FASCICOLO VII - MARZO 1931
Notiziario

CORRIERE ARCHITETTONICO

LA CASA DI LAVORO DEI CIECHI DI GUERRA IN ROMA

L’Arch. Pietro Aschieri, per incarico dell’On. Carlo Delcroix, ha architettato la casa di lavoro dei ciechi di guerra, che sorgerà in Via Rovereto a Roma e di cui è già stata posta la prima pietra. Nell’edificio, per cui è prevista la spesa di L. 1.500.000, troverà posto l’officina di protesi per mutilati, e il laboratorio di maglieria; esso permetterà il soggiorno al lavoro di 80 ciechi e di circa 100 ragazze per i lavori di bobinatura e finitura. Ospiterà permanentemente 14 suore addette al servizio e 24 uomini di truppa accompagnatori con graduato.
Oltre i laboratori veri e propri ed i servizi relativi, l’edificio conterrà, distribuiti in tre piani fuori terra, oltre il seminterrato:

refettori, cucine e servizi per ciechi, suore e militari di truppa;
uffici di Direzione;
locali di rappresentanza e trattenimento, (atrio, salone per musica e conferenze, biblioteca, sala di lettura, oratorio, ecc.);
magazzini, garages, lavanderia;
alloggi per circa 30 ciechi di passaggio.

L’Arch. Aschieri, in una sua relazione al progetto, dice di essersi proposto nel redigerlo i seguenti obiettivi principali:

1. - che la forma della pianta discenda con spontanea e logica aderenza dalla configurazione del terreno;

2. - che la successione e la posizione relativa dei vari servizi sia la più comoda, pratica, e quella che risponde nel modo migliore al loro funzionamento;

3. - che l’organismo dell’edificio sia tale da garantire in modo assoluto la ventilazione e l’illuminazione (i ciechi sentono se l’ambiente è illuminato o no, vogliono la luce) indispensabili all’igiene di locali in cui conviene al lavoro una notevole quantità di individui.

Così continua la relazione Aschieri:
“L'edificio che ha in linea approssimativa la forma di un “S” ripartisce il residuo terreno in cortili aperti e giardini fra loro indipendenti, i quali hanno ciascuno una propria destinazione.
L’aspetto esteriore dell’edificio è l’immediata derivazione della ossatura, dell’organismo, delle necessità interiori della costruzione.
Superfici liscie, chiare, piene, che si alternano con le zone forate. Assenza assoluta di decorazione (il laboratorio dei Ciechi di Guerra non ha bisogno di figurazioni allegoriche e di finzioni ornamentali per essere valorizzato).
Tutto l’effetto architettonico è basato sul gioco dei volumi semplici, che io non ho voluto tormentare con fasciature o cornici; dei rapporti delle masse, dei vuoti e dei pieni e della gamma dei colori.
L’intonazione generale dei colori sarà sui toni grigi e andrà dal bianco (adoperato nei piani rientranti normali alle pareti) al grigio ardesia delle scorniciature e delle parti scure (finestre, rientri, zoccolatura).
I ferri dei finestroni saranno rosso vermiglio, le balaustrate metalliche in alluminio.
Il prospetto in curva che si presenta come un trittico o una icona aperta si lega al terreno con una linea di fontane ove l’acqua scende in cascatelle su gradinate circolari. Il rumore dell’acqua in movimento e il profumo dei fiori del giardino circostante saranno gli elementi sensibili e vivi dell’edificio per i ciechi che lavorano nell’interno.
La parte rientrante su strada che forma cortile aperto è quella che contiene la maggior parte dei laboratori e i servizi ed ha l’aspetto esteriore di un edificio industriale. Le parti rotonde che formano contrafforte verso il cortile sono determinate dalla presenza, sull’angolo, dell’oratorio.
L’ossatura in cemento armato della scala principale d'accesso mostra sinceramente in vista le pareti in cemento naturale come restano dal getto, semplicemente martellinate per regolarizzarne la superficie. I gradini in marmo di colore lucidato restano incastrati fra le due travate.
Dello stesso marmo lucido è il portale d’ingresso. Le ringhiere laterali della scala sono in canna di ferro alluminato.
L’edificio, su questa fronte, si lega al terreno per mezzo di scarpate seminate a prato alternate a ripiani coltivati a fiori.”
Con questa nuova opera l’Arch. Aschieri prosegue francamente nella sua via che lo porta a realizzare opere dotate in sommo grado di libertà, sanità e vitalità architettonica.
Anche in questo lavoro vediamo infatti le forme espressive essere esenti da ogni retorica ed emergere dalla sostanza stessa della fabbrica per aderenza diretta di sensibilità, esplicantesi in tutta la gamma dei valori, da quelli più intimamente costruttivi agli altri più particolarmente decorativi. L'organismo della pianta nasce con chiarezza dalla forma del terreno, e si differenzia distributivamente ed esteticamente in funzione degli ambienti ospitati, più larga e sontuosa nella parte destinata a sale di soggiorno e rappresentanza, ubicate nel corpo di fabbrica a settore circolare tra le due ali laterali, più modesta ed utilitaria in quella adibita ai laboratori, affacciantesi al cortile aperto rettangolare. I volumi sorgono accentuando il valore espressivo delle forme planimetriche: con ampio respiro di pareti piene e largo ritmo nella ripartizione dei vuoti nella zona più monumentale, con secca e schematica cubicità dei laboratori. Gli elementi decorativi di superficie, da cui esulano integralmente le forme pseudo costruttive ed ogni diretta reminiscenza parassitaria, sono affidati oltrechè alle forme, al valore di bellezza intrinseca delle sostanze scelte per realizzarli e concorrono in definitiva a differenziare le singole parti.
È da notar d’altra parte che gli stretti criteri di razionalità e di interiorità architettonica recanti un’impronta di fresca modernità all’opera dell’Aschieri, nulla tolgono di calore e di fecondità artistica alle forme; la potenza formativa ha potuto realizzarli non ai danni della ispirazione estetica, ma a vantaggio di essa, che ne risulta soltanto più approfondita ed appropriata.
N. D. R.

POSTO TELEFONICO DELLA “STIPEL”
A TORINO

A Torino, sotto i portici di Piazza Castello, la “Stipel” ha inaugurato un posto pubblico telefonico con una modernità di gusto che è altamente significativa.
Con una soluzione architettonica d’impianto veramente felice, in un solo e vecchio locale, l’Ufficio Tecnico della Stipel, egregiamente diretto dall’ing. Franco Del Corno, ha saputo trovar posto per l’ingresso, per una saletta d’attesa posta in fondo al locale, sopraelevata di cinque gradini, per una doppia fila di cabine disimpegnate dalle balconate laterali e infine per i sottostanti uffici delle prenotazioni e dei gettoni.
Tutto ciò è cosi bene coordinato e risolto che merita una lode a parte.
Le fotografie illustrano chiaramente la decorazione della saletta d’attesa affidata a Giulio Rosso, i soffitti, i pavimenti, i mobili, i rivestimenti. Ogni cosa è stata eseguita con raffinatissima eleganza, con materiali moderni, nuovi, gustosamente scelti ed accoppiati: radica di noce ed ebano Macassar, palissandro e radica del Caucaso, marmo nero Piemonte, rosso jaspè e viola antico, velluti, ringhiere in alluminio, specchi, vetri e lampade razionali. Infine tutta la ricercatezza di materiali che si suole accompagnare a quella linea un poco rude e scontrosa che è entrata a caratterizzare lo stile di oggi e di domani, non so se di dopodomani.
Un poco meno gustosa la facciata del locale, tutta in marmo, con una grossa scritta e due aperture che si potevano forse comporre più felicemente.
Ma si tratta di dettagli e la “Stipel” e l’ing. Del Corno vanno incondizionatamente lodati per aver fatto eseguire un ambiente che è certamente tra i più ricchi e belli del genere.
A. MELIS.

LA VILLA DELLA CONTESSA CASALINI
A LESA SUL LAGO MAGGIORE
dello Scultore FRANCO LOMBARDI

Merita davvero di essere segnalata questa costruzione, non di un architetto consacrato ufficialmente, ma d’uno scultore: Franco Lombardi, scultore milanese, favorevolmente conosciuto tra i migliori, scrupoloso e cautamente moderno. E quest’è, dunque, la prima sua prova nella maggiore delle Arti. Con tutta sincerità, noi architetti, non possiamo che rallegrarcene.
È andata così. La Contessa Evelina Casalini gli aveva dato, or è un anno, la commissione per una fontana da collocarsi nel giardino prospiciente una sua villa di cui, su piani sommariamente predisposti, s’era iniziato lo sterro a Lesa, in riva al Lago Maggiore. Ed apprezzando subito quel che il Lombardi per la fontana gli andava ideando, gli estese addirittura l’incarico anche per la fabbrica. Cosicchè il neoarchitetto, pur dovendo utilizzare certe murature già parzialmente gettate, modificando quà e là i piani, riusciva, fuori terra, a crear opera del tutto personale.
La villa è pressochè quadrata, ed il suo vivo è occupato da un grande vestibolo che tutta l’attraversa, da giardino a giardino, e da cui, per una scala a due rampe si accede ai piani superiori. A terreno son sale, salotti, studi, cucina, servizi; al primo stanno gli appartamenti notturni; al secondo, pur lasciando spazio per le stanze del personale, ecco un vasto terrazzo che corre su tre lati della fabbrica. Il merito maggiore dell’architettura sta nella buona disposizione delle masse, ritmi di pieni e di vuoti.
Sovratutto il primo piano, verso il lago, tutto a finestre accoppiate è di elegante effetto, ben equilibrato, sereno e gustoso. E tanto si deve dire anche per le due esedre terrene, di buona trovata, di buona massa, anche se non di felicissima soluzione architettonica: le colonne e le trabeazioni avrebbero qui acquistato in grazia se maggiormente ossequienti alle più rigide norme ormai acquisite dall’architettura... secolare. Troppo spesso il voler rinnovar a tutti i costi conduce fuori strada, e, d’altronde, la licenza non raggiunge l’effetto sperato. Ma, nel caso nostro, buon giudice deve riconoscere che v’ha della buona stoffa; e come primo saggio non c’è che da applaudire, anche se talvolta lo scultore o l’inesperienza prendon la mano all’architetto.
Del resto, anche gli interni testimoniano in favore. La decorazione ed il lusso sono affidati soprattutto ai marmi, vari e preziosi, dallo Strona al rosso Francia, alla Labradorite: sempre disposti con gusto e con rara accuratezza, in pavimenti, zoccoli, stipiti, a rivestire completamente, poi, il bagno padronale. E accanto ai marmi, ecco poca e ben appropriata decorazione a stucco, in riquadri appena sentiti.
Recinge il giardino un’elegante cancellata in ferro, ben composta e di gusto francamente moderno.
Infine un cenno sulle pietre esterne: furono qui adottati i serizzi della Valdossola ed i graniti del Lago Maggiore. I contorni delle finestre sono in pietra di Saltrio.
F. R.


IL MONUMENTO AGLI AVVOCATI BERGAMASCHI
CADUTI IN GUERRA
Dell’Arch. PINO PIZZIGONI

L’architetto Pino Pizzigoni ha disegnato - per eternare la memoria degli avvocati bergamaschi caduti in guerra - il cippo che qui presentiamo. La composizione, volutamente quasi “frammentaria”, ricorda alcuni cippi sepolcrali classici, e non è priva di un reale interesse un po’ pittoresco. È, insomma, piacevole e bonaria; cosicchè certe sue scorrettezze diventano quasi elementi di maggior pregio.
Il cippo fu eseguito interamente in marmo di Musso.
R. F.


EDICOLA FUNERARIA POZZI-MAESTRI
AL CIMITERO MONUMENTALE DI MILANO
Dell’Arch. GORGONI CARLO

L’arch. Gorgoni Carlo ha costruito al Cimitero Monumentale di Milano questa simpatica Edicola Funeraria che presentiamo volentieri ai lettori della Rivista.
L’Edicola contiene nove loculi in un sottostante ambiente interrato, sette loculi e sedici colombari nell’ambiente fuori terra.
N. D. R.

NOTIZIARIO


RELAZIONI PRESENTATE DA DELEGATI ITALIANI
AL XII CONGRESSO INTERNAZIONALE DEGLI ARCHITETTI
A BUDAPEST


Nel precedente fascicolo, dedicato all’Esposizione ed al Congresso internazionale tenutisi in Budapest nel settembre 1930, per deficienza di spazio non abbiamo potuto riprodurre, come sarebbe stato nostro desiderio, due delle relazioni presentate dai delegati italiani, che riuscirono sopratutto interessanti ai delegati stranieri; l’una del prof. Gustavo Giovannoni, sul primo tema, avente ad oggetto “La riforma dell’insegnamento professionale architettonico in rapporto alle esigenze della pratica”, l’altra dell’arch. On. Alberto Calza-Bini sul seconda tema, avente ad oggetto “Le associazioni d’interesse tra architetti”, che si svolse con la presidenza dello stesso nostro egregio collega, Segretario Nazionale del Sindacato.
Ambedue i relatori diedero notizia di quanto è stato realizzato in Italia nelle due materie e fu unanimemente rilevato dai colleghi forestieri che i risultati acquisiti in concreto da noi superano quanto è stato espresso come semplice voto platonico dall’assemblea (vedi fascicolo gennaio-febbraio della Rivista).
Ecco le due relazioni riprodotte nelle toro parti più importanti: riusciranno certo interessanti a molti lettori che non sono al corrente degli ultimi avvenimenti e provvedimenti.

RELAZIONE GIOVANNONI SUL PRIMO TEMA:
“ LA RIFORMA DELL’INSEGNAMENTO
PROFESSIONALE ARCHITETTONICO IN
RELAZIONE ALLE ESIGENZE
DELLA PRATICA ”

Gli studi architettonici in Italia hanno subito nel secolo scorso la stessa crisi di sviluppo e di indirizzo che si è verificata in tutte le nazioni europee.
Quando nel secolo XVII al libero tirocinio professionale negli studi degli architetti (fino allora unico mezzo di formazione accompagnato or si or no da generici studi umanistici) ha cominciato a sostituirsi la preparazione didattica regolare, questa ha avuto sede nelle nascenti accademie, tra cui quella di S. Luca in Roma e la Clementina in Bologna. Ivi si insegnavano la geometria, la prospettiva, il disegno, le regole degli ordini architettonici ed insieme le norme di costruzione e di meccanica, con un inizio di preparazione positiva, non più affidata agli stanchi libri di Vitruvio, ma avviata a divenire scienza. E l’equilibrio tra tecnica ed arte si è mantenuto finchè non sono giunti i grandi progressi scientifici, le conquiste della meccanica, la suddivisione e la complicazione delle esigenze dei temi pratici attinenti alla vita moderna, e finchè al sentimento artistico non è venuta a mancare la unità dogmatica di uno stile. È cominciato allora un dissidio di forma e di sostanza tra due tendenze didattiche, tra due figure unilaterali di professionisti dell’Architettura, e si è esplicato in due diversissime istituzioni, che solo da pochi anni sono tornate a comprendersi e ad integrarsi.
Per intendere le condizioni attuali dell’insegnamento architettonico in Italia occorre risalire ad un tempo di circa 50 anni fa, quando ricostituitasi definitivamente l’Italia a nazione, lo Stato ha impresso unità agli studi superiori ed ai loro istituti, nei quali pertanto è venuta a mancare ogni ingerenza, fino allora dominante, delle Accademie artistiche locali.
In questi nuovi ordinamenti l’Architettura si è per così dire, sdoppiata ed ha seguito due vie diverse. Da un lato essa si è trovata aggregata alle Scuole d’Ingegneria civile, che per impulso del Cremona, del Brioschi, del Colombo assunsero una importanza ed una elevatezza grandissime nel campo della scienza e della tecnica; sicchè per molto tempo il titolo e la funzione dell’Architetto sono stati assorbiti da quelli assunti dall’Ingegnere civile, con una ottima preparazione tecnica, ma con talvolta insufficiente preparazione artistica.
Dall’altro lato gli Istituti di Belle Arti, creati in numero grandissimo nelle varie città italiane, associavano l’insegnamento dell’Architettura a quello della Pittura e della Scultura, dando così origine ad artisti architettonici della forma più che della sostanza, nei quali all’ottima educazione nel disegno e nella concezione scenografica non faceva riscontro una preparazione nelle discipline tecniche necessarie per la costruzione e neanche un’adeguata coltura generale di base.
I sostenitori dei due partiti a cui faceva capo questo sdoppiamento di studi trovarono spesso i loro argomenti nel citare te grandi figure del passata, come Antonio di Vincenzo, il Brunelleschi ed Aristotile Fioravanti, e Francesco di Giorgio, e Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci, ed il Sammicheli, il Sangallo, il Bernini, il Vanvitelli: geni universali che spesso alternavano opere di scultura o di pittura con progetti di bonifiche e di porti e con operazioni meccaniche, pur partendo da nozioni embrionali o da un pratico tirocinio d’Arte.
Essi non vedevano, in questi loro riferimenti, come la Scuola non sia fatta per produrre le figure di eccezione, masi rivolga all’«uomo medio»: nè si rendevano conto delle mutate condizioni della vita moderna, in cui non è più possibile completare autodidatticamente la coltura scientifica, ora che la scienza è ardua, complessa, macchinosa, nè la preparazione artistica, ora che l’Arte Architettonica, è chiamata a risolvere, scarsamente sorretta dalla tradizione, i più gravi problemi stilistici. Mai come ora è stata necessaria per l’Architetto una coltura integrale, ma questa coltura deve adeguare i suoi ordinamenti alle condizioni nuove.
I tentativi per dare agli studi architettonici ed al titolo di Architetto una consistenza piena e completa sono stati numerosissimi in questi ultimi 50 anni. Hanno avuto per istituzioni secondarie le istituzioni di Sezioni speciali per allievi Architetti create presso Politecnici, delle quali quella di Milano mantiene ancora una importanza notevole ed uno sviluppo fiorente per organica serie d’insegnamenti e per numero di studenti. Ed hanno culminato finalmente con la recente istituzione della Scuola Superiore d’Architettura in Roma, creata con decreto dell’ottobre 1919, divenuta così organo centrale dell’insegnamento architettonico e del conferimento del titolo di Architetto. Ad essa hanno seguito in questi ultimi anni le istituzioni delle Scuole di Architettura in Venezia, Torino, Firenze e Napoli.
Sono queste Scuole di Architettura istituzioni universitarie a cui si accede con una preparazione di cultura media analoga a quella dei Licei, ed insieme con un inizio di preparazione artistica. La durata dei corsi è di 5 anni; e gli studi sono insieme di carattere scientifico, artistico, professionale, graduati cioè per la progressiva formazione della coltura della mente e del senso d’Arte.
Si è, in altre parole, avuto di mira in quest’ordinamento la figura dell’Arcbitetto integrale, per cui l’Arte non sia astratta, ma abbia espressione in positivi temi concreti, e la scienza non sbocchi ad una tecnica arida di risorse e di forme. E si è con questo superato il pregiudizio della incompatibilità tra i due ordini di studi, col riaffermare invece che l’attitudine per l’esercizio dell’Architettura può aversi solo in chi sa comprenderli ambedue e contemperarli armonicamente.
Il tipo e la serie logica degl’insegnamenti che s’impartiscono in dette scuole risultano dalla seguente tabella, che si riferisce alla Scuola di Roma sulla quale, salvo lievi differenze, sono modellate le altre.

Elenco ed orario degli insegnamenti della R. Scuola superiore d’Architettura di Roma.

1° Anno Lezioni Esercizi

ore ore
Analisi matematica (complementi d’Al-
gebra calcolo infinitesimale) . . . . 3 1

Geometria analitica e descrittiva . . . . 3 2

Orzato e figura . . . . . . . . . . . . . - 8

Storia dell’Arte . . . . . . . . . . . . . 2 -

Storia dell’Arte: Visite a Monumenti e

Musei ............ - 3

Architettura: a) Storia dell'Architettura
e stili Architettonici . . . . . . . . 2 3

b) Elementi di composizione e disegno
architettonico . . . . . . . . . . . . 2 10
c) Elementi costruttivi . . . . . . . . 2 3
__________________________

Totale 14 30

2° Anno Lezioni Esercizi

ore ore
Chimica e tecnologia dei materiali da
costruzione . . . . . . . . . . . . . 3 -
Meccanica razionale . . . . . . . . . . 3 1
Mineralogia e geologia . . . . . . . . . 2 -

Decorazione applicata . . . . . . . . . . - 8
Architettura:
a) Storia dell’Architettura e stili archi-
tettonici .... 3 6

b) Composizione architettonica - 7

c) Rilievo e restauro monumenti . . - 5
Storia dell'arte . . . . . . . . . . . . . 2 -

_______________________________

Totale 13 27


3° Anno Lezioni Esercizi
ore ore

Scienza delle costruzioni . . . . . . . . 3 2
Topografia e costruzioni stradali . , . . 2 3
Igiene . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 -
Fisica sperimentale e tecnica . . . . . . 2 2
Decorazioni applicate . . . . . . . . . . 1 5
Plastica ornamentale . . . . . . . . . . - 5
Architettura:
a) Carattere degli edifici . . . . . . . 3 -
b) Composizione architettonica . . . . - 10
c) Rilievo e restauro monumenti . . 8 3

_______________________________

Totale 20 30


4° Anno Lezioni Esercizi

ore ore

Disegno di costruzioni . . . . . . . . . - 3
Idraulica applicata ed impianti vari . . 2 3
Materie Giuridiche Amm. ad economiche 3 -
Prospettiva e scenografia . . . . . . . . 1 5
Plastica ornamentale . . . . . . . - 3
Architettura:
a) Architettura tecnica e professionale 2 -
b) Composizione architettonica . . . . 2 10
c) Arredamento e decorazione interna,
ecc. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 4

____________________________

Totale 12 28


5° Anno Lezioni Esercizi
ore ore

Edilizia ed arte dei giardini . . . . . . 2 2
Architettura:
a) Architettura tecnica e professionale 2 -
b) Composizione . . . . . . . . . . . 2 16
c) Arredamento e decorazione interna 2 10
Scenografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 5
Conferenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . - -

____________________________

Totale 9 33

Corso speciale dl Studia dei monumenti aggregato alla
Scuola superiore di Architettura.
Elenco ed orario degli insegnamenti.

Lezioni Esercizi
ore ore

Studio storico, tecnico ed artistico dei
monumenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 3
Nozioni d'archeologia e tecnica degli scavi 2 2
Rilievo e restauro dei monumenti . . . . . . . 1 10
Conferenze e esercitazioni su speciali ar-
gomenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1

______________________________

Totale 7 16


In questo ordinamento sono stabiliti vari cicli di materie: materie scientifiche aventi per termine la scienza delle costruzioni (Resistenza dei materiali e calcolo degli schemi costruttivi), la cui trattazione si svolge con metodo rigorosamente scientifico analogo a quello delle scuole per gli Ingegneri, pur limitate alla speciale finalità: materie artistiche, dapprima nel campo della preparazione generale, poi fin quello della decorazione e delle applicazioni varie architettoniche ed ornamentali: materie pratiche e professionali; materie di carattere storico; materie infine direttamente architettoniche, tra cui primeggia la Composizione Architettonica in cui tutte le altre discipline vengono a far capo, come affluenti di un unico fiume. Tenendo presente il principio di interessare i giovani in temi concreti, anzichè trattenerli in lunghe esercitazioni astratte od in copie di disegni, l’avviamento alla composizione, in cui lo studente cominci ad articolare il suo cervello ed a formarsi il suo gusto d’arte, si ha fino dal primo anno. Ma le prime composizioni ai svolgono su argomenti semplicissimi come costruzione e come importanza artistica: la composizione del 2° anno comprende principalmente temi di carattere stilistico (proposti entro ben deteminati ambienti di edilizia e di arte) a commento del corso di Storia dell’Architettura; nel 3° anno e nel 4° i temi acquistano una maggiore vastità sia nei riguardi costruttivi sia in quelli della rispondenza alla speciale destinazione (carattere degli edifici). Il 5° anno infine, oltre alla trattazione di alcune materie accessorie, è dedicato alla compilazione di progetti completi in tutti i loro particolari, ben corredati di tutti gli elementi artistici, tecnici, pratici, economici."
Dopo essersi diffusa a considerare più particolarmente i criteri didattici informanti l’insegnamento delle singole materie nella Scuola Romana, ed a giustificare la formazione delle altre quattro scuole consorelle sorte ultimamente, la relazione del prof. Giovannoni considera altre attività e iniziative svoltesi in Italia di recente al fine di approfondire ed estendere nel pubblico l’amore per gli studi architettonici e ritorna poi a parlare degli ordinamenti scolastici oggi in vigore e specialmente di due provvedimenti testè attuati, capaci di avere grandissimo influsso sulla educazione architettonica e sulla posizione dell’Architetto nella moderna vita italiana, così continuando testualmente:
“La prima di queste innovazioni è data dalla istituzione per la professione di Architetto come per tutte le altre, di un esame di Stato necessario per l’abilitazione, il quale è nettamente distinto dalla laurea, che rappresenta il termine degli studi ufficiali. Si crea così un regime che può dirsi intermedio tra quello anglo-sassone e quello in vigore in quasi tutte le altre nazioni europee, richiedendo cioè la frequenza di studi in istituti superiori di Stato, ma lasciando una relativa libertà di ordinamenti.
Di ben più vasto respiro è tutto l’ampio riordinamento recato nell’insegnamento artistico, partito dal concetto di riunire in un solo tipo di istituzioni le due che finora esistevano, tra loro indipendenti, cioè gli Istituti di Belle Arti, volti ad uno studio astratto, quasi può dirsi accademico, dell’Arte, e le Scuole d’Istruzione professionale, dipendenti dal Ministero dell’Economia Nazionale e non da quello dell’Istruzione, le quali comprendono gli Insegnamenti artistici industriali. La riforma Gentile fonde i due insegnamenti, stabilendo come principio che lo studio dell’Arte deve cominciare, come nelle «botteghe» del Rinascimento, dalle applicazioni industriati e decorative per avviarsi poi all’Arte pura; ed innesta a questa educazione artistica corsi di coltura generale che giungono fino a veri e completi Licei artistici.
La riforma si propone così il duplice scopo diretto:
1° di ravvivare l’insegnamento artistico, che ora troppo spesso traligna in un’Accademia di carattere vecchio o di carattere nuovo e che si risolve non raramente in una fabbrica di spostati, perchè i giovani pittori o scultori che ne escono non hanno altra via da battere che quella infida delle Esposizioni d’Arte;
2.° di fornire nuovo impulso alle tante industrie artistiche fiorenti in Italia, che richieggono di essere fecondate con nuove energie e nuove competenze per avviarsi anch’esse ad una vivace ripresa.
Senza entrare in precisi e diffusi particolari della nuova istituzione, il che richiederebbe troppo tempo e ci condurrebbe lontano dal tema principale, basti dire che essa contempla il seguente curriculum: Scuole d’Arte, Istituto d’Arte, Accademia od Istituto Superiore di Industrie Artistiche, ed accanto adesso il Liceo Artistico, scuola d’istruzione media che unisce insegnamenti artistici ad insegnamenti di coltura letteraria, storica e scientifica.
Orbene, nel riguardi degli studi architettonici e della posizione e della possibilità dell’Architettura, questo radicale riordinamento degli studi artistici reca due utilissime funzioni essenziali. Rappresenterà in primo luogo la diretta preparazione ai Corsi superiori d’Architettura di cui i Licei Artistici rappresentavo il gradino immediatamente precedente, senza con questo escludere che, mediante l’esame di Stato all’ammissione alla Scuola superiore d’Architettura non possa giungersi con altri studi, o ufficiali, o autodidattici. In altre parole l’inizio della Scuola superiore di Architettura rappresenta una piattaforma a cui può giungersi per mezzo di una vasta scalea, che è quella dei suddetti Istituti d’Arte, ma a cui può giungersi anche seguendo sentieri o gradinate laterali a ripiani comunicanti con la scalea principale.
La seconda funzione utile sarà quella di preparare i collaboratori necessari agli Architetti in tutti quei giovani che si fermeranno ai ripiani intermedi e si dedicheranno alle industrie artistiche.”
Dopo aver messo in chiaro e convenientemente valutato i pregi delle riforme suddette, in quanto capaci di dare nuovo impulso alle arti decorative ed applicate, ed alla formazione dei loro cultori, in stretto legame con quella degli Architetti, la relazione così conclude:
“Così con la ripresa di tutti gli insegnamenti d’arte che hanno l’Architettura al loro vertice, e col riconoscimento della figura professionale dell’Architetto, contemporaneamente avvenuto alla costituzione del Sindacato fascista degli Architetti, si viene nuovamente formando in Italia quella coscienza architettonica che nei periodi passati ha rappresentato condizione essenziale per l’ampio e mirabile sviluppo dell’Architettura, formata, secondo la formula vitruviana, ex fabrica et ratiocinatione. E forse questo pieno ritorno non sarà senza importanza nell’Architettura mondiale, a cui ogni nazione deve contribuire col suo lavoro. Forse il compito riservato all’Italia ora come per il passato sarà quello di mantenere il culto per la pura bellezza, che non prescinde dalle leggi costruttive e dalle logiche espressioni delle esigenze, dei materiali, dei procedimenti moderni, ma dà ad esse lo splendor vitae, il sentimento del ritmo melodico, del pensiero chiaro e luminoso”.
GUSTAVO GIOVANNONI.


Dicemmo in principio che l’altra relazione importante presentata ai Congresso di Budapest fu quella dell’Architetto On. Alberto Calza-Bini sul secondo tema: ne riproduciamo i brani più interessanti:

RELAZIONE CALZA-BINI SUL SECONDO TEMA:
“LE CAMERE SINDACALI”

“II Governo italiano ha voluto riconoscere il diritto dei professionisti e degli artisti di riunirsi in sindacati, per la tutela dell’esercizio della propria arte e professione, e ne ha inquadrato anzi le rispettive associazioni nello Stato Corporativo, dando ad esso funzioni e prerogative nel Governo e nell’Amministrazione del Paese.

L’aspirazione degli Architetti e degli Ingegneri italiani ad avere una legge che ne riconoscesse i titoli, ne assicurasse la tutela e regolasse in conseguenza l’esercizio professionale datava da molti anni; e sino dai primi anni del secolo XX era stata presentata al Parlamento un’apposita legge, che tuttavia non fu approvata per la ostilità degli uni e la pigrizia mentale degli altri.

Subito dopo la Marcia su Roma, costituiti i Sindacati Fascisti degli Ingegneri e degli Architetti e presa da questi ultimi specialmente, l’iniziativa di un accordo tra le due classi, il Governo Fascista presentava al Parlamento la legge fondamentale “Sulle tutele del titolo e sull’esercizio delle professioni degli Ingegneri e degli Architetti” (Legge 24 Giugno 1924 N. 1395).

La legge precisava che il titolo di Ingegnere e di Architetto spetta esclusivamente a coloro che hanno conseguito il relativo diploma negli Istituti Superiori autorizzati a conferirlo (Art. 1); costituiva l’Ordine degli Ingegneri e degli Architetti inscritti negli Albi di ciascuna Provincia (Art. 2): stabiliva il principio che negli Albi fossero inscritti solo coloro che avevano diritto di portare il titolo (Art. 3); e che le pubbliche Amministrazioni e le Autorità Giudiziarie non potessero affidare incarichi e perizie che agli inscritti negli Albi (Art. 4).

Con 1’Art. 5 definiva la attribuzione del Consiglio dell’ordine e cioè: formazione e revisione dell’Albo professionale; costituzione delle Commissioni per gli emolumenti e la risoluzione delle controversie professionali; vigilanza e tutela dell’esercizio della professione, del decoro e dell’onore degli iscritti.

Con disposizioni transitorie, finalmente si sanava la posizione di coloro che avevano diritti di equipollenza di titoli demandando ad una Commissione Ministeriale l’esame dei titoli e delle domande.

Con R. D. 23 Ottobre 1925 N. 2537 veniva finalmente approvato il Regolamento per l’applicazione della Legge, Regolamento che definiva importantissime questioni; la costituzione della Commissione Centrate degli Ingegneri e degli Architetti, che funziona quasi come una suprema Corte di disciplina per gli inscritti agli Albi e per tutto quanto concerne l’esercizio professionale; (Art. 14) le norme per la costituzione e il funzionamento dell’Ordine e dei Consigli (poi sostituiti dai Sindacati) e le sanzioni disciplinari; e finalmente, più importanti fra tutte le disposizioni, quelle relative all’oggetto ed ai limiti della professione dell’Ingegnere e di quella dell’Architetto.
(Art. 51-52-53-54-55-56)
Seguivano le istruzioni per le sanatorie, e le ammissioni negli Albi.

Era così introdotto nella legislazione italiana, e ufficialmente riconosciuto, il principio della tutela dell’esercizio della professione dell’Architetto, fino ad allora confuso con l’Ingegnere, che aveva altra preparazione, altra sensibilità ed altra, sia pur nobilissima, funzione, e con il disegnatore e l’artista che a sua volta era privo di cognizioni tecniche e di preparazione culturale e scientifica quale deve avere il vero Architetto.

Fu dunque quello dell’approvazione del Regolamento un gran passo per gli Architetti italiani. Essi vedevano finalmente riconosciuta l’importanza della loro missione nella vita del Paese, non solo, ma anche quella del loro titolo che andava così riacquistando il valore e la dignità che ne avevano fatto nel passato, e ne fanno ancora, all’estero, un segno di distinzione e di nobiltà.
Ma l’opera non era compiuta".
A questo punto, la relazione Calza-Bini si diffonde a considerare l’attività svolta dal Sindacato Architetti ad integrazione dell’opera legislativa dello Stato, allo scopo di conferire alla categoria degli Architetti, esigui di numero in confronto a quella degli Ingegneri, una autonomia ed una libertà di manovra che la unicità dell’Ordine difficilmente avrebbe potuto consentire: attività che si applicò soprattutto nell’organizzazione sindacale degli iscritti e nell’azione combattuta in favore appunto della divisione dell’Ordine e degli Albi e per la costituzione delle Scuole superiori di Architettura.

Così continua la relazione Calza-Bini:
“In altra reazione si parlerà di queste Scuole: se ne è qui fatto accenno perchè della loro istituzione il Sindacato Nazionale degli Architetti fece cardine di ogni sua azione, e perchè esse rappresentano un’altra brillante conquista dell’azione sindacale degli Architetti italiani.

Intanto colla Legge del 3 aprile 1926 N. 563 lo Stato italiano andava perfezionando la fisionomia sindacale del suo ordinamento, fissando le norme della collaborazione delle classi e il diritto di associazione per tutti i lavoratori e i datori di lavoro.
L’Art. 23 della detta Legge e l’Art. 12 del R. Decreto 1° Luglio 1926 N. 1130 sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro, provvedevano a delegare ai Sindacati le attribuzioni e le funzioni degli Ordini professionali.
Si rendeva quindi necessario modificare la Legge sulla Professione e sul Titolo, sopprimendo gli Ordini e i rispettivi Consigli, ed integrando con appositi organi l’azione dei Sindacati anche nel campo della disciplina professionale.
Fu così che la Legge 27 ottobre 1927, N. 2145 dava all’ordinamento del Sindacato Architetti ed a quello del Sindacato Ingegneri, un definitivo assetto.
Provvedeva l’Art. 1° anzitutto alla separazione degli Albi e l’Art. 2° passava ai Sindacati, e per essi alle rispettive Giunte Sindacali da nominarsi dal Ministro Guardasigilli su proposta dei Sindacati medesimi, la formazione e 1a custodia dell’Albo e tutte le attribuzioni del soppresso Consiglio dell’Ordine.
In virtù di delta Legge (art. 7) spetta al Sindacato di curare che siano repressi l'uso abusivo del titolo di Ingegnere e di Architetto, e l’esercizio abusivo della professione presentando ove occorra, denuncia al Procuratore del Re.
Spetta altresì al Sindacato di compilare ogni triennio la tariffa professionale, che deve essere approvata dai Ministri della Giustizia e dei Lavori pubblici, sentito il parere della Commissione Centrale.
Detta Commissione, nominata a sua volta dal Ministro dei Lavori Pubblici, comprende i rappresentanti dei due Sindacati degli Ingegneri e degli Architetti, ed è, come è stato detto, il supremo organo di controllo per tutto quanto si riferisce alla vita professionale degli Ingegneri e degli Architetti.
Essa decide sui ricorsi relativi alle iscrizioni o cancellazioni dall’Albo, anche su domanda del Procuratore del Re, o avverso le deliberazioni del Magistrato stesso, e le sue decisioni sono inoppugnabili, salvo il ricorso alle sezioni riunite della Corte di Cassazione del Regno, per i soli casi di incompetenza o eccesso di potere.
Esposte così le principali provvidenze legislative emanate dallo Stato italiano a favore della classe degli Architetti è opportuno aggiungere che sempre più si va affermando in Italia il principio del riconoscimento e del rispetto per l’Associazione Sindacale.
Basti dire che quasi tutte le Commissioni, dai Consigli Superiori dei vari Ministeri a quelle tecniche dei Comuni, hanno autorevoli membri designati dai Sindacati Architetti; che nelle Consulte delle principali città italiane, (Consulte che sostituiscono i vecchi Consigli Comunali) sono frequenti i rappresentanti ufficiali dei Sindacati: che un architetto (l’attuale Segretario Nazionale) è Deputato al Parlamento in rappresentanza ufficiale del Sindacato Architetti; che i tre Architetti assurti all’altissima dignità di Accademici d’Italia sono tutti e tre inscritti al Sindacato e ne sono legittima emanazione; e che infine nell’ultimo grande organismo corporativo (il Consiglio Nazionale delle Corporazioni) cui sarà affidato dallo Stato l’esame e la soluzione dei più gravi problemi economici e quelli dei rapporti tra la produzione e il capitale, tre architetti vi rappresentano ufficialmente il Sindacato: nelle Sezioni dei liberi Professionisti, degli Artisti e degli Artigiani.
Va ricordato infine che con la definitiva approvazione degli Statuti Sindacali, in corso di stampa alla data di oggi, saranno demandate al Sindacato Architetti le funzioni di propaganda e di propulsione per la diffusione della cultura architettonica, e il compito di organizzare le esposizioni di architettura in Italia e all’estero; e finalmente di controllare la disciplina dei concorsi.
Naturalmente non tutto ancora è ottenuto quello che nell’interesse della categoria, o meglio, dell’Arte stessa dell’Architettura, si deve raggiungere.
Per esempio, se pure è vero che la Legge da diritto di perseguire l’uso abusivo del titolo e l’esercizio abusivo della professione, è anche vero che norme precise per le sanzioni ancora mancano. Ma come abbiamo già in Italia la Legge sui cementi armati (7 luglio 1928 N. 1431) che prescrive per ogni progetto e per ogni esecuzione la firma di un ingegnere o di un architetto inscritti negli Albi, e come abbiamo nelle principali città i regolamenti edilizi che prescrivono la firma e la direzione di un ingegnere o di un architetto inscritti negli Albi, così confidiamo che presto a nessuno che non sia inscritto negli Albi possa essere consentito di esercitare la professione dell’Architetto o dell’Ingegnere comunque e dovunque.
E speriamo anche di vedere sempre meglio disciplinato e definito il campo di azione dei vari professionisti che ancora oggi a danno reciproco si contendono l’attività professionale, così come abbiamo fede di vedere generalizzato il sistema della liquidazione delle specifiche professionali su conforme parere dei Sindacati, in modo da dare al Sindacato anche in questo campo (meno ideale ma necessariamente pratico), una precisa ed efficace attribuzione.
In Italia dunque le Camere Sindacali, come con espressione di valore internazionale è stato indicato dal tema, esistono in pieno ed effettivo funzionamento, in seno ai Sindacati Provinciali o Regionali, assommati nel Sindacato Nazionale.
Essi hanno assoluto e perfetto riconoscimento giuridico da parte dello Stato; hanno l’incarico della formazione e della custodia degli Albi, vigila,, sulla disciplina professionale, perseguono l’uso abusivo del titolo e dell’esercizio, controllano e disciplinano le esposizioni e i concorsi, danno i loro rappresentanti alle pubbliche giurie e commissioni tecniche ed artistiche, ai Comandi Superiori dei Ministri, alle Consulte Comunali e ai Consigli Provinciali e al Parlamento.
Tanta somma di autorità e di prestigio che il Governo italiano ha voluto riconoscere a favore della classe degli Architetti, non potrà non dare il suo benefico frutto nell’interesse della categoria e meglio ancora in quello della cultura, dell’Arte, e, della Nazione ".
ARCH. ALBERTO CALZA-BINI

Abbiamo ampiamente riprodotto sulla Rivista le due importanti relazioni di cui sopra, oltre che pel valore da esse assunto al Congresso internazionale di Budapest, anche perchè si volgono ad argomenti poco noti a molti colleghi, argomenti che invece rivestendo grandissima importanza per lo sviluppo della nostra Arte e della nostra professione è bene siano ben risaputi.
N. D. R.


CRONACA DEI MONUMENTI

PAVIA. - Una interessante notizia viene da Pavia. Si è già da tempo, sotto la presidenza del vescovo, costituito un Comitato di egregie persone per promuovere l’opera di completamento della cattedrale; ed i lavori sono cominciati da qualche mese, e già dai fianchi della chiesa si elevano i primi pilastri in cemento armato.
La prima impressione è invero lieta. Ancora dunque v’è chi ama i monumenti e ne intende l’importanza e si pone il nobile proposito di portali a forma completa; v’è, pur in momenti difficili, chi dà fondi cospicui per un’opera d’Arte e di pietà ed affronta senz’altro l’ardua iniziativa.
La seconda impressione è invece di stupore e di sgomento, quando si apprende che il Ministero dell’Educazione Nazionale nulla sa della impresa, che il Consiglio superiore delle Belle Arti non è stato interpellato in proposito, che la direzione generale dei lavori è affidata ad un tecnico che è un’alta autorità scientifica per le costruzioni in cemento armato, ma a cui, appunto per questa sua decisa competenza in un ramo, non se ne può riconoscere nessuna nel campo dell’Architettura ed in quello del restauro dei Monumenti. Ed in quale mondo siamo? Forse l’Italia, modello d’ordine e di disciplina, sta ritornando nell’anarchia? Quale incredibile incoscienza può muovere ad affrontare alla leggera problemi, ardui, quasi trascendentali, che non ammettono soluzioni men che perfette, quali sono quelli che riguardano il carattere, la vita stessa di un grande nostro monumento? Appartiene questo ad una Fabbriceria o ad un Comitato che son liberi, pur con ogni buona intenzione, di farne lo strazio che vogliono, o non fa parte del sacro patrimonio artistico nazionale?
Ed il monumento è davvero insigne. Inuguale, confuso, imbastardito da contaminazione e da aggiunte, porta però un’impronta di grandezza, un senso di proporzioni negli spati, un carattere scenografico nell’interna veduta, da rivelare la nobiltà dell’origine.
Documenti recentemente rinvenuti hanno convalidato e precisato quanto era stato, circa la paternità dell’opera, affermato dal Geymüller (1), dal Malaguzzi-Valeri e da tanti altri studiosi insigni di questioni bramantesche. Risulta da essi (2) che nello scorcio del 1488 Bramante fu, certo per suggerimento del cardinale Ascanio Sforza, chiamato da Milano a Pavia, ove si trattenne più giorni per la fabbrica del duomo: si parla inoltre di un disegno preparato per la detta fabbrica «de novo redificanda per magistrum Bramantum de Urbino, Johannem Antonium de Amadeis, magistrum Cristoforum (de Rochis) inzignerius seu architectores, et magistrum Bartholorneum de Castronovo, magistrum Jacobum de Candia, m. Martinum Fugatiam magistros a muro».
Dallo stesso documento risulta che il De Rocchi aveva precedentemente avuto l’incarico di eseguire il modello in legno (che nel Rinascimento era l’abituale mezzo per dare forma concreta ai progetti) ma che non aveva mantenuto l’impegno. Sembra che l’incarico sia poi passato, dopo il 1497, all’Amadeo e che questi, valendosi dell’opera di un maestro Gian Pietro Fugazza, abbia eseguito il modello grande e magnifico di legno di cipresso che ancora conservasi nel palazzo vescovile e che corrisponde alle parti allora costruite del duomo.
Fino a prova contraria rappresenta quel modello la concezione di Bramante, senza che sia giustificalo l’immaginare, come fanno vari scrittori locali, precedenti progetti a pianta centrale. Seguendo il sistema di collaborazione secondo cui quasi sempre svolgevasi l’opera dei grandi architetti, sovraccarichi di lavoro, possiamo ritenere che di Bramante sia lo schema, la grande composizione spaziale, e dei suoi aiutanti la contaminazione con quella minuta ed antiarchitettonica faraggine decorativa di pinnacoli, mensoloni, gallerie nella fronte, ove si scorgono tanti riflessi della facciata della Certosa di Pavia e del fianco della cattedrale di Como.
È interessante notare la somiglianza, non certo fortuita, della pianta con quella della Madonna di Loreto, iniziata vent’anni prima da Marino di Marco Cedrino e proseguita da Giuliano da Maiano. Questa somiglianza, che a Bramante ci riconduce per altra strada, che è quella della nostalgia verso il monumento maggiore della sua terra adriatica, potrebbe sembrare quasi una tappa di stanchezza nell’opera mirabilmente progressiva del Maestro. Eppure anch’essa ci mostra un esperimento grandioso. Il tema del raccordo tra la triplice nave basilicale e lo spazio della grande cupola poligonale avente larghezza uguale a quella di tutto l’edilicio è affrontato nelle due piante secondo il nuovo concetto del triangolo isoscele aperto da tutti i lati, cioè con soluzione ben diversa dalle precedenti di S. Maria del Fiore (triangolo massiccio che quasi chiude il fondo delle navatelle) e del duomo di Siena (associazione di arcate rette e sghembe come in un porticato continuo: ed il tentativo era costruttivamente e progressivamente ardito, tale da richiedere il controllo di un edificio già avviato verso la costruzione. Nell’avvenire appariva già alla mente di Bramante la visione del grande problema della cupola vaticana.
Così, pur tra le deficienze di collaboratori e di esecutori postumi (tra cui son da notare all’interno le disgraziate proporzioni degli ordini e delle loro trabeazioni), per la grandezza dei temi di architettura spaziale affrontati e per la complessità dell’organismo, il duomo di Pavia rappresenta, forse più di S. Maria delle Grazie di Milano, il capolavoro di Bramante nel periodo lombardo. La sua orma vigorosa appare ogni tanto anche in taluni speciali schemi planimetrici, come quelli delle singolari sacrestie (che appaiono evidenti nel modello) a pianta poligonale polilobata che ricorda gli schemi delle sale di Roma e di Ravenna: ed in particolari architettonici, come quelli della cripta e delle absidi.
È di alto interesse il rilevare come a questa concezione bramantesca non sia stato estraneo il pensiero di un altro grande genio, Leonardo. I documenti ci danno notizia della venuta di Leonardo a Pavia, insieme con Francesco di Giorgio nel 1490 per «consultazione» sulla fabbrica dal Duomo; e tra i disegni architettonici del Maestro (3) alcuni hanno grande attinenza o con la pianta longitudinale del Duomo, ovvero con lo schema centrale delle suddette sacrestie. Quali possano essere i rapporti di questi disegni con la costruzione vera e propria non ci è dato sapere; ma certo risulta da essi una convergenza con Bramante negli studi su di un grande tema architettonico così come tra loro era comune la ricerca mai sazia di sapere, l’alta visione dell’Arte degli spazi.
Tutta questa nobiltà di origine aumenta dunque l’importanza della cattedrale pavese e deve, o dovrebbe, rendere reverenti ed umili gli uomini che vogliono ora mettervi le mani. Invece di iniziare i lavori con così colpevole disinvoltura affrontando così tremende responsabilità di fronte alla Storia ed all’Arte, essi dovrebbero sentire il dovere di una preparazione profonda e prudente espressa non solo in storiche ricerche, ma in rilievi precisi ed in progetti concreti, portate all’esame degli organi competenti ed alla discussione degli studiosi, senza voler schivare obbiezioni e controlli. In temi di questo genere, in cui solo deve dominare lo spirito dal monumento, il restauratore deve difendere sè stesso contro l’orgoglio individualistico, che lo porta a sostituire il proprio pensiero a quello che aleggia sull’opera, e contro le ipotesi, in cui entra sempre un coefficiente di probabilità, quando il restauro deve essere certezza (4).
Basti qui presentare, senza volerli risolvere, alcuni quesiti fondamentali, alcuni dei quali sollevano questioni formidabili, che potrebbero dirsi profondamente filosofiche, in quanto investono tutto il pensiero del nostro tempo ed i suoi rapporti coi tempi passati e con le loro più nobili ed alte espressioni. I primi riguardano addirittura la possibilità del restauro: è desso veramente ammissibile di contro alle tante opere aggiunte in cui si è espressa la vita del monumento, principale tra esse la cupola che ha linea diversa dall’originale, tempo tanto più tardo (5) dall'inizio? Il modello (che evidentemente rappresenta la guida di ogni studio di restituzione) è stato seguito nella costruzione, ovvero ci sono differenze essenziali che recheranno incertezze e quindi adattamento arbitrario di misure e di forme? La ricostruzione può veramente ritrovare nel disegno e nella esecuzione il sentimento originario, o non avrà per triste risultato una falsificazione mal riuscita?
Ed ancora: è legittima l’adozione del cemento armato nelle opere nuove? Due teorie possono trovarsi a battagliare su tale problema con argomenti ugualmente rispettabili: l’uno che richiede non solo stile di forme, ma anche di struttura similare all’antico, l’altra invece che favorisce diversità che, pur ottenendo unità di masse, non illudano i posteri e denotino la data della restituzione. Ma nei riguardi in particolare del cemento armato i quesiti, un po’ storici, un po’ praticamente costruttivi, si moltiplicano e ai complicano. La sua struttura che è fatta per uno schema tipicamente discontinuo è davvero adatta per un organismo a pareti massime, che debbono poi essere completate col riempimento? Se questo si fa spesso nelle costruzioni comuni, è logico seguire tale sistema insincero in un edificio monumentale che ha un suo carattere ed una sua storia? Ed il collegamento con le strutture esistenti, specialmente con quelle della cupola, come potrà avvenire intimo e stabile, senza che si sia obbligati in un secondo tempo a ricostruire tutto? Ed il collegamento tra l’ossatura murale ed il rivestimento in pietre e marmi come potrà avvenire con una saldezza ed una durevolezza paragonabile a quella che si ha negli innnesti delle comuni vecchie strutture murarie?
Queste domande, a cui potrebbero aggiungersi tante altre più minute circa le particolarità esecutive, mostrano di quante cautele debba circondarsi lo studio di una proposta, che in se è affascinante e seduce uomini di chiesa, di arte e di studio, ma che deve essere severamente vagliata nelle sue possibilità prima, nelle sue modalità poi. Le buone intenzioni non bastano, e mai anzi come in questi temi son pronte a «lastricare la via dell’inferno». Il duomo stesso di Pavia ne offre un non lieto esempio nella facciata dal Maciachini: collocata arbitrariamente alla terza campata della chiesa, e fredda, secca nel suo geometrismo e nella sua regolarità inesorabile, priva di ogni vita e di ogni vibrazione, non espressione sincera del proprio tempo, ma neanche interpretazione sentita dell’Arte del monumento... Chi mai dei pavesi che abbiano senso d’Arte ed affetto pel «loco natio» non deporre in cuor suo la iniziativa, anche essa nobilissima, che la fece sorgere. Ed era il tempo, nel 1895, in cui la scienza del restauro dei monumenti era ancora all’inizio; ben più inescusabile sarebbe seguirne l’esempio con facile dilettantismo ora che essa poggia su canoni stabili, fissati dallo studio e dall’esperienza.
GUSTAVO GIOVANNONI.

(1) GEYMÜLLER, Les projets primitifs pour St. Pierre ecc., Parigi, 1875. Cap. II; MALAGUZZI-VALERI, La corte di Lodovico il Moro, Milano, 1915. Vol. II (Bramante e Leonardo).
(2) R. MAIOCCHI, Le chiese di Pavia, Pavia, 1903, vol. I: F. GIANANI, Il duomo di Pavia, Pavia, 1930.
(3) Sull’opera architettonica di Leonardo vedi GEYMÜLLER. in J. P. Richter, The literary Works of L., Londra, 1883: vedi anche GAYE, Carteggio inedito, ecc., Firenze, 1839, v. II, pag. 94. I disegni che più direttamente hanno attinenza col Duomo di Pavia sono stati riprodotti nei GEYMÜLLER, Projets, ecc., op. cit. a pag. 1 e tav. 43 e dall’HOFMANN, Die Entstehung des S. Peter in Rom, Zittau, 1926. Anche ebbero a trattarne il POZZI ed il SOLMI in vari numeri del Boll. della Soc. Pavese di Storia patria, dal 1903 e dal 1911.
(4) Dice molto opportunamente il Leon: “Dove comincia l’ipotesi, deve finire il restauro” e mai una massima saggia ed onesta è stata meno seguita. Per il Duomo di Pavia già i sostenitori del restauro (Cf. GIANONI, op. cit.), parlano di pianta centrale, più consona al pensiero bramantesco, e di quattro sacrestie invece delle due del modello: il quale è considerato quasi più un ostacolo noioso, che una guida . . .
(5) Il tamburo della cupola è settecentesco, ma la cupola è stata costruita nel 1882 dal Maciachini, architetto milanese, lo stesso autore della nuova facciata.

RIVISTA DELLE RIVISTE

ITALIA

Rassegna di Architettura (Ottobre 1930). Direttore G. Rocco - via Podgora 4 – Milano.

Il nuovo Palazzo degli uffici Municipali di Milano. Architettura funeraria con opere di A. Molta, G. Rocco, U. Stacchini, A. Tibaldi, G. Wenter Marini.

Rassegna d’architettura (Novembre 1930).

La casa dei Balilla di Gallarate dell’Arch. Paolo Mezzanotte - Il Supercinema Verona dell’Arch. Dezzutti.

Domus (Novembre 1930). Direttore G. Ponti - Via S. Vittore 4 - Milano.

Aspetti di architettura contemporanea in Italia. (Case d’Abitazione degli Arch. G. Ponti e C. Lancia in via Domenichino a Milano) - Vetri e ceramiche dell’Esposizione di Stoccolma - La Villa “Finella” dell’Arch. R. Grath a Manchester (testo di Yoi Maraini).

Domus, (Dicembre 1930).

Aspetti dell’Architettura contemporanea in Italia (Il Palazzo per l’Università Cattolica a Milano, dell’Arch. G. Muzio).
Tessuti, metalli e ambienti dell’Esposizione di Stoccolma - Stanza da Bagno nel castello di Racconigi decorata da Fiore Martelli di Monza - Villino di città in Brasile, dell’Arch. T. Buzzi (testo di G. Ponti).

STATI DELL'AMERICA DEL NORD

Architecture (Ottobre 1930). 597 Fifth Avenue at 480th Street. New York.

L’Hotel Rolyat in Si. Petersburg Fla. L'architetto Harrison Gill è riuscito a comporre opera nobile nel suo aspetto estetico e nello studio di pianta, sviluppando la costruzione in superficie anzichè in altezza ed ottenendo effetti davvero suggestivi nel succedersi dei cortili, del patio, dei portici e delle loggie che li circondano. L’intonaco rustico, l’alternarsi dalla pietra da taglio colle saperfici liscie e coi tetti riesce simpatico, se pure la classica linea dell’architettura spagnuola ci può sembrare la meno adatta per un grande albergo. Non bisogna però dimenticare che esso sorge quasi in aperta campagna in un paesaggio incantevole e, sopratutto, che siamo nella Florida.
Buono ci sembra, sia nella disposizione plamimetrica sia nel largo studio di massa l’edificio che ad uso commerciale hanno costruito in Miami, sempre nella Florida, per la Ditta Sears, Roebuck & Co. gli architetti Nimmons Carr & Wright. Potremo osservare che la decorazione è superflua. Vediamo in fine la Sinagoga di Philadelphia opera degli arch. Simon in collaborazione collo scultore Nicola d’Ascenzo, ma essa non ci sembra cosa felice. Su di una struttura nella quale sono evidentissimi i ricordi di Bisanzio, sia essa pure adattata con criteri moderni alle nuove funzioni, gli autori hanno profuso con grande ricchezza tutta una docorazione in cui l’effetto plastico è diminuito dalle note cromatiche e viceversa. Planimetricamente riteniamo che l’opera risponda alle sue funzioni.

Architecture (Novembre 1930). New York.

Il Blackstone Shop: è un magazzino di mode che Philips B. Maher ha costruito in Chicago. Si avvicina al razionalismo, e precisamente a quel razionalismo così largamente in voga, nel campo architettonico, in Europa, ma alcune caratteristiche, forse un poco rudi a giudizio dell’autore, sono state volute attenuare con motivi decorativi che, a nostro avviso, non si addicono all’ossatura sulla quale sono poste. In questa materia è difficile ammettere compromessi.
La Bank of Manhattan, Wall Street, New York, classico esempio di grattacielo americano.
Interessante una rassegna di vari tipi di recinzioni in legno per parchi e giardini: può essere utile e dilettevole sfogliarla.

The Architectural Forum (Ottobre 1930). 521 Fifth Avenue. New York.

Nel numero in esame ci viene mostrato il Chrysler Building, che noi già conosciamo.

The Architectural Forum (Novembre 1930). New York.

Il News Building. New York. Illustrato in maniera così completa da renderci perfettamente padroni dell’opera degli architetti John M. Howells & Raymond H. Hood.

The Architectural Forum (Dicembre 1930). New York.

Numero questo interessantissimo, sulle stazioni passeggeri. In una vastissima rassegna si studiano e si esaminano le più recenti stazioni ferroviarie, in America ed in Europa; da quella di Hamilton, Ontario, Buffalo a quelle di Cleveland, South Bend Ind., Atlanta. Si passa da quelle di grande importanza in cui la media del traffico giornaliero si aggira sui 15.000-20.000 passeggeri, a quelle più modeste come Boise, Idaho, Topeka. Di quelle europee si riportano quelle di Helsingfors, Königsberg, Stoccarda e Viborg, che noi già conosciamo e dove ritroviamo nomi ben noti come quelli degli architetti Saarinen, Richter, Brnatz e Gesellius. La rivista non si limita ad illustrare la parte estetica con ottimo materiale fotografico, essa è completata da profondo esame dello studio planimetrico come dall’elenco di tutti i requisiti tecnici cui l’edificio doveva rispondere e delle soluzioni adottate per i problemi, alcuni invero molto complessi, presentatisi agli autori; poi si passa ad uno studio così ricco di dati e di fotografie come il precedente, degli aeroporti civili in uso sulle linee aeree di grandi comunicazioni. In questo campo è il primo che mi sia dato di vedere, ricco di molto materiale interessante se pure per necessità di spazio si limiti ad illustrare i maggiori aeroporti degli Stati Uniti, Burbank, Glendale, Wayne County, Los Angeles, Chicago, Detroit, Miami, Washington, lasciando in secondo piano l’Europa di cui non si mostra che l’aerodromo di Tempelhof in Berlino. Il fascicolo bis della Rivista, parallelo al primo, ma come è noto, volto soprattutto ad illustrare le questioni tecniche inerenti agli edifici illustrati, offre campo ricchissimo di studio, e fornisce quelle notizie che, se pure elementari per il pilota civile o per l’ingegnere ferroviario, sono difficili ad ottenersi per il progettista anche perchè non esiste, specialmente per la costruzione degli aeroporti, una speciale letteratura tecnica.

The American Architect (Dicembre 1930). Fifty-seventh Street at Eighth Av. New York.

Vi sarebbe molto da dire nell’esaminare quanto è ampiamente illustrato in questo numero della Rivista Americana, ma oltrepasseremmo i limiti della nostra rassegna per entrare nel campo della critica alle tendenze dell’Architettura contemporanea; ci contenteremo di indicare i soggetti trattati dal periodico d’oltre oceano: l’Esposizione di Stoccolma e le più recenti manifestazioni architettoniche nella Unione delle Repubbliche Sovietiche.

The Architect (Novembre 1930). 485 Madison Avenue New York.

Civic Opera House, Chicago. Il teatro, immenso, e di buona disposizione planimetrica è ricavato in un grattacielo, sicchè nulla abbiamo da dire sul suo aspetto esterno, soltanto che non è un teatro. All’interno il vecchio teatro ottocentesco: non una parete od un angolo senza cornici, decorazioni, ori e colori.
Manakiki Country Club, Cleveland, Ohio. Il ricco golf club americano: molto confort, buona disposizione planimetrica, nulla di interessante dal punto di vista architettonico.

Architectural Record (Novembre 1930). 115, W. 40th Street. New York.

La villa di campagna di John D. Newbold in Chestnut Hill, Pasadena; arch. Edwards ed Hoffmann. La classica villa californiana con architettura tipicamente mediterranea.

INGHILTERRA

The Architectural Review. (Ottobre 1930).9 Queen Anne's Gate. Westminster. London. S. W. 1.

Cambridge Theatre; Seven Dials; London. All’incrocio di sette vie a traffico intenso, colla necessità di dover prevedere la platea a livello stradale, o quasi, onde eliminare le scale, e l’ingresso sul fronte stradale, limitatissimo, prospiciente il crocevia, il problema si presentava molto difficile di risoluzione, ma è stato studiato con amore e risolto con arte.
Esso è coperto da una volta ellittica con raggio di curvatura gradatamente più grande a mano a mano che, in prossimità del proscenio, esso è visibile da maggior numero di spettatori, non essendo più nascosto dal doppio ordine di balconate. Fasci di luce tagliano la copertura e giungono, senza soluzioni di continuità, fino a terra sulle pareti laterali. Massima semplicità nella decorazione che può dirsi virtualmente abolita per quel che riguarda i valori plastici, mentre è affidata, quasi esclusivamente, ad effetti cromatici luminosi. Degno di particolare attenzione per lo svolgersi dell’arte pittorica contemporanea a decorazione di ambienti, il sipario di sicurezza. Su di esso G. W. Leech ha rappresentato le trasformazioni edilizie subite dal 1330 al 1930 del luogo sul quale ora sorge il teatro, chiamato Seven Dials; è un’assonometria piacevole e di grande valore decorativo resa su fondo chiaro con prevalenza delle tinte usate per la decorazione ambientate.
Architetti: Wimpers, Simpson & Guthrie.

The Architectural Review. (Novembre 1930). 9 Queen Anne’s Gate. Westminster. London S. W. 1.

Lord Bembow ha indetto un concorso, aperto ad ogni architetto od artista, inglese o residente nelle isole britanniche, per l’arredamento di due ambienti della sua dimora londinese: sala da pranzo e salone di soggiorno. Il primo premio è stato dalla giuria aggiudicato al lavoro di Raymond Mc Grath, il secondo a quello di Paul Nash ed infine il terzo a quello di Vanessa Bell. Il concorso, ampiamente illustrato, è molto interessante, soprattutto perchè ci mostra in modo palese l’influsso delle tendenze decorative contemporanee sulle opere di artisti inglesi.
Quello che poco fa dicevamo pel Teatro Cambridge e che potremo ora in parte ripetere per il Whitehall Theatre dell’architetto E. A. Stone, ci fa quasi dubitare di essere in Inghilterra e nel cuore di Londra; ci ricorda molto, forse troppo, il Bar Presto ed il Teatro Pigalle in Parigi.
Vediamo anche ampiamente illustrata e giudicata nella sua vera importanza l’arte decorativa italiana alla Mostra di Monza.

The Architectural Review. (Dicembre 1930). 9 Queen Anne's Gate. Westminster. London. S. W. 1.

Marylands. Hurtwood nel Surrey. Architettura di Oliver Hill.
La vera villa residenziale per una grande famiglia inglese. Se sono sempre presenti il classico spirito della dimora feudale in Inghilterra e la cura e l’amore alla casa come culla dalla famiglia e santuario di tradizioni che si oppongono alle innovazioni, pure, nelle linee dell’architettura, nella decorazione, limitata ai pavimenti ed ai soffitti e volutamente non estesa alle pareti, alle porte ed agli infissi e nemmeno alle cornici e modanature, vediamo il segno dei nostri tempi; i portici, la loggia, il patio arricchito da una fontana, piccola gemma nella rudezza del materiale che la incornicia, ci danno aspetti molto piacevoli senza per questo perdere quel senso di «home» proprio della casa inglese. Nobilissimi i materiali impiegati i quali si sostituiscono essi stessi alla decorazione: maniglie in argento, porte in radica di noce, lacche, majoliche, ecc.
Il New Victoria Cinema; Wilton Road; London. Architetti W. E. Trent e E. Wamsley Lewis.
Sir Giles Gilbert Scott in Putnev, presso Londra ha costruito il Collegio Whitelands; di ottima soluzione la pianta, di maestoso effetto l’insieme, per quanto ciò sia forse dovuto piuttosto alle più grandiose proporzioni dell’opera, alla nobiltà dei materiali impiegati che non ad alcuna particolare soluzione di carattere estetico o decorativo.

The Architectural Journal. (Novembre 1930). 9 Queen Anne’s Gate. Westminster. London.

Il Monumento eretto in Kiel ai caduti della Marina Imperiale Germanica. La casa di campagna costruita in Ben Rhydding, Yorkshire, da john C. Procter. Razionalismo completo ed assoluto, non mutilato da convenzionalismi ed infingimenti.

The Studio. (Ottobre 1930). 44 Leicester Square. London.

Già conosciamo gli interni dovuti all’architetto Kem Weber. La Rivista ce ne mostra altri, eseguiti sulle coste del Pacifico per sudditi Americani immigrati da poco, in Los Angeles. Praticità, economia. I termini per il giudizio si spostano: la bellezza, secondo gli autori, è data dalla utilità e dalla comodità del mobile e non già l’utilità dalla bellezza. Ci avvicineremo ad una estetica nuova.
Henry Clouzot ci parla dell’arte di arredare una tavola e ci mostra in alcuni dettagli, aspetti ed oggetti di incomparabile finezza: gli argenti, le porcellane, i cristalli ed i merletti.

FRANCIA

L’Architecte. (Novembre 1930). 2 Rue de l’Echelle. Paris.

Di due opere tratta questo numero della migliore Rassegna Francese di Architettura: una casa di civile abitazione ad appartamenti costruita in Parigi, Rue Méchain, da Robert Mallet Stevens.
La fabbrica di tabacchi Erven de Wed, J. Van Melle a Rotterdam, Olanda, dagli architetti J. A. Brinkmann, L. C. Van der Vlugt.
La prima, costituita da 14 appartamenti distribuiti su 9 piani fuori terra, presenta una ottima soluzione planimetrica, resa più difficile e quindi tanto più ammirevole, dalla difficoltà presentata dall’area chiusa sui due lati maggiori. L’architettura è il logico risultato dell’ossatura in béton, senza inutili sovrastrutture e mentre la limitata altezza dei piani ed il bisogno di grandi aperture per l’illuminazione di ambienti di notevoli dimensioni porta come conseguenza la prevalenza di linee orizzontali, a queste fanno contrasto gli elementi verticali delle aperture delle scale e degli ambienti di uso comune (atrio, ecc.) nei quali sono consentite maggiori altezze.
La seconda, la Fabbrica per lavorazione dei Tabacchi in Rotterdam, ci ricorda molto con le sue immense pareti a vetri non interrotte all’esterno da nessun elemento verticale portante in muratura, i magazzini Schocken in Chemnitz.
M. Corbiot illustra in un articolo a carattere prevalentemente tecnico, l’uso di luci indirette e proiettale per l’illuminazione di edifici monumentali.

L’Architecture. (Ottobre 1930). 39 Rue du Géneral Foy. Paris 8.

La nuova Cattedrale d’Ismaila, Egitto, M. Hulot architetto. Raymond Cogniat ci illustra alcune sale per pubblici spettacoli recentemente inauguratesi in Francia.
Molto interessante la sala per concerti costruita in Parigi, Rue Cardinet, a sede della Scuola Superiore di Musica dagli Architetti A. e G. Perret. Nel locale per concerti, infatti, i rapporti fra sala e scena non sono piú quelli cui siamo abituati nei teatri; non c’è bisogno di creare la quarta parete che delimita idealmente la scena, il proscenio, poichè non è necessario che l’attore resti isolato e diviso dai suoi spettatori, chè, anzi, è bene se fra l’uno e gli altri v’è maggiore intimità; precisamente il contrario di quanto si cerca di realizzare nel teatro, dove il mantello di Arlecchino delimita ed isola dandogli grande rilievo, il quadro sempre variabile dato dalla scena. L'ossatura e la decorazione della sala dovranno quindi tendere a questo risultato: attirare l’attenzione senza però, direi, usando terminologia industriale, monopolizzarla a danno dell’esecutore. Sottigliezze difficili a definire, ma che divengono evidenti se realizzate con tanto amore e buon gusto quanto nella sala della Rue Cardinet.
De Grimaldi e Ulmer, architetti parigini, hanno riadattato alle esigenze e necessità del nostro tempo il Teatro Marigny, Avenue des Champs Elysées. Per quanto praticamente gli autori abbiano ricostruito il teatro, non restano dell’antico edificio che i muri perimetrali e la copertura, pure nella decorazione e negli aspetti estetici esso è rimasto il tipico teatro ottocentesco ed in esso non è stata apportata nessuna innovazione, nè planimetrica nè decorativa, nè all’interno nè all’esterno. Forse, dato il luogo in cui l’edificio sorge, l’Av. des Champs Elysées, protetto da uno speciale regolamento edilizio, ciò non sarebbe stato nè possibile nè desiderabile.
Alex. e Pierre Fournier hanno trasformato completamente la Salle Hoche che sorge in Parigi nell’Avenue dallo stesso nome ove fu costruita nel 1900. Nella sua semplicità, nell’abbondanza di grandi superfici liscie sulle quali risaltano ornamenti plastici di grande nobiltà, nelle linee e nei materiali, risalta in esso il gusto decorativo della Francia contemporanea.

L’Architetture. (Novembre 1930). Paris. 8.

Concorso per il Grand Prix de Rome. Architettura. 1930.
Il tema era una Scuola Superiore di Belle Arti. Primo premio Arch. Carlier; secondo Arch. Lemaresque; terzo Arch. Courtois. Ma i lavori premiati dalla giuria pur nobilissimi, ci sembrano freddi, accademici e scolastici sia nella forma grafica che nel contenuto sostanziale.
Un palazzo d’affitto ad appartamenti costruito dall’architetto M. Hennequet in Parigi, angolo Rue Franklin e Rue Scheffer. Dall’esterno è visibile l’ossatura portante in béton poichè fra i pilastri di questa sono ricavati ininterrottamente bow-window che salgono dal primo piano fino alla linea di gronda di modo che l’edificio presenta all’esterno una serie continua di superfici convesse appena interrotte dai pilastri e nelle quali anno ricavate le aperture.
Una villa in Biarritz: Architetti Duval e Gouse; architettura mediterranea.

La Construction Moderne. (Ottobre 1930). 13 Rue de l’Odéon. Paris.

L’Esposizione di Anversa. Architetto sovraintendente generale Joseph Smolderen. Molto riuscita dal punto di vista urbanistico la disposizione generale ed ottimi alcuni padiglioni quali quelli della Francia, della Norvegia, delle città di Amburgo e Brema: non entusiasmanti alcuni altri, quali per esempio quello della Gran Bretagna pure dovuto all’opera di Sir Edwin Lutyens,

La Construction Moderne. (Novembre-Dicembre 1930). 13 Rue de l’Odéon. Paris.

Assai interessante per la tecnica delle costruzioni l’articolo nel quale vengono illustrati i restauri in corso per ripristinare le strutture gotiche della magnifica Cattedrale di Saint-Quentin, molto danneggiate dalla Guerra.
L’Opèra di Marsiglia; architetti G. Castel, Ebrard e Raymond.

GERMANIA

Wasmuths Monatshefte Baukunst & Städtebau (Ottobre 1930). 31, Markgrafenstrasse, Berlin.

Il periodico che mensilmente ci presentano Werner Hegemann e Günther Wasmuth ci appare sempre più ricco sia di materiale fotografico che di dati, notizie ed articoli che si possono comunque collegare all’attività edilizia contemporanea in Germania. Attività invero così varia instancabile e multiforme, se pure ormai tutta decisamente indirizzata verso le modernissime concezioni dell’arte del costruire, che non può a meno di lasciarci perplessi. Ci ripeteremo però se volessimo pur lontanamente ed appena con qualche rilievo esprimere su di esso il nostro giudizio, e, crediamo d’altra parte che ogni architetto sia al corrente della pubblicazione ed attraverso di essa del movimento architettonico tedesco che, bisogna confessarlo, occupa un posto molto notevole, se non il primo, nel quadro della situazione mondiale. Ci limitiamo quindi ad un elenco delle opere che abbiamo sotto occhio.
L’esposizione di Architettura nel Folkwang-Museum di Essen - Arch. Edmumd Körner.
Una clinica per bambini in Dortmund - Arch. W. Eckenrath e W. Schurig.
Il tubercolosario «Haardheim» del sobborgo Recklinghausen in Essen. - Arch. G. Metzendorf e J. Schneider.
L’Union-Theater in München-Gladbach - Arch. Ludwig Becker di Essen.
Il Nuovo Padiglione nel Sanatorio Grimmenstein nella bassa Austria - Arch. E. Ilz e H. Pfann di Vienna.
Ricovero di mendicità in Berlino - Arch. Rudolf Frankel.
L’Arch. Poelzig abita in Berlin-Westend una villa progettata e costruita dalla sua Signora l’Arch. Marlene Poelzig, che ha voluto realizzare una dimora più che possibile a contatto con la natura, fusa col giardino, in antitesi quindi alla teoria del Le Corbusier che pone la sua casa direi quasi sui trampoli, la isola dalla natura circostante ed arricchisce e decora un giardino pensile ricco di belle piante ma chiuso all’esterno.
Il Poelzig ha risposto alla domanda: «Come fabbricherà l’architetto la sua casa?» facendola progettare alla moglie e riservandosi così la libertà di critica; critica che però non può essere che sotto ogni aspetto lusinghiera.
F. Schumacher ha ampliato in Amburgo il Palazzo di Giustizia.
Il programma urbanistico per la città di Kassel elaborato da F. Stück.

Wasmuths Monatshefte Baukunst & Städtebau (Novembre 1930). Berlin.

Architettura sacra in Germania:
S. Nicola in Dortmund - Arch. Pinno e Grund.
S. Willibrord in Kellen presso Cleve - Arch. Wahl e Rödel di Essen.
S. Sebastiano in Monaco - Arch. O. O. Kurz e E. Herbert.
Nuove costruzioni in Praga; per la maggior parte magazzini per la vendita al pubblico, o palazzi per uffici commerciali - Arch. O. Tyl, F. Ehrmann, J. Gocar, J. K. Riha, Mülsteim, Fürth, F. A. Libra, tutti di Praga.
La nuova Cassa di Risparmio della città di Chemmitz dell’Arch. Fred Otto.
Le costruzioni industriali degli Arch. Adolf Abal e Karl Boehringer in Stoccarda.
I progetti per la sistemazione edilizia della piazza della Repubblica in Praga.

Wasmuths Monatshefte Baukunst & Städtebau (Dicembre 1930). Berlin.

La città giardino Heimat in Berlim-Siemensstadt, dell’Arch. H. Hertlein.
La villa v. T. in Honnef sul Reno dell’Arch. H. Wirminghaus di Colonia.
Alcune ville in Praga degli Arch. J. K. Riha, J. E. Koula, E. Mühlstein, V. Fürt, J. Havlicek e K. Honzik.
Il nuovo ponte sospeso sul Reno a Colonia (Mülheim) dell’Arch. bavarese Adolf Abel.
Progetti di ponti degli Arch. Hirsch e Sturm di Vienna.

Innendekoration (Ottobre 1930). Darmstadt. Verlag A. Koch.

Paul Laszlò ha arredato in Stoccarda la casa W. D. Y.; superfici liscie, preziosità dei materiali, nitidezza e lucentezza degli ambienti.

Deutsche Kunst & Dekoration (Ottobre 1930). Darmstadt. Verlag A. Koch.

Le sculture di Napoleone Martinuzzi nella nuova sede delle Poste in Ferrara e il suo Monumento ai Caduti in Guerra di Murano.
La villa Stephan von Auspitz, Vienna, di Wagner Freynsheim; razionalismo forse eccessivo, piacevole l’arredamento interno.

Deutsche Kunst & Dekoration. (Novembre 1930). Darmstadt. Verlag A. Koch.

La Villa von Pretz costruita dall’arch. Viennese Clemens Holzmeister nei pressi di Bolzano. Il razionalismo è quì nell’aspetto esterno e nella figurazione estetica pieno ed assoluto; ma non è rigido e lineare, si sente l’influsso del Sud in quanto il più notevole elemento decorativo è dato dalle loggie e dai portici che adornano la villa e che pur essendo semplicissimi, non arricchiti da nessuna cornice ci ricordano motivi di architettura minore mediterranea.
Gli ultimi arredamenti del Le Corbusier in collaborazione con Paul Jeanneret e Ch. Perriand; metallici, freddi, direi ospitalieri.
Mobili e decorazioni di Fritz Gross in Vienna.

Baukunst. (Ottobre 1930). Monaco.

L’attività edilizia della città di Mannheim dal 1922 ad oggi ci viene presentata in una copiosa rassegna, dalle città giardino alle case a schiera e case popolari dagli asili alle scuole ed ai ricoveri per mendicità, in illustrazioni nitide e precise, con dati tecnici ed economici, con ricco materiale planimetrico. L’abitazione del sindaco; costruzioni ecclesiastiche, un seminario, i padiglioni di esposizione, Rhein-Neckarhallen, ambienti enormi (il maggiore è di ml. 110 x 34 il minore di ml. 110 x l0); campi sportivi, teatro all’aperto, stadio, parchi pubblici e giardini, nei quali sorge il Plametarium. Tutti questi edifici grandiosi non soltanto individualmente ma come numero, sono stati progettati e diretti dall’Ufficio tecnico Comunale che ha eseguito in otto anni una mole di lavoro davvero imponente. Razionalismo assoluto, béton, superfici piane, lisce, chiare.

Baukunst. (Novembre 1930). Monaco.

Il nuovo aeroporto di Monaco.

Moderne Bauformen. (Ottobre 1930). 14 Paulinenstrasse. Stuttgart.

Mobili economici progettati dall’Arch. P. Griesser per il Verband Deutsche Wohnungskunst.
Case popolari in Vienna di J. Frank e Oscar Wolach.
Di primo ordine nel campo delle architetture moderne, i magazzini di vendita della ditta Michel costruiti da Fahrenkamp e Schäffer nel cuore di Düsseldorf. Gli architetti non hanno avuto falsi pudori e si sono serviti delle costruzioni medievali che abbondano nella zona perchè il loro edificio che non ha secondo la loro definizione aspetto architettonico ma semplicemente commerciale ne guadagnasse in effetto, per contrasto.
L’architettura contemporanea in Giappone. Interessantissime queste visioni dell’edilizia in Estremo Oriente che se ci tolgono forse alcune illusioni ci mostrano anche lì il pieno trionfo del béton e della sua architettura.

Moderne Bauformen. (Novembre 1930). Stuttgart.

Tre grandi magazzini di vendita della Ditta Schocken costruiti in Norimberga, Stoccarda e Chemnitz da Erich Mendelsohn.
La villa W. in Kilchberg sul lago di Zurigo ed alcune costruzioni industriali degli arch. K. Wach e H. Rosskotten di Düsseldorf.

Moderne Bauformen. (Dicembre 1930). 44 Paulinenstrasse. Stuttgart.

Mobili e decorazioni di ambienti di Fritz Gross, Vienna. Incantevole la Villla F. St. in Lucerna, dovuta all’arch. Armin Meili, che ha saputo sfruttare con effetti magnifici le caratteristiche altimetriche del terreno che scendeva molto ripidamente verso il lago.
Henry Paçon e M. Surleau: la nuova stazione viaggiatori di Montparnasse, Parigi.
Otto Zollinger: lo stabilimento balneare in Vevey Corseau.


SINDACATO NAZIONALE ARCHITETTI

PAGINE DI VITA SINDACALE


ASSEMBLEA DEL SINDACATO DI ROMA
E PROVINCIA

Il 5 febbraio u. s. ha avuto luogo in Roma l’assemblea del Sindacato di Roma, della quale intervennero oltre a numerosissimi inscritti, delegati autorevoli della presidenza della Confederazione Professionisti ed Artisti. L’assemblea fu presieduta dal Segretario nazionale del Sindacato On.le Alberto Calza-Bini.
L’Assemblea discusse di importanti questioni riguardanti la vita dell’organizzazione sindacale, approvò fra l’altro la tariffa professionale ed il bilancio del Sindacato Provinciale presentato dal Segretario uscente Arch. Vincenzo Fasolo.
Infine fu eletto il nuovo Direttorio che risultò così composto:

Segretario Provinciale: Arch. Vincenzo Fasolo, riconfermato.

Direttorio: Arch. Benigni Gino, Arch. Foschini Arnaldo, Arch. Giovenale Luigi, Arch. Libera Adalberto. Arch. Medori Corrado, Arch. Paniconi Mario.

Comitato Esecutivo: Arch. Cancellotti Gino, Arch. Rosi Giorgio.

Revisori: Arch. Capponi Giuseppe, Arch. Fiorini Guido. Arch. Nicoletti Bruno.


ASSEMBLEA DEL SINDACATO REGIONALE
DI GENOVA

Anche a Genova ebbe luogo un’importante riunione presieduta dal Segretario Nazionale del Sindacato, Anch. Alberto Calza-Bini, che, dopo aver discusse varie questioni relative alla vita del Sindacato Regionale, provvide all’elezione del nuovo Direttorio, il quale risultò composto come segue:

Segretario Regionale: Arch. Giuseppe Crosa, riconfermato in carica.

Direttorio: Arch. Boddini Michele, Arch. Costa Manlio, Arch. Ferrati Bruno, Arch. Orzali Gaetano, Arch. Rosso Giuseppe. Arch. Winter Rodolfo.


NOTIZIE SUL XIII CONGRESSO
DELLA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE
DELL’ABITAZIONE
E DEI PIANI REGOLATORI

Al Congresso della Federazione Internazionale dell’Abitazione e dei Piani regolatori che avrà luogo a Berlino nel giugno di quest’anno, di cui abbiamo dato notizia nel fascicolo dell’ottobre 1930, si discuteranno i seguenti temi:

Abolizione delle Abitazioni Insalubri. - Questo problema sarà trattato molto ampiamente, studiandone la soluzione secondo i metodi già adottati e altri da proporsi dal congresso.

Problema del traffico in rapporto ai piani regolatoli urbani e regionali. - Si terrà conto, nel discutere questo tema, di tutte le spece di traffico: ferroviario, tramviario, aereo ecc. si tratterà della loro coordinazione, dei loro rapporti con le strade e in generale con lo sviluppo urbano e regionale.

Le esperienze fornite dagli ultimi congressi. - Una relazione speciale sarà tenuta su questo soggetto.

Numerosi sono già gli iscritti che parleranno sui suaccennati temi.
Il congresso sarà completato da numerose visite e escursioni.
Il diritto di iscrizione è di lire sterline 1 da inviarsi al Segretario organizzatore Mr. H. Chapmen, Fédération Internationale de l’Abitation et de l’Amenagement des Villes, 25 Bedford Row, London W. C., che fornirà su richiesta le schede d’iscrizione e qualsiasi informazione.
Si invitano gli architetti italiani a partecipare largamente al Congresso.


IL CONGRESSO INTERNAZIONALE
DI TECNICA SANITARIA
E DI IGIENICA URBANISTICA

Nell’aprile (20-26) sarà tenuto a Milano il II° Congresso Internazionale di Tecnica Sanitaria e di Igienica Urbanistica, che verrà integrato dalla II Mostra Internazionale di Tecnica Sanitaria e di Igiene Urbanistica aperta nei Padiglioni della Fiera Campionaria di Milano (12-27 aprile 1931), allo scopo di far rilevare a quanti si occupano di edilizia e d’igiene urbana e rurale quanto è stato compiuto in materia dalle principali città italiane ed estere.
Fra i temi del Congresso segnaliamo quelli inerenti a problemi urbanistici e edili.

Tecnica Sanitaria Urbana:

1. - Costruzione, pavimentazione, manutenzione igienica della strada.

2. - Igiene dei mezzi di trasporto urbani. Stazioni ferroviarie.

3. - La difesa contro i rumori e la trepidazione nelle case e negli stabilimenti industriali. La difesa contro i tumori stradali. Provvedimenti per attenuarli.

Tecnica Sanitaria delle Costruzioni, Abitazioni ed Edifici pubblici:

1. - Distribuzione degli spazi liberi e delle zone fabbricate nello studio dei piani regolatori.

2. - Moderni criteri per la costruzione di ospedali e sanatori. Fognatura, disinfezione, smaltimento dei materiali di rifiuto.

3. - Abitazioni collettive: case operaie abitazioni economiche. Provvedimenti per attenuare i difetti igienici delle case ed appartamenti multipli.

Tecnica Sanitaria rurale e coloniale:

1. - Provvedimenti igienici per le costruzioni rurali con particolare riguardo agli scarichi delle acque luride.

2. – L’approvvigionamento idrico nelle campagne.

3. - La tecnica sanitaria e l’igiene nelle colonie.

La Tecnica Sanitaria nelle officine e nei laboratori:

1. - Impianti igienici negli stabilimenti industriali. Protezione collettiva e individuale.

2. - Ventilazione, riscaldamento, illuminazione con particolare riguardo alle differenti industrie ed ai locali: teatri, cinematografi, alberghi, bagni, ecc.

3. - Eliminazione dei rifiuti industriali.

Tutte le indicazioni inerenti al Congresso verranno date dalla Segreteria Generale del Congresso stesso, con sede a Milano, Piazza del Duomo, 17.

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