FASCICOLO XII - AGOSTO 1930
GUSTAVO GIOVANNONI: L'ordine protodorico greco,con 19 illustrazioni
Man mano che le scoperte archeologiche e gli studi architettonici precisi e positivi ci permettono di ficcare lo sguardo in quel periodo finora oscurissimo che ha preceduto il meraviglioso fiorire dell’architettura greca, ed alle nostre cognizioni fatte un po’ d’accademia, un po’ di leggenda si sostituisce la realtà, varia, complessa, non rettilinea, come sempre è la vita, noi riusciamo a formarci un chiaro concetto sulla genesi di quei capilavori architettonici che sono stati gli ordini greci, dorico e jonico; specialmente sul primo, il più tipico ed il più significativo nella sua mirabile semplicità, il più vivo nella continua evoluzione di proporzione e di schema subita attraverso i secoli,
Negli scavi eseguiti nell’isola di Creta, che ci hanno rivelato la grande civiltà minoica, od in quelli di Tirinto e di Micene da cui si è manifestata l’arte, che noi appunto diciamo micenica, immediatamente anteriore alla guerra troiana, è apparso infatti inattesamente un singolare ordine architettonico, che può dirsi protodorico, avente forme e proporzioni pur strane ma regolarmente costituite; è apparso nei resti del grande palazzo cretese di Knossos, esplorato ed in parte ricomposto dalla missione inglese capitanata dall’Evans, od in quelli dell’altro palazzo di Festos dissepolto dalla missione italiana dell’Halbherr; e per ogni dove negli avanzi di Micene, specialmente nei due ben noti monumenti della porta dei Leoni e del cosidetto tesoro di Atreo, è apparso in un numero notevole di rappresentazioni secondarie dipinte o scolpite, riproducenti edifici architettonici.
Alcuni di tali monumenti, nella forma assunta da restauri spesso esagerati ad oltranza, ma fedeli, vengono riprodotti nelle figure del presente articolo; ed, oltre alle spicciole caratteristiche suindicate attinenti al detto ordine, mostreranno nel singolare aggruppamento di forme per noi nuove espressioni, architettoniche di alto interesse; ci consentiranno uno sguardo fugace su uno dei più singolari e vivaci periodi della storia dell’Architettura.
Cosi nel palazzo di Knossos la grande scala a pozzo (fig. 2) ricostruita dall’Evans (1), con le rampe che salgono dolcemente intorno ad uno spazio rettangolare, con l’orlo sorretto dall’ordine di colonne che ne seguono l’andamento; od i propilei meridionali (fig. 3) in cui le ante si associano alle colonne ed in cui sono da notare le singolarissime antefisse che sembrano enormi corna; od il grande portico che sale alla parte sud-ovest del palazzo (fig. 4) o la grande facciata sul cortile del braccio occidentale (fig. 6).
Appartengono allo stesso ciclo le riproduzioni in pittura di propilei o di megaron contenute appunto nel palazzo di Knossos (fig. 1) e rappresentate con quella vivacissima arte figurativa propria del periodo minoico; ovvero quelle di colonne disegnate su di un rython di Hagia Triada (fig. 5).
Passando ora all’arte micenica, ecco riprodotti l’esempio della grande porta dei Leoni (fig. 8) ove la colonna dorica serve in certo modo da monaco in una capriata simbolica i cui puntoni sono rappresentati dai dorsi dei due animali affrontati, e quello dell’ingresso al tesoro di Atreo (fig. 9, 10, 13) con la sua porta sormontata dal caratteristico triangolo e fiancheggiata da colonne costituenti una specie di edicola.
Questo ultimo esempio, così notevole anche dal punto di vista decorativo, ha sovratutto grande importanza nel rivelarci la origine del motivo architettonico dell’ordine. Appare chiaro che la forma primordiale da cui la colonna protodorica è stata imitata è quella del fusto di una palma della specie phoenix, l’unico negli alberi delle regioni orientali che mostri la caratteristica dell’aumento di diametro del fusto in alto, ora quasi sempre rilevata negli esempi testè citati, in pieno contrasto con la logica costruttiva e con tutto l’andamento delle forme doriche, di cui è tipica l’accentuata entasi della colonna partente fino dal suolo.
Nella colonna del “tesoro” di Micene (con un singolare ritorno ai tipi originari, che ci ricorda quello dei fusti suddivisi a fascio nelle colonne del tempio di Luxor in Egitto), la somiglianza appare non pure nello schema d’insieme, ma anche nei particolari, cioè nelle striature angolari, derivate evidentemente dall’innestarsi delle foglie sul tronco della palma.
Meno facile è la dimostrazione del modo di formazione del capitello. Ma la esistenza della corona di foglioline ripiegate al termine del fusto e la conformazione stessa frazionata dell’echino fanno pensare che la parte inferiore del capitello rappresenti la stilizzazione, analoga a quella che si aveva nelle colonne egizie, dei nastri di legamento posti alla sommità del fusto.
I Perrot e Chipiez (2) e sopratutto il Pinza sostengono questa tesi ora enunciata. Il Pinza (4) da un intaglio di Nimrud, da un rilievo di Spata, da un capitello di Micene, dai capitelli dei templi doricoarcaici di Atene e di Pesto illustra il processo dl una siffatta stilizzazione del legamento superiore e della sua trasformazione nell’elemento principale del supporto dell’architrave.
Questo singolare processo di formazione di un elemento cosi noto e celebrato quale è la colonna dorica c’interessa non solo di per sè, ma più ancora per le considerazioni che ne emanano sulle leggi che hanno regolato e regolano l’architettura. Tanti scrittori antichi e moderni hanno esaltato la perfetta organicità dell’ordine dorico greco, la sua aderenza alla funzione costruttiva, sicchè un’unica energia sembra aver creato insieme, in un sol getto, la struttura e la forma; alcuni autori, come l’Hübsch, il Viollet le Duc, ed in parte anche lo Choisy, si sono persino levati in nome di questa concezione razionalista contro la origine lignea asserita da Vitruvio e da Pausania, pei quali il tempio dorico (e mille testimonianze ne hanno dimostrato la verità) deriva da una “pietrificazione” dell’antica capanna fatta di tronchi d’albero. Ed ecco che la realtà supera di molto questa semilogica teoria vitruviana e pausaniana. Appare infatti senza possibilità di dubbio che quella colonna è nata nel modo più irrazionale possibile, cioè come stilizzazione di costruzioni in legname fatte con una pianta esotica e fragile ed inadatta qual’è la palma, imitata nella conformazione antistatica del fusto rastremato in basso.
Ogni meraviglia scompare tuttavia se il fatto si collega con tanti altri analoghi e si riporta ad un ordine di fenomeni e di leggi che ormai si vanno rivelando agli studiosi, man mano che gli studi dei monumenti antichissimi sorti nelle epoche di preparazione e di formazione dei singoli stili sgombrano la nebbia delle vecchie cognizioni accademiche e delle teorie sempliciste e ci recano la conoscenza vera della genesi delle forme architettoniche.
Appare allora quasi costante una formula inattesa: negli edifici è ordinariamente rispettata la organicità di massa, mentre invece la rispondenza negli elementi architettonici e decorativi tra struttura e forma o non esiste, ovvero è appena embrionale. (5)
La organicità di massa si è esplicata nella duplice forma della aderenza alle condizioni utili ed alla distribuzione di vuoti e di pieni voluta dal tema e dalla rispondenza alle linee principali della ossatura costruttiva, Il tempio greco coi suoi portici dapprima ampli perchè rispondenti ad uno scopo pratico, poi pian piano atrofizzati, col timpano che esprime la copertura a tetto direttamente: le terme romane con la scenografica conformazione interna che è insieme capolavoro di sapienza costruttiva (come organismo resistente alle azioni delle volte) e di estetica spaziale; i teatri e gli anfiteatri con gli ambulacri costituenti i passaggi razionalmente disposti e l’elemento di sostegno della cavea; le chiese paleo-cristiane o bizantine, romaniche o gotiche in cui l’esterno risponde nel carattere e nello sviluppo delle sue linee, alle divisioni dell’interno spazio ed allo schema costruttivo, specialmente quando questo è divenuto complesso per le nuove soluzioni della copertura a volta; il palazzo o la casa del Rinascimento, che sono espressione chiara del programma relativo all’abitazione: rappresentano altrettanti esempi di siffatta organicità. Ad essi invero nella molteplicità enorme delle manifestazioni architettoniche non mancano altri esempi opposti da contrapporre, come quelli delle tante chiese italiane aventi la facciata-ventola concepita come opera a sè quasi indipendente dal corpo della chiesa, o di false finestre non corrispondenti ai piani dei palazzi, o di ordinamenti pseudo peripteri, o di cupole a doppia superficie e simili; ma essi non escono dal valore di eccezioni, pur importanti e numerose, alla regola.
Nei riguardi invece degli elementi morfologici di cui l’architettura si compone e con cui si esprime, la storia dell’architettura c’insegna che non appena dalla semplice costruzione bruta, esprimentesi nella formazione di capanne o di caverne ovvero in quella di monumenti primitivi che erano semplici agglomerazioni di grossi blocchi (dolmen, mura ciclopiche, ecc.), l’uomo è passato a dare una forma architettonica ai suoi edifici, il procedimento che quasi sempre ha seguito è stato quello della trasposizione o della traduzione dal materiale effimero ad uno stabile, secondo un criterio opposto a quello voluto dalle teorie materialiste.
Le antiche tombe della Licia, i soffitti di molte tombe etrusche simulanti la struttura lignea dell’impluvio, ci mostrano di tale fenomeno interessanti esempi. Nell’arte indiana del III secolo a. C. la derivazione delle forme in pietra da quelle di legno appare evidente nei recinti delle stupas, nelle celle e nelle sykra della cosidetta architettura jaina, fatte come una catasta di tronchi di legno intagliati, nelle pseudo capriate e nei pilastri dei Chaityas, o sale ipostile scavate nella roccia; e vi si riconnette gran parte della produzione dell’estremo Oriente, quando ancora non sia rimasta alla età del legno.
Nell’architettura egizia, così potente e massiccia nella espressione organica della costruzione a pilastri ed a coperture di elementi in pietra, non appena si manifesta l’arte astratta delle forme e delle linee architettoniche, ecco apparire la colonna, tratta dal pietrificarsi del fascio di fragili steli di loto sormontati dai fiori, e la trabeazione conformarsi anch’essa su motivi di elementi vegetali legati e tenuti a freno da tenui nastri (vedi fig. 17-18).
Nel mondo greco questo procedimento, a cui l’ordine dorico sembrava finora fare eccezione, è, a vedere bene, costante. La origine vegetale del capitello jonico e del corinzio, qualunque siano le loro vicende preelleniche ed i loro prototipi egizi o caldei, non può porsi in dubbio; ed in tutti gli elementi di ornato e di decorazione architettonica, come le cariatidi, i festoni ed i bucrani nei fregi delle trabeazioni, le patere, gli acroteri, ecc., riappare il tipico processo di pietrificazione degli oggetti effimeri, forse collocati in occasione di cerimonie e di feste.

Le conclusioni di queste determinazioni, ormai sicuramente acquisite all’Archeologia ed all’Arte, non sono certo quelle che vorrebbero i nuovi razionalisti; ma non saprei che cosa farci. Risulta infatti, riassumendone i risultati, che le espressioni primarie delle forme architettoniche, create dall’uomo nel suo perenne andito verso la bellezza, non sono tratte dalla struttura vera, ma da una effimera e fragile, od, al più, rivestono ed inghirlandano la costruzione effettiva che (come nei dadi sulle colonne egizie) timidamente appare. Nei periodi secondari invece, quando questi non sono bruscamente interrotti dal prevalere di altre tendenze, la forma architettonica, seguendo un cammino inverso a quello che finora si supponeva, si avvicina alla costruzione raggiungendo in brevi momenti attraverso una elaborazione riflessa dovuta all’arte ed alla logica, il duplice carattere di espressione razionalmente costruttiva ed insieme di armoniosa conformazione nelle proporzioni, nelle luci, nelle ombre, negli intagli, negli ornati; finchè presto sopravviene il periodo terziario a sdoppiare nuovamente i due temi un momento congiunti.
Così appunto avverrà dopo le manifestazioni protodoriche testè indicate per l’ordine dorico in questo suo continuo cammino evolutivo. L’unione dell’elemento razionale con quello artistico, che per definizione può dirsi costantemente, felicemente, genialmente irrazionale, avviene in modo mirabile e raggiunge il capolavoro nei templi del V e del VI secolo a. C. Più tardi, nel periodo ellenistico e nelle propaggini italiche, pur attraverso le nuove interferenze della costruzione lignea dei templi etruschi in cui forse si ripete in ritardo il fenomeno preellenico, l’ordine dorico ancora si evolve nel senso formale ed estetico, fino a mostrare in Pompei le applicazioni di architravi sottili e colonne colorate in modo contrario ad ogni senso statico; in Cori apparire la base; e poi nei monumenti romani la colonna addossata, come se fosse stanca del lungo cammino, perdere ogni funzione statica, ed interrompersi gli architravi ed i timpani. Il ciclo può dirsi così compiuto, e dimostra ancora una volta quanto la realtà della vita architettonica sia stata, e sia, più complessa delle nostre teorie artificiose.
GUSTAVO GIOVANNONI.


(1) Cf. A. J. EVANS. The palace of Minós at Knossos;
Londra 1921-27: vedi anche un articolo in Journal of the R. Inst. Of British Architects, dic. 1928; da tali lavori sono tratte le fig. 1, 2, 3, 4, 6.
(2) Cf. PERROT ET CHIPIEZ. Histoire de l’art pendant l’antiquité, VI, tav. VI.
(3) Cf. G. E. RIZZO. Storia dell’Arte Greca (Cap. L’Età micenica), U. T. E. T., 1914.
(4) Cf. G. PINZA. Le origini delle colonne negli ordini ionico e dorico, in Annuario dell’Associazione art. tra i Cultori dell’Architettura, Roma, 1912.
(5) Cf. su questo tema G. GIOVANNONI nell’articolo “Architettura” nella Enciclopedia Italiana Treccani.

torna all'indice generale
torna all'indice della rivista
torna all'articolo