy.
Paris 8.
La nuova Cattedrale d’Ismaila, Egitto, M. Hulot architetto. Raymond
Cogniat ci illustra alcune sale per pubblici spettacoli recentemente
inauguratesi in Francia.
Molto interessante la sala per concerti costruita in Parigi, Rue Cardinet,
a sede della Scuola Superiore di Musica dagli Architetti A. e G. Perret.
Nel locale per concerti, infatti, i rapporti fra sala e scena non sono
piú quelli cui siamo abituati nei teatri; non c’è
bisogno di creare la quarta parete che delimita idealmente la scena,
il proscenio, poichè non è necessario che l’attore
resti isolato e diviso dai suoi spettatori, chè, anzi, è
bene se fra l’uno e gli altri v’è maggiore intimità;
precisamente il contrario di quanto si cerca di realizzare nel teatro,
dove il mantello di Arlecchino delimita ed isola dandogli grande rilievo,
il quadro sempre variabile dato dalla scena. L'ossatura e la decorazione
della sala dovranno quindi tendere a questo risultato: attirare l’attenzione
senza però, direi, usando terminologia industriale, monopolizzarla
a danno dell’esecutore. Sottigliezze difficili a definire, ma
che divengono evidenti se realizzate con tanto amore e buon gusto quanto
nella sala della Rue Cardinet.
De Grimaldi e Ulmer, architetti parigini, hanno riadattato alle esigenze
e necessità del nostro tempo il Teatro Marigny, Avenue des Champs
Elysées. Per quanto praticamente gli autori abbiano ricostruito
il teatro, non restano dell’antico edificio che i muri perimetrali
e la copertura, pure nella decorazione e negli aspetti estetici esso
è rimasto il tipico teatro ottocentesco ed in esso non è
stata apportata nessuna innovazione, nè planimetrica nè
decorativa, nè all’interno nè all’esterno.
Forse, dato il luogo in cui l’edificio sorge, l’Av. des
Champs Elysées, protetto da uno speciale regolamento edilizio,
ciò non sarebbe stato nè possibile nè desiderabile.
Alex. e Pierre Fournier hanno trasformato completamente la Salle Hoche
che sorge in Parigi nell’Avenue dallo stesso nome ove fu costruita
nel 1900. Nella sua semplicità, nell’abbondanza di grandi
superfici liscie sulle quali risaltano ornamenti plastici di grande
nobiltà, nelle linee e nei materiali, risalta in esso il gusto
decorativo della Francia contemporanea.
L’Architetture. (Novembre 1930). Paris. 8.
Concorso per il Grand Prix de Rome. Architettura. 1930.
Il tema era una Scuola Superiore di Belle Arti. Primo premio Arch. Carlier;
secondo Arch. Lemaresque; terzo Arch. Courtois. Ma i lavori premiati
dalla giuria pur nobilissimi, ci sembrano freddi, accademici e scolastici
sia nella forma grafica che nel contenuto sostanziale.
Un palazzo d’affitto ad appartamenti costruito dall’architetto
M. Hennequet in Parigi, angolo Rue Franklin e Rue Scheffer. Dall’esterno
è visibile l’ossatura portante in béton poichè
fra i pilastri di questa sono ricavati ininterrottamente bow-window
che salgono dal primo piano fino alla linea di gronda di modo che l’edificio
presenta all’esterno una serie continua di superfici convesse
appena interrotte dai pilastri e nelle quali anno ricavate le aperture.
Una villa in Biarritz: Architetti Duval e Gouse; architettura mediterranea.
La Construction Moderne. (Ottobre 1930). 13 Rue de l’Odéon.
Paris.
L’Esposizione di Anversa. Architetto sovraintendente generale
Joseph Smolderen. Molto riuscita dal punto di vista urbanistico la disposizione
generale ed ottimi alcuni padiglioni quali quelli della Francia, della
Norvegia, delle città di Amburgo e Brema: non entusiasmanti alcuni
altri, quali per esempio quello della Gran Bretagna pure dovuto all’opera
di Sir Edwin Lutyens,
La Construction Moderne. (Novembre-Dicembre 1930). 13 Rue de l’Odéon.
Paris.
Assai interessante per la tecnica delle costruzioni l’articolo
nel quale vengono illustrati i restauri in corso per ripristinare le
strutture gotiche della magnifica Cattedrale di Saint-Quentin, molto
danneggiate dalla Guerra.
L’Opèra di Marsiglia; architetti G. Castel, Ebrard e Raymond.
GERMANIA
Wasmuths Monatshefte Baukunst & Städtebau (Ottobre 1930).
31, Markgrafenstrasse, Berlin.
Il periodico che mensilmente ci presentano Werner Hegemann e Günther
Wasmuth ci appare sempre più ricco sia di materiale fotografico
che di dati, notizie ed articoli che si possono comunque collegare all’attività
edilizia contemporanea in Germania. Attività invero così
varia instancabile e multiforme, se pure ormai tutta decisamente indirizzata
verso le modernissime concezioni dell’arte del costruire, che
non può a meno di lasciarci perplessi. Ci ripeteremo però
se volessimo pur lontanamente ed appena con qualche rilievo esprimere
su di esso il nostro giudizio, e, crediamo d’altra parte che ogni
architetto sia al corrente della pubblicazione ed attraverso di essa
del movimento architettonico tedesco che, bisogna confessarlo, occupa
un posto molto notevole, se non il primo, nel quadro della situazione
mondiale. Ci limitiamo quindi ad un elenco delle opere che abbiamo sotto
occhio.
L’esposizione di Architettura nel Folkwang-Museum di Essen - Arch.
Edmumd Körner.
Una clinica per bambini in Dortmund - Arch. W. Eckenrath e W. Schurig.
Il tubercolosario «Haardheim» del sobborgo Recklinghausen
in Essen. - Arch. G. Metzendorf e J. Schneider.
L’Union-Theater in München-Gladbach - Arch. Ludwig Becker
di Essen.
Il Nuovo Padiglione nel Sanatorio Grimmenstein nella bassa Austria -
Arch. E. Ilz e H. Pfann di Vienna.
Ricovero di mendicità in Berlino - Arch. Rudolf Frankel.
L’Arch. Poelzig abita in Berlin-Westend una villa progettata e
costruita dalla sua Signora l’Arch. Marlene Poelzig, che ha voluto
realizzare una dimora più che possibile a contatto con la natura,
fusa col giardino, in antitesi quindi alla teoria del Le Corbusier che
pone la sua casa direi quasi sui trampoli, la isola dalla natura circostante
ed arricchisce e decora un giardino pensile ricco di belle piante ma
chiuso all’esterno.
Il Poelzig ha risposto alla domanda: «Come fabbricherà
l’architetto la sua casa?» facendola progettare alla moglie
e riservandosi così la libertà di critica; critica che
però non può essere che sotto ogni aspetto lusinghiera.
F. Schumacher ha ampliato in Amburgo il Palazzo di Giustizia.
Il programma urbanistico per la città di Kassel elaborato da
F. Stück.
Wasmuths Monatshefte Baukunst & Städtebau (Novembre 1930).
Berlin.
Architettura sacra in Germania:
S. Nicola in Dortmund - Arch. Pinno e Grund.
S. Willibrord in Kellen presso Cleve - Arch. Wahl e Rödel di Essen.
S. Sebastiano in Monaco - Arch. O. O. Kurz e E. Herbert.
Nuove costruzioni in Praga; per la maggior parte magazzini per la vendita
al pubblico, o palazzi per uffici commerciali - Arch. O. Tyl, F. Ehrmann,
J. Gocar, J. K. Riha, Mülsteim, Fürth, F. A. Libra, tutti
di Praga.
La nuova Cassa di Risparmio della città di Chemmitz dell’Arch.
Fred Otto.
Le costruzioni industriali degli Arch. Adolf Abal e Karl Boehringer
in Stoccarda.
I progetti per la sistemazione edilizia della piazza della Repubblica
in Praga.
Wasmuths Monatshefte Baukunst & Städtebau (Dicembre 1930).
Berlin.
La città giardino Heimat in Berlim-Siemensstadt, dell’Arch.
H. Hertlein.
La villa v. T. in Honnef sul Reno dell’Arch. H. Wirminghaus di
Colonia.
Alcune ville in Praga degli Arch. J. K. Riha, J. E. Koula, E. Mühlstein,
V. Fürt, J. Havlicek e K. Honzik.
Il nuovo ponte sospeso sul Reno a Colonia (Mülheim) dell’Arch.
bavarese Adolf Abel.
Progetti di ponti degli Arch. Hirsch e Sturm di Vienna.
Innendekoration (Ottobre 1930). Darmstadt. Verlag A. Koch.
Paul Laszlò ha arredato in Stoccarda la casa W. D. Y.; superfici
liscie, preziosità dei materiali, nitidezza e lucentezza degli
ambienti.
Deutsche Kunst & Dekoration (Ottobre 1930). Darmstadt. Verlag A.
Koch.
Le sculture di Napoleone Martinuzzi nella nuova sede delle Poste in
Ferrara e il suo Monumento ai Caduti in Guerra di Murano.
La villa Stephan von Auspitz, Vienna, di Wagner Freynsheim; razionalismo
forse eccessivo, piacevole l’arredamento interno.
Deutsche Kunst & Dekoration. (Novembre 1930). Darmstadt. Verlag
A. Koch.
La Villa von Pretz costruita dall’arch. Viennese Clemens Holzmeister
nei pressi di Bolzano. Il razionalismo è quì nell’aspetto
esterno e nella figurazione estetica pieno ed assoluto; ma non è
rigido e lineare, si sente l’influsso del Sud in quanto il più
notevole elemento decorativo è dato dalle loggie e dai portici
che adornano la villa e che pur essendo semplicissimi, non arricchiti
da nessuna cornice ci ricordano motivi di architettura minore mediterranea.
Gli ultimi arredamenti del Le Corbusier in collaborazione con Paul Jeanneret
e Ch. Perriand; metallici, freddi, direi ospitalieri.
Mobili e decorazioni di Fritz Gross in Vienna.
Baukunst. (Ottobre 1930). Monaco.
L’attività edilizia della città di Mannheim dal
1922 ad oggi ci viene presentata in una copiosa rassegna, dalle città
giardino alle case a schiera e case popolari dagli asili alle scuole
ed ai ricoveri per mendicità, in illustrazioni nitide e precise,
con dati tecnici ed economici, con ricco materiale planimetrico. L’abitazione
del sindaco; costruzioni ecclesiastiche, un seminario, i padiglioni
di esposizione, Rhein-Neckarhallen, ambienti enormi (il maggiore è
di ml. 110 x 34 il minore di ml. 110 x l0); campi sportivi, teatro all’aperto,
stadio, parchi pubblici e giardini, nei quali sorge il Plametarium.
Tutti questi edifici grandiosi non soltanto individualmente ma come
numero, sono stati progettati e diretti dall’Ufficio tecnico Comunale
che ha eseguito in otto anni una mole di lavoro davvero imponente. Razionalismo
assoluto, béton, superfici piane, lisce, chiare.
Baukunst. (Novembre 1930). Monaco.
Il nuovo aeroporto di Monaco.
Moderne Bauformen. (Ottobre 1930). 14 Paulinenstrasse. Stuttgart.
Mobili economici progettati dall’Arch. P. Griesser per il Verband
Deutsche Wohnungskunst.
Case popolari in Vienna di J. Frank e Oscar Wolach.
Di primo ordine nel campo delle architetture moderne, i magazzini di
vendita della ditta Michel costruiti da Fahrenkamp e Schäffer nel
cuore di Düsseldorf. Gli architetti non hanno avuto falsi pudori
e si sono serviti delle costruzioni medievali che abbondano nella zona
perchè il loro edificio che non ha secondo la loro definizione
aspetto architettonico ma semplicemente commerciale ne guadagnasse in
effetto, per contrasto.
L’architettura contemporanea in Giappone. Interessantissime queste
visioni dell’edilizia in Estremo Oriente che se ci tolgono forse
alcune illusioni ci mostrano anche lì il pieno trionfo del béton
e della sua architettura.
Moderne Bauformen. (Novembre 1930). Stuttgart.
Tre grandi magazzini di vendita della Ditta Schocken costruiti in Norimberga,
Stoccarda e Chemnitz da Erich Mendelsohn.
La villa W. in Kilchberg sul lago di Zurigo ed alcune costruzioni industriali
degli arch. K. Wach e H. Rosskotten di Düsseldorf.
Moderne Bauformen. (Dicembre 1930). 44 Paulinenstrasse. Stuttgart.
Mobili e decorazioni di ambienti di Fritz Gross, Vienna. Incantevole
la Villla F. St. in Lucerna, dovuta all’arch. Armin Meili, che
ha saputo sfruttare con effetti magnifici le caratteristiche altimetriche
del terreno che scendeva molto ripidamente verso il lago.
Henry Paçon e M. Surleau: la nuova stazione viaggiatori di Montparnasse,
Parigi.
Otto Zollinger: lo stabilimento balneare in Vevey Corseau.
SINDACATO NAZIONALE ARCHITETTI
PAGINE DI VITA SINDACALE
ASSEMBLEA DEL SINDACATO DI ROMA
E PROVINCIA
Il 5 febbraio u. s. ha avuto luogo in Roma l’assemblea del Sindacato
di Roma, della quale intervennero oltre a numerosissimi inscritti, delegati
autorevoli della presidenza della Confederazione Professionisti ed Artisti.
L’assemblea fu presieduta dal Segretario nazionale del Sindacato
On.le Alberto Calza-Bini.
L’Assemblea discusse di importanti questioni riguardanti la vita
dell’organizzazione sindacale, approvò fra l’altro
la tariffa professionale ed il bilancio del Sindacato Provinciale presentato
dal Segretario uscente Arch. Vincenzo Fasolo.
Infine fu eletto il nuovo Direttorio che risultò così
composto:
Segretario Provinciale: Arch. Vincenzo Fasolo, riconfermato.
Direttorio: Arch. Benigni Gino, Arch. Foschini Arnaldo, Arch. Giovenale
Luigi, Arch. Libera Adalberto. Arch. Medori Corrado, Arch. Paniconi
Mario.
Comitato Esecutivo: Arch. Cancellotti Gino, Arch. Rosi Giorgio.
Revisori: Arch. Capponi Giuseppe, Arch. Fiorini Guido. Arch. Nicoletti
Bruno.
ASSEMBLEA DEL SINDACATO REGIONALE
DI GENOVA
Anche a Genova ebbe luogo un’importante riunione presieduta dal
Segretario Nazionale del Sindacato, Anch. Alberto Calza-Bini, che, dopo
aver discusse varie questioni relative alla vita del Sindacato Regionale,
provvide all’elezione del nuovo Direttorio, il quale risultò
composto come segue:
Segretario Regionale: Arch. Giuseppe Crosa, riconfermato in carica.
Direttorio: Arch. Boddini Michele, Arch. Costa Manlio, Arch. Ferrati
Bruno, Arch. Orzali Gaetano, Arch. Rosso Giuseppe. Arch. Winter Rodolfo.
NOTIZIE SUL XIII CONGRESSO
DELLA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE
DELL’ABITAZIONE
E DEI PIANI REGOLATORI
Al Congresso della Federazione Internazionale dell’Abitazione
e dei Piani regolatori che avrà luogo a Berlino nel giugno di
quest’anno, di cui abbiamo dato notizia nel fascicolo dell’ottobre
1930, si discuteranno i seguenti temi:
Abolizione delle Abitazioni Insalubri. - Questo problema sarà
trattato molto ampiamente, studiandone la soluzione secondo i metodi
già adottati e altri da proporsi dal congresso.
Problema del traffico in rapporto ai piani regolatoli urbani e regionali.
- Si terrà conto, nel discutere questo tema, di tutte le spece
di traffico: ferroviario, tramviario, aereo ecc. si tratterà
della loro coordinazione, dei loro rapporti con le strade e in generale
con lo sviluppo urbano e regionale.
Le esperienze fornite dagli ultimi congressi. - Una relazione speciale
sarà tenuta su questo soggetto.
Numerosi sono già gli iscritti che parleranno sui suaccennati
temi.
Il congresso sarà completato da numerose visite e escursioni.
Il diritto di iscrizione è di lire sterline 1 da inviarsi al
Segretario organizzatore Mr. H. Chapmen, Fédération Internationale
de l’Abitation et de l’Amenagement des Villes, 25 Bedford
Row, London W. C., che fornirà su richiesta le schede d’iscrizione
e qualsiasi informazione.
Si invitano gli architetti italiani a partecipare largamente al Congresso.
IL CONGRESSO INTERNAZIONALE
DI TECNICA SANITARIA
E DI IGIENICA URBANISTICA
Nell’aprile (20-26) sarà tenuto a Milano il II° Congresso
Internazionale di Tecnica Sanitaria e di Igienica Urbanistica, che verrà
integrato dalla II Mostra Internazionale di Tecnica Sanitaria e di Igiene
Urbanistica aperta nei Padiglioni della Fiera Campionaria di Milano
(12-27 aprile 1931), allo scopo di far rilevare a quanti si occupano
di edilizia e d’igiene urbana e rurale quanto è stato compiuto
in materia dalle principali città italiane ed estere.
Fra i temi del Congresso segnaliamo quelli inerenti a problemi urbanistici
e edili.
Tecnica Sanitaria Urbana:
1. - Costruzione, pavimentazione, manutenzione igienica della strada.
2. - Igiene dei mezzi di trasporto urbani. Stazioni ferroviarie.
3. - La difesa contro i rumori e la trepidazione nelle case e negli
stabilimenti industriali. La difesa contro i tumori stradali. Provvedimenti
per attenuarli.
Tecnica Sanitaria delle Costruzioni, Abitazioni ed Edifici pubblici:
1. - Distribuzione degli spazi liberi e delle zone fabbricate nello
studio dei piani regolatori.
2. - Moderni criteri per la costruzione di ospedali e sanatori. Fognatura,
disinfezione, smaltimento dei materiali di rifiuto.
3. - Abitazioni collettive: case operaie abitazioni economiche. Provvedimenti
per attenuare i difetti igienici delle case ed appartamenti multipli.
Tecnica Sanitaria rurale e coloniale:
1. - Provvedimenti igienici per le costruzioni rurali con particolare
riguardo agli scarichi delle acque luride.
2. – L’approvvigionamento idrico nelle campagne.
3. - La tecnica sanitaria e l’igiene nelle colonie.
La Tecnica Sanitaria nelle officine e nei laboratori:
1. - Impianti igienici negli stabilimenti industriali. Protezione collettiva
e individuale.
2. - Ventilazione, riscaldamento, illuminazione con particolare riguardo
alle differenti industrie ed ai locali: teatri, cinematografi, alberghi,
bagni, ecc.
3. - Eliminazione dei rifiuti industriali.
Tutte le indicazioni inerenti al Congresso verranno date dalla Segreteria
Generale del Congresso stesso, con sede a Milano, Piazza del Duomo,
17.