IN MEMORIA DI ANTONIO SANT’ELIA
Essendo stati occupati i fascicoli di gennaio e febbraio della Rivista
da articoli la cui pubblicazione non poteva procrastinarsi, questa succinta
presentazione di alcuni disegni di Antonio Sant'Elia appare con notevole
ritardo, quando alle mostre di Como e di Milano è seguita quella
di Roma, quando molto è stato già scritto e parlato in
proposito.
Vogliamo tuttavia che anche in “Architettura ed Arti Decorative”
resti traccia delle geniali concezioni dell’artista precursore,
dell’eroico soldato caduto nella nostra guerra e strappato prematuramente
all’architettura italiana.
N. D. R.
Può Sant’Elia meritarsi codesto riconoscimento? È
egli stato davvero un pioniere, anzi il primo di tutti? Noi, oggi, vediamo
ovunque, e certo più fuori di casa nostra, sorgere sul serio
costruzioni del genere, e non ci par vero di non considerarle derivazioni
di recentissime propagande d’oltralpe. Bisogna, invece, riattaccarsi
al nostro Sant’Elia, non esiste dubbio. Se trascuriamo il negro
periodo della guerra, spiegabilmente scevro da ogni tentativo o ricerca
del nuovo, potremmo invece ritrovar il giusto seme in quelle divinazioni
e riconoscere nell’architetto comasco il vero profeta.
S’era egli dato a disegnar architettura per altri, come voleva
il momento, per tirar a campare: pensatelo alle prese con il più
bel “liberty”. Gli si era, perfino, per un certo tempo,
contestato di farsi chiamar “architetto”. E, intanto, al
caffè, a casa, tra gli amici, nei momenti di requie egli fantasticava
a modo suo, tentando in veloci disegni ed improvvisazioni di dar forma
e rilievo al suo concetto base: crear la città futura, la città
del nuovo secolo. Pensate ch’eravamo nel 1910, nel 1913: l’uomo
cominciava appena appena a prender gusto a volare, le più potenti
macchine correvan a 60 all’ora, il traffico non faceva ancor venire
le vertigini. Ed egli gettava le basi per una cíttà dinamica
più di quanto anche oggi si possa prevedere. L’architettura
si perdeva in fronzoli, in svolazzi, in sculture di cemento. E Sant’Elia
proclamava che, col cemento s’avevan da costruire soltanto grandi
moli, nude rigidissime pareti, archi e torri, dove la struttura fosse
tutt’uno con l’architettura.
Da prove e riprove, da schizzi e studi, il Sant’Elia aveva tratto
alcuni suoi principi alcune figurazioni definitive, che gli furon così
care da passarle in rappresentazioni prospettiche più complete.
Ecco, intanto, i temi suoi preferiti: case a moltissimi piani, fari,
torri, stazioni per i più moderni mezzi di trasporto, centrali
elettriche, ponti, stazioni radiotelegrafiche, tutto l’organismo
vivente e pulsante d’una modernissima vita.
Strade a più piani e torri con batterie d’ascensori e grattaceli
n’avevan già costrutti gli Americani: ma, tuttavia, senza
cercar di dare a queste fantastiche fabbriche un volto appropriato e
aderente, l’unico volto, insomma che dal programma di partenza,
sarebbe stato naturale attendersi: prendendo invece l’architettura
di una comune casa di quattro o cinque piani e ripetendola in altezza,
elemento per elemento, ordine per ordine, dieci, quindici volte, oppure
senza ripeterla, stiracchiandola come fosse roba elastica.
Qui sta il gran merito di Sant’Elia: crear la più appropriata
architettura del colossi, cioè lasciar nuda e definitiva quella
stessa struttura che è sostanza vitale nelle sue costruzioni.
In sostanza, per usare un termine da un po' in qua venuto in voga, ecco
la più genuina architettura razionale.
È spiegabile come, ragionando in tal modo, Sant'Elia, proprio
al suo tempo, non trovasse credito se non presso i Futuristi; che i
buoni borghesi, se non addirittura i colleghi suoi, gli davan del pazzo.
Ma egli pazzo non fu certamente; forse unilaterale, se consideriamo
quel che ci mostrano i suoi progetti. In essi non si pongono limiti,
non esistono preoccupazioni, per gli sviluppi planimetrici, per le risoluzioni
d’insieme, per la pratica attuabilità. Il precursore lascia
innanzi tutto libero sfogo alla fantasia, esprime quel che dentro, cuore
e passione gli suggeriscono, e rimanda al domani la ragionata coerenza,
la serena fusione di tutti gli elementi appena abbozzati: l’esame,
il vaglio, il coordinamento, sarebbero venuti in seguito. E solo per
una tragica stroncatura oggi noi dobbiamo lasciare inappagato questo
gran credito che Sant’Elia meritava.
Qualche centinaio di schizzi documentano la preparazione per taluni
temi che l’architetto stesso è riuscito a concretare ed
a portar a maggior grado di perfezione: son, codesti, veri progetti
prospettici, corredo di massima alla sua più completa concezione.
Non dubitiamo che, ove il destino non glielo avesse impedito, Sant'Elia
si sarebbe proposto anche il tema d’insieme, la pianta insomma
della sua fantastica città. Forse il suo cammino procedeva alla
rovescia; ma è indubbio che alla meta poteva arrivare. Anche
se talvolta oscure o irrealizzabili, queste sue architetture meritano
di restare; e debbono venir calcolate al giusto punto e nella vera luce
nello sviluppo del ciclo architettonico moderno. Se proprio questa deve
essere l’edilizia che trionferà nel nostro secolo, non
bisogna dimenticare che una delle prime pietre angolari fu posta dall’architetto
comasco.
FERDINANDO REGGIORI.