Chi viene in America deve convincersi, contrariamente alle previsioni,
dell’alto concetto in cui è tenuta, in tutta la Nazione,
l’architettura, esprimentesi nello studio profondo a cui si assoggetta
chi a questa si dedica con un amore e una passione che compensano la
generale mancanza di grande originalità.
Un secondo fenomeno caratteristico è il fatto dell’assoluta
indipendenza fra l’architettura degli Stati bagnati dall’Atlantico
e quella della Costa del Pacifico.
E, come ancora non si può parlare di una vera e propria architettura
americana, se si eccettui quel caratteristico prodotto focale che è
il grattacielo ci è dato constatare che l’architettura
degli Stati dell’Est si riallaccia ancor tenacemente alla tradizione
inglese, tranne un recente ritorno nazionalistico all’architettura
“coloniale” a contrasto coll’invadente corrente modernistica;
mentre nel West, dai vecchi nuclei di architettura spagnola, trapiantata
lungo la costa del Pacifico dalle varie Missioni, è sorta una
fioritura di architettura chiamata “mediterranea” la quale,
presto esauriti i primi e poveri motivi, è risalita con uno slancio
e un amore ammirevole direttamente alle fonti.
Più dell’altra, troppo lontana dalla nostra mentalità,
è di questa che intendo occuparmi, non tanto perchè più
vicina alla nostra, ma perchè l’esempio fornito da questi
giovani Stati può essere istruttivo.
Più che nella vecchia S. Francisco, la più europea del
resto delle città americane, nel recentissimo e fantastico sviluppo
di Los Angeles, ormai tutt’una colle finitime Hollywood, Beverly
Hill, Pasadena e Long Beach, il fenomeno ha assunto la sua espressione
più caratteristica.
Come in tutte le comunità a rapidissimo sviluppo, la massima
parte delle costruzioni, specie quelle che seguono coi più ristretti
vincoli economici la moda, sono da scartare e ancor più ripugna
al nostro senso di stabilità della casa il modo come sono costruite
in massima le case di abitazione, ingredienti della costruzione essendo
una gabbia di legno, rete metallica, cartone catramato e gesso (al cui
confronto i nostri padiglioni per esposizione potrebbero considerarsi
tratti “ex vivis lapidibus”). Il clima costante, con una
variazione fra l’estate e l’inverno di pochi gradi di temperatura
e l’assenza quasi assoluta di pioggia, permettono il sistema,
compensato d’altra parte da tutte le comodità della tecnica
moderna, anche nelle abitazioni più popolari.
Ma non di questo voglio occuparmi, bensì del nuovo spirito che
anima questo risveglio. Come più sopra accennavo, il nuovo movimento
è nato intorno ai modelli forniti dai soli nuclei di architettura
locale, rappresentati dalle costruzioni delle missioni spagnole del
XVII e XVIII secolo, disseminate lungo tutta la costa e che allo spirito
pratico dei sopraggiunti è apparso talmente aderente al paesaggio
e al clima da consentir di bandire ogni altro modo di costruire per
sviluppare quello, fino a farlo assurgere all’altezza, se non
di uno stile, ad una caratteristica espressione locale almeno, mancandovi
ancora il sigillo di una vera personalità.
Alla base infatti di questo trapiantamento in larga scala di una architettura
che poco ha da vedere con la tradizione di quelli che l’hanno
adottata, c’è tutta una serie di pubblicazioni fatte con
spirito agile, attento e, diciamolo pure, utilitaristico, che è
risalito alle fonti prime andando a scovare gli esemplari di ispirazione
nelle più remote e caratteristiche regioni della Spagna, spingendosi
fino alle isole Baleari.
Tale ricerca non si è volta all’architettura aulica di
celesti paesi ma piuttosto a quella negletta dai testi stilistici e
che noi chiamiamo “architettura minore”, che fu studiata,
fotografata e rilevata con un amore e una serietà degni del più
riverente rispetto.
Tutto questo materiale (ed in ciò sta l’originalità
degli effetti raggiunti) fu innestato con assoluta spavalderia e spregiudicatezza
alla pianta tradizionale della casa americana, troppo rispondente alle
più intime e complete comodità della vita per poterla
abbandonare.
Ne è risultata quindi una interessante, se non ancora originale,
architettura locale, di cui gli iniziatori si sono eretti gelosi custodi
e difensori, fresca, spontanea, piacevole e riposante alla quale fu
imposto, in omaggio all’origine evidente, il nome di «Mediterranean
Style».
Per darne un’idea scelgo alcuni fra gli esempi più maturi
soffermandomi anzi sulle dimore che vari architetti hanno costruito
per sé stessi, quale migliore espressione della loro sensibilità,
libera dalle esigenze della clientela; e su di un albergo, rispondente
alle esigenze dell’arte alberghiera prettamente americana, a riprova
del fatto che anche pei temi più moderni l’antico ceppo
offre ancora messe di frutti. In questo appunto l’ammaestramento
più pratico.
New York, novembre 1930.
RENATO CORTE.