CORRIERE ARCHITETTONICO
LA CASA DEI BALILLA DI BIELLA
Arch. COSTANTINO COSTANTINI
Una delle più interessanti manifestazioni del Regime nel campo
dell’architettura è senza dubbio questa fioritura di palestre,
di campi di gioco e case di Balilla che si sta attuando in tutta Italia
seguendo un programma di grandissima importanza nazionale con larghezza
inusitata di mezzi e rigore di procedimenti.
E il merito questa volta va dato, oltre che agli Alti Gerarchi, ad un
nostro valoroso Collega, l’arch. Del Debbio che, avvedutamente
ha saputo disciplinare fin dagli inizi questa vasta materia edilizia,
raccogliendo in un prezioso volume tutti i dati tecnici che occorrono
al progettista di tali costruzioni, esemplificando ancora schemi di
piante, di volumi e di prospetti onde evitare che i gusti locali non
abbiano a sbizzarrirsi in modo pernicioso come è avvenuto per
esempio per i Monumenti ai Caduti, riportando così il problema
ad una sobrietà di concezione, ad una modernità di gusto,
ad un rigore di impianti che, per la prima volta abbiamo avuto la consolazione
di constatare come anche le iniziative statali possono in Italia nascere
e prosperare senza prendere sapore di rancido.
Tra le altre, e un giorno parleremo della Casa dei Balilla di Torino,
assai più grande e tra breve ultimata, questa di Biella, progettata
e diretta dall’arch. Costantini, è una delle più
organiche e significative. Semplicissima di linee, enuncia subito nella
disposizione delle masse il nucleo centrale della Palestra, attorno
alla quale sono disposti i locali accessori e gli uffici.
L’interno è chiaro, ben disimpegnato, decorato con sobrietà,
arredato con intenti di modernità e di eleganza su disegni dello
stesso arch. Costantini.
Per chi ama i dati, l’edificio copre un’area di 730 metri
quadrati con una cubatura di 8000 metri cubi circa. Il costo è
risultato di L. 1.200.000, compreso l’arredamento, l’attrezzatura
ginnastica completa, gli impianti, la biancheria dei bagni ecc. La costruzione
iniziata nel maggio 1929 fu compiuta nel febbraio 1930 e anche questo
è una bella prova di speditezza e di energia.
Al sotterraneo si ha un salone per le istruzioni interne, i bagni, cessi,
lavabi, magazzini vari e impianto termico.
Al pianterreno la Palestra, gli spogliatoi, le doccie, l’ambulatorio
medico, la sala di scherma, la sala ritrovo Balilla, la sala ritrovo
istruttori e la cabina cinematografica per le proiezioni nella palestra.
A1 primo piano si hanno gli uffici di segreteria, la presidenza, il
Consiglio Comitato O.N.B., il comando Legione e Coorte Balilla e avanguardisti
e la Biblioteca.
Al secondo piano si hanno gli archivi, i magazzini e l’alloggio
del custode.
A. MELIS.
ESITO DEL CONCORSO PER IL PALAZZO DI GIUSTIZIA
DI MILANO
Pubblichiamo, benchè a distanza di tempo e malgrado che i successivi
avvenimenti gli abbiano tolto gran parte del suo interesse, il Concorso
per il Palazzo di Giustizia di Milano. Di un edificio tanto necessario
alla città, s’era parlato da decenni, mutando ad ogni volger
di vento perfino località, area, concetto informatore. Il Palazzo
si doveva far qui, si doveva far là, e, intanto, ogni cosa restava
al punto di partenza. Poi, un bel giorno, ecco un bando di Concorso,
ma, quasi, un bando timoroso e stracco.
Codesta che, degli ultimi anni, poteva essere la più bella gara
milanese di architettura, è naufragata invece in modo miserevole,
messa al mondo come fu, senza linfa vitale. Fu bandita male, con strane
incertezze, senza un regolamento ben preciso che la inquadrasse, senza
garanzie per i concorrenti, meno ancora per i vincitori, con premi modesti,
senza render noto, preventivamente, i nomi dei giudici. Quante volte
s’è ripetuto che quest’ultima condizione può,
da sola, decidere del buon esito del Concorso?
Bene: aggiungetevi il poco tempo accordato, tre mesi di tempo, e non
vi farete meraviglia se, allo scadere del termine, pochissimi furono
i presenti. Sei mesi occorsero invece alla giuria per arrivare alla
proclamazione ufficiale!
Pochi progetti, e tutti, ahimè, d’un valore intrinseco
alquanto modesto; gli stessi migliori architetti milanesi, i giovani
soprattutto, avevano disertato in pieno. Il primo premio non fu neppur
assegnato. Che più? Tirate le somme, non s’è fatto
che perder tempo, coltivare poche amare illusioni e buttar quattrini.
Dall’aprile del 1929 tra l’uno e l’altro di questi
stadi, siam giunti all’autunno del 1930, con l’incarico
a Marcello Piacentini. Il Palazzo sarà fatto su tutt’altra
area, almeno quanto ad estensione; certo meglio studiato e risolto;
ed il nome non può che rappresentare la migliore garanzia. Ma,
e il concorso? Francamente: valeva la pena di menar tanto tempo per
l’aia il tradizionale quadrupede?
Diamo un’occhiata ai progetti concorrenti. Si è detto che
il primo premio non fu assegnato. Giustamente aggiungeremo: che nessuno
ha gran meriti per esser accolto a pieni voti. Ecco, invece, i progetti
cui furono corrisposti il secondo ed il terzo.
Quel che il gruppo ingegner Angelo Bordoni, architetti Luigi Maria Caneva
e Antonio Carminati ha presentato, si stacca in verità dal resto.
Accurato lo studio planimetrico, già di per sé non facile.
Retorica, tuttavia, l’architettura; grande, ma non grandiosa,
facile e troppo facilmente risolta con trovate non tanto geniali. Il
motivo a grandi colonne poste a tutt’aggetto a regger le statue,
ha in sé qualcosa di architettura posticcia, di certe occasioni;
e qui ha il principal torto di assurgere a motivo dominante.
Il progetto ingegner Alberto Cristofari ed architetto Bruno Sarti è
assai meno ardito, composto e forse più organico; ma, purtroppo
eccessivamente scolastico, senza elementi vitali di intrinseco valore.
E tanto si deve aggiungere per i tre progetti premiati per... consolazione.
Di essi, l’uno è rimasto assolutamente anonimo; l’altro
risultò appartenere agli arch. Giovanni Rocco e Giovanni Crescini;
il terzo ebbe ad autori l’ingegnere Ferdinando Chiaramonte ed
il prof. Michele Basciano. Se in quest’ultimo non si riesce davvero
a rintracciare alcunché di originale, più evidente può
apparire uno sforzo nel progetto Rocco Crescini. Ma, in complesso, nulla
che possa recare un po’ di lume alla moderna architettura milanese.
Il Concorso, male impostato, malamente seguito, non poteva dar di più.
Né, ormai che il grande problema è stato altrimenti risolto,
valgono le recriminazioni. Può valere, se mai, il salutare esempio.
F. R.
UN FABBRICATO AD USO STUDI COMMERCIALI IN
MILANO
Dell’Arch. ANTONIO CARMINATI
A metà della centralissima ed elegante via Manzoni, da una vecchia
e mal sfruttata costruzione, l’arch. Antonio Carminati ha ricavato
uno di quei tipici organismi che, nel cuore di ogni moderna e viva città,
vanno sempre più diffondendosi: una casa ad uso strettamente
commerciale, cioè a soli uffici, studi, negozi, magazzini, vetrine
d'esposizione.
Poco era lo spazio disponibile: appena una striscia che, attraversando
l’isolato via Manzoni, Croce Rossa, Monte di Pietà, si
protendeva verso quest’ultima via: cosicchè subito si manifestò
l’opportunità di cavarne una piccola galleria terrena,
a negozi e vetrine, praticandovi un facile e conveniente passaggio coperto:
galleria fiancheggiata naturalmente da due file ininterrotte di vetrine,
in diretta comunicazione con l’ampio sotterraneo e con i sei piani
superiori.
La fronte sulla via Manzoni, forzatamente assai stretta ed alta, fu
sfruttata con una semplice, lineare, logica architettura, a motivi identici
sovrapposti, dove appunto l’architettura fosse nient’altro
che la struttura portante. Mascherando i pilastri e le travi in ferro
con materiali nobili, si è raggiunta una dignitosa composizione
a larghi e facili piani, a poche e giudiziose modanature, francamente
moderna, nè troppo in disaccordo con i vecchi fabbricati contigui.
Esempio che ben volentieri qui presentiamo.
Tali materiali furono, per la facciata, marmi di Roja e di Crevola;
i serramenti vennero predisposti in ferro trafilato, a saliscendi, ricoperti
di alpacca. Tutto usato poi anche all’interno, galleria e scale,
col preciso scopo di limitare sagome, aggetti o decorazioni purchessia,
al minimo necessario.
R. F.
NEGOZIO NICKY A MILANO
di MARIO QUARTI
Mario Quarti ha disegnato per la ditta Nicky di Milano un negozio di
lusso per la vendita di oggetti e manifatture varie.
Gli interni hanno carattere prettamente moderno, sono eleganti e raffinati.
L’esecuzione è dovuta alla ben nota ditta Eugenio Quarti
di Milano.
N. D. R.
AGENZIA DEL BANCO DI SICILIA A TAORMINA
Dell’Arch. SALVATORE CARONIA ROBERTI
L’arch. Salvatore Caronia Roberti ha eseguito in Taormina l’interno
dell’Agenzia del Banco di Sicilia, che presentiamo volontieri
al lettore.
N. D. R.
RECENSIONI
S. BOTTARI: Il Duomo di Messina. Ed. “La Sicilia”.
Messina, 1929.
In occasione della solenne inaugurazione del duomo di Messina, ricostruito,
il Bottari, chiaro studioso dei monumenti della Sicilia orientale, ha
pubblicato un interessante volume illustrativo, che esce dalla schiera
delle pubblicazioni divulgative, per assumere il valore di uno studio
profondo e completo.
Le vicende storiche ed artistiche dell’insigne monumento, che,
dalla prima costruzione al tempo del normanno Re Roggero tante mutazioni
ha subito fino alla distruzione del 1908 ed al rifacimento odierno,
vengono in questo studio analiticamente dimostrate con chiara e geniale
dottrina: ed il documento d’archivio, la indagine costruttiva,
il raffronto stilistico si illuminano a vicenda, recando ciascuno il
proprio contributo, integrando i propri risultati.
Così appunto deve essere negli studi di storia dell’Architettura.
È tempo ormai che questa esca dalle concezioni unilaterali e
dai vecchi metodi, che considerano come cosa semplice un organismo architettonico
e, tra le frasi sonanti, ne perdono di vista il loro valore; è
tempo che regolari e sistematiche ricerche analitiche ci forniscano
sicure «schede» sui singoli monumenti, dalle quali sarà
poi possibile, in un secondo tempo, tessere la rete dei raffronti, determinare
rapporti, giungere alla cognizione del vero concetto dei periodi architettonici.
Tanto più era un siffatto lavoro necessario pel decoro di Messina,
ora o non più, poichè ancora è possibile seguirne
i singoli elementi che il disastro del 1908 ha sconvolto e la paziente
ricostruzione odierna ha rimesso insieme, mentre che in avvenire la
inevitabile confusione tra il nuovo ed il vecchio ostacolerà
tale lavoro ordinatore delle nostre cognizioni. Appunto per tal fine
sarebbe da auspicare che da parte della R. Sovrintendenza ai Monumenti
della Sicilia, ed in particolare dal chiaro comm. Valente, che tante
cure ha dedicato alla resurrezione del monumento, non si facesse attendere
uno studio documentario che rendesse conto delle fasi del grande lavoro
compiuto e, con la minuta precisione di un inventario notarile, desse
ragione agli studiosi dei ritrovamenti e della disposizione antica e
nuova degli elementi suindicati.
Nel volume del Bottari, si susseguono i capitoli aventi per soggetto
«Il Monumento nelle sue forme e nel suo organismo architettonico»,
il soffitto, i musaici, l’«Apostolato», le sculture
e gli altri elementi della decorazione e della suppellettile, il tesoro
ed il campanile già esistente, la cui forma ci è indicata
dalle incisioni del Lerthault e del Sicuro: tema quest’ultimo
di speciale importanza ora che s’intende procedere ad una ricostruzione,
la quale dovrà essere accuratamente studiata e vagliata.
Aggiunge pregio al lavoro, la pubblicazione di una interessantissima
lettera del chiaro prof. Calandra che, con alta competenza, riassume
le questioni stilistiche facenti capo alla edificazione della cattedrale,
in quella prima fase che i distacchi e gli scrostamenti dovuti al terremoto
hanno inattesamente messo in luce. Egli giustamente definisce tale fase
lontana da quello stile, misto di arabo e di bizantino, che abitualmente
vien detto normanno-siculo, ed appartenente invece ad una corrente di
carattere latino affine piuttosto alla scuola architettonica fiorente
nelle grandi chiese pugliesi, specialmente in quella di Trani, che con
la cattedrale di Messina ha notevolissimi rapporti nella planimetria
e nella interna conformazione.
Anche il Calandra affronta nella sua lettera il tema grave del restauro
testè eseguito, questione codesta molteplice come è molteplice
il monumento. Invero il ripristino, o per meglio dire, la ricostruzione
del Duomo di Messina ha rappresentato ma delle opere più grandiose
ed ardue che mai siano state eseguite in questo campo, poichè
le specialissime condizioni tecniche dovute alla necessità di
creare un organismo asismico si sono incontrate con le esigenze date
dallo schema architettonico basilicale, con la ricomposizione degli
elementi decorativi ricuperati; e la stessa complessità del monumento,
vero palinsesto di diverse espressioni costruttive ed artistiche, deve
aver presentato ad ogni passo quesiti di diversissimo ordine. Ed è
naturale che studiosi come il Calandra ed il Bottari si addolorino per
la conseguente mancanza di autenticità di molti elementi, ed
anche pel carattere rigido e freddo che il monumento ha assunto; ma
erano tali inconvenienti inevitabili quando si è voluto - e non
era possibile volere altrimenti - il monumento “dov’era
e com’era”.
Ritornando a1 contenuto del volume del Bottari, occorre segnalare la
copia e l'importanza del materiale illustrativo raccolto, nel cui ordinamento
tuttavia (come lo stesso A. riconosce nella prefazione) si risente la
fretta con cui il lavoro è stato pubblicato per giungere in tempo
alla data fissa della inaugurazione. È un lieve difetto che una
seconda edizione, più accurata e completa, potrà agevolmente
correggere.
G. GIOVANNONI
ING. LUIGI NARDUCCI: Prontuario pel calcolo e 1'esecuzione del cemento
armato nelle costruzioni civili. - Ed. Lattea e C., Torino 1930.
Questa nuova edizione del prontuario dell’Ing. Narducci, uscito
recentemente pei tipi delle edizioni Lattes, unisce al pregio di una
grande chiarezza e semplicità quello di raccogliere in breve
esposizione quanto può servire ad un tecnico per il calcolo di
qualsiasi struttura in cemento.
Premesse in una prima parte brevi e utilissime considerazioni sulle
qualità e sull’uso dei materiali impiegati nelle costruzioni
in cemento armato, l’Autore riepiloga nella seconda parte quelle
formule e quelle teorie che sano indispensabili al calcolo di ogni struttura
resistente; particolarmente efficace è la parte riguardante la
ricerca delle reazioni iperstatiche.
Nella terza e quarta parte l’autore illustra ampiamente l’uso
di dette formule portandone numerosi esempi.
P. FERRERO
CLAUDÈ I. W. MESSENT. - The old cottages and farmhouses of Norfolk.
Norwich: H. W. Hunt 1928.
Intento del libro è illustrare le vecchie case di campagna ancora
numerose nel Noufolk, alcune delle quali minacciano però di andare
rapidamente in rovina e di essere sostituite da nuove costruzioni, spesso
assai meno belle e pittoresche.
La vasta materia è raccolta in vari capitoli, secondo i materiali
adoperati e la destinazione degli edifici. Sono così esaminate
successivamente le costruzioni in laterizio, in pietra silice, in blocchi
di argilla, in carstone, speciale varietà di arenaria largamente
diffusa nella regione, in legname, e infine quelle nelle quali i vari
materiali sono adoperati simultaneamente. Negli ultimi due capitoli
sono le originali e grandiose colombaie in forma di padiglione a pianta
centrale (circolare, quadrata, ottagona) e le vecchie botteghe dei villaggi,
caratterizzate dalle vetrate sporgenti a «bow-window», che
costituiscono una nota veramente peculiare delle vecchie strade inglesi.
Di ciascun materiale è descritto con esattezza il modo di preparazione
e d’uso; di ciascuna casa sono enunciate nel testo le caratteristiche
ed è presentato, in nitidi schizzi dell’autore, il pittoresco
aspetto esterno.
Si può dire anzi che la parte più attraente dell’opera
siano le numerosissime illustrazioni, consistenti in disegni sintetici
e precisi, eseguiti con chiara visione delle particolarità più
salienti da mettere in vista e senza eccessive ricerche di effetti pittorici.
Non possiamo però fare a meno di rilevare una mancanza che a
parer nostro toglie all’opera tanta parte dell’interesse
che essa avrebbe potuto destare anche fuori del suo paese, ed è
la assenza completa di qualsiasi accenno di pianta o di sezione. Tale
assenza tanto più ci stupisce nel libro di un architetto inglese,
in quanto è nota la originalità e la appropriatezza con
le quali nelle case inglesi anche di minori pretese, sono risolti i
problemi relativi alle sistemazioni degli interni. Ci sembra quindi
impossibile che tante case, spesso movimentate nelle masse e nella distribuzione
dei pieni e dei vuoti, non presentino nelle loro soluzioni planimetriche
niente che sia degno di essere notato insieme con gli alzati relativi,
in modo di dar l’impressione completa dell’edificio. Crediamo
piuttosto che l’autore abbia preferito disinteressarsene per dare
maggiore importanza al valore paesistico delle vecchie costruzioni,
che al loro contenuto costruttivo. In ogni modo è da rimpiangere
che questo suo punto di vista abbia privato la sua opera veramente lodevole,
di un campo così interessante anche dal lato pratico.
G. ROSI
R. JOSEPHSON. - L'architecte de Charles XIII Nicodème Tessin
à la cour de Louis XIV. Paris et Bruselles. Les éditions
G. Van Oest. 1930.
Il nome di Nicodemo Tessin, “soprintendente alle costruzioni”
del Re Carlo XIII di Svezia, sonerà probabilmente nuovo alla
maggior parte dei lettori italiani. Eppure fu un artista illustre e
fecondo che lasciò durevole impronta nell’architettura
del suo paese con opere grandiose, fra cui principalissima il castello
reale di Stoccolma. Ma un singolare interesse egli acquista per noi
dal fatto che in lui l’architettura barocca italiana, e più
che altro quella del Bernini, trovò un seguace entusiasta, anzi
addirittura un intransigente imitatore, che la trapiantò coraggiosamente
sulle rive del Baltico e cercò di diffonderla con opere destinate
ad uscire dai confini della Svezia, in Danimarca e specialmente in Francia.
Il Tessin professò sempre per l’arte italiana, da lui studiata
amorosamente sul posto, una ammirazione tale che non vedeva salvezza
fuori di essa. E quando volle rispondere alle critiche mosse dagli artisti
francesi ai suoi progetti per il Louvre, ricorse agli esempi italiani
dai quali l’opera sua era derivata, accusando i propri accusatori
di non conoscerli abbastanza. Di Bernini in modo particolare pensava
che egli «per molti secoli non aveva avuto uguali e non sarebbe
facilmente giunto ad averne».
Ma fu proprio questa italianità che cagionò l’insuccesso
dei suoi progetti per il Louvre, come già era capitato al Bernini
stesso. La storia di quelli e di altri pure destinati alla Francia e
per la massima parte non eseguiti, è l’argomento della
recente pubblicazione del Josephson.
Dopo aver illustrato i rapporti passati fra il Tessin e gli artisti
francesi del suo tempo, Le Nôtre, Bérain, Mausard, l’autore
considera una per una le varie opere, cominciando dal Castello di Roissy-en-France,
che fu l’unico progetto dell’architetto svedese, messo in
esecuzione.
L’edificio, del quale oggi non testa nulla, seguiva il tipo comune
dei castelli francesi del ’6 e ’700, svolgentesi ad U intorno
a una spasiosa corte d’onore. Negli alzati presentava l’ordinamento
all’italiana costituito di un ordine comprendente due piani sopra
un pian terreno bugnato: invece dei tetti e degli abbaini «à
la Mansard», statue e balaustre coronavano il corpo teatrale dell’edificio.
Ma l’opera dalla quale Tessin attendeva la gloria e a cui consacrò
tutti i suoi sforzi fu la sistemazione del Louvre. Intorno al vecchio
castello parigino avevano già lavorato varie generazioni di sovrani
e di artisti: il cortile era un caratteristico esempio di architettura
francese del Rinascimento e una delle sue facciate si arricchiva del
famoso colonnato del Perrault. Il nostro artista, fece ben poco conto
di tante gloriose opere e nel 1704 presentò un progetto che trasformava
interamente il palazzo, incastrandovi al centro un cortile circolare
derivato come pianta dal palazzo vignolesco di Caprarola e come alzato
dalla basilica Palladiana di Vicenza. Le facciate esterne erano decorate
alcune con un ordine colossale comprendente pian terreno e piano nobile,
altre secondo il tipo già seguito per Roissy, del basamento bugnato
sormontato da un ordine. Il progetto, quantunque ricco di allegoriche
decorazioni allusive alle gesta del Re Sole, destò più
critiche che lodi, a causa specialmente dello scempio che faceva di
tutto il vecchio ordinamento del palazzo e del contrasto in cui si trovava
con le tradizioni della corte e dell’architettura francese.
Senza scoraggiarsi Tessin fece tesoro delle critiche mossegli e preparò
un secondo progetto che inviò in Francia nel 1714 nel quale fra
le altre modifiche, rinunciava al cortile circolare e dava grande importanza
a un solenne scalone d’onore che nell’altro mancava completamente.
Insieme con questo nuovo progetto mandò a Parigi quello per un
grande padiglione da erigersi nel parco di Versailles, detto «tempio
d’Apollo» e destinato a contenere un museo ed essere la
glorificazione dei maggiori artisti del passato. L’edificio come
pianta deriva direttamente dalla Rotonda del Palladio. Come alzati ne
differisce specialmente per lo sviluppo verticale della cupola che copre
la sala rotonda centrale, e che si eleva al disopra degli ambienti circostanti
in modo da ricever luce da un ordine di finestre che si aprono tutto
in giro.
I due progetti giunsero troppo tardi, giacché pochi mesi dopo
il vecchio Luigi XIV moriva senza averli neppure conosciuti. Del resto
essi erano già, ci si permetta la frase, passati di moda e sotto
i successori furono del tutto dimenticati.
Questa succintamente la storia dei progetti per la Francia del Barone
Nicodemo Terrin, storia che il Josephson illustra dettagliatamente con
magnifica copia di documenti, di considerazioni critiche, di illustrazioni
riproducenti schizzi originali, disegni e stampe. Le difficoltà
incontrate, le critiche e le gelosie suscitate dai progetti sono minutamente
descritte e accuratamente commentate. Tanta minuzia e tanto acume sembrano
quasi sciupati intorno a un argomento così limitato e astratto,
qual’è lo studio di progetti non eseguiti e attualmente
incompleti.
L’edizione è veramente degna di lode per nitidezza, ricchezza
ed eleganza. Confessiamo che davanti a tanto sfarzo di pubblicazione
non si può fare a meno di pensare malinconicamente che da noi
in un vasto campo di studi del genere, ma ben più sostanziali
e proficui, è ancora tutto da fare.
G. ROSI
LOUIS BLANC. - Le fer forgé en France. - La Regénce. Les
editions G. Van Oest. Paris, Bruxelles.
Non si tratta di una storia o di un saggio critico su l’arte
del ferro battuto in Francia nella prima metà del secolo XVIII,
ma di una bella e ricca raccolta di incisioni della stessa epoca, scelte
fra quelle che gli artisti stessi facevano eseguire delle loro opere
e pubblicavano per incremento della propria fama.
È noto lo sviluppo che l’arte del ferro ebbe in Francia
fino dal sec. XVI, quando, con la trasformazione delle munite dimore
medioevali in ville e palazzi sontuosi, si diffuse l’uso di elementi
architettonici e decorativi nuovi, quali ringhiere, balconi, cancellate,
balaustre, ecc., nei quali il ferro si spogliava dell’aspetto
guerresco che aveva avuto fino allora per ingentilirsi in forme nuove,
attraenti e variate. Nel periodo successivo, specialmente durante il
regno di Luigi XIV, l’imponenza e la sontuosità caratteristiche
al «Grand Siècle» dell’arte francese, ebbero
degne espressioni anche nei lavori in ferro battuto, la cui caratteristica
principale fu la associzione di schemi ancora rigidi e geometrici con
elementi decorativi naturalistici e di famacia. Nel secolo successivo
questi ebbero il sopravvento, presero il posto degli elementi architettonici,
dei quali esano stati l’ornamento, sostituendo alla simmetria
e alla regolarità, la fantasia e l’imprevisto. Di questo
stile che trasse il nome di «rocaille» da quello delle rocce
artificiali di cui sembrava imitare le accidentalità e la irrequietezza,
si ebbero notevoli espressioni durante la Reggenza che seguì
il regno del Re Sole e che è il periodo di cui si tratta nel
libro del Blanc. Nel ferro battuto, la fantasia e il gusto di quel tempo,
trovarono un materiale adatto ad ogni più strana e tormentata
forma, grazie anche alla straordinaria abilità tecnica che in
quel campo era stata raggiunta. Basti l’esempio della ringhiera
dello scalone del Municipio di Nancy, opera di Jean Lemour, che consta
di un sol pezzo lavorato, e come lavorato, dello sviluppo di venticinque
metri! Si capisce che gli autori di opere di tanta mole e perfezione,
si elevavano dal rango di semplici artigiani a quello di artisti e di
industriali al tempo stesso, come è dimostrato dal titolo di
«serrurier du Roi» che spesso coronava la loro operosa carriera,
e dalle raccolte di nitide ed eleganti incisioni che essi stessi facevano
trarre dai disegni originali e dalle opere compiute.
Da tali raccolte sono tratte le illustrazioni dell’opera del Blanc:
la quale consiste principalmente in una copiosa rassegna di quei caratteristici
motivi decorativi in ferro battuto che rispecchiano con tanta vivacità
lo spirito e il gusto del ’700. Ringhiere, cancelli, cancellate,
balaustre di chiese, lampadari, candelieri, leggii, sostegni d’insegne,
borchie, rosoni, si susseguono mostrandoci insieme con lo sviluppo continuo
e concorde dell’arte comune, la diversità d’indole
degli artisti, i progressi della loro abilità, la originalità
della loro fantasia, la varietà delle forme e dei motivi secondo
i tempi e i bisogni.
La raccolta delle illustrazioni è preceduta dalle notizie biografiche
dei vari autori, e da un indice per categorie di soggetti che facilita
le ricerche. Nessun commento critico accompagna le biografie e i disegni;
il libro mantiene così il suo carattere esclusivo di enumerazione
di date e di rassegna di opere. Come tale esso è veramente riuscito
anche perchè la presentazione dei vari lavori sotto forma di
disegni, rende possibili raffronti sicuri più che non consentano
le raccolte di fotografie le quali, benchè spesso più
belle e suggestive, vi si prestano meno bene a causa delle deformazioni
dovute ora alla prospettiva, ora alla presenza di elementi estranei
più o meno pittoreschi, ora agli effetti di luce usuali o cercati
ad arte.
In questo senso il libro del Blanc ci sembra un buon esempio da seguire
nel campo delle pubblicazioni d’architettura e d’arte decorativa.
G. ROSI
CRONACA DEI MONUMENTI
PISA. - La Commissione Ministeriale per lo studio delle condizioni
statiche del campanile di Pisa ha recentemente concluso i suoi lavori,
dei quali è stata data qui più volte notizia; e la relazione,
redatta dall’Ing. Fascetti, è stata ai primi dello scarso
giugno consegnata a S. E. il Ministro dalla Educazione Nazionale.
La relazione ribadisce la necessità di adottare provvedimenti
di rinforzo, che arrestino l’andamento progressivo dell’inclinazione,
dimostrato ormai, senza nessun possibile dubbio, dalle precise misure
geodetiche compiute negli ultimi anni. Quanto ai rimedi, propone quello
delle iniezioni di cemento liquido nel sottosuolo, secondo i provvedimenti
che furono ampiamente sperimentati negli ultimi tre anni; e tali lavori
dovrebbero avere di mira sia il consolidamento del terreno in modo da
renderlo atto a sopportare la forte pressione che vi si esercita nella
zona immediatamente a valle del campanile, sia la maggior coesione da
ristabilirsi nella muratura stessa di fondazione, sia infine la semi
impermeabilizzazione del terreno nella corona intorno al campanile in
modo da impedire alla falda acquea di affiorare, come ora fa nel fossato
periferico.
È la relazione assai generica, e limitasi a fornire dati e descrizioni
del sistema delle iniezioni di cemento, senza soffermarsi sulle modalità
delle applicazioni, altro che per dire che queste dovrebbero avere carattere
di gradualità. Evidentemente deve la relazione stessa considerarsi
come programma di massima, a cui dovrà essere sostituito un vero
progetto tecnico di carattere definitivo redatto da persone di sperimentata
competenza, come richiede il tema, arduo per la complessità stessa
dell’argomento e per la responsabilità grande che fa capo
alla salvezza di un monumento insigne.
Forse il carattere ancora assai sommario della relazione è stato
dovuto alla necessità di comporre con formule generiche il dissidio,
di cui altra volta si è data notizia, manifestatosi tra la sotto
commissione degli studi di ordine statico, presieduta dal Prof. Camillo
Guidi e quella degli studi di ordine idraulico, presieduta dal Prof.
Gaudenzio Fantoli. Per la prima, la quasi unica causa del perturbamento
statico risiedeva nella scarsa compattezza del suolo e quindi nella
sua insufficiente resistenza specifica alla compressione: unico rimedio
quindi il consolidamento ottenuto con la trasformazione fisica. Per
la seconda la massima importanza era attribuita alla falda acquea corrente
nel sottosuolo ed alle sue oscillazioni recanti trasporto di particelle
e conseguente impoverimento del terreno: donde la necessità di
rendere il più possibile costante il livello delle acque freatiche
od almeno di diminuire l’afflusso, anche se con questo si fosse
dovuto in piccola parte colmare il fossato periferico e sotterrare un
tratto della base, audacemente scoperto dal Gherardesca nello scorso
secolo.
In realtà il fenomeno è assai complesso e non suscettibile
di una formula unica; o, per dir meglio, racchiude tutte le cause speciali
testè accennate e le unisco in modo irregolare. Il terreno sotto
al campanile è compresso e schiacciato in modo assai ineguale
(i geologi discutono ancora se il ripiegamento ivi constatato in alcuni
strati argillosi sia naturale o dovuto alla pressione); e può
quindi dare qualche dubbio sul suo comportamento immediato sotto le
azioni delle iniezioni cementizie, chè gli esperimenti fatti
si riferivano invece a terreno friabile ma omogeneo, cioè a strati
orizzontali e scevro dalle perturbazioni della massa incombente. Lo
stesso peso, di qualche centinaia di tonneltate, che le previste iniezioni
porterebbero nel sottosuolo, può a sua volta recare qualche perturbamento
statico a cui non si può trovarsi impreparati; e le variazioni
della falda acquea debbono anch’esse essere accuratamente previste,
sia che gli elementi estranei introdotti nel terreno le diano un diverso
sistema di circolazione, sia che addirittura tendano ad eliminarla quasi
che un nuovo grande pozzo circondasse la base del campanile.
Affinchè queste eventualità difficilmente valutabili nella
loro entità e nelle loro conseguenze lascino tranquilli sulla
stabilità del campanile al momento precario dell’attuazione,
non sarà mai abbastanza da insistere sul criterio, appena adombrato
nella relazione, della esecuzione graduale e quasi può dirsi,
indiretta. Più che volere immediatamente risolvere il tema con
una brusca trasformazione, è meglio assai aiutare il terreno
nella resistenza che naturalmente esercita; anzichè cioè
procedere ad iniezioni di cemento nella immediata vicinanza delle fondazioni,
è da eseguire in una corona di punti molto lontani, partendo
da valle, in modo che il costipamento avvenga di lato e non si costituisca
nel sottosuolo una barriera continua e rigida al movimento dell’acqua.
Ed intanto una regolare cementazione del canale anulare intorno alla
base della torre dovrebbe mantenere l’acqua stessa imprigionata
in basso, togliendo lo sconcio ora frequente dell’impaludamento
ed il pericolo derivante dall’esaurimento.
Dopo questa prima fase, una, che può casere molto lunga, di riposo
e di osservazioni, basate su di una serie sistematica di misure precise;
poi ma eventuale ripresa in un giro più ristretto, in modo da
rinserrare sempre più il terreno e la corona di fondamento.
Dovrebbe, in altre parole, il criterio da adottarsi per la torre pendente
di Pisa, essere in tutto consono a quello che vige per tutti i restauri
di consolidamento d’antichi monumenti, paragonabili a vecchi organismi
logori, a cui le cure eroiche possono essere di grave pregiudizio più
che di efficace sollievo. Solo un’opera paziente di rinforzo progressivo,
che segua sperimentalmente il progredire delle cause e gradualmente
vi contrasti, attraverso lunghe interruzioni di assestamento e precise
operazioni di controllo e di sorveglianza, può rappresentare
il metodo utile di cura. Non rinnovare radicalmente il sistema di equilibrio,
ma secondare le risorse già in atto rinforzando le resistenze:
questo deve essere l’andamento di quei restauri, ed in particolare
quello del campanile di Pisa, e forse mediante esso anche le difficoltà
finanziarie divengono sormontabili.
Non c’è dunque che da esprimere il voto che, terminato
ormai il lavoro delle tante Commissioni, si inizi subito, con alto senso
di responsabilità e con sicura coscienza del metodo da seguire
e dei mezzi da adottare, il periodo dei provvedimenti concreti.
G. GIOVANNONI
SINDACATO NAZIONALE ARCHITETTI
PAGINE DI VITA SINDACALE
AVVICENDAMENTO NELLA PRESIDENZA DELLA C.
N. S. F. P. A.
All’inizio del corrente mese, dopo molti ani di lavoro indefesso,
l’On. Giacomo Di Giacomo si è dimesso dalla carica di Presidente
della Confederazione Nazionale dei Sindacati Professionisti ed Artisti,
ed è stato sostituito da S. E. Bodrero, Commissario Straordinario,
al quale rivolgiamo il nostro saluto augurale.
Nella circostanza, vada all’On.le Di Giacomo 1’espressione
di riconoscenza degli architetti italiani, che alla sua opera illuminata
e tenace devono l’ormai compiuto inquadramento della classe e
la affermazione della figura dell’architetto tra i professionisti
italiani.
L’ALBO DEGLI ARCHITETTI TOSCANI
Primo fra tutti i Sindacati degli Architetti, quello toscano ha compilato,
per mano del suo infaticabile Segretario Regionale gr. uff. Ezio Cerpi,
il proprio Albo di categoria. Prende così sostanza, e trova il
suo documento definitivo, la legge del 24 giugno 1923.
La prima copia di quest’Albo è stata rimessa dal gr. uff.
Ezio Carpi al Segretario Nazionale del Sindacato Architetti, on. Alberto
Calza Bini che ha riposto in termini calorosi, felicitandosi del lavoro
compiuto.
INTENSA ATTIVITA DEL SINDACATO REGIONALE
DI TORINO
Il Sindacato Regionale del Piemonte continua a distinguersi per l’intelligente
ed efficacie attività in ogni ramo dell’architettura. Vada
lode di ciò al Segretario Regionale Arch. Armando Melis, ch’è
anche rappresentante della Classe alla Camera corporativa, ed ai componenti
tutti del Sindacato piemontese: diamo qui relazioni dei più importanti
avvenimenti svoltivi nel mese di novembre in seno al sodalizio.
L’ASSEMBLEA PER L'ELEZIONE DELLE CARICHE
SINDACALI A TORINO
La sera del 15 novembre c. a. si è tenuta nella sala del Sindacato
Regionle Fascista Architetti del Piemonte, l’Assemblca Generale
per l’elezione del Segretario Regionale, del nuovo Direttorio
e dei tre Revisori dei Conti.
Presenziava l’Assemblea il Segretario Nazionale, On.le Calza Bini,
appositamente giunto da Roma, e l'Ispettore Nazionale Prof. Pietro Corgolini.
L’Arch. Armando Melis, Segretario uscente, fece un’esauriente
relazione sull’opera svolta dal Sindacato, sia nel campo strettamente
sindacale e professionale, sia nel campo culturale. Parlò delle
cordialissime relazioni esistenti con i Sindacati affini, ossia degli
Ingegneri e degli Artisti, accennò a qualche contrasto sorto
col Sindacato dei Geometri, tratteggiò i rapporti esistenti con
i Comuni e con le Provincie. Non sempre l’opera è facile
e i risultati sono soddisfacenti, ma occorre aver fede ed insistere
in una tenace e quotidiana opera di propaganda che, esercitata con dignità
e con misura, non può tardare a raggiungere gli scopi che gli
Architetti si propongono nell’interesse della categoria e dell’arte.
L’Arch. Melis, continuando, parlò dell’attività
svolta dal Sindacato nel campo culturale e con la viva partecipazione
degli Architetti Torinesi all’Esposizione del 1928, con la Prima
Mostra d’Architettura tenuta nello stesso anno nella riuscitissima
«Casa degli Architetti», infine con la partecipazione di
un numeroso gruppo di colleghi all’organizzazione di 5 sale nella
recente Mostra d’Arte Decorativa a Monza. Da segnalare ancora
le numerose conferenze tenute nel locale della sede; l’attivissima
opera svolta per la Scuola Superiore di Architettura di Torino; l’attività
del Gruppo Urbanisti, concepito giustamente come diretta filiazione
del Sindacato, nel campo degli studi e nell’azione per la risoluzione
dei problemi cittadini; infine la fondazione del Centro Torinese dell’Istituto
Nazionale di Urbanistica di Roma, che sorto per primo in Italia, dà
fondate speranze di riuscire tra i più attivi e bene organizzati.
L’Arch. Melis chiuse la sua chiara relazione con un breve riassunto
della situazione finanziaria e patrimoniale.
L’On.le Segretario Nazionale che prese subito dopo la parola,
vivamente si rallegrò dell’opera svolta dal Segretario
Arch. Melis, pronunciando parole di lode e di ringraziamento all’indirizzo
della seria, fattiva ed organica attività del Sindacato. Illustrò
questioni generali riguardanti la vita e l’organzazione dei Sindacati
e mise in evidenza l’importanza dell’Assemblea che, prima
fra tutti i Sindacati della Confederazione dei Professionisti ed Artisti,
procedeva alla elezione delle cariche sociali secondo le disposizioni
del nuovo Statuto.
Parlarono in seguito l’Arch. Ceradini salutando l’On.le
Segretario Nazionele a nome della R. Scuola Superiore di Architettura
di Torino e l’Arch. Levi Montalcini mettendo in rilievo l’opera
personale del Segretario Arch. Melis.
Procedutosi infine alle votazioni a mezzo di scheda segreta risultarono
eletti: a Segretario Regionale l’Arch. Melis, a Membri del Direttorio
gli Architetti Cento, Levi Montalcini, Midana, Mosso e Vallano, a Revisori
dei Conti gli Arch. Costantini, De Regie e Dezzutti.
Prima disciogliersi l’Assemblea, su proposta dell’On.le
Calza Bini, deliberava di inviare un telegramma di deferente saluto
all’On.le Di Giacomo e a S. E. Botrero, attuale Commissario alla
Presidenza della Confederazione dei Professionisti ed Artisti.
Nella mattinata dello stesso giorno l’On.le Calza Bini accompagnato,
dall’arch. Melis si era recato a visitare S. E. il Prefetto, il
Sig. Podestà, il Segretario Federale del P.N.F. e la Regia Scuola
Superiore di Architettura.
LA COSTITUZIONE DEL CENTRO TORINESE DI
STUDI DELL’ISTITUTO NAZIONALE D’URBANISTICA
Le sera del 5 novembre u. s. ad iniziativa del Sindacato Regionale
Fascista Architetti e dal Sindacato Provinciale Fascista Ingegneri,
nella sede dei due Sindacati, fu tenuta una riunione per la fondazione
della sezione di Torino dell’Istituto Nozionale d’Urbanistica.
Parteciparono alla seduta, oltre ai soci dei gruppi Urbanistici, Architetti
ed Ingegneri, numerosi Soci dei due Sindacati ed un folto gruppo di
studiosi di materie legali, amministrative, statistiche ed igieniche.
Significativo l’intervento di molti funzionari municipali e la
simpatica adesione del Sig. Podestà di Torino, che volle farsi
rappresentare alla seduta delegando il V. Podestà, Ing. Silvestri,
il quale essendo anche Commissario del Sindacalo Ingegneri, presiedette
la riunione.
L’Ing. Silvestri, salutato i convenuti, portò l’adesione
delle Autorità e mise in evidenza l’importanza dell’iniziativa
per il fatto anche di essere una delle prime, se non la prima. che sorge
in Italia e che dovrà servire di modello alle altre che si stanno
organizzando.
L’Arch. Melis, Segretario Regionale del Sindacato Architetti,
illustrò più diffusamente l’origine, gli scopi e
l’attività che dovrà svolgere il centro Torinese.
Parlò del movimento urbanistico in Italia e all’estero,
delle scuole, della propaganda e delle esposizioni urbanistiche che
si tengono all’estero, dei collegamenti che si possono stabilire
con i Soci dei gruppi urbanistici, con i Comuni, con gli Enti banditori
di concorsi; dell’opera di consulenza che l’Istituto potrebbe
utilmente svolgere, degli studi infine che sarebbe urgente di iniziare
per organizzare tutta la materia specialmente tecnica e legale, mancante
ancora in Italia di una solida inquadratura urbanistica.
L’Arch. Melis propose, per ragioni di ordine e di speditezza,
di creare quattro sottosezioni: quella degli Architetti (edilizie e
architettura) degli Ingegneri (tecnica stradale e impianti) dei Legali
e degli Igienisti.
Il Consiglio Divenivo composto di tre o quattro rappresentanti di ciascuna,
delle sottosezioni, dorrebbe anzitutto iniziare lo studio di un Regolamento
interno che presenterà all’approvazione della prossima
Assemblea, elaborando nello stesso tempo un piano di studi da proporre,
annessi al Regolamento, all’approvazione del Centro di Roma.
Con l’approvazione dell’Assemblea furono nominati a far
parte del Consiglio Direttivo i seguenti membri:
Gruppo per l’Architettura: Arch. Armando Melis de Villa, Segretario
Regionale del Sindacato Architetti; Arch. Pietro Botta; Arch. Alessandro
Molli; Arch. Annibale Rigotti.
Gruppo per l'Ingegneria: Ing. Euclide Silvestri, Commissario del Sindacato
Ingegneri; Ing. Giovanni Gazzera; Ing. Giuseppe Momo; Ing. Alberto Pozzo.
Gruppo legale: Dott. Camillo Cay, Segretario Generale del Comune di
Torino; Avv. Rino Falconio; Avv. Paolo Ramello.
Gruppo igienisti: L’Ufficiale Sanitario del Comune di Torino
Prof. Dott. Arnaldo Maggiora Vergano; Prof. Dott. Mario Ponzo.
INSEDIAMENTO DEL CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE
DELLA R. SCUOLA SUPERIORE DI ARCHITETTURA
DI NAPOLI
Il 7 novembre u. s. si riunì per la prima volta il Consiglio
di amministrazione dalla R. Scuola Superiore di Architettura. Intervennero
il presidente, on. Mattia Limoncelli, ed i componenti: avv. comm. Luigi
Laccetti, rappresentante il Comune di Napoli, ing. conte Francesco Gaetani
di Laurenzana, per l’ammisuazione provinciale; ing. Oscar Orefici
per il Banco di Napoli; ing. comm. Angelo Cosenza per il Consiglio provinciale
della Economia; ing. comm. Giuseppe Cenzato per la Società Meridionale
Elettrica: ing. cav. Michele de Angelis per il Comune di Salerno; ing.
Carlo Montedoro per il Comune di Bari; ing. comm. prof. Domenico De
Francesco per l’Unione Industriale Fascista; avv. Alberto D’Ambrosio
per la Confederazione Nazionale di Professionisti ed Artisti.
Il Presidente, on. Limoncelli, rivolse fervidi ringraziamenti a tutti
gli intervenuti, rappresentanti degli Enti che hanno contribuito per
l’istituzione di questa Scuola di alta coltura. Ricordò
l’opera di S. E. Castelli e rivolse un caloroso saluto all’on.
arch. Calza Bini. Direttore della Scuola medesima.
Risposero i consiglieri Cosenza, De Francesco. Mantedoro e Orefici elogiando
l’istituzione della Scuola. e rivolgendo calde parole all’on.
Calza Bini, instancabile propugnatore dell’Arte architettonica
in Italia.
L’on. Calza Bini, infine, ringraziò tutti.
Il Consiglio, dopo la trattazione di affari di regolare amministrazione,
redasse. telegrammi di omaggio a S. E. l’Alto Commissario, a S.
E. il Ministro, a S. E. Paribeni, Direttore Generale delle Antichità
e Belle Arti, ed al comm. Raimondo D'Aronco.