FASCICOLO IV - DICEMBRE 1930
RENATO CORTE: Architettura domestica della California, con 50 illustrazioni

Chi viene in America deve convincersi, contrariamente alle previsioni, dell’alto concetto in cui è tenuta, in tutta la Nazione, l’architettura, esprimentesi nello studio profondo a cui si assoggetta chi a questa si dedica con un amore e una passione che compensano la generale mancanza di grande originalità.
Un secondo fenomeno caratteristico è il fatto dell’assoluta indipendenza fra l’architettura degli Stati bagnati dall’Atlantico e quella della Costa del Pacifico.
E, come ancora non si può parlare di una vera e propria architettura americana, se si eccettui quel caratteristico prodotto focale che è il grattacielo ci è dato constatare che l’architettura degli Stati dell’Est si riallaccia ancor tenacemente alla tradizione inglese, tranne un recente ritorno nazionalistico all’architettura “coloniale” a contrasto coll’invadente corrente modernistica; mentre nel West, dai vecchi nuclei di architettura spagnola, trapiantata lungo la costa del Pacifico dalle varie Missioni, è sorta una fioritura di architettura chiamata “mediterranea” la quale, presto esauriti i primi e poveri motivi, è risalita con uno slancio e un amore ammirevole direttamente alle fonti.
Più dell’altra, troppo lontana dalla nostra mentalità, è di questa che intendo occuparmi, non tanto perchè più vicina alla nostra, ma perchè l’esempio fornito da questi giovani Stati può essere istruttivo.
Più che nella vecchia S. Francisco, la più europea del resto delle città americane, nel recentissimo e fantastico sviluppo di Los Angeles, ormai tutt’una colle finitime Hollywood, Beverly Hill, Pasadena e Long Beach, il fenomeno ha assunto la sua espressione più caratteristica.
Come in tutte le comunità a rapidissimo sviluppo, la massima parte delle costruzioni, specie quelle che seguono coi più ristretti vincoli economici la moda, sono da scartare e ancor più ripugna al nostro senso di stabilità della casa il modo come sono costruite in massima le case di abitazione, ingredienti della costruzione essendo una gabbia di legno, rete metallica, cartone catramato e gesso (al cui confronto i nostri padiglioni per esposizione potrebbero considerarsi tratti “ex vivis lapidibus”). Il clima costante, con una variazione fra l’estate e l’inverno di pochi gradi di temperatura e l’assenza quasi assoluta di pioggia, permettono il sistema, compensato d’altra parte da tutte le comodità della tecnica moderna, anche nelle abitazioni più popolari.
Ma non di questo voglio occuparmi, bensì del nuovo spirito che anima questo risveglio. Come più sopra accennavo, il nuovo movimento è nato intorno ai modelli forniti dai soli nuclei di architettura locale, rappresentati dalle costruzioni delle missioni spagnole del XVII e XVIII secolo, disseminate lungo tutta la costa e che allo spirito pratico dei sopraggiunti è apparso talmente aderente al paesaggio e al clima da consentir di bandire ogni altro modo di costruire per sviluppare quello, fino a farlo assurgere all’altezza, se non di uno stile, ad una caratteristica espressione locale almeno, mancandovi ancora il sigillo di una vera personalità.
Alla base infatti di questo trapiantamento in larga scala di una architettura che poco ha da vedere con la tradizione di quelli che l’hanno adottata, c’è tutta una serie di pubblicazioni fatte con spirito agile, attento e, diciamolo pure, utilitaristico, che è risalito alle fonti prime andando a scovare gli esemplari di ispirazione nelle più remote e caratteristiche regioni della Spagna, spingendosi fino alle isole Baleari.
Tale ricerca non si è volta all’architettura aulica di celesti paesi ma piuttosto a quella negletta dai testi stilistici e che noi chiamiamo “architettura minore”, che fu studiata, fotografata e rilevata con un amore e una serietà degni del più riverente rispetto.
Tutto questo materiale (ed in ciò sta l’originalità degli effetti raggiunti) fu innestato con assoluta spavalderia e spregiudicatezza alla pianta tradizionale della casa americana, troppo rispondente alle più intime e complete comodità della vita per poterla abbandonare.
Ne è risultata quindi una interessante, se non ancora originale, architettura locale, di cui gli iniziatori si sono eretti gelosi custodi e difensori, fresca, spontanea, piacevole e riposante alla quale fu imposto, in omaggio all’origine evidente, il nome di «Mediterranean Style».
Per darne un’idea scelgo alcuni fra gli esempi più maturi soffermandomi anzi sulle dimore che vari architetti hanno costruito per sé stessi, quale migliore espressione della loro sensibilità, libera dalle esigenze della clientela; e su di un albergo, rispondente alle esigenze dell’arte alberghiera prettamente americana, a riprova del fatto che anche pei temi più moderni l’antico ceppo offre ancora messe di frutti. In questo appunto l’ammaestramento più pratico.
New York, novembre 1930.
RENATO CORTE.

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