FASCICOLO VII - MARZO 1931
FERDINANDO REGGIORI : In memoria di Antonio Sant'Elia, con 10 illustrazioni

IN MEMORIA DI ANTONIO SANT’ELIA


Essendo stati occupati i fascicoli di gennaio e febbraio della Rivista da articoli la cui pubblicazione non poteva procrastinarsi, questa succinta presentazione di alcuni disegni di Antonio Sant'Elia appare con notevole ritardo, quando alle mostre di Como e di Milano è seguita quella di Roma, quando molto è stato già scritto e parlato in proposito.
Vogliamo tuttavia che anche in “Architettura ed Arti Decorative” resti traccia delle geniali concezioni dell’artista precursore, dell’eroico soldato caduto nella nostra guerra e strappato prematuramente all’architettura italiana.
N. D. R.

Può Sant’Elia meritarsi codesto riconoscimento? È egli stato davvero un pioniere, anzi il primo di tutti? Noi, oggi, vediamo ovunque, e certo più fuori di casa nostra, sorgere sul serio costruzioni del genere, e non ci par vero di non considerarle derivazioni di recentissime propagande d’oltralpe. Bisogna, invece, riattaccarsi al nostro Sant’Elia, non esiste dubbio. Se trascuriamo il negro periodo della guerra, spiegabilmente scevro da ogni tentativo o ricerca del nuovo, potremmo invece ritrovar il giusto seme in quelle divinazioni e riconoscere nell’architetto comasco il vero profeta.
S’era egli dato a disegnar architettura per altri, come voleva il momento, per tirar a campare: pensatelo alle prese con il più bel “liberty”. Gli si era, perfino, per un certo tempo, contestato di farsi chiamar “architetto”. E, intanto, al caffè, a casa, tra gli amici, nei momenti di requie egli fantasticava a modo suo, tentando in veloci disegni ed improvvisazioni di dar forma e rilievo al suo concetto base: crear la città futura, la città del nuovo secolo. Pensate ch’eravamo nel 1910, nel 1913: l’uomo cominciava appena appena a prender gusto a volare, le più potenti macchine correvan a 60 all’ora, il traffico non faceva ancor venire le vertigini. Ed egli gettava le basi per una cíttà dinamica più di quanto anche oggi si possa prevedere. L’architettura si perdeva in fronzoli, in svolazzi, in sculture di cemento. E Sant’Elia proclamava che, col cemento s’avevan da costruire soltanto grandi moli, nude rigidissime pareti, archi e torri, dove la struttura fosse tutt’uno con l’architettura.
Da prove e riprove, da schizzi e studi, il Sant’Elia aveva tratto alcuni suoi principi alcune figurazioni definitive, che gli furon così care da passarle in rappresentazioni prospettiche più complete. Ecco, intanto, i temi suoi preferiti: case a moltissimi piani, fari, torri, stazioni per i più moderni mezzi di trasporto, centrali elettriche, ponti, stazioni radiotelegrafiche, tutto l’organismo vivente e pulsante d’una modernissima vita.
Strade a più piani e torri con batterie d’ascensori e grattaceli n’avevan già costrutti gli Americani: ma, tuttavia, senza cercar di dare a queste fantastiche fabbriche un volto appropriato e aderente, l’unico volto, insomma che dal programma di partenza, sarebbe stato naturale attendersi: prendendo invece l’architettura di una comune casa di quattro o cinque piani e ripetendola in altezza, elemento per elemento, ordine per ordine, dieci, quindici volte, oppure senza ripeterla, stiracchiandola come fosse roba elastica.
Qui sta il gran merito di Sant’Elia: crear la più appropriata architettura del colossi, cioè lasciar nuda e definitiva quella stessa struttura che è sostanza vitale nelle sue costruzioni. In sostanza, per usare un termine da un po' in qua venuto in voga, ecco la più genuina architettura razionale.
È spiegabile come, ragionando in tal modo, Sant'Elia, proprio al suo tempo, non trovasse credito se non presso i Futuristi; che i buoni borghesi, se non addirittura i colleghi suoi, gli davan del pazzo. Ma egli pazzo non fu certamente; forse unilaterale, se consideriamo quel che ci mostrano i suoi progetti. In essi non si pongono limiti, non esistono preoccupazioni, per gli sviluppi planimetrici, per le risoluzioni d’insieme, per la pratica attuabilità. Il precursore lascia innanzi tutto libero sfogo alla fantasia, esprime quel che dentro, cuore e passione gli suggeriscono, e rimanda al domani la ragionata coerenza, la serena fusione di tutti gli elementi appena abbozzati: l’esame, il vaglio, il coordinamento, sarebbero venuti in seguito. E solo per una tragica stroncatura oggi noi dobbiamo lasciare inappagato questo gran credito che Sant’Elia meritava.
Qualche centinaio di schizzi documentano la preparazione per taluni temi che l’architetto stesso è riuscito a concretare ed a portar a maggior grado di perfezione: son, codesti, veri progetti prospettici, corredo di massima alla sua più completa concezione. Non dubitiamo che, ove il destino non glielo avesse impedito, Sant'Elia si sarebbe proposto anche il tema d’insieme, la pianta insomma della sua fantastica città. Forse il suo cammino procedeva alla rovescia; ma è indubbio che alla meta poteva arrivare. Anche se talvolta oscure o irrealizzabili, queste sue architetture meritano di restare; e debbono venir calcolate al giusto punto e nella vera luce nello sviluppo del ciclo architettonico moderno. Se proprio questa deve essere l’edilizia che trionferà nel nostro secolo, non bisogna dimenticare che una delle prime pietre angolari fu posta dall’architetto comasco.

FERDINANDO REGGIORI.

torna all'indice generale
torna all'indice della rivista
torna all'articolo