LAVORI DI LAUREA NELLA SCUOLA SUPERIORE
D’ARCHITETTURA DI ROMA
La R. Scuola d’Architettura di Roma è entrata nel nono
anno della sua vita non ingloriosa, che ha segnato, dapprima in Roma
e poi in altri centri d’Italia, la ripresa piena di quella preparazione
adeguata degli architetti che alfine riporterà l’Architetto
al suo posto ed al suo grado nella vita moderna della Nazione: non più
nascosto da altre figure professionali, ed umiliato dalla stessa incompletezza
della sua coltura, ma atto ad affrontare tutti i temi della costruzione
civile e dell’arte applicata alla vita.
Ed infatti in questa e nelle altre istituzioni analoghe che vanno sorgendo
comincia a formarsi una generazione di giovani magnificamente preparati
agli ardui problemi moderni di tecnica e di arte che fanno capo all’architettura
italiana; e tecnica ed arte rappresentano per essi armoniche manifestazioni
d’un pensiero unico, non più elementi antitetici ed incompatibili,
come sembravano ai vecchi preconcetti ed alle vedute limitate ed unilaterali.
L’esperimento di questo primo periodo ha mutato in pieno accordo
l’apparente dissidio tra il misurato cammino della preparazione
scientifica e l’ardito volo della creazione artistica, creatrice
degli spazi, delle masse, degli ornati.
Certo, come ha giustamente asserito il Direttore della Scuola., prof.
Giovannoni, nel suo discorso inaugurale, molto lavoro è ancora
da compiere per elevare l’insegnamento dell’Architettura
alla sua vera posizione. Manca un vero coordinamento tra le varie Scuole
in questi ultimi anni fondate, sicchè in parte continua l’antica
confusione; ancora mal rispondono ai loro scopi i Licei artistici che
erano stati creati per dare adito alla Scuola di Architettura; ancora
deve svolgersi un assiduo lavoro di persuasione e di propaganda presso
il pubblico e presso i pubblici enti per dar loro esatta nozione della
serietà e dell’importanza di questi studi e togliere la
deplorevole diffidenza che permane verso i giovani architetti, considerati
ancora, secondo il vecchio pregiudizio, non come coloro che studiano
l’organismo utile, saldo, armonico degli edifici pubblici e privati,
ma come i disegnatori di facciate complicate e costose; sono ancora
deficienti i mezzi didattici e sovratutto per la Scuola di Roma (che
deve reggere al confronto delle tante istituzioni straniere che le varie
nazioni mantengono nell’Urbe) è deplorevolmente angusta
ed indecorosa la sede; manca infine intorno alla Scuola quel centro
di coltura che la completi e la elevi e che potrà forse ottenersi
sia creandovi un centro di insegnamento superiore in vari rami delle
discipline artistiche o storiche, sia accostandola ai circoli di coltura
dei Sindacati degli Architetti ed avvicinandola così alla vita
professionale.
Tutte queste lacune si colmeranno col tempo; è ben naturale che
una giovane istituzione si costituisca e si affermi con un lento lavorio
di penetrazione e di assestamento. Solo è da domandare - e siamo
certi di non domandarlo invano - che il Governo Nazionale segua con
interessamento questo lavorio, pel quale l’Architettura italiana
riprenderà il posto altissimo che ha sempre avuto non solo nella
vita nazionale, ma in quella mondiale. Senza indugiarsi a pensate di
ritornare ad istituzioni sorpassate, noi siamo certi che il Ministro
della Istruzione vorrà imprimere un ritmo fascista a queste istituzioni
nuovissime che riprendono e fanno nuovamente germogliare la più
antica e gloriosa delle tradizioni italiane.
Questo ampio preambolo può sembrare sproporzionato al limitato
argomento di questo articolo, che è quello di far conoscere due
dei migliori progetti presentati nello scorso novembre dai laureandi
della Scuola d’Architettura di Roma; ma così non è,
perchè un unico concetto anima la segnalazione delle esigenze
e delle condizioni di vita e di sviluppo di questi istituti, e quella
dei risultati concreti che da essi si ottengono.
I due progetti di cui ora diamo pubblicazione, sono l’uno del
giovane architetto Luigi Vietti, che con esso ha riportato il massimo
dei voti (110 su 110) e la lode, l’altro del giovane architetto
Tullio Rossi, che ha ottenuto voti 110 su 110. L’uno e l’altro
sono sviluppati su tema preciso e concreto per condizioni intrinseche
di programma e per condizioni d’ambiente, e rispondono così
alla consuetudine didattica della Scuola d’Architettura di Roma,
lontana dai temi accademici generici e vacui che in passato tanto hanno
contribuito a tener distaccata dalla vita la preparazione artistica
dell’Architettura.
È interessante notare come ambedue i laureandi, ora laureati,
abbiano affrontato con piena consapevolezza argomenti, tra loro analoghi,
di rispondenza con un carattere ambientale dato da una bellezza naturale
mirabile: sul Lago di Como l’uno, sul golfo di Rapallo l’altro.
E li hanno ottimamente risolti con lo studio delle masse, che sembrano
quasi naturalmente sorte, con la semplicità estrema delle linee
architettoniche, e, per quanto riguarda il Vietti, con una felicissima
ispirazione alle forme di decorazione e di Architettura minore fiorite
nella regione e che ne rappresentano la permanente espressione di etnografia
artistica, talora applicata a costruzioni popolari, talora tendente
ad aristocratizzarsi in ville, in chiese, in fontane.
Così mentre fervono le discussioni oziose, e spesso accademiche
anch’esse, tra tradizionalisti e rivoluzionari, tra costruttivisti
ed espressivisti, tra teorici e realizzatori, ecco due giovani, che
con bella e spontanea freschezza aprono porte a finestre all’arte
pura della campagna, al canto dell’Arte semplice: che è
antica, ma sempre giovanissima poichè si rinnova come i fiori
del prato, è concreta senza avere nulla di arzigogolato, di artificioso,
di filosofico, ed è sopratutto vivacemente italiana. I due gruppi
di edifici immaginati sulle sponde del Lario o sul promontorio ligure
sembra che ci siano sempre stati ed armonizzano con la natura come vecchi
amici; ma insieme rispondono alle più complete e raffinate esigenze
della vita moderna.
Il progetto del Vietti è di un albergo di soggiorno e di riposo
a Cernobbio: l’albergo non è pensato come edificio unitario,
alla guisa degli enormi alveari umani che tanto spesso deturpano i nostri
migliori paesaggi alpestri; ma invece come un piccolo paese, a case
distaccate, pur collegate l’una all’altra con passaggi coperti,
sicchè sia agevole da esse l’adito ai luoghi di ritrovo,
alle sale da pranzo, ecc.
Il progetto del Rossi invece riguarda la sede di un Club di sports marini
a S. Michele di Pagana, e svolge tutta la sistemazione delle strade
e dei giardini di un piccolo promontorio, su cui sono disposte le costruzioni
per il Club e cioè l’edificio principale della Sede, gli
alloggi per i soci e per i marinai, i capannoni di ricovero per le imbarcazioni,
le tribune per gli spettatori, i garages, campi di tennis, e via via
tutti gli impianti sussidiari, come fari, scali, cantiere per riparazioni,
ecc.
In tutti e due i lavori è un senso di freschezza che testimonia
la sanità delle fonti a cui i due giovani hanno attinto e che
fa presagire un buono sviluppo nella loro produttività.
Ma su queste belle e promettenti qualità come anche sulle analitiche
caratteristiche dei progetti non è davvero il caso di indugiarsi
in inutili commenti. Basta rinviare il lettore alle illustrazioni che
riproducono i principali elementi dei due progetti e che meglio di ogni
frase ne dicono i pregi principali; quelli cioè di essere lontani
da ogni accademia pur uscendo da una scuola.
FRANCESCO LURAGHI.