“Lupo di mare” lo chiamano a Riva di Trento, per la barba
che gli incornicia il mento alla Cavour. Ma Gian Carlo Maroni non è
marinaio neppure d’acqua dolce, non ostante viva e lavori sul
Lago di Garda: nato a Riva di Trento sotto la dominazione austriaca,
è stato un valorosissimo alpino e infaticabile combattente.
Vestito sempre di nero, lo sguardo pieno d’ingegno, ti dà
subito l’impressione di un uomo strano che viva diversamente dagli
altri, di un sognatore. E tale è difatti, più nella sua
singolare vita che nell’arte, ma non al punto da rifiutarsi, per
esempio, di passare con gli amici qualche ora in una delle scoscese
tavernette di Gardone, dove con l’aiuto di un certo vinello corallino,
puoi scoprirgli uno spirito acutissimo e preciso, di osservazione e
di critica umanissima.
Una sera, dopo una di queste sedute, mi invitò ad accompagnarlo
a casa, dove voleva presentarmi la sua amante.
Avanti allo scrittoio, adagiato su di un’alta poltrona era uno
scheletro (di donna, secondo lui) tutto avvolto in un ampio mantello
rosso. Solo emergevano dal serico drappo, il teschio dolcemente reclinato,
e un braccio appoggiato al tavolo. Con l’amica, Gian Carlo Maroni
rievoca le avventure delle sue lontane vite passate. E davanti a così
autorevole e muto testimonio, mi mostra tutti i suoi studi e i suoi
disegni, che sono moltissimi, e come il suo intelletto, precisi, esatti,
puliti, chiarissimi; senza falsi effetti e senza approssimazioni: disegni
di chi vede, al di là del foglio di carta, la realtà.
Da nove anni, da quando Gabriele D’Annunzio lo chiamò a
preparargli la dimora silenziosa, egli lavora al Vittoriale, con una
passione e una devozione, che non conoscono limiti: egli ha prodigato
e prodiga tutto se stesso in quest’opera, ben sapendo di dover
dare forma e cornice ad un luogo che sarà sacro agli italiani
nei secoli futuri, Santuario della poesia e del fuoco divino della Patria.
Ripetutamente, in questi ultimi anni, io sono tornato a trovare l’amico
e a constatare il progresso dei lavori al Vittoriale, che è ora
compiuto nelle sue parti essenziali. Ma una sera, strana sera, di cui
difficilmente potrò perdere la memoria, l’amico non c’era
e mentre io tutto solo mi attardavo in mezzo agli archi e agli oliveti,
vedo venirmi incontro un autentico egiziano, che mi si presenta quale
architetto, e di nome Ivan.
“Fui architetto in Egitto, mi dice, e conosco e apprezzo moltissimo
l’amico tuo.
Visito sovente i suoi lavori, che impressionano gli spiriti in cerca
di bellezza e di grazia.
Ti dico veramente, amico, che mi piace questo stile architettonico armoniosissimo,
adatto alla natura ed al luogo.
Certamente il “Principe Glorioso” non poteva trovare uomo
più degno per donare agli Italiani opera perfettamente italiana:
e l’architetto benacense Maroni farà scuola dello stile
suo, forse il più bello che sorga sul più grande lago
subalpino.
Egli ha saputo elevare un Museo di grande idealità: ha compreso
l’opera vasta alla quale è stato chiamato, ed ha dedicato
tutto se stesso all’opera grandiosa. È veramente un degno
spirito italico.
Guardando queste mura dalle stradicciole circostanti ho l’impressione
di una fortezza: ma qualche cosa vi scorgo pure di sacro.
Mi piace la disposizione delle aiuole e dei pili porta-gonfaloni. Il
giallo sta bene tra il verde chiaro della natura, in prossimità
del Lago azzurro.
Come si entra nel luogo dedicato all’impresa gloriosa, lo spirito
si riposa su quelle pietre legate con fedele comprensione alla natura
del luogo.
Tutto è fuso con sorprendente armonia; dalle linee degli olivi
alle edificazioni nuove, sullo sfondo della Chiesa e dei luoghi vicini.
Purtuttavia, io ti dico, amico, che non mi piacciono le murature convesse
che sovrastano l’entrata principale. Amo, si, le svelte colonnette
e la fontana chieta, ma quelle curve non mi danno pace.
Bella è invece la disposizione delle Tombe, dove dormono gli
Eroi della guerra.
Ecco, sullo sfondo del Lago divino, sorge la casa dell’arte pura.
È bella la pietra scura del portale magnifico, ma sarebbe stata
preferibile rossa, come quella dell’entrata maggiore.
Passiamo a quella che è la dimora ospitale: intendo dire degli
ospiti graditi e non graditi.
Ammiro il frutteto con alcune statue di poco pregio. Mi rammenta quelli
che solevano costruire gli antichi accanto alle loro ville, come ora
se ne scoprono a Pompei.
La Sala dell'Angelo è bella, e buona la decorazione. Le vetrate
sono magnifiche. Anche mi piace il Pilo dalle teste barbute. Avrei preferito
il bianco, però, fra il verde chiaro.
Le nicchie hanno pregio e cosi la scalinata di mezzo che conduce ad
esse.
Non io entrerò nella dimora ove l’armonia delle cose non
esiste. No, resteremo di fuori.
Bello dunque è il tuo stile, o Gian Carlo. Digli così,
sai, all’amico tuo.
Ma tu, amico, correggi Maroni che non vede il male nel quale è
immerso. Tutta gli appare sotto forme strane la vita reale. Digli che
sia più ottimista e l’arte sua sarà più bella.
Egli va soggetto, troppe volte, a cupe tristezze, che turbano ogni sentimento
artistico.
Il mio augurio è che egli possa trovare, in un giorno non lontano,
nello sforzo compiuto la gioia e la vita, nel sacrificio la volontà
di ripetere il sacrificio.
Digli dunque: Ivan, egiziano, ti rinnova il saluto e l’augurio
di quel tempo serale in cui tu l’hai sentito dietro di te, là
sulla scalea di mezzo.
Crea, amico, che Dio è creatore e l’uomo è creatore
per Dio”.
Gian Carlo deve ora compiere la realizzazione del suo sogno. Costruirà,
sul Monte Mastio, che sovrasta la Fida, dov’è la nave Puglia,
la Tomba del Poeta: un’Arca grande in mezzo ad una piscina, e
sopra l’Arca un cane, simbolo di Fede. Intorno le 11 Arche degli
11 legionari morti, e più sotto tre anelli concentrici, formanti
gradoni in mezzo agli oliveti.
Costruirà ancora - tra il Portale principale e lo Schifamondo
- il teatro all’aperto, con la ribalta sporgente concentricamente
alle gradinate, e la cui superficie circolare sarà completata
dal fondo della scena, fatto di pilastri rigidi, squadrati, dietro i
quali si svolgeranno le scene.
Il Teatro, con lo sfondo del Lago, è il fuoco di tutta la composizione
architettonica del Vittoriale: tutte le vie vi convergono.
Gian Carlo Maroni è oggi nominato dal Governo Italiano “Conservatore”
del Víttoriale, e potrà compiere quest’opera geniale
e significativa con mezzi adeguati e rapidamente.
Ma non solo a Gardone s’è svolta l’operosità
del nostro Architetto. Eresse alcuni anni fa, in Riva di Trento, l’Albergo
del Sole, solida, semplice, serenissima costruzione inondata d’aria
e di luce, e quest’anno ha compiuta la Centrale idroelettrica
pure in Riva, sotto il Ponale. È questa la seconda grande fatica
del Maroni.
Un sottile filo spirituale collega l’Idraula (cosi egli chiama
la sua opera) con la Casa del Sole e con il Vittoriale; sottile filo
che ricongiunge queste opere come nella corona sono uniti fra di loro
i grani dell’orazione.
E molti e molti grani saranno aggiunti alla corona di Mastro Maroni,
cui nuove fatiche ancora saranno affidate.
Sorge l’edificio bianco sulla riva delle acque chiare, ai piedi
della montagna, nella Città redenta. È grande, massiccio,
armonioso. Bene s’adatta al luogo ed al compito per cui è
stato elevato. Ecco una cosa veramente bella!
Si voleva una Idraula e il Maroni ha costruito una Idraula. Questo debbono
ben meditare gli Architetti.
Al valoroso Italiano, al geniale artista, all’amico fedele io
sinceramente auguro che egli possa aver presto l'occasione di realizzare
con un’opera ancora più grande i suoi sogni architettonici.
MARCELLO PIACENTINI