FASCICOLO IX - MAGGIO 1931
Notiziario

CORRIERE ARCHITETTONICO


L’ARCHITETTURA DELL’AMBIENTE NELLA PRIMA QUADRIENNALE ROMANA

Questa radicale trasformazione attuata con serietà d’intenti e con semplicità di mezzi, dove quadri e sculture possono bene squillare nelle foro note più vive, ci dice ancora una volta che quando si sa con onesta schiettezza bere alle fonti più essenzialmente nostrane, si riesce a far cose di tutta modernità, non straniate da quel senso di logica e di umanità necessario in tutto, specie nelle architetture le quali formano, nei limiti materiali del paese o della città, del palazzo o della chiesa, del teatro o dell’ufficio, il mondo in cui noi viviamo e ci agitiamo.
Venezia e Monza, ai Giardini e a Palazzo Reale s’eran già vestite a nuovo con nitore e semplicità per accogliere le arti d’oggi: Roma solamente restava - con inconcepibile fedeltà agghindata secondo il più bel cattivo gusto d’ieri che avrebbe finito per far accettare per reazione anche le più incomprensibili stramberie ultramoderne tanto ci si sentiva oppressi da finte transenne, da trofei quasi bellici, da elementi classicheggianti immiseriti nel gesso. Ma finalmente la folata di vento nuovo è venuta, portando concetti di comodità e realizzazioni di buon gusto.
Schietta e sobria nelle linee, larga e spaziata nelle strutture, armonica e tenue nei colori, razionale nella distribuzione indiretta della luce, la trasformazione che gli architetti Aschieri e Del Debbio han saputo operare nel vecchi locali del Palazzo di via Nazionale, risponde al più esigenti criteri moderni pur rimanendo perfettamente adeguata al nostro gusto italiano. E poichè questo gusto vuol dire armonia e ritmo - non astruseria o eccentricità - la Sala d’Onore e la Galleria delle Nicchie, lo Scalone e i Passaggi sono il compiuto resultato di un gioco sapiente e misurato di volumi spartiti con largo respiro. Nascoste le vecchie colonne, ridotte a quattro soltanto le numerose aperture di prima, interrotte le pareti dal parco motivo di nicchie rettangolari, la Rotonda si svolge pacata sotto la luce riflessa dalla cupola semisferica, semplicissima nelle sue nitide chiarità spaziali. Nota viva di colore fra i soffusi toni di beige delle pareti e di grigio del pavimento di bardiglio a specchio, mettono le piante ideate da Napoleone Martinuzzi ed eseguite da Venini e C. Sul piano giallo oro, carnose nel vetro verde pulegoso con i bocci di fiamma, si allungano, si torcono, si curvano con si forte senso di aderenza alla propria natura, ma anche con sì moderno spirito di interpretazione, che non si sa se più ammirare l’eleganza ardita della concezione o la perfetta realizzazione tecnica. Al ritmo ampio e solenne della Galleria delle nicchie ottenuto con la sola misura di pareti liscie e curve in semplice tono di grigio, fa gioioso contrasto nella chiarità delle tinte e nella snellezza delle sagome, la serra dell’Architetto Enrico del Debbio, tutta susseguirsi di piani e di spigoli nel concetto poligonale del pilastrato aperto sul recinto verde, rinfrescato dalla fontana del Martinuzzi ideata con gustoso sbocciare di verdi coppe.
M. R. GABRIELLI

IL CONCORSO PER LA SISTEMAZIONE
DI PIAZZA DELLA CATTEDRALE IN TRIPOLI

Nel fascicolo di Agosto dello scorso anno venne dato notizia sulla Rivista dell’esito di un primo concorso bandito nel 1929 per la sistemazione della Piazza della Cattedrale in Tripoli. I premi non erano stati allora attribuiti ed il concorso fu ribandito.
Diamo qui relazione del risultato del secondo concorso, proposto dal Municipio di Tripoli nel luglio 1930 e giudicato nel dicembre scorso da una commissione presieduta da S. E. Alessandro Lessona, sottosegretario di Stato alle Colonie e composta dai seguenti membri: S. E. Roberto Paribeni, Gr. Uff. Domenico Bartolini, Arch. Enrico Del Debbio, On. Cipriano Efisio Oppo, Prof. Arch. Vincenzo Fasolo, delegato del Sindacato Nazionale Architetti, relatore.
Fungeva da Segretario della Commissione il Dr. Pio Jannuzzi, Primo Segretario Coloniale.
Presero parte alla gara 21 concorrenti: dopo minuzioso esame e numerose discussioni, la Commissione accentrò la propria attenzione su quattro progetti, eliminando tutti gli altri nei quali erano state riscontrate deficienze di vario ordine: dipendenti in un primo gruppo di essi da una eccessiva adesione stilistica ai tipi della casa minore mediterranea, mentre il tema proponeva per la Piazza di Tripoli un carattere edilizio adatto ad una grande città moderna, in un secondo gruppo dipendenti invece dall’opposto difetto di una troppo grande aderenza agli stili classici monumentali. Secondo la relazione della giuria, dei quattro progetti maggiormente degni d’attenzione, quello dell’Arch. Adalberto Libera può essere classificato piuttosto con quelli del primo gruppo, ma se ne distingue per una più matura assimilazione, per una maggiore e veramente moderna libertà, per una forte e personale concezione architettonica. Tale progetto è letteralmente così giudicato nella relazione stessa: «Unitario, organico, studiato con grande cura nei riguardi planimetrici: la semplificazione modernissima, ravvivata però dalla vivacità del colore, da una armonica disposizione di spazi nei quali i pieni di pareti nitide si contrappongono ai loggiati, la disposizione dei volumi creati con visione organica ed unitaria dal punto di vista edilizio (felice è l’apposizione delle quattro sopraelevazioni angolari opposte alla orizzontalità dei lati e racchiudenti come piloni la composizione della piazza stessa) rappresentano risultati architettonicamente pieni di ingegno e di abilità, non sopraffacenti la praticità della concezione e le possibilità di utili realizzazioni. La preoccupazione di armonizzare la nuova architettura a quella della vecchia città senza ripeterne i motivi folkloristici, aggiungendovi anzi una nuova nota rispondente ai nuovi tempi, è raggiunta da questo progetto, che nel gruppo di cui si è dianzi parlato sopravanza decisamente ogni altro ».
Nel gruppo dei progetti in cui dominava una tendenza piuttosto tradizionalista, la commissione giudicatrice accentrò l’attenzione sui tre seguenti: quello contrassegnato dal motto “Pentagono” redatto dall’Ing. Natale Morandi di Milano, colla collaborazione degli Architetti Mario Lombardi, Gio. Batt. Cosmacini, Berto Dal Corno, Oddone Cavallini e Dante Alziati; l’altro presentato dall’Ing. Morpurgo di Roma, ed il terzo dell’Arch. Pietro Lombardi con la collaborazione dell’Arch. Goffredo Lizzani, pure di Roma.
In tutti codesti progetti la commissione giudicatrice, avendo riscontrato la comune volontà di creare un insieme architettonico espressivo e monumentalmente ispirato alla tradizione romana, con forme che tuttavia possano armonizzarsi per chiarezza di spazi e per effetti di chiaroscuro a certe tonalità locali, ritenne all’unanimità che la miglior realizzazione fosse offerta dal progetto “Pentagono” definito chiaro, largo nel ritmo delle arcate che racchiudono la piazza, elevato nella nota decorativa dei motivi centrali, puro nella derivazione italica. “Sulla stessa linea” prosegue la relazione “il progetto del Morpurgo, ma più frazionato per intervento di elementi disparati che turbano la composizione: sempre pieno però di possibilità pratiche, di effetti scenici, di nobiltà architettonica”. La commissione ha portato anche il suo esame definitivo sul progetto Lombardi, che fu ritenuto “degno di considerazione per il tentativo di creare una piazza la cui unità risulti dal costante ritmico ripetersi dello stesso motivo: une serie di loggiati sovrapposti che si svolgono costantemente sur una pianta circolare”.
In base a tali valutazioni la giuria credette concordemente di giudicare il progetto “Penta gono” superiore agli altri e proponibile pel primo premiò, ed i progetti Morpurgo, Libera e Lombardi proponibili per una divisione ex aequo del secondo premio.
Tale graduatoria fu stimata valida e giusta anche per la valutazione delle soluzioni proposte per la sistemazione dello spazio riservato alla Cattedrale e per il progetto della fontana centrale.
N. D. R.

LA CAPPELLA ONETO A S. MARGHERITA LIGURE

degli Architetti SEBASTIANO LARCO e CARLO ENRICO RAVA.


Gli architetti Sebastiano Larco e Carlo Enrico Rava, noti per la loro tendenza architettonica moderna, non disgiunta da un senso decorativo valido e succoso, orientato verso indirizzi coraggiosamente originali, hanno costruito a S. Margherita Ligure una cappella funeraria, per la famiglia Oneto.
La struttura, nel suo insieme, è tecnicamente ingegnosa, e si riflette all'esterno con forme indicanti una sensibilità rispondente al tema; specialmente nella zona di prospetto ove la composizione spaziale della parete, della porta, dei sottili cilindri marmorei laterali, del cancello e dei sobri elementi decorativi, offre un insieme significativo ed emotivo. Meno convincente è la zona posteriore, ove la grande parete-diaframma verticale reca il volume parallelopipede della camera e quello cilindrico dell’altare-abside secondo forme e profili un po’ urtanti, non bene concordi e assimilabili; specie se si osservi l’edificio secondo uno scorcio frontale.
L’interno della cappella è realizzato con lo stesso ingegno, anche un po’ sforzato, nella ricerca ad ogni costo di idee nuove ed antitradizionali, per quanto riguarda l’impiego e la foggia di materiali non abituali nelle costruzioni del genere.
Splendore di sfere elettriche sperdentesi in freddi bagliori su polite pareti marmoree: lucore di sottili lamine di metallo cromato la cui frigida geometria è appena lenita da un sottile e cincischiato torcersi di radi elementi decorativi, simili a cifre di cabale orientali. Qui la cruda morte fisica della sala anatomica si fonde a quella troppo astratta di un mondo trascendentale, senza lasciar luogo alla morte umana ov’è il calore del pianto, la fecondità del ricordo il culto degli affetti di una creatura che fu viva.
Ma ci soffermiamo più a lungo su questo lavoro di Rava e Larco appunto perchè le sue stesse deficienze testimoniano negli autori una franca ed incisiva aderenza di sensibilità alla natura del nostro tempo, così tormentosamente inquieto ed arido di elementi spirituali, ed invece teso nello sforzo pratico di realizzare in concreto gli elementi basilari della vita moderna; così confuso e squilibrato nel suo trabordare verso atteggiamenti manchevoli od eccessivi, sempre provvisori.
Inquietudine spirituale che si riflette anche e sopratutto nell’arte in generale e nell’architettura in particolare, brancolanti nell’incerto dopo la inevitabile caduta dei dogmi e canoni superati e volte alla costituzione di un nuovo equilibrio, di una consapevole rispondenza della vita, insomma di uno stile valido e attuale.
Per cui il cercatore, anche non fortunato ma ardente e coscienzioso assume più merito di chi riposar vivendo tranquillamente all’ombra di ciò che ha perduto valore.
PLINIO MARCONI

RECENSIONI


MARCEL VOLOTAIRE. - La Céramique moderne. Ed. Van Oest, Parigi 1930.

L’inizio della ceramica moderna francese è da porsi nel primo trentennio dell’‘800, quando con il culto delle chinoiseries, le influenze dell’estremo oriente ci sostituiscono alla tradizione occidentale; sotto questo nuovo impulso la concezione dell’arte ceramica cambia, (effetto artistico è ricercato e ottenuto attraverso la preziosità e la perfezione tecnica. Appunto l’evoluzione e la ricerca tecnica sono seguite dall’autore nelle esperienze dei maggiori fra i ceramisti francesi e nelle esposizioni d’arte applicata che da circa mezzo secolo li susseguono a Parigi. In queste si manifesta sempre più viva la tendenza di creare una decorazione europea che risponda alle necessità, abitudini, esigenze della vita moderna. Definite così le caratteristiche generali dell’arte ceramica francese moderna, l’autore viene a studiare uno ad uno i maggiori ceramisti francesi in una elencazione interessante seppur un po’ arida.
Il volume che fa parte della collezione Architecture et Arts décoratifs diretta da L. Hautecoeur, ha numerose e belle tavole, consuete alle edizioni Van Oest.
LIDIA CIANCIO.

SCENOGRAFIA ITALIANA


VALERIO MARIANI - Storia della Scenografia Italiana, 1930. - Rinascimento del libro – Tipografia Classica - Via Pactnott1 18, Firenze.

È uscito l'anno scorso questo bel libro di Valerio Mariani, corredato da una accurata bibliografia e da 128 tavole fuori testo, documentazione importante ed in qualche parte inedita dell’arte scenografica italiana dal Medio Evo ai nostri giorni.
Nell’attuale momento, mentre la scenografia, come le altre arti, attraversa un periodo di smarrimento e di ricerca, già foriero di un prossimo ristabilirsi di moderni valori definitivi, l’opera del Mariani è da ritenersi benefica e chiarificatrice: tanto più ch’essa, pel modo ond’è intesa e svolta, a differenza di altri lavori analoghi, compilati anche recentemente da tecnici eruditi o storici minuziosi, è particolarmente adatta ad essere accetta agli artisti ed agli spiriti comprensivi, ancorchè non particolarmente versati nella materia.
Il Mariani infatti, anima d’artista ed egli stesso datato di buone attitudini pittoriche, osserva gli ambienti storici con calore ed emozione ed ha inoltre sguardo sufficientemente largo per vedere i lati particolari del tema nella loro connessione at caratteri più universali della vita sociale, dell’arte e del pensiero di ciascun epoca.

Comincia egli col riconoscere, a differenza di quanto è posto da altri studiosi più attenti alla parvenza di superficiali riferimenti che alla sostanza di veri contatti spirituali, che la scenografia italiana deve intendersi nata nelle intime basi, piuttosto dal teatro sacro medioevale che dal dramma romano, il quale ha bensì offerto, specialmente in un secondo tempo, preziosi elementi formali, ma appartiene ad un clima storico che il medioevo aveva definitivamente staccato da sè e superato.
Del teatro sacro medioevale egli parla dunque senz’altro, nelle sue varie manifestazioni di dramma liturgico, lauda drammatica, devozione, sacra rappresentazione: mostra come tali forme, sensibilmente tra loro analoghe nelle manifestazioni sceniche, sian derivate quale necessità di esegesi mistica dall’ufficio religioso e specialmente dall’ «Ufficium Sepulchri»; accenna ai loro contatti coll’antichissimo teatro bizantino e coi dramma romano ed ai rapporti di collateralità con la pittura loro contemporanea: offre interessanti dettagli tecnici sulla costruzione, quasi sempre realizzata nel mezzo delle chiese, del talamo o palcoscenico in legno diviso in speciali settori, i cosidetti luoghi deputati, ove si svolgevano, con embrionali scene, i vari atti del dramma sacro.
Dopo aver definito i valori del teatro medioevale in rapporto alle attitudini spirituali dell’epoca, aver parlato quindi del suo profondo contenuto umano, religioso, poetico, dinamico, e per contro della sua ingenua e fresca inadeguatezza formale consistente in un realismo crudo, di natura plastica e meccanica, peraltro sostenuto da intima forza espressiva, capace di determinare fisionomia e stile, il Mariani passa ad esaminare la scenografia del Rinascimento: periodo in cui la raggiunta potenza formativa estetica origina uno scenario prevalentemente architettonico, riassuntivo, idealistico, concentrato e dominato da rigide norme prospettiche, nel quale la calda fantasia, accesa dal contatto col mondo classico e dal soggetto pagano è tuttavia temperata dalla regola e dal ritmo.
Non possono essere fissate in modo netto la differenza ed il passaggio tra il dramma liturgico chiesastico, popolaresco, anonimo, del medio evo ed il dramma umanistico, inscenato da principi e signori e arredato da personalità artistiche ben distinte: il carattere del passaggio è dato dalla sovrabbondanza dell’elemento scenografico sul contenuto del dramma e ad esso contribuiscono la costitutituzione della nuova vita sociale, le trovate meccaniche dell’epoca, il maturare degli elementi di intuizione prospettica. Il dramma umanistico-profano si formula così un po’ alla volta nei suoi principali aspetti (tragico, comico, satirico o boschereccio) secondo canoni tipici che resteranno costanti per due secoli (XV, XVI) nei trattati di scenografia.
Nelle scene si applicano sempre più efficacemente le regole della prospettiva centrale; solo le quinte anteriori rimangono attuate con volumi solidi nella loro plastica effettiva, mentre le posteriori ed il fondale sono puramente pittorici prospettici. Molti fra i migliori pittori e architetti dell’epoca, Brunellesco, Paolo Uccello, Raffaello, Baldassare Peruzzi, Serlio, De Sommi, Palladio, Scamozzi, si occupano di scenografia in questo aureo periodo ed il Mariani s’attarda a dieci di ciascuno l’opera, i caratteri peculiari e il contributo specifico, prima di procedere a considerare lo sviluppo detta scenografia dal Rinascimento verso il Barocco.
Il teatro Palladiano può a buon diritto considerarsi fra tutti all’apice, nel punto intermedio di equilibrio propriamente classico tra il movimento scenico medioevale che abbiam visto povero di forma e ricco di contenuto e quello barocco, esuberante invece di forma a detrimento di sostanza spirituale profondamente vissuta e sofferta, sovraccarico di enfatici elementi decorativi, preoccupato della sorpresa, dell’effetto, dedito al godimento della materia scenica in sè stessa. Nel palcoscenico barocco, eliminate man mano le quinte solide anteriori ed i casamenti in prospettiva, tolto di mezzo l’alto rilievo, tutto diviene più libero e puramente pittorico: il dramma un po’ alla volta perde interesse per quanto riguarda la produzione poetica e viene ideato allo scopo di ottenere soprattutto una mess’in scena spettacolosa: la scenografia diviene così arte a sè, fatta di Meccanica, prospettiva, pittura, luci, colore, pura sensualità e fantasia plastica. Per aumentare la meraviglia, per dar corpo alla fantastica irrealtà, le costruzioni sceniche divengono sempre più leggere, appese a fili, facilmente moventi: non solo i paesi della terra, ma i mari ed i regni del cielo con le nubi e gli astri sono raffigurati ed in essi si muovono non soltanto uomini, ma angeli, demoni, mostri, uccelli, carri di fuoco.
Tutti gli altri elementi costituenti la produzione drammatica seguono la scenografia in questo sensuale ed idealistico sviluppo. La musica, svoltasi ormai in forme sinfoniche complesse, è valido ausilio del colore nel creare al dramma un’atmosfera astratta e significativa per sè stessa. Il disegno tecnico e la pittura non hanno più un valore soltanto indicativo costretto in composte e misurate prospettive lineari, ma anch’essi si liberano e assumono un loro distinto valore plastico: schizzi inventivi a mano libera, ove la macchia ed il piacere del segno prevalgono; scene dipinte voluttuosamente, dotate di una loro prepotenza lirica e coloristica. La poesia ond’è espresso il dramma, diviene anch’essa scenografica: diminuita l’emozione di un intimo contenuto, essa si fa partecipe insieme della pittura (esteriorità descrittiva e coloristica) e della musica (enfasi, sonorità). Ogni arte traborda dai propri limiti per l’ansia di ampliare le sue possibilità e dominare il propria oggetto fino ad annullarlo: ed in questo squilibrio e superbia dello spirito creativo è anche il germe dell’aridità e della conseguente decadenza.
Grandi nomi conta al suo attivo la scenografia in questo periodo: la stirpe del Bibiena da Ferdinando (1657-l743) a Carlo (1728-1780); Gian Lorenzo Bernini, che segna il trionfo del meraviglioso scenografico; padre Andrea Pozzo, col suo insuperato illusionismo pittorico: Filippo Juvara; il grande Piranesi, astratto fantasticatore, il quale, sentendo già il piacere per la rovina ricondotta ad esser materia d’arte, prelude al romanticismo del secolo successivo; il Pannini, illustratore prezioso. E poi i veneti, dal Guardi a Mauro Tesi, all’Algarotti, ecc. ecc.
In conclusione la scenografia italiana dei secoli XVII e XVIII riveste aspetti paralleli a quelli assunti dalle altre arti nei trionfo del lirismo come superamento idealistico della vita spirituale sulla materiale, della forma sul contenuto, del sogno sulla realtà: sfarzo che non può esser sostenuto a lungo e finirà collo staccare del tutto le realizzazioni fantastiche dalle basi naturali della vita, col renderle del tutto artificiose ed estranee al proprio oggetto, fino a determinare la stanchezza e l’arresto dell’istinto creativo ed il conseguente suo desiderio di sosta e di ritorno alle origini, il senso del doversi controllare e ripiegare sul già fatto: il neoclassicismo insomma, e l’eclettismo del secolo XIX.
Altro trapasso: la scenografia ne risulta caratterizzata dalla preoccupazione culturale di aderire formalmente e obiettivamente all’ambiente e dall’affermazione della mania analitica e critica propria degli archeologi e dei letterati dall’epoca. Gli architetti teatrali si preoccupano ora della verosimiglianza, non intesa nel senso di amor del vero naturale, in cui consistette sempre l’attitudine spirituale degli artisti creatori, capace di condurre alle più sostanziose trasformazioni fantastiche della realtà, ma del piccolo e obiettivo vero storico, già posseduto prima da altri. La scena comincia ad essere realizzata con precisione scientifica, con la maggior cura nella ricerca tecnica della luminosità del colore ottenuta con metodi preludenti al divisionismo, e della illuminazione della scena. A1 primo periodo neoclassico il cui l’imitazione stilistica si riferisce specialmente all’ambiente greco o romano, appartengono l’Algarotti, il Perego, il Pozzetti. In seguito al movimento romantico di Francia e Germania, che aveva portato in architettura alla risurrezione dello stile gotico, specie del flamboyant, anche in Italia si hanno attitudini consimili e nella scenografia il Fontanesi ne risente notevolmente. Onde, perduta ogni personalità architettonica, precipitati nell’eclettismo e nell’indifferentismo stilistico, ogni imitazione o falso son leciti ormai anche agli scenografi: sui palcoscenici vediamo alternarsi il finto romano o i1 greco, il gotico, il barocco e perfino le più assurde commistioni di uno stile con l’altro: più tardi anche lo stile rustico.
Viene meno ogni vena e fecondità inventiva: e tale povertà si trascina in Italia per tutto il restante scorcio del secolo XIX, mentre all’estero cominciano a nascere lentamente nuove idee le quali non tardano a mescolarsi anche da noi agli ultimi bagliori della scenografia tradizionale: da tal confusione di sensibilità e di sistemi traggono materia gli allestimenti teatrali delle celebri opere del teatro melodrammatico italiano, Bellini, Rossini, Verdi, di cui resta traccia nelle oleografie allietanti ora le nostre osterie di campagna, e quelli dei lavori drammatici fino a D’Annunzio.

Si maturano intanto i tempi nuovi, mentre i più moderni mezzi scenici (specchi, vetri, scenari mobili, meccanismi di ogni sorta) e specialmente l’introduzione dell’energia elettrica illuminante e motrice, si vanno perfezionando e promettendo di offrire materia del tutto originale alle manifestazioni delle fresche sensibilità sorte nel secolo XX. A questo proposito il Mariani si cura di precisare con assolutezza forse eccessiva di non ritenere le scoperte scientifiche e tecniche capaci di influire per se stesse sulle nuove formazioni artistiche, giacchè egli stima i valori spirituali più interiori e durevoli del tutto indipendenti e dominatori della materia espressiva.
Comechessia è indubbio che i moderni criteri scenici nascono, contemporaneamente al maturare dei nuovi mezzi teatrali, nell’Europa del nord, specialmente in Inghilterra, in Russia, in Francia. Uno dei più salienti caratteri delle nuove tendenze consiste nella necessità di unità assoluta e di indissolubile equilibrio richiesto a tutti gli elementi di una rappresentazione teatrale: scena, recitazione, e nel melodramma, musica.
Già Riccardo Wagner aveva data di ciò saggio illustre, e, nel suo campo, insuperato.
Gordon Graig spinge un tal criterio fino a negare il valore decorativo di uno scenario oggettivo, per quanto artisticamente trasfigurato, stimandolo inadeguato agli effetti di una simile integrale unitarietà e proponendo di sostituirlo con uno totalmente astratto e simbolico; e fino a svalutare la figura dell’attore vivo, ancor più forse arbitraria, parziale, difficilmente assimilabile, proponendo di far agire in sua vece un automa.
Le scene divengono allora semplici, schematiche, tutte agenti nel senso di concentrare l’attenzione sulla sostanza del dramma, creandogli attorno appena una atmosfera ambientale simpatica nella quale il colore ha parte principale non per il proprio valore oggettiva decorativo, ma per la sua facoltà, simile a quella del suono, di provocare stati d’animo e sensibilità diffuse. Il teatro di Gordon Graig è insomma una sintesi fra i vari elementi del dramma riassunti in valori plastici astratti; come tale essa perde valore se il soggetto della produzione sia privo di profonde basi liriche, spirituali, concettuali e se invece si riferisca ad azioni più leggere, godibili per preziose e delicate sfumature di superficie e d’ambiente.
Ad una tale arte fa contrasto quella del russo Leone Bakst, che riesce a rompere la chiusa cerchia della complessa, analitica e fredda mentalità occidentale, con un nuovo geniale, selvaggio, primitivo godimento della materia scenica in se stessa, per cui il colore, la forma ed il movimento sano prima di tutto gioia degli occhi e del senso: arte che ha del vecchio barocco il potere dell’esaltazione e ricreazione dionisiaca della natura e della materia attuantesi però, fuori dei vecchi schemi, con fresco e fecondo erompere di vita nuova.
Attorno ai poli opposti di queste due personalità, di cui fan diversa sintesi i più recenti scenografi stranieri (Benoit, Fedorowsky, Sadko, Larinoff, Appia, Reinhart, ecc.) si agita, eccedendo talvolta nei valori ancor più astratti ed artificiosi del cubismo e del surrealismo, l’arte teatrale Europea.
La scenografia italiana attuale si svolge ancor più instabilmente e con minor carattere tra l’imitazione di tali correnti d’oltralpe, i residui delle tendenze ottocentesche e vari tentativi di originale vita nuova; di essa il Mariani si indugia a descrivere i principali aspetti (teatro all’aperto, teatro drammatico e melodrammatico, teatro sintetico e futurista, teatro delle marionette, ecc.) ed i più rimarchevoli artefici, da Cambellotti a Virgilio Marchi, da Pierretto Bianco a Bragaglia, da Aschieri a Cito-Filomarino.
A conclusione del libro egli constata come nel momento attuale si noti nell’ambiente scenografico più fervore di critica, discussione, elaborazione di principi teorici che libero sviluppo di vena creativa; la quale peraltro non tarderà a scaturire, assieme a quella delle arti sorelle, dallo stesso terreno ardente sul quale oggi ci agitiamo e cerchiamo con ansia e volontà.
Nella prefazione il Mariani ci aveva già avvertito che la scenografia italiana si dovrebbe secondo lui svolgere d’ora in poi sulle basi di una completa, ben intesa e non artificiosa unità tra i vari elementi drammatici, ma che in ogni modo tale unità dovrebbe raggiungersi secondo una maniera tutta nostra e latina cioè umana e calda di senso decorativo: così scevra di elementi di reminiscenza, di meschino verismo, di accessori pedanti, come lontana da una eccessiva meccanicità e dalle cristallizzazioni e fossilizzazioni del cubismo e sintetismo nordico.

Il libro del Mariani è dunque impostato su basi larghe e comprensive. Si potrebbe dire che una simile lodevole latitudine avrebbe richiesto, per una materia tanto complessa ed interferente con quasi tutti gli altri aspetti delle arti, delle attività, del pensiero umano, uno sviluppo dell’opera assai maggiore. L’autore è il primo a riconoscerlo nella prefazione, nella quale egli fissa i limiti ed i compiti del suo lavoro.
Una maggior estensione e maturazione dello scritto consentirebbe in seguito sistematicità nell’esposizione e chiara classificazione dei vari aspetti dei problemi considerati: quello di esegesi storico-critica, coi neccessari riferimenti ai temi più generali toccati: quello documentario e di citazione; quello tecnico-descrittivo, così importante in un’arte riassumente in sè, specialmente oggi, tanti e complessi principi d’ordine teorico-geometrico e meccanico. Invece tutti codesti aspetti nei singoli capitoli riferentesi ad interi periodi storici, risultano nella storia del Mariani forzatamente esposti in modo saltuario e frammentario, talvolta embrionale, senza uniforme tessitura e costante equilibrio.
Ma, come ho detto, l’autore ne avverte egli stesso il lettore: il suo libro, dotato di comprensione sostanziosa, umana, piana, coglie il succo degli eventi, narra con brevità, bella forma ed emozione, dimostrando intuito sicuro dei valori storici e spirituali di cui tocca, magari brevemente, tutti i lati vitali: la veramente ottima documentazione illustrativa contribuirà a renderlo caro ed utile soprattutto all’ambiente aperto e ricca di calore, degli artisti e degli amanti dell’arte.
PLINIO MARCONI

RIVISTA DELLE RIVISTE


ITALIA

La Casa Bella (Gennaio-Febbraio-Marzo 1931). Milano, Via Boccaccio, 16.

La Casa Boasso in Torino, arch. Pagano-Pogatsching e Levi -Montalcini.

Costruzioni ed arredamenti di negozi e magazzini di esposizione - architetti: A. Langer, P. Seneca, G. Mantero, P. Lingieri.

La casa costruita in Roma da G. Capponi. Maurice Dufrène ed i suoi lavori al "Salon d’automne".

Il gusto dell’Austria contemporanea - Un alloggio progettato dalla Signora Rachel Bachi Weiber. Trine e cristallerie.

Walter Groepius e la più recente edilizia popolare - Casa Jacobacci progettata e costruita in Torino da Nicola Diulgheroff.

Domus (Gennaio - Febbraio - Marzo 1931). Milano. Via S. Vittore, 12.

Il Cinema Barberini in Roma - Marcello Piacentini - Alcuni ambienti della Quadriennale Romana.

II Circolo Accademico del Littorio dell’arch. Pier Giulio Magistretti

La Villa G. in Roma, ai Parioli, di Luigi Piccinato - Progetto Larco e Rava per la sistemazione della Piazza della Cattedrale in Tripoli.
Gli interni di casa Uzielli in Firenze dell’arch. A. Girard.

Rassegna di Architettura (Gennaio 1931). Milano. Via Podgora, 9.

Piero Portaluppi; la Centrale di Cadarese - Case popolari in Milano.

Il Concorso per il Palazzo della Provincia di Sondrio, arch. G. Muzio, F. Leoni, M. Baciocchi.


STATI DELL’AMERICA DEL NORD

American Landscape Architect (Febbraio-Marzo 1931). 608 South Dearborn Str. Chicago. Ill.

Questa Rivista che ci è dato esaminare oggi per la prima volta, illustra con ricchezza di materiale tutto ciò che si fa negli Stati Uniti per arricchire e sistemare parchi, ville e giardini. Si potrebbe in certo senso chiamare Rivista dei Giardini, per quanto tradotto alla lettera il suo titolo è Rivista del Paesaggio. Poichè essa tratta dal piccolo giardino di pochi metti quadri della casa a schiera alla sistemazione del grande Club di tennis o di golf, dall’umile villetta di campagna al parco cittadino del grande signore, ci offre molta varietà di documentazioni fotografiche che possono in questo campo esserci veramente preziose.

Architecture (Gennaio 1931). Fifth Avenue at 48 th. Street. New York.

Arredamento ed arte decorativa contemporanei negli Stati Uniti. L’Hotel Pierre in New York; l’opera più recente degli architetti Schultz e Weaver.

Architecture (Febbraio 1931). Fifth Avenue at 48 th. Street. New York.

La Sinagoga di Amsterdam; architettura di effetto davvero sorprendente dovuta alla tenace fatica di Harry Elte.

La nuova sede di Hamilton nello Stato di Ohio, della National Bank & Trust Company, opera degli architetti Childs & Smith. Buona la soluzione planimetrica, di nessun valore la vasta decorativa di cui vuole ornarsi nell’esterno, esempio di compromesso molto discutibile fra i tipi della fine del secolo scorso e le ultime manifestazioni architettoniche.
La Rivista si chiude con il «Portfolio » che consiste in una vastissima rassegna fotografica, in cui naturalmente il numero delle figure aumenta a spese della qualità, illustrante un determinato elemento di architettura: in questo caso ci occupiamo di portici, e gli esempi mostratici sono in massima parte di ville californiane, tipiche nella loro architettura mediterranea.

Architecture (Marzo 1931). Fifth Avenue at 48 th. Street. New York.

Squibb Building, arch. Ely Jacques Kahn. Grattacielo costrutto in New York alla 5th. Avenue. A distanza, ottimi gli effetti volumetrici di massa, ma pregiudicati dalle decorazioni di gusto certo non conforme al nostro, se osservate da vicino.
Lo Smith College, l’Ala intitolata a Martha Wilson nel Northampton, Mass. arch J. W. Ames & E. S. Dodge.
Nel «Portfolio» le Torri Campanarie. Si passa in rassegna tutto quanto esiste nel campo di queste costruzioni, senza classifica nè distinzioni, da New York ad Annover, a Buckingamshire, a Courtrai, a Valencia, a Güstrow, a Bruges, ad Anversa, a Philadelphia, ad Amburgo; si corrono in rivista tutti i tipi dal gotico al razionale, tutte le epoche dal 13mo secolo at 20mo, tutti i gusti e tutte le dimensioni sono rappresentate.

The American Architect (Gennaio 1931). Fifty-seventh Str. at Eighth Av. New York.

Il nuovo Walford Astoria Hotel costruito in New York dagli architetti Schultz & Weaver.

The Architectural Record (Gennaio 1931). W. 40 th. Str. New York.

Su progetto di Jock D. Peters e sotto la direzione di Eleanor Lemaire, la Ditta L. P. Hollander Co. Store ha costruito sulla 57ma strada in New York i suoi magazzini di vendita. Non ci sembra di stare negli Stati Uniti; la decorazione interna e l’arredamento degli ambienti di vendita, di prova, di esposizione rivelano squisito buon gusto e raffinata sensibilità nell’impiego dei materiali con sicura previsione dell’effetto che, una volta in opera, essi avrebbero prodotto. Queste doti hanno fatto sì che, nel campo della decorazione di ambienti come questa, che pur accessibili al pubblico, devono subito dare quel senso di «home» necessario a trattenere il cliente, al sia ottenuto un vero piccolo gioiello.
Rivista di interni in uffici privati. I nomi degli architetti autori delle opere illustrate, P. Goodman. Thompson, Churchil, Edward J. Shire, Paul P. Cret, Hove, Lescaze, Joseph Urban, bastano per dimostrare la serietà degli intenti, il buon gusto aspiratore e la perfetta realizzazione di tutti i lavori.

The Architectural Record (Febbraio 1931). W. 40 th. Str. New York.

La nuova sala di mensa nella Washington Hall, Accademia di Guerra degli Stati Uniti in West Point. New York. Gheron & Ross Architetti. Gli archi Tudor ci ricordano il vecchio maniero feudale anglo-sassone; e tale è di fatti, nell’interno, l’edificio che esaminiamo.
La chiesa evangelica di River Forest nello Stato dell’Illinois, arch. Tallmadge & Watson.
L’architetto Ioseph Urban ha costruito in New York la nuova sede dell’Istituto per studi e ricerche sociali, che, insieme al negozio della Hollander Co. Store già citato, possiamo senz'altro definire come una delle opere migliori costruite in questi ultimi anni negli Stati Uniti. Di dimensioni non eccessive, quindi più europea che americana, di essa ci stupiscono non certo le proporzioni, il numero dei piani, i milioni di dollari spesi per la sua costruzione, messi in rilievo dall’articolista, bensì l’armonia del dettaglio e la cura dell’arredamento. L’ingresso, la Hall, la biblioteca, l’Aula Magna, le classi di studio, le sale di ricreazione, da pranzo e da ballo sono veri gioielli di architettura contemporanea e, cosa assai importante, nello studio e nella esecuzione non è mai stato dimenticato lo scopo cui l’edificio doveva servire: ospitare con il maggior «confort» possibile numerosi studenti.
In appendice, in un articolo molto interessante, dato l’attuale fiorire degli sports, Myron W. Serby ci parla degli Stadi e delle norme tecniche cui essi devono rispondere.

The Architectural Forum (Febbraio 1931). 521 Fifth Avenue. New York.

Adler Planetarium in Chicago; arch. Ernest A. Grunsfeld.
Il Down Town Athletic Club in New York; architetti Starrett, Van Veeck e Duncanhünter. Grattacielo di 38 piani costruito su di un’area prospicente da un lato la Washington Street, dall’altro lungo il fiume Hudson, per la sede di un club ginnastico. Eccellente nella disposizione planimetrica e nel giuoco variato delle masse che ne attenua l’enorme sviluppo verticale. Non altrettanto felice nella decorazione interna.
Henry A. Dagit ha costruito in Germantown, Pa., la Chiesa di St. Maddalena con annessa scuola parrocchiale, ed ha costruito la chiesa gotica inglese come ne troviamo innumerevoli esempi nelle Isole Britanniche. Dunque ricostruzione in stile, come anche Alfred Gliffert e Ferruccio Vitale nella Villa Residenziale di Clarence Mc K. Lewis Esq. in Sterlington nello Stato di New York.

The Architectural Forum (Marzo 1931). 521 Fifth Avenue. New York.

L’attività dell’architetto germanico Walter Groepius, specialmente per quello che riguarda piccole case di campagna o «week-ends houses » è qui sapientemente illustrata.

INGHILTERRA

The Architectural Review (Gennaio 1931). 9 Queen Anne’s Gate. Westminster S. W. 1.

Il numero è dedicato a «Nuova Dehli», la capitale dell’India: è bene che la Rivista ci faccia conoscere gli aspetti edilizi della città nuova sorta a fianco dell’antica e che doveva essere inaugurata nel Febbraio scorso con cerimonie ufficiali ricche di tutto il fascino dell’oriente. Città ufficiale: come per Washington fu creato il Capitol, per Parigi la Piace de l’Etoile, così per Nuova Dehli Sir Edwin Lutyens e Sir Herbert Baker, in feconda collaborazione, hanno costruito i palazzi per il Vicerè e la sua corte, per il Parlamento, il Governo, i Segretariati, i Ministeri, le Università. Per quanto si conosca la valentia degli architetti autori di opera in vero così importante da giustificare il titolo di imperiale, pure vorremmo criticarne i concetti informatori; e questo sotto due punti di vista:

1° Come schema urbanistico generale la sistemazione di quella che dovrà essere l’arteria più importante e più rappresentativa non solo di Dehli ma dell’India tutta, non ci sembra riuscita. Non è felice l’idea di allineare tutti gli edifici monumentali ricordati più sopra lungo una sola via di traffico che è chiusa al suo estremo occidentale dai palazzi della corte e che sbocca ad oriente, dopo aver attraversato il solito arco di trionfo, in una piazza di dimensioni gigantesche dalla quale si partono a raggiera le altre vie di transito. Lo schema a scacchiera intersecato da molte diagonali che creano piazze in numero direi illimitato con incroci di arterie di molta importanza ad angoli molto acuti crediamo sia sorpassato da un pezzo, e che l’urbanesimo sia giunto ad una concezione più elevata e più nuova, specialmente poi in casi come questo in cui quasi non preesistevano difficoltà, data che bisognava costruire la città «ex-novo» su terreno facilissimo come altimetria.

2° L'architettura non ci persuade nemmeno perchè frutto di compromessi nei quali si è voluto rispettare al massimo grado le tradizioni orientali accoppiandole però alle moderne tendenze europee, anzi inglesi. È, ad ogni modo, sempre interessante osservare con spirito sereno questo complesso monumentale di opere che sono fra le più imponenti sin’ora costruite dai due architetti britannici.

The Architectural Review (Febbraio 1931). 9 Queen Anne’s Gate. Westminster S. W. 1.

Nathaniel Lloyd continua ad illustrare gli sviluppi e le trasformazioni nell’edilizia inglese. Siamo, in questo numero, agli aspetti della dimora privata nel periodo che va dalla fine del 18mo secolo ai primi anni del 19mo.

La vetrina di esposzione e l’arredamento dei magazzini di vendita della Ditta C. R. E. S. T. A. in Londra, Brompton Road. Il più assoluto razionalismo, intransigente, metallico; i volumi ed i materiali che su questi si modellano sono trattati con molto gusto e grande accortezza e, dato lo scopo dell’opera, l’effetto raggiunto è davvero sorprendente. Arch. Wells Coates.

In Tulsa, Oklakoma, U. S. A., l’arch. Barry Birne in collaborazione feconda collo scultore Alfonso JanneIly ha costruito una chiesa cattolica nella quale le strutture moderne che ne costituiscono l’armatura sono decorate o mascherate da motivi gotici verticali.
Di buon effetto la Villa Bembridge nell’isola Wight, dovuta alla fatica dell’arch. P. D. Hepworth.
Razionalismo, e del più puro, ci mostrano gli architetti Fritz Höger, Kay Fisker e C. F. Möller con il Rathaus di Rüstringen e le case economiche in St. Jörgens, (Copenaghen), F. Etchells e H. A. Welch con la loro casa di civile abitazione costrutita in Londra, High Holborn, Crawford Str.

The Architectural Review (Marzo 1931). 9 Queen Anne’s Gate. Westminster S. W. 1.

Numero dedicato interamente all’arte svedese. L’architettura è trattata però poco; si parla quasi esclusivamente dell’arte decorativa. Ciò non ostante il numero è di alto interesse in quanto meglio di ogni parola ci mostra a quale alto grado di collaborazione siano giunti, in quella nazione, artisti creatori ed artisti esecutori producendo così in tutti i campi dell’industria applicata, dall’intarsio all’oreficeria, dalla porcellana a1 cuoio ed al vetro soffiato, oggetti che pur nella loro massima semplicità sono vere opere d’arte.

FRANCIA

Art et Décoration (Gennaio 1931). 2 Rue de l’Echelle, Paris.

Jean Porcher illustra ed analizza con molto tatto e buon senso e con moderato spirato critico la più recente produzione architettonica dell’arch. Walter Groepius. Le molte illustrazioni portano ognuna una data, e se ci diamo la pena di sfogliare il volume, noteremo, forse con meraviglia, ciò che l’architetto di cui è questione concepiva e portava in esecuzione già fin dal 1912. Tre sono le opere principali che mostrano l’evoluzione dell’artista, delle quali ognuna si può dire che contiene in potenza la successiva. Le officine Alfeld (1912); il palazzo per l’esposizione del Werkbund in Colonia (1914); le costruzioni di Dessau (1927). Fin dall’officina di Alfeld troviamo chiara l’idea, tradotta poi ancora in atto e sviluppata dal Le Corbusier, di liberare la facciata spostandola avanti ai pilastri dell’ossatura portante, riuscendo così ad ottenere una parete di vetri ininterrotta dall’alto al basso dell’edificio. Questa idea si sviluppa ancora a Colonia ed a Dessau. Ormai siamo abituati a questi effetti ma se ci riportiamo a vent’anni fa, ci è facile immaginare la sorpresa, anzi meglio, lo spavento che dovette produrre sulla massa e sul grosso pubblico l’assenza totale in questi edifici di ogni visibile ossatura portante. Oggi nessuno penserebbe a meravigliarsene e ciò riprova quanto abbiamo già avuto occasione di affermare, che nella soddisfazione procurataci dalla vista di un edificio entra per molta buona parte l’abitudine, e che questo coefficiente è dunque importantissimo nella formazione e nella stabilizzazione dei valori estetici.

Art et Décoration (Febbraio 1931). 2 Rue de l’Echelle, Paris.
Rassegna molto interessante di ultimi modelli per maniglie o chiusure di infissi e di parecchie belle composizioni in vetro per servizi da tavola o da liquori dovuti ad André Hunebelle.

L’arredamento del castello di Maulny; architetto J. Ch. Moreux; razionalismo non eccessivo.

La Renaissance (Febbraio 1931). 11 Rue Royale, Paris.
La Villa Reim in Neuilly costruita dagli architetti Dénis & Guevrekian. Razionalismo che non ci entusiasma anche perchè ormai troppo “standardizzato”, per l'esterno; molto piacevole invece per la decorazione e l’arredamento interno.

Rassegna di piacevoli interni editi dalle più rinomate fabbriche francesi ed ideati dai migliori arredatori oggi in voga; tra gli altri notiamo le opere di R. Subes, Mercier, Kohlmann, ed ancora André Arbus, Alice Courtois, i fratelli Saddier, Marcel Gascoin, Lucien Rollin, Maurice Dufrèsne, Michel Dufet e Jean Lelen.

Le altre Riviste francesi di Architettura non portano a nostro avviso nei numeri di questa primo trimestre del ‘931, nulla che già non si conosca o comunque desti particolare interesse.

GERMANIA

Baukunst (Febbraio 1931). Barerstr. 15 München.

Le enormi difficoltà di ordine tecnico in primo luogo e di natura estetica in secondo, inerenti alla preoccupazione di non deturpare con linee teleferiche, relative stazioni di partenza e di arrivo e con costruzioni alberghiere di notevoli proporzioni la divina poesia del panorama, sono state superate magistralmente nella costruzione della Bayerischen Zugspitzbhan. L’arch. Paul Gedon di Monaco si è incaricato della parte artistica mentre il progetto e la direzione tecnica erano state affidate all’ufficio costruzioni della A. E. G. di Berlino diretto dall’ing. E. Laube. Problemi invero dei più complessi a mano a mano che dalla stazione di Garmisch si procede con la elettroferrovia dotata dei più moderni perfezionamenti, verso Eibsee e di qui con ferrovia a cremagliera si raggiunge la stazione di testa nelle cui immediate vicinanze sorge l’albergo per turisti, lo Schneeferner-Hôtel, ai piedi di una immensa parete rocciosa scendente quasi a picco dalle vette nevose che la dominano. Subito a monte dell’albergo è la stazione a valle della teleferica che a sua volta conduce i viaggiatori fino alla Zugspitze; la stazione monte è stata costruita proprio sulla vetta (2970 metri s. m.). Per quel che riguarda la parte estetica e che più direttamente ci interessa, ricorderemo le stazioni della elettroferrovia in Garmisch, Badarsee e Eibsee, la rimessa vetture in Eibsee, lo Schneeferner-Hôte1 e la stazione valle della teleferica conducente alla vetta, opere realizzate tutte senza eccessivi sentimentalismi, con chiara visione delle necessità costruttive che in questo caso si imponevano. Muratura in pietrame, in cortina di mattoni, beton e legname si fondono a meraviglia; si sarebbe commesso lo stesso enorme errore escludendo per esempio dalle opere il legname perchè materiale non più rispondente ai nostri tempi, come escludendo il beton od il ferro perchè in supposto contrasto con l’ambiente. Nello Schneeferner-Hôte1 le ampie terrazze necessarie per poter ammirare il panorama escludevano a priori il tetto e le loggie che corrono davanti alla birreria ed alla sala da pranzo sono sorrette da mensoloni in cemento armato che nascono spontaneamente dalle masse dell’edificio e dalla sua posizione così che ora ci sembrano l’unico mezzo possibile per la soluzione del problema. E pure per quanto modernissima e raziona1e la costruzione ci si presenta in tutto simile agli antichi ospizi alpini, piana, serena ed imponente pur se sperduta nell’orrore delle pareti rocciose e nella solitudine delle nevi eterne.

Baukunst (Marzo 1931), Barerstr. 15 München.

Le nuove chiese cattoliche in Döllnitz, Pfakofen, Lappersdorf, Kaltenbrunn, Neustadt nell’Oberpfalz. All’esterno le classiche chiese bavaresi si alternano con le più moderne espressioni dell’architettura sacra in Germania; all’interno le limitate dimensioni delle navi non consentono per ovvie ragioni economiche l’uso delle coperture in beton. Il legno costituisce ancora il sistema più pratico. Nell’insieme sono fra 1e opere migliori dell’arch. Georg Holzbauer non ultimo fra i professionisti di Monaco.

D. B. Z. Deutscrse Bauzeitung (n. 1-10, Gennaio 1931). Berlin S. W. 48.

I nomi degli arch. E. ed H. Poelzig, Jobst Siedler, Peter Behrens, Otto Firke, Hans Hertlein, Hans Jessen, O. R. Salvisberg, Walter Gropius, Bruno Taut, sono legati alle ultime opere dell’edilizia berlinese. Opere imponenti e molto notevoli perchè tutte ispirate alle più moderne vedute dell’arte del costruire. Molti e gravi problemi di urbanistica sorti od aggravatisi in questi ultimi anni nella capitale tedesca sono ampiamente illustrati ed alcune soluzioni proposte per risolverli meritano di essere segnalate: l’ampliamento delle cliniche e degli ospedali della città nei pressi della Sprea e la definitiva sistemazione della scuola di applicazione per Ingegneri in Berlin-Charlottenburg sono tra questi. Le case operaie costruite da Bruno Taut in Berlino ci empiono di ammirazione non tanto per il loro aspetto esterno quanto per la perfezione degli impianti di cui sono dotate e che invero ne costituiscono il pregio maggiore. La lavanderia di uso comune per le molte famiglie che alloggeranno nel gruppo edilizio somiglia molto ad uno stabilimento industriale del quale ha tutti i pregi e tutti i perfezionamenti.

L’ampliamento del palazzo di giustizia di Amburgo opera colossale di Fritz Schumacher e, dello stesso architetto, le nuove scuole elementari della Marienthalerstr, sempre in Amburgo.

Il concorso per la cattedrale della Spezia. Sono ampiamente illustrati i cinque progetti ammessi al concorso di secondo grado che a noi sono già ben noti.

Breslavia : il nuovo palazzo per uffici postali all’angolo della Feldstrasse coll’Ohlan Ufer; architettura in laterizi: nessuna decorazione, se non quella data dal movimento di massa. Arch. Lothar Neumann.

D. B. Z. Deutsche Bauzeitung (n. 11-18, Febbraio 1931). Berlin S. W. 48.

La luce e la sua funzione estetica nell’edilizia e nell’arredamento di oggi. Vediamo esempi già a noi noti ma trattati sotto questo speciale punto di vista: Restaurant Lichtburg, Berlino, arch. Rudolf Fränkel, Indantheren-Haus, Lipsia, arch. B. D. A. - C. Schiemichen; Magazzini Israel; Berlino, arch. ing. H. Straumer, Cinema Universum, Berlino, arch. ing. Erich Mendelsohn.

La chiesa di Tulsa, Oklahoma, U. S. A. degli Architetti Rusch, Eudacott e Goff. Ad essa sono annessi, anzi costituiscono con essa un tutto unico ed organico, una scuola, una palestra e, nei sotterranei, anche gli ambienti necessari per un servizio di restaurant. Può sembrare strano per noi ma non bisogna dimenticare che siamo nell’America del Nord, anzi in Tulsa metropoli dell’industria petrolifera mondiale. La città che contava nel 1900, 10000 anime, ha già superato oggi le 200.000, mancava di una chiesa e questa è sorta all’incrocio delle tre maggiori arterie della città, nel punto di unione del quartiere residenziale con quello degli affari. Bisognava provvedere alla cura delle anime ma anche a quella dei corpi; una grande galleria divide la chiesa propriamente detta dagli ambienti destinati a scuola e palestre.
Rassegna delle più recenti costruzioni di ponti in ferro e beton in Germania, e note tecniche sugli attuali problemi sulle costruzioni stradali.

D. B. Z. Deutsche Bauzeitung (n. 12-24, Marzo 1931). Berlin S. W. 48.

L’Hôtel Chemnitzer Hof, costrutto in Chemnitz dall’Architetto Heinrich Straumer di Berlino ci dà l’ultima parola sulla tecnica delle costruzioni alberghiere. Impeccabile come studio planimetrico presenta la massima utilizzazione dell’area, piacevole nell’aspetto in quanto molti piccoli dettagli ne ingentiliscono e ne attenuano le angolosità forse altrimenti troppo rudi.
Gli architetti Hahn e Schroeder, hanno costrutto in Kiel un palazzo a sede degli uffici dell’Istituto del Lavoro; quanto di più razionale e nel tempo stesso estetico ci sia stato sino ad ora dato di vedere.
La cappella Comini-Seccamani costruita in Brescia dall’Arch. Egidio Dabbeni.

Die Baugilde (Febbraio 1931). Berlin, Grünstrasse 4 S. W. 19.

Case popolari in Stoccarda, Röckenwiesenstrasse, architetti Kiemle & Weber, B. D. A., Case a schiera Eiernest in Stoccarda, arch. B. D. A. Oscar Bloch.

Collegio femminile nella Arminstr. Stoccarda, arch. Emil Weippert.

Istituto di Ortopedia e Ginnastica. Arch. Oscar Bloch. Stoccarda.

Gli Uffici della Compagnia Minatori del Reich. Südwest Korso, Berlino, architetti Max Taut e Joseph Hoffmann. Quello che abbiamo fino ad ora osservato è quanto di meglio sia stato fino ad oggi eseguito nel campo della architettura razionale: qui intendiamo per razionale l’arte del costruire sorta dalle logiche necessità tecniche che chiaramente ci palesa i materiali adoperati e lascia al pietrame, all’intonaco, al marmo, al legno od al ferro la propria funzione senza alterazioni ma che, come non è afflitta da ricordi nostalgici nei riguardi dell’ambiente o del paesaggio, non si abbandona nemmeno agli eccessi paradossali che in questo campo non è difficile incontrare.

Deutsche Kunst und Dekoration (Gennaio 1931). Darmstadt Verlag A. Koch.

La villa Warmboldt in Berlin Dahlem è dovuta all’architetto Bruno Paul e sia dal suo aspetto esterno sia dall’arredamento degli ambienti traspaiono sempre quel chiaro senso della misura e quella ritmica espressione di comfort che già conosciamo nell’autore e che lo pongono fra i primi artisti tedeschi contemporanei se pure le sue opere sono un po’ influenzate da lontani ricordi inglesi.

Innen Dekoration (Gennaio 1931). Darmstadt Verlag A. Koch.

Tutto quello che vediamo sfogliando questo trimestre della massima rivista tedesca di arredamento e decorazione è degno di nota. Un esempio o l’altro possono a volta a volta esser più conformi alla nostra mentalità od al nostro gusto particolare; tutti ci mostrano un profondo spirito di ricerca, uno studio accurato e paziente inteso a migliorare sempre la produzione, in una parola un grande amore. Sempre, e in misura maggiore là dove gli esempi mostratici, più si discostano dal nostro temperamento e dal nostro modo di sentire, dovremo stare cauti nell’esprimere il nostro giudizio; esso sarà forse un «non mi piace» ma non potrà non riconoscere, nel loro ambiente, le doti intrinseche di quasi tutte le opere delle quali segnaliamo, senza entrare in dettagli, quelle a nostro avviso più importanti:

La casa del Conte H. in Vienna al Prater, arch. Fritz Reichl.

La villa H. in Hgen - Potsdam. - Si trattava di trasformare in una casa moderna la vecchia abitazione in legno che sorgeva in un panorama incantevole proprio sulle sponde della Havel. Gli arch. O. Block e H. Ebert vi sono riusciti in maniera oltremodo efficace.

La Società Deutsche Stahlmöbel G. M. B. H. per la costruzione di mobili in acciaio al cromo ci presenta alcuni tipi di arredamento di ambienti o di mobili isolati dovuti all’opera degli arch. Lukhardt, Anker e A. Lorenz. Il Rochus Tennis Club ha affidato la costruzione della sua nuova sede in Düsseldorf all’arch. Ing. Fritz Hitzbleck che ha anche costruito in Hösel nel parco della villa del Dr. H. H. una grande piscina annessa ad una piccola costruzione contenente spogliatoi, una grande sala di soggiorno ed i necessari servizi per il thè.

Innen Dekoration (Marzo 1931). Darmstadt Verlag A. Koch.

I lavori degli Architetti P. Schmohl e G. Staehelin in Stoccarda sono davvero importanti.

La casa K. e la casa H. nei pressi di Stoccarda si fanno notare più per l’accurata disposizione degli ambienti e per lo studio planimetrico che non per la loro architettura: piace il Caffè Wirth pure in Stoccarda: ma fra tutti il lavoro più notevole per le difficoltà da risolvere, è il Tonfilm theater Universum.

Il Consorzio fra le fabbriche di mobili ha preparato nel Museo Austriaco delle Arti ed Industrie in Vienna una esposizione dell’abitazione contemporanea. Basterà citare i nomi degli Architetti che hanno partecipato a questa rassegna perchè ci si renda subito conto della sua importanza: Fritz Zeymer, Josef Berger, Martin Ziegler, Anton Pospischil, L. Schöppler, E. Kornfeld, Walther Sobotka, Afred Soulek. I modelli di quest’ultimo architetto che già conosciamo tra gli ottimi, ci sembrano i migliori.

Moderne Bauformen (Gennaio 1931). Paulinenstr. 14 Stuttgart.

La residenza estiva dei Signori X, costruita dall’Architetto Karl Pullich nei pressi di Wiesbaden.

Eugen Linhart. Villa e studio di artista in Praga.

Villa Himmelreich in Brünn, arch. Karl Hoffmann e Felix Augenfeld di Vienna. Il completo riattamento della vecchia casa Loeb in Düsseldorf: classico tipo della normale abitazione tedesca per una sola famiglia nell’anteguerra. Il problema è stato trattato dall’Arch. Bernhard Pfau con l’arte che già gli conosciamo si che ne risulta ora una casa moderna organica ed igienica; nello studio planimetrico semplice ma anche piacevole nel suo aspetto esteriore, ottima nel suo arredamento.

La casa di un giovane scapolo è stata arredata in Stoccarda dall’arch. Paul Làszlò.

Otto Zollinger di Saarbrücken, ci mostra un progetto sotto ogni aspetto degno di nota per un albergo di primo ordine che dovrebbe arricchire il Lido di Ascona sul Lago Maggiore.

Moderne Bauformen (Febbraio 1931). Paulinenstr. 14 Stuttgart.

In questo numero vediamo le nuove costruzioni erette in Stoccarda dall’Arch. Paul Schmoll e la esposizione che si tiene in Vienna per la «Casa d'oggi»; rivediamo i nomi di Soulek, Pospischil, Borger, Ziegler, ecc.

La fabbrica di profumi Phebel in Puteaux opera di Rayond Nicolas, architetto parigino.

Costruzioni industriali di Riphahn e Grod di Colonia e, degli stessi architetti, il riattamento e la decorazione degli ambienti del caffè Germania, e le case popolari della Löwenburgerstrasse.

Moderne Bauformen (Marzo 1931). Paulinenstr. 14 Stuttgart.

Gli arredamenti studiati con amore e realizzati con arte dall’Arch. Làszlò per la casa Dr. F. in Göttingen sono veri capolavori: specialmente la biblioteca, la camera da pranzo, la camera della signora; come note prevalenti: noce, radica di noce, metalli chiari, cromo, nikel, alpacca; velluto a tinte unite per pavimenti, gobelin a tinte forti e variate, suddivise in striscia per la copertura dei mobili e paramenti.

Case popolari in Berlino, arch. Dr. Ing. Erwin Gutkind. Decorazione interna e mobili dell’Arch. Hans Stierhof di Norimberga. La «Opel » in Aquisgrana: Filiale della fabbrica e gran garage su progetto di Fritz Toussaint.

Wasmuths Monatshefte (Gennaio-Febbaio-Marzo 1931). Baukunst & Staedtebau, Berlin,
Markgrafenstr. 31.

In questi numeri la massima rivista germanica di architettura ed urbanesimo illustra i colossi dell’edilizia sorti e compiuti in questi ultimi tempi: veramente imponenti la mole ed il significato di queste opere cardinali dell’architettura dei nostri giorni. Le citeremo senza commenti, consigliando però quanti vogliono tenersi bene al corrente col movimento contemporaneo a prenderne visione.

Hans Poelzig. Palazzo per l’Amministrazione della Società I. G. Farben in Francoforte sul Meno.

H. Lassen. Case popolari in Berlin Lindenhof.

L’esposizione internazionale di Berlino del 1931. La sede ed il palazzo della mostra.

Cassa malattie in Francoforte sul Meno, architettura di Ernst Balser.

Case di abitazione economica in Brandeburgo sulla Havel, arch, Werner Schenck di Berlino.

Il monumento in Kiel ai caduti della Imperiale Marina Germanica. Arch. G. A. Munzer di Düsseldorf.

Il nuovo stadio di Montevideo, Uruguay, architettura di Johann A. Scasso.

Il nuovo piano regolatore di Rio Janeiro, dell’architetto parigino Alfred Agache.

Manifattura tabacchi in Heidelberg, arch. Fritz Nathan di Francoforte.

Le nuove costruzioni ospitaliere dell’Arch. Hermann Distel in Amburgo; fra le altre la nuova clinica chirurgica dell’ospedale israelitico del maggior porto tedesco.

Lo sviluppo dell’Urbanesimo negli Stati dell’America Latina: Santhiago, Buenos Aires, Rio de Janeiro.
LUIGI LENZI.

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