LA CASA MADRE DEI MUTILATI IN ROMA
dell’Architetto MARCELLO PIACENTINI
Anche di questo edificio dell’Architetto Marcello Piacentini,
inaugurato nello scorso novembre in occasione del decennale della Vittoria,
vennero offerti su riviste e giornali vaste riproduzioni ed analisi
estetiche dovute ai più noti critici d’arte. Noi dunque,
nel presentare dell’illustre artista condirettore della nostra
Rivista, la più recente opera, che d’altronde è
ormai presente alla mente di tutti, ci limiteremo, oltre l’esauriente
documentazione grafica e fotografica, a dire poche cose circa i caratteri
obbiettivi.
Il perimetro planimetrico dell’edificio ha la forma di un grande
triangolo con vertice tronco verso la piazza Cavour. L’ampia smussatura
di questo vertice costituisce la fronte principale ed in essa s’apre
l’ingresso monumentale. Dalla fronte posteriore sporge oltre il
perimetro triangolare un’abside semi-circolare.
Riservandoci di parlare in seguito della distribuzione interna degli
ambienti, premettiamo alcuni chiarimenti sul carattere architettonico
dell’opera: in essa è evidente anzitutto il senso della
monumentalità, nonostante le modeste proporzioni planimetriche
(superficie coperta mq. 1650) ed altimetriche, e nonostante lo schiacciante
confronto delle vicine formidabili masse della Mole Adriana e del Palazzo
di Giustizia. Tale senso di monumentalità vittorioso dell’angustia
della materia e delle sue necessità pratiche, emerge dal fecondo
e sapiente uso dei ritmi nella distribuzione delle masse dotate di valore
decorativo, e dal gioco delle proporzioni tra coteste masse e l’insieme
della fabbrica. Così ad esempio, nel fianco, dei cinque assi
di aperture indispensabili praticamente a rendere luminoso l’interno,
i quali, se tutti sfruttati architettonicamente, avrebbero potuto render
simile l’edificio ad una casa di abitazione, ne vediamo scelti
solo tre agli effetti decorativi, in corrispondenza ai quali le finestre
sono dotate di proporzioni larghe e la loro incorniciatura marmorea
di plastica severa ed imponente, mentre gli altri due assi son dotati
di aperture per quanto è possibile piccole e del tutto nude,
che scompaiono nella parete. In tal caso il senso di monumentalità
è dato appunto dal rapporto tra la massa bruta della parete e
la parsimonia e la grandiosità dei centri eletti a rappresentarne
il valore decorativo. Analogamente, nel prospetto principale, un grande
motivo architettonico di portale si slarga ad occupare quasi tutta la
superficie, abbracciando anche le finestre del secondo piano. Ancora,
a coronare l’edificio, un largo fascione occupa tutto lo spazio
relativo all’altezza delle finestre del terzo piano, facendo unico
motivo con la cornice terminale e contribuendo con la maestosità
della sua proporzione in rapporto con l’altezza totale dell’edificio,
ad accentuare il senso di monumentalità.
L’architettura d’insieme della fabbrica reca vigorose impronte
personali non disgiunte da sani contatti con valori storici e ambientali,
specialmente volumetrici e sostanziali.
Così si sente nell’edificio una certa affinità di
sensibilità e di spirito, più che di linea, con certe
fortèzze sangalliane: ad esempio nelle due torrette circolari,
stagliantesi nel cielo ai lati del prospetto principale, negli smussi
angolari del perimetro, nel rinforzo a scarpata che fascia il pianterreno,
in certi aspetti della cornice di coronamento.
La nudità d’ogni zona dell’edificio, in cui le parti
più nobili e sporgenti dei prospetti sono di travertino ed i
fondi di tufetti a faccia vista rustica, la semplicità e la parsimonia
delle sagome, la severità, maschilità e quadratura dell’insieme,
risvegliano sensazioni che hanno nello stesso tempo del militare e del
religioso. Una delle caratteristiche più spiccate della fabbrica
consiste nel fatto che in essa la decorazione è scrupolosamente
architettonica e costruttiva, cioè essenziale e senza alcuna
finzione di materia.
La fabbrica ospita un seminterrato sopraelevato sul piano stradale di
m. 2,50: sopra si trovano il pianterreno, un primo e un secondo piano:
nella parte frontale e aggiunto un parziale terzo piano.
La pianta è semplicissima.
Dal grande portale si accede al vestibolo ove in due nicchioni laterali
si elevano le erme dei martiri Paolucci Di Calboli e Giordani, scolpite
da Adolfo Wildt. Il vestibolo è rivestito di pietra d’isola
Farnese: il suo pavimento è di granito e porfido.
Dal vestibolo una galleria mette a sinistra e a destra agli uffici del
piano terreno destinati alle Segreterie delle Pensioni, dell’
Organizzazione e dell’Assistenza; mentre al centro si apre l’atrio
e sale il grande scalone di onore la cui rampa iniziale si sviluppa
sull’asse per poi dividersi in due bracci simmetrici che si ricongiungono
al primo piano sopra l’ingresso: i suoi scalini hanno la superficie
di granito nero e sono fasciati in elevazione di granito macchiato più
chiaro: sopra i gradoni che orlano la scala grossi corrimano in marmo
nero di Mori sono sorretti e legati da volute e mensole di bronzo. In
basso le pareti dell’atrio sono rivestite di bugne scalpellate
in bardiglio scuro compatto mentre in alto le cuopre una cortina di
mattoni finissimi gialli disposti secondo disegni diversi e stratificati
per alcune zone a coltello, per altre in piano.
Le fasce e le piattabande come pure il grande portale dell’ingresso
al salone delle assemblee, che si apre in cima alla rampa iniziale,
sono in granito nero di Serizzo e di granito è pure il pavimento.
Per mezzo di altre due rampe discendenti, parallele ai bracci salienti
della scala, si scende al sottosuolo: all’apertura di queste due
rampe stanno due colonne in rosso di Francia che sostengono due candelabri
di bronzo.
Nelle sei nicchie ricavate nella cortina superiore dell’atrio
sono collocati sei grandi candelabri di Murano verde sostenuti da elementi
in bronzo.
Sopra l’ingresso al salone è incisa la frase di Mussolini:
QUI LA VITTORIA È VIVENTE
tra la cornice della porta ed un’alta nicchia rettangolare ove
è stato collocato un San Sebastiano del Dazzi in marmo statuario.
L’accesso al salone delle assemblee è chiuso da una porta
di bronzo, opera del Prini, la quale, come le porte delle grandi cattedrali
d’Italia, è divisa in grandi scomparti che contengono pannelli
in cui si illustra la passione del fante; detta porta è a due
battenti, larga due metri e alta quattro e ciascun battente reca cinque
scomparti rettangolari, tre più alti e due minori che separano
il primo dal terzo e il terzo dal quinto alternati. Negli scomparti
maggiori sono rappresentati in sintesi gli episodi generici e fondamentali
della guerra, nei minori quelli più intimi e secondari.
Ciascun pannello è racchiuso in riquadrature da cui spuntano
spine simboliche e borchie di fiori di passione.
Sempre sulla parete dell’atrio, sopra la zona del S. Sebastiano,
sono disegnate al centro delle tre pareti principali tre lunette di
marmo paonazzo sulle quali spiccano in bronzo: le tre spade con corona
di spine, emblema dell’Asscciazione, il Fascio, la Corona Ferrea
con scettro. Il soffitto è formato da lucernari di noce con fondi
luminosi in vetro opalescente.
Dalla porta di bronzo si accede al salone a cupola delle assemblee che
costituisce, anche come spazio, il vano principale dell’edificio.
La sua pianta è a forma di croce greca terminata nel lato di
fondo da un’abside circolare, orlata a sua volta da un porticato.
La parte centrale della sala è a livello della porta d’ingresso
mentre i lati si elevano di due gradini e il portico di fondo è
sollevato ancora di un altro gradino. Sopra l’ingresso di questa
vastissima sala è sospesa una breve balconata interna. Al centro
delle due pareti laterali altre due porte di bronzo eseguite dal prof.
Morbiducci si aprono verso due salette rotonde che mettono la sala in
comunicazione con le gallerie degli uffici. Tutto il salone è
largo 15 metri e profondo 23; l’altezza dal vertice della cupola
misura m. 14; fino a quattro metri circa sale una rivestitura di tufo
a grossi blocchi divisa a scomparti (di cui gli spigoli sono rinforzati
da blocchetti di botticino) da colonne incavate nel muro alla maniera
etrusca. Due fascioni di botticino separati da un fregio pure di tufo
costituiscono insieme capitello e cornice. Lungo il fregio sono scolpite
nella viva pietra, in corrispondenza delle colonne, varie teste di soldati
nei più diversi atteggiamenti veristici di esaltazione e di terrore:
elementi plastici con funzione decorativa-espressiva. Anche queste teste
sono opera del Prini.
Le porte sono intelaiate in piani e cornici semplicissime di porfido
sanguigno. Il pavimento a grandi scomparti è in botticino, in
nero e in verde di Roia.
Al disopra delle pareti di tufo sono stati voltati quattro arconi a
botte, dello spessore dei bracci della croce greca, i quali danno sostegno
alla volta a vela della cupola, tutta traforata a losanghe degradanti
con nervature sottilissime, come ha potuto permettere la struttura in
cemento armato: in ogni losanga è incastonata una vetrata opalescente
a punta di diamante. Di sera alcuni riflettori nascosti tra la volta
e il lucernario illuminano le punte di diamante con mirabile effetto.
Nel fondo del portico, dietro l’abside, si aprono cinque grandi
finestroni costruiti in acciaio, chiusi con lastre di onice d’Italia
detto unghia di Venere, disposte in disegni ricchi di effetti suggestivi.
Le pareti della vasta sala saranno tutte ricoperte, alla maniera delle
sale e delle cappelle del Rinascimento, da pitture a buon fresco, illustranti
gli episodi più salienti e drammatici della guerra. Per ora una
parte sola è terminata e divisa in sei quadri, opera del pittore
Santagata.
Nell’abside sono collocati i banchi della presidenza, dei segretari
e della commissione permanente, nella sala sono disposte le sedie dei
membri dell’assemblea. Questi mobili sono costruiti in noce, in
radica ed ebano. Nel centro del banco della presidenza lo stemma dei
mutilati, in argento, spicca come su un altare.
Dallo scalone si accede al primo piano dove si trova subito in corrispondenza
del sottostante vestibolo il salone del Consiglio. È rettangolare
e termina con due piccole absidi sui lati corti: sul lato lungo verso
lo scalone si aprono due porte e su quello di fronte il grande finestrone
a transenne che nella facciata risulta unito al sottostante portale
d’ingresso. I posti per i Consiglieri sono fatti a scanni e nel
fondo stanno i banchi dell’ufficio di presidenza. Le pareti sono
rivestite da un alto paramento di legno, come nelle sacrestie delle
vecchie chiese, arricchito, da Eduardo Del Neri, di intarsi di argomento
bellico e mistico. Nell’abside di fronte alla presidenza sono
allineate le effigi in argento dei sei martiri: Chiesa, Filzi, Battisti,
Sauro, Oberdan, Rismondo, i primi tre opera del prof. Papi e gli altri
tre del prof. Colla. Sopra le porte è appeso il grande trittico
della Eroica di Gaetano Previati.
Gli uffici si aprono lungo le gallerie del piano terreno e del primo
piano in numero di ventiquattro. Nello studio del Presidente un grande
quadro di Cipriano Oppo rappresenta David che uccide Golia.
Uffici e gallerie sono semplicissimi, con sobrie tinte distese sulle
pareti. Tutti i mobili, creati espressamente in armonia con l’architettura
dell’edificio sono semplici e di larga fattura.
Una scala secondaria conduce dall’ingresso di destra della facciata
posteriore al secondo piano, dove ha sede l’Opera Nazionale Invalidi
di Guerra.
Anche qui una galleria gira intorno ai tre lati, diremo frontali, dell’edificio
e disimpegna tutti gli uffici. All’Opera sono pure destinati gli
ambienti del parziale terzo piano. A mettere in comunicazione i vari
piani fra di loro ci sono anche due scale di servizio, mentre due rampe
che continuano, come abbiamo detto, dallo scalone principale, guidano
nel seminterrato al salone della biblioteca che occupa tanto spazio
quanto al piano terreno il salone delle assemblee. Non ostante il suo
collocamento nel sottosuolo il salone della biblioteca produce in chi
entra un effetto assai dignitoso e sufficientemente luminoso, come luminosi
sono gli altri locali che lo circondano, tutti in corrispondenza degli
uffici soprastanti.
Nella biblioteca è stata collocata una delle opere d’arte
più significative della Casa Madre: un grande bassorilievo di
marmo scolpito direttamente sul vivo da un cieco di guerra, lo scultore
Filippo Bausola intitolata “In Hoc Signo “, un vero commovente
miracolo di possibilità plastica.
N. D. R.