FASCICOLO XI - LUGLIO 1930
NOTIZIARIO
CRONACA DEI MONUMENTI

UN RESTAURO A VENEZIA (Casa Monico in Campo S. Lio).

Il compito che l’architetto si era proposto nell’accingersi a restaurare la casa Monico nel vecchio Campo S. Lio, e che oggi ci sembra efficacemente raggiunto, era stato per la facciata quello di eseguire una variazione sul tema originale tramandato, col quadro “Il Miracolo delta Croce” (RR. Gallerie - Venezia) da Giovanni Mansueti, pittore veneziano (1485-1527?) scolaro e aiutante di Gentile Bellini.
Questo ed altri maestri e i loro allievi avevano dipinto quei “teleri” che, raffiguranti in vivaci ambienti fedelmente e tipicamente veneziani, i Miracoli operati dalla Reliquia, adornavano le pareti della sala della Croce nella “Scuola” di S. Giovanni Evangelista.
Nel “teler” di Giovanni Mansueti (v. riproduzione) noi assistiamo allo svolgersi di una processione in campo S. Lio.
Questo conserva oggi la fisonomia d’allora: pochissime alterazioni vi appaiono anche all’osservatore diligente. Il progettista una ne ha rilevata: la casa che domina il campo nello sfondo è molto cambiata; oggi è una casuccia come allora, ma senza alcuna fisonomia particolare: è quella su cui deve operare. Il suo compito è di alzarla, rialzandone anche le sorti in un restauro completo. E il tenue motivo della quadrifora cui il pittore del quattrocento appena accenna riproducendo la realtà che il suo quadro ci tramanda, trova, nell’opera del restauratore di oggi, sviluppo sano, onesto, che, lungi dallo scenografico stucchevole per false patine, ci ridà ambiente, colore e forma con buon materiale laterizio (in gran numero le vecchie “altinelle”) rintracciato e conservato dalla demolizione, con pietra d’Istria e marmo greco e patere originali qua e là cercati pazientemente, raccolti gelosameote e ricomposti con la buona armonia e sopratutto con diligente rispetto alle più pure tradizioni costruttive veneziane. Il restauro è stato realizzato dall’ing. Alberto Magrini.



BIBLIOGRAFIA

PANORAMA ARCHITETTONICO

MARCELLO PIACENTINI. - Architettura d’oggi - Collezione Prisma, diretta da Margherita Sarfatti. Ed. Paolo Cremonese, Roma. - Volume in 8° con 130 tavole fuori testo.

È superfluo qui dire che Marcello Piacentini, parte viva dell’attuale momento architettonico Italiano, maturo di poderose esperienze per pesare senza acredine il passato, ricco di forza e giovanilità per poterlo superare con gioia, è particolarmente adatto, se si ripieghi in attività critica, a gettare uno sguardo sicuro all’orizzonte ed a dirci una parola pel domani.
Opportuna dunque questa operetta in cui, a rapidi tocchi, fatti più di cose sostanziose che di teorie, egli rende noto il suo punto di vista su argomenti urgenti al nostro spirito, attorno al quale cozzano ancora sensibilità, affetti ed opinioni, alla ricerca di una indispensabile e desiderata base d’intesa.
Nella prima parte dello scritto il Piacentini si volge indietro e ci offre una interpretazione acuta e chiarificatrice dello sviluppo architettonico del secolo scorso egli comincia col porsi la domanda se sia esatta la tesi posta oggi di frequente, secondo la quale si sarebbe provocata, nella nostra arte, dopo la caduta del barocco italiano, una assoluta frattura della sensibilità, nel cui intervallo l’assenza di forza vitale sarebbe stata totalmente sostituita da tendenze indifferentemente eclettiche ed artificiosamente culturali, prive di base concreta in esigenze interiori di forma. Si potrebbe in tal caso giustificare, quale reazione, un movimento di rinascita nettamente rivoluzionario, scisso da qualsiasi legame col passato - ipotesi a priori assurda, se posta così radicalmente, e cozzante contro le esperienze della storia.
Piacentini infatti ammette la crisi sostanziale, ma nega la frattura; e, addentrandosi oltre le superficiali parvenze, nell’esame dei convulsi caratteri dell’architettura ottocentesca, individua in essa un filo conduttore conseguente e continuo, se pur talvolta tenue o scarsamente visibile, costituito dalla vena classica, intesa in un determinato senso sufficientemente lato.
Dipartitasi dal barocco col neoclassico italiano, essa prosegue attraverso la valutazione napoleonica, coll’imperiale, col greco-romano e col neoclassico francese: si espande quindi a mezzo dell’"Ècole d’Architecture" e l’"Intime Club" all’Europa ed a tutto il mondo. In ogni luogo durante il 1800 quando si voglia realizzare opera permanente e rappresentativa si ricorre al classico, e ad esso si ritorna dopo la caduta di effimere esperienze; segno indubbio che profondi elementi di sensibilità sono ancora in gioco.
È giusto tuttavia riconoscere che lo spirito non è pago, tenta continuamente sfuggire da sè e superarsi, sembra aggrapparsi al classico solo come ad una tavola di salvezza in mancanza di chi sa quale altro appiglio ignoto. Inquietudine in cui trova giustificazione l’eclettismo sviluppatosi a lato, volto a trovare lo sperato afrodisiaco nel ritorno a sensibilità più lontane, specialmente al gotico ed al romanico, rievocati da fiorenti scuole neoromantiche di Francia, Germania e Inghilterra, o addirittura a ricordi tanto remoti quanto momentanei, al moresco, all’egiziano, al cinese; o, più sanamente, più tardi, ai naturali rusticismi nazionali.
Ma il classico, nella congerie degli artificiosi riferimenti, ha un altro peso ed una ben diversa e più importante funzione, sebbene anche nel suo vasto limite le forme oscillino, cercando assumere, col mutare, nuova fecondità; ora ampliandosi in sorta di nuovo barocco, confuso, magniloquente di caduchi orpelli decorativi, in che si esprime la parte peggiore dell’animo ottocentesco, affannato, tronfio, complicato, sciatto, caotico, borghesissimo pur nell’indiscutibile forza e grandiosità materiale; più spesso, ed è questo il vero cammino della fecondità architettonica del secolo, semplificandosi, denudandosi, rendendosi sintetico ed interiore, aderente al mutar degli schemi strutturali dei nuovi edifici. Così è del neoclassico italiano dei primi lustri, di quello francese del Garnier, del tedesco di Wallot, ancora di quello italiano del Sacconi.
In tale processo di sviluppo dall’Imperiale ad un nuovo succinto neoclassico è da riconoscere in fin del conti, per Piacentini, l’embrione dell’esigenza oggi urgente, di conseguire integrale unità e corrispondenza tra forma e sostanza, tra architettura e costruzione, contro il dualismo decadente, disceso dallo sfrenato decorativismo barocco, e svoltosi fino alle peggiori conseguenze, attraverso l’eclettismo.
Sicchè, quando, verso il 1880, le nuove tecniche promosse dalle conquiste scientifiche, e specialmente l’introduzione del ferro come elemento principe, risvegliano crudamente gli spiriti, coll’evidenza dell’esperimento e la chiarezza della ragione, alla necessità di realizzare la totale unificazione degli elementi e delle attitudini architettoniche, si può dire che non una nota avversa, ma un incentivo a perseverare nell’intravisto cammino, sia derivato alle più sane sensibilità.
Il Piacentini ci mostra poi come i teorici, specie francesi, del costruttivismo, vissuti in periodo di positivismo filosofico, avendo ecceduto, come stà accadendo a taluni dei moderni razionalisti e funzionalisti, nell’unilateralità delle loro tesi assolutamente deterministiche, identificanti il bello coll’utile, il necessario, il materialmente logico, a detrimento di qualsiasi libertà spirituale di forma, abbiano provocato il fallimento della preconizzata nuova architettura ed il ritorno al classico, lasciando in retaggio ai successori un ulteriore e più cosciente bisogno di raggiungere il desiderato equilibrio.
Il momento positivistico ha la sua reazione, verso la fine del secolo, in un nuovo esplodere dell’esigenza decorativa, animato però dalla volontà di risolversi altrimenti che attraverso le rievocazioni classiche. Tentativo immaturo ed artificioso, il quale, manifestatosi mentre le nuove sostanze costruttive non eran giunte ancora a tal punto di espansione ed approfondimento da tradursi per sè stesse, nell’animo degli artisti, in motivo di emozione estetica, insiste, per deficienza d’intuito, nell’errore dualistico dell’alterità tra sostanza e forma: il floreale stende infatti, su un organismo falso o indifferente, la stessa epidermica e pletorica decoratività dell’eclettismo. Stavolta le forme sono assunte, tendenza buona nella confusa aspirazione, dalla natura: ma, per una deviazione comprensibile in un movimento puramente cerebrale, non già dalla natura interiore della stessa fabbrica; bensì da quella del mondo esterno, vegetale ed animale. Piante, fiori, figure umane, erano stati usati nei periodi aurei quali elementi secondari di abbellimento, inquadrati in sostanziali sintesi di forme e proporzioni architettoniche; nel floreale invece, assente la sintesi, il regno della natura oggettiva, fotografica od infelicemente stilizzata, cerca faticosamente aderire ad interi organi struttivi, non adatti ad accoglierlo.
Dopo il floreale, caduto per esaurimento, ecco di nuovo la tavola di salvezza del classico offrire i suoi servigi.
Siamo ai nostri giorni, all’anteguerra. Mentre da un lato il classico procede ulteriormente, specie nei paesi del nord, verso l’abbandono del superfluo decorativo e delle forme pseudo costruttive, fino al limite del semplice permanere di valori ritmici; dall’altro tale tendenza è convalidata e sospinta dal nuovo manifestarsi e rinfrancarsi di teorie costruttivistiche e razionalistiche susseguenti al sempre rinnovato introdursi nella tecnica edilizia di recenti metodi e materiali (cemento armato, ferro, vetro, sostanze artificiali come gomme, impasti chimici, ecc. ecc.)
Questa volta la crisi di rinnovamento è ben più fondata e radicale della precedente, emergendo da mutazioni d’ambiente e di mezzi d’opera assai più essenziali di quelli prodottisi dopo il 1850.
La complessa vita sociale, economica, industriale del secolo XX si va palesando in pieno nel suoi precipui caratteri psicologici di pragmatismo e realismo, pronti ad investire le zone estetiche dello spirito: la velocità, l’economicità, il valor pratico, la lucida chiarezza trovano subito il correlato artistico. Il lavoro scientificamente organizzato, teso ad assolvere impellenti compiti sociali, induce al tipo di costruzioni in serie ed al manufatto standard. Solo con tali criteri si possono realizzare i grattacieli americani, i grandiosi blocchi di abitazione a buon mercato delle metropoli, i formidabili centri industriali di produzione.
E allora tutta l’organizzazione del lavoro si trasforma: il privato non fabbrica più o quasi ed è sostituito nell’iniziativa da imponenti consorzi, da complessi istituti pubblici: l’individuo cede l’iniziativa alla collettività nell’ambito degli stati. L’equipollenza dei problemi economici e sociali, il rapido scambio delle idee e degli studi provocano, nei vari paesi, una finora ignorata equipollenza di sviluppi tecnici ed architettonici, per cui anche l’individuazione nazionale cede, di fronte alla convenienza di soluzioni più universali.
La novità dei problemi insorti impone novità di realizzazioni struttive, a cui si prestano duttilmente le conquiste scientifiche raggiunte e quelle che inesauribilmente si perseguono.
È tutto un nuovo mondo in formazione, pieno di attrattive per gli spiriti giovani: specie dopo la guerra, acuite le condizioni di ambiente e di animo, le nuove tesi vengono accolte con entusiasmo e portate alle estreme conseguenze, nella sete di rifarsi del tempo perduto e superare rapidamente le posizioni che la tragica parentesi ha maturate.
Ecco lo stato attuale dell’architettura mondiale. Essa ci si presenta in ultima analisi come il risultato dell’interferenza e del lottante contemperamento di due stati d’animo apparentemente antitetici, in realtà emergenti da direzioni opposte verso un punto di sintesi e sutura, nel quale troverà il suo punto di partenza e la sua base l’arte di domani.
Da un lato la perdurante forma mentis classica, esprimente alle radici ed al di sopra delle transeunti manifestazioni formali, l’esigenza dell’equilibrio unitario fra due realtà duali, la fisica e la spirituale, la reale e la fantastica, la costruttiva e la decorativa, nella loro alterità destinata a collaborare pari grado all’opera: equilibrio esprimentesi ed individuantesi inconfondibilmente in concreto attraverso determinati procedimenti di composizione e determinate caratteristiche di proporzione e di ritmo. Dall’altro lato il maturare di freschissime sensibilità, sorte dalla raggiunta aderenza del piacere formativo alla vita ed alla natura dei nuovi organismi struttivi, inevitabilmente destinata a superare una prima fase di arcaismo oggettivistico per assurgere a sempre maggiore ricchezza e libertà di concezione fantastica.
Per ora dunque arcaismo su basi classiche; poi la nuova fase di maturità architettonica, che senza dubbio offrirà al Secolo XX una produzione molto più netta e feconda di quella avuta in sorte dal Secolo XIX.

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Dopo queste premesse generali il Piacentini passa ad analizzare lo stato di sviluppo dell’architettura d’oggi nel vari paesi, fornendo nelle tavole fuori testo significativi esempi. I Russi, insieme allo Svizzero Le Carbusier sono i più convinti assertori dell’internazionalismo razionalista e rivoluzionario, tendenza estetica estrema, avente il proprio correlato psicologico nell’astratto socialismo materialista. Le Carbusier svolge il suo programma con maggior freddezza e praticità positivista; i Russi, aggiungendo alla teoricità esacerbata dei metodi razionalisti, l’astratta ed inattuale fantasiosità della razza, originando così delle concezioni strane e praticamente irrealizzabili, nella cui vece, per deficienza di mezzi e di concreta competenza, essi s’accontentano di fabbricare cose mediocri, con metodi presi a prestito altrove.
I Tedeschi vivono ancora in un periodo di formazione, nonostante i pregevoli risultati fin qui raggiunti: perdura in essi la lotta tra la linea verticale connaturata al loro spirito gotico e quella orizzontale, piuttosto importata dal classico. Si distingue in Germania nettamente un’architettura monumentale insistente, pur con notevoli nuove sintesi, sul motivo classico, ed una minore, industriale ed edilizia, assai più libera di schemi, di sapore internazionale.
L’America sta elaborando i suoi eccezionali temi edilizi con sempre maggior indipendenza di spirito.
L’Olanda che durante la guerra ha studiato e prodotto, è all’avanguardia del movimento innovatore e sviluppa un’architettura a base volumetrica fondata sopratutto sui rapporti e armonie di masse, di linee e colori, e sull’ aderenza assoluta tra forma e sostanza, per cui ogni elemento tecnico, anche secondario, è elaborato con preoccupazioni estetiche, e reciprocamente ogni elemento decorativo, è ricondotto a consentire una funzione pratica: acutamente l’autore osserva, che molto spesso simili preoccupazioni di unità, inducendo gli artisti a far agire il senso estetico in profondità, sui volumi e sulle sostanze struttive anzichè sui dettagli di superficie, portano a soluzioni antieconomiche ed utilitariamente più irrazionali di quanto non accadesse nelle architetture tradizionali, in aperta contraddizione con le tesi oggi poste. Il Bello prende la rivincita sull’artificiosa castigatezza dei teorici.
In Francia la lotta pel nuovo stile è vivissima, ma i modernisti han già vinto numerose battaglie ed hanno, dopo un primo momento di titubanza, risolutamente raggiunto un posto di avanguardia, mantenendo nella loro produzione moderna un inconfondibile carattere di signorilità e finezza per cui le loro opere sono chiaramente identificabili fra le consimili d’altri luoghi.
I Paesi scandinavi hanno una produzione interessantissima, rielaborante negli edifici monumentali, con amorosa ed originale finezza, i temi classici. L’edilizia minore risente anche dell’importazione classica, benchè ridotta al puro schema.
Infine Piacentini ci parla dell’Italia, riepilogando il cammino percorso e notando come, dopo d’Aronco e Sommaruga anche da noi siano state assimilate e seguite le tendenze Europee verso la semplificazione, non purtroppo da tutti gli artisti, ma dalla ristretta cerchia dei più comprensivi. Fino ad oggi però, salvo presso alcuni gruppi di giovanissimi, specie nell’Italia del Nord, non si è prodotta una incondizionata adesione alle tendente ultramoderne d’ oltralpe: il nostro modernismo è rimasto anche formalmente e da vicino collegato al nostro passato: Sangallo a Roma, Palladio a Milano: ovunque del resto l’aspirazione a nuove forme è frenata dal peso della tradizione, dal rispetto alla grande arte.
Piacentini giustifica simile atteggiamento guardingo valutando positivamente l’amore verso la nostra migliore ricchezza spirituale - ed osservando come dati di fatto, condizioni d’ambiente, elementi vari tecnici e psicologici collaborino a vietarci di assumere senza critica e revisione parecchi principi già accettati altrove. Possiamo citare fra l’altro il minor grado di sviluppo urbanistico dalle nostre grandi città; l’istintiva difficoltà del nostro spirito individualistico ad ammettere la costruzione in serie; il clima non adatto all’uso di parecchi fra i tipici materiali della nuova architettura (ad es. il vetro usato su larga scala) ed all’introduzione nelle fabbriche di proporzioni negli ambienti e nei volumi, di ubicazione e dimensione di finestre e porte, troppo diversi da quelli attualmente in uso; l’inesausta nobiltà ed economicità di materiali tradizionali (ad es. il marmo, la pietra), per cui l’uso di procedimenti costruttivi nuovi, non è talvolta da ritenersi esteticamente e finanziariamente accettabile.
Non trovano invece giustificazione certe sorde negazioni preconcette della necessità di evolversi, e certe resistenze piccine e non obiettive all’introduzione di idee nuove, sol perchè altrove furono già accolte.

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L’Architetto Piacentini chiude l’operetta con parole rivolte alla nostra arte di domani, così efficaci da voler essere trascritte integralmente per non averne sciupato il valore e il calore:
"Aderire perfettamente alla vita d’oggi materiale e spirituale, pur rispettando le condizioni di ambiente. Ammettere quanto vi ha di universale, di corrispondente alla civiltà contemporanea, nei movimenti artistici europei, innestandovi le nostre peculiari caratteristiche e tenendo presenti le nostre speciali esigenze di clima. Ecco il nostro compito.
Io vedo la nostra architettura contemporanea inquadrata in una grande compostezza e in una perfetta misura. Accetterà le proporzioni nuove consentite dai nuovi materiali, ma sempre subordinandole alla divina armonia che è la essenza di tutte le nostre arti e del nostro spirito. Accetterà, sempre più, la rinuncia alle vuote formule e alle incolori ripetizioni, la assoluta semplicità o sincerità delle forme, ma non potrà sempre ripudiare per partito preso la carezza di una decorazione opportuna.
Gli sforzi delle varie regioni dovranno incanalarsi su di un’unica via e gli architetti affiatarsi maggiormente per giungere alla creazione di un’arte moderna nazionale.
Forze riposte si palesano ovunque, e non appare lontano il giorno della grande rivelazione, già potentemente preparata.
Io penso infine che questa nostra fatica non dovrà fermarsi alla creazione di un’architettura nazionale.
Noi sentiamo - ed uno sguardo alle illustrazioni che seguono ce lo confermano - che tutta questa arte moderna, pur essendo spesso arrivata ad un alto grado di espressione e di differenziazione, riveli qualche cosa di effimero.
E forse a noi che attraversiamo un momento di cosi stupefacente risveglio, per il nostro spirito più guardingo, più fermo e più serio, sarà riservato di rivedere tutto il movimento architettonico universale, e di additare, ancora una volta, la via più sicura per ritrovare la Bellezza ".
Speranza davvero piena di lusinghe per le giovani forze dell’architettura italiana.
PLINIO MARCONI.



SINDACATO NAZIONALE ARCHITETTI

PAGINE DI VITA SINDACALE

RIUNIONE DELLA GIUNTA DIRETTIVA DELL’ ISTITUTO NAZIONALE D’URBANISTICA

Sotto la presidenza dell’On, Alberto Calza Bini si è riunita ieri in Campidoglio la Giunta Direttiva dell’Istituto Nazionale di Urbanistica.
Erano presenti: il Sen. Broccardi, Podestà di Genova, il prof. Gustavo Giovanonni, l’ing. Guido Vitali, il Gr. Uff. Enrico Parisi, il Duca Caffarelli e il comm. Testa.
La Giunta, preso atto dell’attività svolta dall’Istituto dall’epoca della sua fondazione ad oggi, ha adottato varie deliberazioni, tra le quali, importante, la pubblicazione, d’accordo con la International Federation for Housing and Town Planning, di un vocabolario tecnico in materia di abitazione e di piani regolatori, la determinazione di norme per il funzionamento dei centri di studi urbanistici, che per iniziativa dell’istituto stanno formandosi nei maggiori centri urbani d’Italia e la pubblicazione di un Annuario statistico delle città italiane, pubblicazione che dovrebbe rappresentare la continuazione di una iniziativa a suo tempo assunta dall’Unione Statistica delle Città italiane e passata poi alla Confederazione Generale Enti Autarchici, oggi disciolta.
L’opera, la quale conterrà dati statistici di tutti i capoluoghi di provincia e di tutte quelle città che per importanza, per tradizione e per migliore organizzazione dei servizi statistici sono in grado di rispondere ai questionari che verranno loro inviati, conterrà la trattazione di importanti argomenti di carattere urbanistico, quali: immigrazione e caratteristiche della popolazione immigrata; caratteristiche del piano regolatore e suoi rapporti con la popolazione e col territorio; spazi verdi e loro distribuzione; trasporti; attività edilizia; densità e addensamento della popolazione, ecc. Questi argomenti, mai trattati, o assai sommariamente alcuni, nei precedenti annuari, dovranno costituire capitoli importanti e di una certa estensione. Altri aspetti della vita delle città: movimento demografico; finanze comunali; igiene; istruzione; servizi vari, troveranno posto nell’Annuario, ma con uno sviluppo più limitato in confronto ai precedenti Annuari.
La Giunta ha deliberato infine di accogliere l’invito a partecipare all’Esposizione Internazionale dell’Abitazione e dei Piani Regolatori che avrà luogo a Berlino dal 9 Maggio al 9 Agosto 1931. L’Istituto, subordinatamente all’approvazione da dare dai competenti organi governativi, avrà cura che detta partecipazione abbia luogo nella forma più decorosa possibile, chiamando a concorrervi i più importanti Comuni d’Italia e i maggiori Istituti delle Case Popolari ai quali si deve in gran parte, la perfetta riuscita della Mostra Nazionale dell’Abitazione e dei Piani Regolatori organizzata nel Palazzo dell’Esposizione di Via Nazionale nel Settembre decorso.
Per quanto si riferisce al contributo di opere che gli architetti sono chiamati a prestare al fine di collaborare all’urgente soluzione dei problemi urbanistici italiani, è sopratutto da mettersi in rilievo l’iniziativa assunta dall’Istituto Nazionale di Urbanistica per la determinazione delle norme di funzionamento dei centri urbanistici. Questi si formeranno nelle più notevoli città e saranno composti di Architetti ed Ingegneri inscritti ai rispettivi Sindacati. È importante che gli Architetti ai interessino alacramente all’iniziativa e, come è già accaduto, per esempio a Torino, assumano in questa una parte importante, essendo attualmente problemi urbanistici al centro dell’attività architettonica.

NOTIZIE SUL CONGRESSO E SULL’ESPOSIZIONE DI ARCHITETTURA MODERNA A BUDAPEST

Il Segretario nazionale del Sindacato ha inviato ai Segretari Regionali e ai Fiduciari Provinciali una circolare nella quale si comunicano le norme per l’iscrizione al congresso di Budapest, congresso di cui abbiamo già sulla Rivista espresse le importanti caratteristiche.
Alla circolare è stata allegata copia del programma dettagliato del congresso, che pertanto gli inscritti al Sindacato potranno avere in visione nelle sedi provinciali.
Si raccomanda l’invio agli uffici del Congresso (Budapest, IV Realtanoda 13-15) dell’adesione e della tassa di partecipazione (30 pengö pari a L. 108) possibilmente prima del 15 luglio p. v.
È noto che contemporaneamente al congresso è organizzata a Budapest una mostra di architettura moderna che sarà una sintetica selezione delle opere più significative e moderne raccolte in una sala per ciascuna nazione.
L’Italia ha avuto la sala centrale e dovrà prodursi sotto il migliore aspetto.
Il Segretario Nazionale del Sindacato, incaricato dalle Superiori autorità di organizzare la mostra, ha chiamato ad aiutarlo gli Architetti S. E. Marcello Piacentini e Giuseppe Boni.
Si potranno esporre soltanto ingrandimenti fotografici di opere eseguite in questi ultimi anni ed aventi carattere nettamente moderno.
Gli inviti sono fatti, all’opera: tuttavia la Commissione si riserva libertà di scelta definitiva dopo aver ricevuto il materiale al completo, in vista anche dello spazio disponibile relativamente limitato. Gli ingrandimenti fotografici richiesti dovranno pervenire alla sede del Sindacato entro il mese di luglio.



APPROVAZIONE DEGLI ISTITUTI SINDACALI

Il comitato centrale del Consiglio delle Corporazioni, a seguito di una relazione inviata dall’On. Giacomo di Giacomo, ha approvato gli statuti dei Sindacati nazionali e interprovinciali. La vita del Sindacato sta dunque per entrare nella sua fase normale, tantochè si prevede pel prossimo autunno la convocazione dei congressi e delle assemblee.

UNA BUONA INIZIATIVA DA SEGUIRE

La fabbrica di ceramiche "Società per i materiali refrattari", specialista per i prodotti Fire-Clair, si è rivolta al Segretario Nazionale del Sindacato per avere l’indicazione di un architetto adatto ad eseguire disegni idonei alla produzione. È stato indicato l’Arch. Luigi Vietti.
È augurabile che l’esempio della ditta suddetta sia seguito da altri: certo se ne gioverà la bontà della produzione nelle arti decorative.



CONCORSI

CONCORSO PER IL PROGETTO DEL PALAZZO SEDE DELL’ AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI SONDRIO E DEL GOVERNO

È indetto un concorso nazionale tra ingegneri e architetti di cittadinanza italiana. laureati o diplomati in Italia ed iscritti ai Sindacati fascisti, per un progetto di edificio destinato a Sede dell’Amministrazione Provinciale di Sondrio, degli Uffizi della R. Prefettura. dell’alloggio di S. E. il Prefetto, della R. Questura e del Consiglio Provinciale dell’Economia.
Il preventivo di costo dell’edificio non dovrà superare le L. 3.500.000 compreso il riscaldamento centrale e l’allacciamento alla fognatura.
I progetti dovranno essere presentati all’Ufficio di Segreteria dell’Amministrazione Provinciale di Sondrio entro le ore 12 del 31 ottobre 1930.
La Commissione giudicatrice composta:

a) Dal Preside o Vice Preside della Provincia, Presidente;

b) Da un membro dell’Amministrazione Provinciale;

c) Da un funzionario nominato dal Ministero dei LL. PP.;

d) da un Ingegnere o Architetto designato dal Ministero dell’Interno;

e) Dall’Ing. Capo dell’Ufficio Tecnico Provinciale di Sondrio;

f) Da un Architetto designato dal Sindacato Nazionale Fascista Architetti;

g) Da due Ingegneri o Architetti scelti dall’Amministrazione Provinciale di Sondrio;

h) Dall’Ing. Capo dell’Ufficio del Genio Civile di Sondrio.

assegnerà al progetto, che a suo insindacabile giudizio, ne parrà più meritevole, un premio di L. 100.000 (centomila), riservandosi la facoltà di conferire o meno al vincitore la direzione dei lavori e di distribuire un ulteriore premio di L. 30.000 (trentamila), se lo riterrà opportuno, a quei progettisti, che più si saranno distinti.
Qualora la Commissione non trovasse tra i progetti presentati quello meritevole del premio di L. 100.000, sceglierà i tre progetti più rispondenti alle finalità del Concorso e ne chiamerà gli autori ad una definitiva prova di 2° grado. In tal caso il premio di L. 100.000 sarà assegnato al vincitore della seconda gara e il premio di L. 30.000 verrà ripartito tra il secondo e il terzo classificato. Per ulteriori schiarimenti e per avere il programma con le norme particolareggiate del Concorso e la planimetria del terreno rivolgersi alla Segreteria dell’Amministrazione Provinciale di Sondrio.


CONCORSI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA TECNICA EDILIZIA

La Federazione Nazionale Fascista Costruttori Edili, Imprenditori di Opere Pubbliche e Private e Industriali Affini indice un Concorso per la formulazione di tre studi o progetti concreti nel campo della organizzazione dei cantieri, delle costruzioni economiche civili e delle costruzioni rurali. I temi proposti sono i seguenti:

1) Organizzazione razionale di un cantiere per edilizia civile moderna. Premio L. 4000;

2) Casa economica per operai di una grande azienda industriale. Premio L. 3000;

3) Costruzioni edili ed accessori per un lotto di tenuta apooderata in seguito a bonifica, Premio L. 3000.


La Presidenza della Federazione si riserva di sottoporre i progetti e gli studi ad una Commissione la quale deciderà con giudizio inappellabile.

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