FASCICOLO VII - MARZO 1929
GIUSEPPE GEROLA: Architettura minore e rustica trentina, con 20 illustrazioni
Nessuna epoca forse quanto la nostra ha mostrato di interessarsi alla architettura così detta “minore” tramandataci dai secoli trascorsi, di gustare l’effetto sopra tutto pittoresco delle movimentate sue messe in scena, e di affezionarsi - quasi per amor di contrasto - ai prodotti di quell’arte così umile, spontanea e riposante. Nessuna epoca al pari della presente ha proclamato il principio che l’architetto dei giorni nostri, per quanto moderno, spregiudicato ed originale abbia ad essere, anzi appunto perchè moderno nel più sano significato della parola, deve - nelle sue creazioni - partire dallo studio del passato, s’egli ammetta che, come nella vita civile e politica, esiste l’affetto familiare e l’amor di patria, così nella scienza del costruire non è lecito prescindere dall’ambientamento e dalle tradizioni locali.
Eppure nessuna epoca come la nostra ha dovuto assistere al desolante spettacolo di sistematiche distruzioni di tante e tante memorie monumentali, che bestiale ignoranza, stupido snobismo, invadente mania livellatrice, malsano sentimento di novità hanno potuto perpetrare a gara, contrabbandando quelle malefatte sotto lo specioso passaporto della civiltà e del progresso.
Oggi chi voglia studiare sul serio l’architettura secondaria delle nostre città e la produzione rustica dei nostri villaggi di campagna o dei nostri paeselli dell’alpe, così come essa era durata per secoli e e secoli fino a pochi lustri or sono, è in troppi casi costretto a ricorrere alle riproduzioni grafiche che testimoniano dell’aspetto di quegli abitati, prima che l’utopia dei piani regolatori ne menasse strage.
Simili raccolte non potevano mancare ne mancano nel Trentino e nell’attiguo Alto Adige, ove le bellezze panoramiche rappresentano un coefficente di assoluta preminenza nell’estetica così storica come attuale nel paesaggio, valorizzabile anche dal punto di vista della praticità, nella più facile attrattiva del forestiero.
Artisti italiani e stranieri hanno riprodotto in dipinti ormai noti le case villereccie della regione; le acqueforti, le xilografie, le litografie di Benvenuto Disertori, di Giorgio Wenter-Marini, di Carlo Cainelli, di Luigi Bonazza, di Dario Wolff, dei due Rasmo, dei due Anders - per non dire che dei Trentini - dedicato alla illustrazione dei caratteristici ambienti della città e della montagna, sono per le mani di tutti; ma degli albums di schizzi raccolti a scopo di esercitazione e di studio dai giovani architetti del paese non sapevamo ancor nulla, eccezione fatta per il bel volume pubblicato nel 1910 da Guglielmo Sachs (e che attende pur sempre la continuazione) e per qualche saggio sporadico degli appunti architettonici dl Giovanni Tiella.
I disegni a matita qui pubblicati sono tolti da una grossa cartella di Ettore Sot-Sas, il più severo e monumentale fra i giovani architetti del Trentino, cui la critica miope e retriva non sa perdonare gli accenti di schietta modernità, ignorando le profonde radici che la sua arte ha piantate nelle tradizioni del passato, ricercate con amore e sviscerate con discernimento e con garbo non comuni.
Questi suoi spunti di così efficace e suasiva semplicità abbracciano una vasta zona di paese ed un largo lasso di tempo; ma non si spingono a ritroso sino all’evo medio, dove l’artista avrebbe potuto fuorviarsi in motivi di gusto troppo arcaico e sopra tutto troppo estraneo alle idealità del mondo contemporaneo; nè varcano i confini della regione, per téma di smarrire quel senso di ambientazione che dell’architettura paesana del Sot-Sas è uno dei capisaldi più simpatici.
Ma quanta varietà di tipi e di maniere, quanta ricchezza e genialità di risorse in quegli edifici pur tanto vicini gli uni agli altri di tempo e di luogo.
Fabbriche semplici e sincere: dalla roccia delle alpi che fornisce ad un tempo i sassi per le murature, le pietre da taglio per i bugnati e per gli elementi architettonici, e le calci per i solidi impasti e per i candidi intonaci; dalla roccia delle alpi al legno dei boschi, che protegge e corona gli edifici coi bizzarri accavallamenti dei tetti, a fascia le pareti al di fuori colle morbide cinture dei poggioli o delle scale; al metallo delle miniere che attenua dietro alle fine delle sue inferriate le profonde occhiaie delle finestre, che da secoli e secoli guardano sulle tortuose piazze del villaggio....
Per fenomeno naturale a tutte le zone periferiche ed a tutti i paesi di difficile comunicazione, il Rinascimento nostro arriva nel Trentino in ritardo, dopo avere espugnata a fatica la barriera del gotico, che aveva cominciato ad assumere significazione di dominio straniero sulle anime e sulle coscienze. Bernardo Clesio, il grande vescovo trentino della prima metà del cinquecento, che a Roma guardò come ad unica ancora di salvezza contro le uggiose aberrazioni del protestantesimo tedesco, ne era stato il fautore più convinto ed il divulgatore più efficace. E quei suoi architetti, anche se taluno di essi fosse per avventura venuto dalla pianura padana, si erano tosto acclimatati alle esigenze del paese. Indossato il vestito di fustagno e calzati gli scarponi del montanaro, avevano risalite tutte le vallate trentine, colla ferma intenzione di non retrocedere più. Ed il gusto loro era diventato gusto del paese.
Non che, per questo, fossero poi - a tempo debito - bandite le animose e succose innovazioni dello stile barocco, allora quando si trattò di sfruttare a vantaggio della fede la sbalorditiva coreografia costruttiva delle nuove curve o di sfogare negli aggrovigliati cartocci di un complicato altare di legno dorato l’atavico virtuosismo dei gotici intagliatori d’altri tempi. Ma il substratum architettonico - specialmente nelle abitazioni rurali - mantenne fede al tipo ormai definitivamente fissato e tenacemente mantenuto.
Quegli edifici voi li vedete allineati l’uno accanto all’altro, orgogliosi della franca loro fisionomia, un pò contadinesca se volete e aspra e rude, come le montagne che stanno loro di fronte, ma schiettamente italiana. E intanto non vi siete accorti che dalle sponde del Garda e dalla Valle Lagarina siete risaliti a ritroso dell’Adige fino a Trento, ed alle lontane sue convalli laterali - dalla veneta Valsugana alle Giudicarie lombardeggianti - ed avete varcata la stretta di Salorno, per penetrare nel cuore dell’Alto Adige.
Non ve ne siete accorti, perchè il Sot-Sàs si è prefisso di testimoniarvi incidentalmente quanto vecchia e spontanea - anche nel campo dell’arte edilizia - sia l’italianità dello stesso territorio Bolzanino. Sì, senza bisogno che qualche architetto guastamestieri pretenda oggigiorno di importarla artificialmente, col prenderla a prestito dalle lagune di Venezia, dalle campagne della Lombardia e dalle lontane plaghe della Toscana!
Ma codesto non è che un saggio. L’album di Ettore Sot-Sàs potrebbe contenere delle altre rivelazioni e sorprese, non soltanto per la storia del passato, ma anche per la pratica dell’avvenire, E noi dobbiamo augurarci che egli si lasci persuadere a render di pubblica ragione tutti quanti quei gustosi suoi disegni; e che i bravi suoi colleghi d’arte, animati dal suo esempio, assecondino la bella iniziativa.
GIUSEPPE GEROLA.

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