FASCICOLO VII - MARZO 1929
UGO NEBBIA: Per la nuova decorazione a mosaico dell'Abside di S. Giusto a Trieste, con 13 illustrazioni
La Giuria ha dato il proprio responso, e siccome nessun dubbio sussiste, tanto sull’autorità di essa, quanto sulla passione per il venerando monumento a cui anzitutto s’è ispirata, così ricordiamo colla maggiore oggettività possibile i resultati conclusivi di tale giudizio, visto che anche in base ad esso l’augusto tempio sembra ora attendere quella consacrazione definitiva d’arte che, mentre dovrà rispondere al suo storico prestigio, dovrà rivelare, anche dal lato estetico e spirituale, l’indole dei tempi nostri.
L’impresa d’intonarsi ad un edificio come S. Giusto appare anche a priori tutt’altro che facile. Le caratteristiche su di esso lasciate dai diversi secoli risaltano per impronte sì varie e profonde, che il problema di conciliarne lo spirito col gusto dell’oggi, è tale da rivelar ancor più quel disagio stilistico dell’età nostra, che particolarmente si manifesta nell’arte sacra, dove sempre più palesi appaiono le difficoltà di partecipare in modo organico e convincente a monumenti di tale natura. Si sanno indubbiamente studiare, riprendere, intendere sotto il vario aspetto, certe traccie del passato: ma troppe cose s’oppongono ormai a quella spontaneità creativa che solo può dare il diritto d’unire la nostra voce là dove l’arte d’un tempo fa sentire vibrazioni d’una schiettezza purtroppo perduta. Quanto si sostituisce ad essa nel campo culturale ed in quello di assimilazioni od intonazioni stilistiche, ha sempre aspetto di tentativo. Vizio d’origine, insomma, poichè privo di quel palpito che è in fondo guizzo di vita. Ma non confondiamoci.
La premessa giova solo come accenno generico alle difficoltà radicali d’un simile problema. Vale a dire, a ricordare che, se la soluzione di esso non sembra a tutti di natura conciliante, ciò proviene soprattutto dall’inconciliabilità a priori di certi termini su cui logicamente tale problema doveva impostarsi.
A sentenza formulata, cioè a resultato stabilito nel concorso di secondo grado, seguiamo dunque, sul criterio dei giudici, quello che ai tempi nostri può intendersi per integrazione storica ed estetica dell’insigne basilica triestina. Vale a dire, per ricomposizione della decorazione a mosaico dell’abside maggiore di essa, in base alle risorse tecniche e stilistiche attuali: e, precisamente, come tale compito è stato risolto dai due artisti presi in considerazione tra i nove che avevano partecipato al precedente concorso, il quale, come si sa, concludeva coll’invito al pittore Guido Marussig di Trieste, ed al pittore Guido Cadorin di Venezia, associato all’architetto Brenno Del Giudice, di ritentare la prova. Questa ha ora riconfermato le qualità preponderanti del progetto Cadorin. Vediamone dunque come e perchè.
La composizione di Guido Marussig, austera e serrata, come riconosce lo stesso responso della Giuria, rivela piena rispondenza in ogni elemento. E d’una chiarezza e d’una logica esemplare, scaturite da una soda cultura stilistica e da una balda sicurezza nell’affrontare il problema della composizione organica e decorativa di tutta l’abside. Il concetto centrale delle figure del Salvatore e della Vergine, che, ritte, campeggiano nel grande catino d’oro, e compiono, con atto pieno di nobiltà, il rito dell’incoronazione prescritto dal tema, e ancora quello del precedente concorso, Ma sono meglio definiti i particolari stilistici ed oggettivi, e le figure appaiono meno composte ed atteggiate con quel forzato arcaismo e quel senso di semplificazione alquanto cerebrale che risaltavano assai l’altra volta. Ai lati, oltre i troni, che sono elemento simbolico e decorativo del più schietto carattere, assistono alla scena due angioli genuflessi in atto di adorazione; così che le quattro figure, atteggiate con solenne semplicità nella loro simmetrica composizione, paiono concludere e continuare il motivo architettonico della parete.
Nella volta che copre il presbitero, stanno invece, solenni, giusta il tema, i quattro santi protettori della città; ed, a contrasto della loro espressione statica, risalta lo slancio di sei angioli, abbastanza tipici dello stile e del gusto di Guido Marussig, i quali, divisi in due schiere, volano verso il gruppo principale che campeggia al centro del catino. Un complesso franco e sicuro, insomma, com’è stato riconosciuto, aderente per rigore di stile ai più intrinseci e determinativi caratteri di S. Giusto; ma che tuttavia per la maggioranza dei giudici è sembrato troppo schematicamente definito. Quello spirito di semplificazione delle figure e dei particolari ornamentali, è sembrato infatti eccessivo, specialmente perchè accentuato dalle vaste zone di fondo dorato dove tali motivi spiccano nettamente.
La stessa Sopraintendenza all’Arte Medioevale e Moderna di Trieste, esaminando del tutto oggettivamente il progetto Marussig, mentre riconosceva che era improntato ad un più definito concetto d’arte, doveva convenire nel ritenerlo poco raccomandabile in relazione al vetusto tempio di cui era destinato a formar l’elemento centrale. Il serrato ed imperioso schematismo di tale decorazione musiva, unitamente alla grande estensione d’oro che la caratterizza, sembravano difatti tali da costituire nell’austero ambiente un elemento troppo preponderante; specialmente per il fatto di mettere in certo modo in sott’ordine i due mosaici duecenteschi delle absidi laterali, per tante ragioni degni invece d’essere difesi e fatti risaltare con ogni mezzo: anche a costo d’un sacrificio.
Tale principio d’essenziale importanza per un tempio del carattere di S. Giusto, è stato quello che, a parte certi pregi intrinseci d’altra natura, ha così favorito la migliore evidenza e la più favorevole sorte al progetto di Guido Cadorin. In esso, anche se qualche dettaglio, specie di fronte al nitido e sobriamente espressivo carattere del progetto Marussig, poteva sembrare meno distinto dal lato decorativo e stilistico, appaiono del tutto eliminati certi pericoli di svalutazione del rimanente del vetusto tempio accampati a proposito dell’altro concorrente, Ciò dipende in particolare dal fatto che in tale progetto si rivela presa in giusta considerazione il carattere cromatico dell’assieme. Sull’esempio della tecnica a mosaico a tessere più libere per tono e meno schematica di contorno, quale risalta da certi nobili testimonianze che Cadorin ha evidentemente preso in considerazione (basterebbe citare, a Roma, Santa Prassede, Santa Pudenziana, Santa Sabina, i Santi Cosma e Damiano, ed altri cospicui esemplari del periodo aureo del mosaico cristiano; a Ravenna, il Mausoleo di Galla Placidia; a Milano, i mosaici della Cappella di Sant’Aquilino e quelli della Cappella di San Satiro), ben più che una tonalità d’oro complessiva di sfondo, si sente l’intonata vibrazione come d’un polverio d’oro, frammisto a tessere brune e di scarto, ond’è attenuato ed armonizzato il luccichio del complesso, tanto nei fianchi e nell’archivolto, quanto nella composizione del semicatino.
In questa è del tutto evidente il concetto pittorico e cromatico della composizione. Mantenendosi più fedele alla tradizione, il pittore Cadorin ha svolto il soggetto principale nel modo consueto, La Vergine seduta e china accoglie, con gesto pieno di trepidanza e di umiltà, la corona che il Figlio le pone in capo. Oltre agli angioli laterali che assistono alla scena, volano in alto due cherubini che sostengono la mandola luminosa, che racchiude le due sacre figure centrali e campeggia sopra uno sfondo luminoso di nuvole, Qui ancora più palesi risaltano le risorse tecniche, cromatiche e decorative d’un mosaico di tipo bizantino, prevalentemente a toni grigi, rialzati da cobalto, con iridescenze rosse nella mandola, e, più che a base d’oro, a lumeggiature dorate, le quali danno al complesso una vibrazione di delicatezza esemplare, senza alcuna imposizione d’un tono squillante inconciliabile con l’austerità del venerando ambiente.
Complesso dunque d’un’intonazione e d’un valore decorativo messo in particolare rilievo dal responso della Giuria; poichè, mentre risponde ai caratteri, anche stilistici, della nobile basilica, ne salva la fisionomia, e meglio si concilia al più intimo sentimento che suscita lo storico complesso. Resultato questo, che anche l’autorità tutoria artistica, a mezzo della Sopraintendenza di Trieste, mostra d’aver approvato - salvo le superiori deliberazioni - in linea di massima, poichè più consono ai caratteri d’un monumento come S. Giusto: mentre, riconoscendo prematuro ogni parere deliberativo circa l’esecuzione del progetto prescelto, l’autorità stessa, sempre d’accordo cogli illuminati artisti e tutori delle sorti della veneranda basilica triestina, si riserva di studiare se, a prova fatta, non possa sotto ogni aspetto resultare più conveniente tradurre in affresco l’opera musiva.
UGO NEBBIA.

torna all'indice generale
torna all'indice della rivista
torna all'articolo