FASCICOLO X - GIUGNO 1929
N.D.R. : La Casa Madre dei Mutilati in Roma dell'arch. Marcello Piacentini, con 28 illustrazioni

LA CASA MADRE DEI MUTILATI IN ROMA

dell’Architetto MARCELLO PIACENTINI

Anche di questo edificio dell’Architetto Marcello Piacentini, inaugurato nello scorso novembre in occasione del decennale della Vittoria, vennero offerti su riviste e giornali vaste riproduzioni ed analisi estetiche dovute ai più noti critici d’arte. Noi dunque, nel presentare dell’illustre artista condirettore della nostra Rivista, la più recente opera, che d’altronde è ormai presente alla mente di tutti, ci limiteremo, oltre l’esauriente documentazione grafica e fotografica, a dire poche cose circa i caratteri obbiettivi.
Il perimetro planimetrico dell’edificio ha la forma di un grande triangolo con vertice tronco verso la piazza Cavour. L’ampia smussatura di questo vertice costituisce la fronte principale ed in essa s’apre l’ingresso monumentale. Dalla fronte posteriore sporge oltre il perimetro triangolare un’abside semi-circolare.
Riservandoci di parlare in seguito della distribuzione interna degli ambienti, premettiamo alcuni chiarimenti sul carattere architettonico dell’opera: in essa è evidente anzitutto il senso della monumentalità, nonostante le modeste proporzioni planimetriche (superficie coperta mq. 1650) ed altimetriche, e nonostante lo schiacciante confronto delle vicine formidabili masse della Mole Adriana e del Palazzo di Giustizia. Tale senso di monumentalità vittorioso dell’angustia della materia e delle sue necessità pratiche, emerge dal fecondo e sapiente uso dei ritmi nella distribuzione delle masse dotate di valore decorativo, e dal gioco delle proporzioni tra coteste masse e l’insieme della fabbrica. Così ad esempio, nel fianco, dei cinque assi di aperture indispensabili praticamente a rendere luminoso l’interno, i quali, se tutti sfruttati architettonicamente, avrebbero potuto render simile l’edificio ad una casa di abitazione, ne vediamo scelti solo tre agli effetti decorativi, in corrispondenza ai quali le finestre sono dotate di proporzioni larghe e la loro incorniciatura marmorea di plastica severa ed imponente, mentre gli altri due assi son dotati di aperture per quanto è possibile piccole e del tutto nude, che scompaiono nella parete. In tal caso il senso di monumentalità è dato appunto dal rapporto tra la massa bruta della parete e la parsimonia e la grandiosità dei centri eletti a rappresentarne il valore decorativo. Analogamente, nel prospetto principale, un grande motivo architettonico di portale si slarga ad occupare quasi tutta la superficie, abbracciando anche le finestre del secondo piano. Ancora, a coronare l’edificio, un largo fascione occupa tutto lo spazio relativo all’altezza delle finestre del terzo piano, facendo unico motivo con la cornice terminale e contribuendo con la maestosità della sua proporzione in rapporto con l’altezza totale dell’edificio, ad accentuare il senso di monumentalità.
L’architettura d’insieme della fabbrica reca vigorose impronte personali non disgiunte da sani contatti con valori storici e ambientali, specialmente volumetrici e sostanziali.
Così si sente nell’edificio una certa affinità di sensibilità e di spirito, più che di linea, con certe fortèzze sangalliane: ad esempio nelle due torrette circolari, stagliantesi nel cielo ai lati del prospetto principale, negli smussi angolari del perimetro, nel rinforzo a scarpata che fascia il pianterreno, in certi aspetti della cornice di coronamento.
La nudità d’ogni zona dell’edificio, in cui le parti più nobili e sporgenti dei prospetti sono di travertino ed i fondi di tufetti a faccia vista rustica, la semplicità e la parsimonia delle sagome, la severità, maschilità e quadratura dell’insieme, risvegliano sensazioni che hanno nello stesso tempo del militare e del religioso. Una delle caratteristiche più spiccate della fabbrica consiste nel fatto che in essa la decorazione è scrupolosamente architettonica e costruttiva, cioè essenziale e senza alcuna finzione di materia.
La fabbrica ospita un seminterrato sopraelevato sul piano stradale di m. 2,50: sopra si trovano il pianterreno, un primo e un secondo piano: nella parte frontale e aggiunto un parziale terzo piano.
La pianta è semplicissima.
Dal grande portale si accede al vestibolo ove in due nicchioni laterali si elevano le erme dei martiri Paolucci Di Calboli e Giordani, scolpite da Adolfo Wildt. Il vestibolo è rivestito di pietra d’isola Farnese: il suo pavimento è di granito e porfido.
Dal vestibolo una galleria mette a sinistra e a destra agli uffici del piano terreno destinati alle Segreterie delle Pensioni, dell’ Organizzazione e dell’Assistenza; mentre al centro si apre l’atrio e sale il grande scalone di onore la cui rampa iniziale si sviluppa sull’asse per poi dividersi in due bracci simmetrici che si ricongiungono al primo piano sopra l’ingresso: i suoi scalini hanno la superficie di granito nero e sono fasciati in elevazione di granito macchiato più chiaro: sopra i gradoni che orlano la scala grossi corrimano in marmo nero di Mori sono sorretti e legati da volute e mensole di bronzo. In basso le pareti dell’atrio sono rivestite di bugne scalpellate in bardiglio scuro compatto mentre in alto le cuopre una cortina di mattoni finissimi gialli disposti secondo disegni diversi e stratificati per alcune zone a coltello, per altre in piano.
Le fasce e le piattabande come pure il grande portale dell’ingresso al salone delle assemblee, che si apre in cima alla rampa iniziale, sono in granito nero di Serizzo e di granito è pure il pavimento.
Per mezzo di altre due rampe discendenti, parallele ai bracci salienti della scala, si scende al sottosuolo: all’apertura di queste due rampe stanno due colonne in rosso di Francia che sostengono due candelabri di bronzo.
Nelle sei nicchie ricavate nella cortina superiore dell’atrio sono collocati sei grandi candelabri di Murano verde sostenuti da elementi in bronzo.
Sopra l’ingresso al salone è incisa la frase di Mussolini:

QUI LA VITTORIA È VIVENTE

tra la cornice della porta ed un’alta nicchia rettangolare ove è stato collocato un San Sebastiano del Dazzi in marmo statuario.
L’accesso al salone delle assemblee è chiuso da una porta di bronzo, opera del Prini, la quale, come le porte delle grandi cattedrali d’Italia, è divisa in grandi scomparti che contengono pannelli in cui si illustra la passione del fante; detta porta è a due battenti, larga due metri e alta quattro e ciascun battente reca cinque scomparti rettangolari, tre più alti e due minori che separano il primo dal terzo e il terzo dal quinto alternati. Negli scomparti maggiori sono rappresentati in sintesi gli episodi generici e fondamentali della guerra, nei minori quelli più intimi e secondari.
Ciascun pannello è racchiuso in riquadrature da cui spuntano spine simboliche e borchie di fiori di passione.
Sempre sulla parete dell’atrio, sopra la zona del S. Sebastiano, sono disegnate al centro delle tre pareti principali tre lunette di marmo paonazzo sulle quali spiccano in bronzo: le tre spade con corona di spine, emblema dell’Asscciazione, il Fascio, la Corona Ferrea con scettro. Il soffitto è formato da lucernari di noce con fondi luminosi in vetro opalescente.
Dalla porta di bronzo si accede al salone a cupola delle assemblee che costituisce, anche come spazio, il vano principale dell’edificio. La sua pianta è a forma di croce greca terminata nel lato di fondo da un’abside circolare, orlata a sua volta da un porticato. La parte centrale della sala è a livello della porta d’ingresso mentre i lati si elevano di due gradini e il portico di fondo è sollevato ancora di un altro gradino. Sopra l’ingresso di questa vastissima sala è sospesa una breve balconata interna. Al centro delle due pareti laterali altre due porte di bronzo eseguite dal prof. Morbiducci si aprono verso due salette rotonde che mettono la sala in comunicazione con le gallerie degli uffici. Tutto il salone è largo 15 metri e profondo 23; l’altezza dal vertice della cupola misura m. 14; fino a quattro metri circa sale una rivestitura di tufo a grossi blocchi divisa a scomparti (di cui gli spigoli sono rinforzati da blocchetti di botticino) da colonne incavate nel muro alla maniera etrusca. Due fascioni di botticino separati da un fregio pure di tufo costituiscono insieme capitello e cornice. Lungo il fregio sono scolpite nella viva pietra, in corrispondenza delle colonne, varie teste di soldati nei più diversi atteggiamenti veristici di esaltazione e di terrore: elementi plastici con funzione decorativa-espressiva. Anche queste teste sono opera del Prini.
Le porte sono intelaiate in piani e cornici semplicissime di porfido sanguigno. Il pavimento a grandi scomparti è in botticino, in nero e in verde di Roia.
Al disopra delle pareti di tufo sono stati voltati quattro arconi a botte, dello spessore dei bracci della croce greca, i quali danno sostegno alla volta a vela della cupola, tutta traforata a losanghe degradanti con nervature sottilissime, come ha potuto permettere la struttura in cemento armato: in ogni losanga è incastonata una vetrata opalescente a punta di diamante. Di sera alcuni riflettori nascosti tra la volta e il lucernario illuminano le punte di diamante con mirabile effetto. Nel fondo del portico, dietro l’abside, si aprono cinque grandi finestroni costruiti in acciaio, chiusi con lastre di onice d’Italia detto unghia di Venere, disposte in disegni ricchi di effetti suggestivi.
Le pareti della vasta sala saranno tutte ricoperte, alla maniera delle sale e delle cappelle del Rinascimento, da pitture a buon fresco, illustranti gli episodi più salienti e drammatici della guerra. Per ora una parte sola è terminata e divisa in sei quadri, opera del pittore Santagata.
Nell’abside sono collocati i banchi della presidenza, dei segretari e della commissione permanente, nella sala sono disposte le sedie dei membri dell’assemblea. Questi mobili sono costruiti in noce, in radica ed ebano. Nel centro del banco della presidenza lo stemma dei mutilati, in argento, spicca come su un altare.
Dallo scalone si accede al primo piano dove si trova subito in corrispondenza del sottostante vestibolo il salone del Consiglio. È rettangolare e termina con due piccole absidi sui lati corti: sul lato lungo verso lo scalone si aprono due porte e su quello di fronte il grande finestrone a transenne che nella facciata risulta unito al sottostante portale d’ingresso. I posti per i Consiglieri sono fatti a scanni e nel fondo stanno i banchi dell’ufficio di presidenza. Le pareti sono rivestite da un alto paramento di legno, come nelle sacrestie delle vecchie chiese, arricchito, da Eduardo Del Neri, di intarsi di argomento bellico e mistico. Nell’abside di fronte alla presidenza sono allineate le effigi in argento dei sei martiri: Chiesa, Filzi, Battisti, Sauro, Oberdan, Rismondo, i primi tre opera del prof. Papi e gli altri tre del prof. Colla. Sopra le porte è appeso il grande trittico della Eroica di Gaetano Previati.
Gli uffici si aprono lungo le gallerie del piano terreno e del primo piano in numero di ventiquattro. Nello studio del Presidente un grande quadro di Cipriano Oppo rappresenta David che uccide Golia.
Uffici e gallerie sono semplicissimi, con sobrie tinte distese sulle pareti. Tutti i mobili, creati espressamente in armonia con l’architettura dell’edificio sono semplici e di larga fattura.
Una scala secondaria conduce dall’ingresso di destra della facciata posteriore al secondo piano, dove ha sede l’Opera Nazionale Invalidi di Guerra.
Anche qui una galleria gira intorno ai tre lati, diremo frontali, dell’edificio e disimpegna tutti gli uffici. All’Opera sono pure destinati gli ambienti del parziale terzo piano. A mettere in comunicazione i vari piani fra di loro ci sono anche due scale di servizio, mentre due rampe che continuano, come abbiamo detto, dallo scalone principale, guidano nel seminterrato al salone della biblioteca che occupa tanto spazio quanto al piano terreno il salone delle assemblee. Non ostante il suo collocamento nel sottosuolo il salone della biblioteca produce in chi entra un effetto assai dignitoso e sufficientemente luminoso, come luminosi sono gli altri locali che lo circondano, tutti in corrispondenza degli uffici soprastanti.
Nella biblioteca è stata collocata una delle opere d’arte più significative della Casa Madre: un grande bassorilievo di marmo scolpito direttamente sul vivo da un cieco di guerra, lo scultore Filippo Bausola intitolata “In Hoc Signo “, un vero commovente miracolo di possibilità plastica.

N. D. R.

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