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CARLO GIOVENE: La mobilia napoletana e i lavori affini nel settecento, con 49 illustrazioni |
Sul finire del cinquecento, con F. Giuseppe Valeriani e con Antonio Dosio, le pure forme della Rinascita erano fiorite a Napoli, con vitalità prepotente, in un rigoglio nuovo, in una festosità luminosa, in un rinato gusto greco del colore, e, prima la chiesa del Gesù Nuovo, poi quella della Certosa di S. Martino, si erano levate come un lieto canto, come un inno a Dio che delle bellezze del creato e della gioia di vivere ci ha fatto un dono. Di questo spirito, che è lo spirito dellarte barocca, si anima Cosimo Fanzago, che domina con i suoi discepoli tutto il seicento.
Ma egli era morto da ventidue anni, e Fra Giuseppe Nuvolo aveva già levata la cuspide sul campanile del Carmine, cominciato dal Conforto. Ora Ferdinando Sanfelice e Domenico Antonio Vaccaro dominavano incontrastati nel campo dellarchitettura, tenuta in grandissimo onore e signora di tutte le arti, tanto che Mario Gioffredo, la cui fama aveva varcati i confini del Regno e dItalia, presto scriverà unopera celebrata sui cinque ordini di architettura e loro applicazioni nelle Chiese e nelle civili abitazioni 1), e sulle Istituzioni di Architettura civile disserterà con erudizione ed amore Nicola Carletti (2). Cosi Carlo Borbone neI 1734 ritrovava Napoli. Le forme architettoniche di unarte che, più tardi, fu con dispregio chiamata barocca dai neo-classici, avevano raggiunto il pieno sviluppo. E già spuntavano germi di reazione, raccolti ed espressi da Luigi Vanvitelli in opere di superba bellezza. Comincia così un nuovo periodo, e lo stile che già aveva perduto il primo impeto, diventa meno robusto e più raffinato; le forme massicce man mano si attentano in un addolcimento progressivo di curve, e, come nellarchitettura madre, così in tutte le arti minori, e con maggior chiarezza in quella del mobile, ove si passa dalla magniloquenza grave alla vanità leggiadra. Specialmente tra il primo e lultimo quarto del secolo lintaglio trionfa in un rigoglio di fantasia che trova campo in ogni lavoro di legno: mobili, porte, archi di portoni, carrozze, portantine. E, verso la metà, il fasto delle dorature, non più sobriamente usate, si aggiunge a quello degli intarsi e dei marmi colorati, per soddisfare gusti più raffinati e le esigenze di una vita più fastosa, quale indicava ad una grande aristocrazia un sovrano di vedute grandiose e di squisito buon gusto. Quale grado di raffinata sontuosità raggiungano gli artisti del legno in questo periodo, si può vedere negli armadi della Sagrestia di Montecassino in noce intagliato, adorni di festoni e pendagli in rame dorato, risaltanti sulla biondezza del legno con pacata armonia Il fantasioso e complicato lavoro di squadro si arricchisce di colonne a spira, di cimase arricciate, di fogliami e cartocci, di bassorilievi, di statue (fig. 1). Nella decorazione fastosa, e forse eccessiva, ogni dettaglio è in sè stesso unopera darte; basi e cimase paion degne di essere fuse in oro, e il pensiero corre agli orafi architetti del Rinascimento (3). Nellultimo quarto di secolo, in armonia col nuovo sentimento che ormai si insinua da ogni parte, e favorito dallamoroso studio portato sui capolavori che ritornano alla luce ad Ercolano e Pompei, la reazione vittoriosa spinge alle visioni classiche ed alle forme diritte, che gli artisti con inesausta fantasia pur sempre adornano di originali motivi, talvolta di cosi squisita fattura da far pensare a barlumi dellantico, sopito spirito greco (fig. 2). II. In tutto il secolo non è, però, trascurata la tradizionale e tanto amata arte dellintarsio, che invece assume forme più capricciose, con mille fantastici intrecci, quasi sempre geometrici. Si scelgono per le impiallacciature i legni più variopinti, dalle capricciose fibre, e le sottili sfoglie si tagliano e si spiegano, come suol dirsi in arte, a libretto, ottenendo graziosi effetti con la simmetria delle naturali striature così contrapposte. I fondali si intarsiano spesso a losanghe, a scaglie, a stelle, accostate ed incrociate, come nelle decorazioni orientali. Ma, con lavanzarsi del secolo, questarte gentile perde man mano il primato e, già verso la metà, il mobile intarsiato generalmente si trova solo negli ambienti intimi e in quelli di carattere severo, come studi e biblioteche. Nel salotto esso e invece laccato in bianco con dorature o è completamente dorato. Nelle dorature gli artefici ottengono, con preparazioni diverse, riflessi di vari colori, risaltanti luno sullaltro: loro verde, loro giallo, loro rosso. Luso però di queste dorature sgargianti doveva essere ancora poco diffuso nella prima metà del secolo, se alla venuta di Carlo III a Napoli, in un elenco di mobili chiesti a prestito ed affittati per arredare lappartamento del Re, sono indicati quasi esclusivamente boffetti e boffettini di ebano, di noce, di radice dacero, di pero, di radice di ulivo (4). Manca il tremò, ossia il mobile a mensola, laccato o dorato, sormontato da un grande specchio, che adornerà dopo tutte le case signorili. Dorate sono soltanto numerose placche intagliate ed indorate con loro cornucopie, che sono piccoli specchi, ognuno con uno o più bracci per lumi, da sospendersi alle pareti dei salotti sempre a coppie, due, quattro, sei, o anche più (fig. 3). Si diffonde, intanto, anche il mobile tutto laccato, con decorazioni alla cinese, in questo o quel colore, ed è gusto che era nato assieme a quello delle porcellane e delle lacche cinesi che la Compagnia delle Indie già da i primi del seicento importava in Europa, ove formavano, specialmente in Francia, oggetto di desiderio ansioso e, nel ceto elevato, del più raffinato lusso. Sotto questa influenza la vignetta cinese appare anche sul mobile di tipo nostrano laccato e dorato, come si vede in due graziose vetrine dangolo che si conservano una nel Museo di Sorrento (fig. 4), laltra nel Real Palazzo di Capodimonte (fig. 5). Spesso gli artefici sono chiamati a modificare o completare opere di tempo più antico, ma per la loro profonda sensibilità non sanno sottrarsi al gusto del tempo e ne sono sempre fedeli interpreti. Così di intagli barocchi si ornano le porte della antica Chiesa di S. Maria del Carmine (fig. 6) e gli archi dei portoni signorili (fig. 7). Nè si sentirono a disagio i molti artefici napoletani che sotto la direzione di Domenico Antonio Vaccaro intagliarono le tribune di Santa Chiara, pur trovandosi innanzi alle meravigliose storie di S. Caterina, scolpite da Andrea Pisano (figure 8-9-10). III. Due tipi di mobili, adunque, in tutto il settecento predominano nel mezzogiorno dItalia: quello di uso intimo impiallacciato ed intarsiato spesso con finimenti in bronzo dorato, e generalmente il cassettone, chiamato alla francese commode (5); laltro per gli ambienti di rappresentanza, costituito dalla mensola laccata e dorata, chiamata anche alla francese console o, tremò se sostiene un grande specchio. Il progresso nella forma del cassettone si osserva ben definito negli esemplari che si conservano nel Museo di Sorrento, impiallacciati in radice di noce spiegata, intarsiati a foglioline ed a triangoli, attorno a rosoni centrali. Negli spigoli due curve si incontrano ad angolo, poi man mano si riaccordano, fino a diventare una curva sola lievemente inflessa (fig. 11-12). Altro notevole progresso in questo mobile, a secolo avanzato, è laggiunta del piano di marmo colorato, ordinariamente marmo antico rilavorato, o verde di Calabria, o breccia di Gargano (fig. 12). Negli esemplari più belli talvolta il piano medesimo è di preziosa breccia di Sicilia, e ciò più frequentemente avviene nei mobili lavorati in quella estrema parte del Regno, ove una schiera di valentissimi artefici, a Palermo ed a Catania, emula con successo i lavori migliori dei confratelli napoletani (fig. 13). Assieme al cassettone costruiscono gli ebanisti mobili accessori più piccoli, con gli stessi caratteri del mobile principale (figg. 14-15). Costruiscono ancora ho boffetti e boffettini che sono credenze per servire in tavola, armadi e librerie, queste ultime quasi sempre sovrapposte ad una specie di credenza o di cassettone (fìg. 17) (6). Perde importanza il tavolo, e lo scrittoio, intarsiato e ornato di bronzi, ha sempre piedi ricurvi, e quasi sempre sopporta unalzata a vari scompartimenti e tiretti anchessa con fianchi incurvati (fig. 16). Le casse per orologi, come i mobili, al principio del secolo sono in legno impiallacciato, con sobri finimenti di bronzo; più tardi sono quasi sempre laccate, con simili finimenti più frastagliati e sontuosi. La mensola (console), tutta dorata o laccata in bianco ed oro, segue un tipo costante nella linea di insieme, ma varia nei dettagli, secondo la fantasia e il gusto dellartista. Nei primi del secolo essa serba quasi intatte le linee dei tavoli dorati che nella seconda metà del seicento erano cominciati ad usarsi nelle Chiese (fig. 18). Si alleggerisce poi man mano, diventa più mossa e più leggiadra (fig. 19). Ad essa, a secolo avanzato, è quasi sempre sovrapposto un grande specchio, talvolta trasportabile, come quello del Museo di Sorrento (fig. 20), talvolta, nelle case sontuose, parte organica della decorazione delle pareti, e quasi sempre adorno di pitture dovute ai più celebrati artisti del tempo (fig. 21). Entro le cornici sagomate, sotto le più fantasiose cimase, Francesco De Mura aggruppava deliziosi amorini; Giacinto Diano in vivace colorazione racconterà gli amori di Venere e Adone; Iacopo Del Pò, con originale trovata, dipingerà scene mitologiche in chiaro scuro, alla maniera di cammei. Eleganti forme assumono sedie e poltrone in noce intagliato (figg. 22-23) o dorate. Ma nelle sedie vescovili, ove è data libertà allartista di profondere ogni ricchezza di intagli, la sontuosità varca ogni limite, la fantasia non ha freni, ed egli con agile mano la segue creando sempre nuovi motivi, attorno a cartocci arricciati, a conchiglie, a teste di cherubini. Notevoli sono quelle conservate nel Museo di S. Martino (figg. 24-25); bellissima è laltra della Chiesa di S. Maria degli Angeli a Pizzofalcone (fig. 26) ove lartista insinua nel fantasioso movimento barocco dellintaglio come un lontano, ma pur vivace, ricordo di gotico fiorito. Ed anche nel leggio, più piccolo e comodo di quello monumentale che ancora ornava i cori al principio del secolo, perchè non si usano più antifonari e salteri a grandi caratteri, e nelle cornici che racchiudono specchi o dipinti, ha largo campo di svolgersi la fantasia dellartista (figure27-28-29). La portantina che sino a tutto il seicento era di forma severa, quasi sempre rivestita di cuoio, si arricchisce ora di intagli, di dorature, di graziosi dipinti laccati, e diventa una squisita espressione del tempo, grazioso scatolo per le pompose dame imbellettate, in guardinfante (fig. 30). Più sobria è la forma se deve accogliere un alto prelato, come in quella che ancora si conserva nella cappella di S. Gennaro in Napoli (fig. 31). E sontuosa diventa pure la carrozza, specialmente se è quella dei Re o di alti magistrati, quali gli Eletti del Popolo (figg. 32-34), e la barca che deve portare il Re a diporto nelle azzurre acque del Golfo, come quella che i Napoletani donarono a Re Carlo di Borbone, quando prese possesso del Regno (fig. 33). IV. Nellultimo quarto di secolo, come si è già detto, si ridesta lo spirito classico e, nella architettura come nel mobile, le forme diventate troppo mosse si purificano, allontanandosi dalle linee curve, e gli intagli assumono movenze più castigate e sobrie, salvo ad accentuarsi e ad appesantirsi nel neo-classicismo del periodo napoleonico, ai primi del secolo successivo, quando nei motivi decorativi leoni ed aquile sostituiranno le ghirlande ed i leggiadri nodi di amore. Ancora predominano in ogni casa la mensola ed il cassettone; e sempre e impiallacciato ed intarsiato luno, laccata e dorata laltra. Il passaggio dalla forma barocca alla neo-classica avviene gradualmente e gli artisti lo compiono con finezza e buon gusto. Divani e sedie abbandonano di linee ricurve prima nei piedi, poi man mano nei bracciali e nelle spalliere (figg. 35-36-37-38-39-40), e cosi avviene pure nelle mensole e in ogni altro mobile (figg. 41- 42-43). E quando nel fronti di esso ogni linea è diventata dritta, lamore della curva spesso rinasce nel piano, e si costruiscono mensole e cassettoni a pianta semicircolare od altrimenti incurvata (figg. 44-45-46-47). Svariatissimi sono i modelli e delicati gli intagli sino agli ultimi anni del secolo, Diventano poi massicci e solenni nel periodo dellImpero, quando a Napoli regna Gioacchino Murat, ed in quello successivo della Restaurazione borbonica, serbando sin verso il 1830 una tal purezza di forme da far pensare di nuovo al vecchio spirito classico che sonnecchia in fondo allanima meridionale (figg. 48-49). A risvegliarlo, come si è già detto, dopo il primo impulso, espresso colle architetture vanvitelliane, avevano contribuito le meravigliose scoperte di Ercolano e di Pompei studiate con infinito amore, tanto da riprodurne i motivi negli edifici, nelle decorazioni ambientali, e perfino nelle ceramiche. Dopo non ebbero più le forme darte chiare ispirazioni e nel mezzogiorno dItalia, come altrove, furono espressione di incertezza e spesso furono tanto vuote quanto pretenziose. Labilità degli ebanisti ed intagliatori si esercita in artifiziosi intrecci di fogliami che si sviluppano su ossature barocche, senza tuttavia avere il sentimento di quello stile. O talvolta si arricchiscono di gonfi intagli, di un barocco non sentito, rigide forme neo-classiche. Non si vuole più il neo-classico e non si sente più il barocco. Così le forme si impoveriscono in stentate imitazioni, e comincia il travaglio della ricerca del nuovo, che ancora tormenta le presenti generazioni ma che a tratti già dona qualche scintilla sulle scorie del passato decaduto. CARLO GIOVENE. (1) DellArchitettura di Mario Gioffredo architetto napoletano. Parte prima, nella quale si tratta degli ordini di architettura dei greci e degli italiani, e si danno le regole più spedite per disegnarle. Napoli MD CCLXVIII. Fu pubblicata con laiuto finanziario del Re; ma, per la fortissima spesa occorrente per le incisioni, non furono stampati i due successivi volumi. Tuttavia la sola pubblicazione del primo procacciò tanta fama allautore da procurargli finanche linvito del Re di Portogallo di porsi ai suoi servigi. Ma il Gioffredo ricusò. (2) NICOLA CARLETTI: Istituzioni di Architettura, in due tomi con 21 tavole. Napoli, Raimondi, 1772. (3) Le storie dei bassorilievi furono scolpite da Gennaro Franzese napoletano, su disegni del pittore Paolo De Majo da Marcianise; le statue da Pietro Nittolo, o Izzolo, napoletano, secondo i disegni dello scultore bolognese Maini; i vari intagli furono eseguiti da Domenico Colicci, Michele Di Stefano e Giuseppe DAngelo, tutti napoletani. Cfr. ANDREA CARAVITA: I Codici e le Arti a Montecassino. (4) Cfr. MICHELANCELO SCHIPA: Per laddobbo, lingrandimento e le decorazioni della Reggia dl Napoli alla venuta di Carlo di Borbone in Napoli Nobilissima. Volume II, pag. 109-III. (5) Come è noto il dialetto napoletano comprende moltissimi vocaboli di radice francese, ricordo delle passate dominazioni. Cosi da commode cassettone, cummò; da console, mensola, cunzola; da trumeau, specchiera, tremò; da buffet, credenza, boffetto. (6) Le ossature erano formate con legno di pioppo, poco sensibile alle variazioni atmosferiche e docile allincurvatura, e di questo albero ai facevano vaste coltivazioni nella vicina Cervinara, famose per la bontà del prodotto. I cassetti interni erano dello stesso legno, più raramente di abete della Sila, con ammicciature nei fianchi e semplice ionchiodatura nel fondo. Cosicchè, quando i più bei campioni di mobili napoletani sono esportati, come sfrenatamente avviene da cinquanta anni e più, se ne sostituisce il legname interno con altro di quercia, rimettendoli poi sul mercato, generalmente, per mobili francesi che, solo per questa qualifica, raggiungono prezzi assai più elevati. E così man mano si va perdendo ogni traccia di questa gloriosa arte meridionale, i cui campioni vanno ad arricchire il patrimonio dellarte altrui. È ormai già difficile rinvenire buoni esemplari e sarebbe indispensabile che gli uffici competenti provocassero lacquisto di quei pochi che ancora si presentano alla esportazione. |
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