FASCICOLO V - GENNAIO 1929
GUSTAVO GIOVANNONI: Il Concorso per l'Ospedale di Napoli, con 37 illustrazioni
La recente gara, infelicemente chiusa nell’anno decorso, per il progetto del grande ospedale che dovrebbe sorgere sui colli intorno Napoli rappresenta uno dei più tristi e gravi fallimenti del sistema dei pubblici concorsi per opere architettoniche; ed è quindi utile ed istruttivo analizzarne i risultati per procurare che da parte delle pubbliche amministrazioni non si ripetano analoghi errori di metodo, che si risolvono in ingiustizie, in sperpero di lavoro, in ritardi enormi, in assoluto disprezzo ai fini di tecnica e d’arte che avevano mosso l’iniziativa. Gli architetti italiani debbono domandare che il sistema dei concorsi si diffonda e divenga normale specialmente pei progetti dei pubblici edifici importanti o per la loro funzione o per il loro carattere d’arte; ma debbono insieme volere che esso sia promosso con la massima serietà di preparazione e sia guidato da norme che ne garantiscano il regolare svolgimento, nell’interesse delle opere prima che in quello degli architetti concorrenti.
Moltissimo c’è ancora da fare in questo campo per diffondere una vera coscienza delle finalità dell’architettura ed insieme di quelle della giustizia. Ed intanto occorre insistere in tutti i toni sull’argomento. Solo quando i concorsi sono inquadrati con un maturo studio e seguono i criteri ormai sanciti dall’esperienza (e che dovrebbero ormai essere stabiliti per legge come lo sono i contratti di lavoro) solo allora i risultati rispondono allo scopo ed il concorso somma davvero le competenze e le energie per raggiungere non il buono ma l’ottimo, non le soluzioni di ordinaria amministrazione, ma l’opera altamente utile e significativa. Quando questo non avviene, i concorsi lasciano una scia di malcontento e di sfiducia e si risolvono nelle opere più inorganiche e più mancanti di logica, di elevatezza, di personalità.
Le non liete vicende del concorso di Napoli sono state le seguenti: L’Alto Commissario per la provincia di Napoli, Sua Ecc. Castelli, fervido ed intelligente animatore d’ogni iniziativa per lo sviluppo della città, ha veduto la necessità assoluta ed urgente di provvedere alla costruzione di un nuovo grande ospedale in sostituzione di quelli ora esistenti, che purtroppo possono dirsi negazione di ogni principio di moderna igiene. L’area prescelta è stata quella delle colline dei Cangiani e dello Scudillo che sovrastano Napoli: località forse troppo lontana dal centro ed ancora mal provveduta di regolari comunicazioni, ma ridente, aperta, salubre, adatta sotto tanti rispetti allo scopo.
Si è bandito allora, per ottenere il miglior progetto, non un regolare concorso, o pubblico o limitato, tra gli architetti e gli ingegneri italiani specialmente versati nell’ardua e complessa materia dell’edilizia ospitaliera, ma un appalto-concorso tra alcune ditte impresarie, a cui si sono richiesti insieme i progetti e le offerte finanziarie a forfait per la corrispondente costruzione. Ed in questo procedimento è non solo la massima umiliazione alla dignità di professionisti obbligati a lavorare legati ad un privato interesse economico, forse sfruttati da quello, certo menomati nello sviluppo delle loro concezioni, nell’affermazione della opera personale, ma è altresi il più grave errore amministrativo, l’annullamento implicito degli alti scopi posti alla iniziativa, il preventivo sabotaggio del concorso.
Invero l’appalto-concorso è ora di moda, ma è una delle mode più infelici ed assurde partorite dalla burocrazia italiana. Sembra che tolga responsabilità e fastidi ed invece non fa che accumulare questioni gravi e mal risolubili per la liquidazione dei lavori; sembra che dia la sicurezza della spesa preventivata ed invece reca la sicurezza che questa, nelle inevitabili complicazioni e mutazioni dei lavori, sarà oltrepassata, come non sarebbe con nessun altro sistema. Nel giudizio sull’assegnazione, le due ben nette funzioni, la tecnica e la finanziaria, risultano così artificiosamente aggrovigliate che manca ogni unità di misura a cui riferirsi, e si corre rischio o di approvare il peggior progetto perchè presentato con una illusoria offerta favorevole dell’impresa, o di attuare un progetto buono (ma non mai ottimo) a condizioni disastrose. Occorre invece tenere altro viaggio. Sappia bene l’amministrazione ciò che vuole, abbia un chiaro programma delle esigenze di vario ordine da soddisfare, si procuri un ben studiato progetto, ed in questa fase va posto il regolare concorso architettonico bandito e risolto su dati precisi; e poi, in un secondo tempo, chiami gli impresari ad una gara per l’appalto su una base unica e concreta; ma non confonda attribuzioni, non annulli i controlli, non mescoli due ordini di attività che debbono rimanere separate nella preparazione di un’opera architettonica, così come lo debbono essere nella vita professionale, nella classificazione sindacale.
A Napoli le ditte prescelte furono, se non erro, sette; e si misero con grandissimo zelo al lavoro, con la schiera dei loro architetti e dei loro ingegneri, dapprima per procurarsi direttamente i dati di rilievo che mancavano nel bando di concorso, poi per progettare cervellotici schemi di sistemazione edilizia e di viabilità, che erano anch’essi lasciati all’arbitrio dei concorrenti, poi per l’enorme lavoro richiesto pei singoli progetti, che si spingeva fino agli ultimi dettagli costruttivi, agli impianti di riscaldamento, di ventilazione, di trasporti interni, di illuminazione, ecc. Così al giorno della scadenza del concorso si accumularono negli uffici innumerevoli casse contenenti tavole disegnate e modelli in gesso ed ampie ed accurate relazioni e preventivi della spesa. Per intendere quanto mai questa massa incredibile di lavoro fosse sproporzionata allo scopo, basterà segnalare che la spesa viva sostenuta per la sua preparazione può complessivamente valutarsi in seicento o settecento mila lire, a cui, se si aggiungono gli oneri derivanti dalla immobilizzazione degli ingenti depositi, si giunge non lontani dalla cifra di un milione: sciupìo di denari corrispondente allo sciupìo di lavoro per tutto il complesso di studi particolari, non necessari alla definizione del concetto fondamentale di ognuno dei progetti presentati.
Conclusione: dopo circa un anno dalla consegna dei progetti, l’amministrazione (che forse intanto aveva veduto su quale abisso si era avventurata con incredibile leggerezza) nomina alla chetichella una Commissione giudicatrice tutta costituita da suoi funzionari, la quale decide che nessuno dei lavori presentati sia degno di esser preso in considerazione; dopo di che l’ingegnere capo del Genio Civile viene incaricato della redazione del progetto dell’Ospedale Civile di Napoli.
Niun commento più eloquente a siffatto verdetto potrebbe farsi del pubblicare alcuni dei progetti giudicati. Sono dolente di aver potuto procurarmene tre soltanto; cioè quello redatto dal Prof. Ing. Vincenzo Fasolo con la collaborazione del Prof. Ugolini (Ditta Cidonio), quello dell’Architetto Prof. Arnaldo Foschini e dell’Ing. Alfredo Foschini (Impresa Emilio Rocco), quello dell’Ing. Mario Loreti e dell’Ing. Luigi Ciarrocchi (Impresa Calderai). Pregevoli erano certo anche gli altri, ma il riportarli tutti non sarebbe stato possibile nel breve spazio di un articolo; e, del resto, ritengo che questi siano sufficienti per dare un’idea della vera elevatezza di pensiero artistico, della serietà e della competenza nei riguardi tecnici e sanitari con cui il tema è stato affrontato. Se i risultati pratici del concorso di Napoli sono stati negativi (e certo lo saranno ancor più nel progetto definitivo e nella definitiva attuazione) può invece affermarsi che magnifici e veramente istruttivi siano stati i risultati architettonici, tali da segnare un vero caposaldo in questo importantissimo ramo della tecnica ospitaliera e della adeguata sua espressione d’arte.
Nè si dica, con l’idiota sorriso di sufficienza delle persone che vogliono parere positive, che l’Arte è in questi temi fuori posto e che ha un valore appena secondario; poichè occorre ormai che tutti intendano che essa, considerata non come frivolo giuoco di ornati ma come composizione di masse, dà spesso i mezzi più agili ed efficaci per soddisfare esigenze varie e complesse e toglierle da viete soluzioni banali, occorre che tutti intendano essere l’Architettura non soltanto creazione di grandi monumenti inutili, ma sovratutto espressione di temi pratici, plasmati nella forma adatta, ravvivati, anche nelle severe e modeste costruzioni rette dalle norme della tecnica, della scienza, dell’economia della materiale destinazione, da una nota di euritmia e di bellezza “ad addolcir la vita”.
Come si è detto, il grande Ospedale dovrebbe sorgere sui colli intorno a Napoli e più precisamente nella zona occidentale Cangiani-Scudillo. L’area disponibile è di circa mq. 630.000, ma i concorrenti hanno effettivamente occupato soltanto la quarta parte, attenendosi al concetto di utilizzare la zona migliore di terreno e cioè quella a nord-ovest dell’area che è la più elevata e meno scoscesa.
Per accedere a questa località è stato ideato dai concorrenti un viale di raccordo fra l’area del nuovo ospedale e la strada comunale in corso di esecuzione Cangiani-Due Porte-Arenella.
Questo viale però nelle tre soluzioni ha inizio e sbocca in tre punti diversi, cosicchè mentre nel progetto Fasolo il viale viene ad innestarsi in prossimità del Rione Due Porte e va a sboccare a valle dell’area, nella soluzione Foschini l’imbocco avviene fra il Rione Due Porte e Piazza Cangiani e l’arrivo si verifica a mezza costa; nel progetto Loreti-Ciarrocchi il viale si innesta in prossimità di piazza Cangiani, e va a sboccare a monte dell’area.
Indicati così brevemente i criteri generali cui si sono attenuti i progettisti nella utilizzazione dell’area e nel modo di accedervi, passiamo all’esame dei vari progetti.
Il Fasolo ha ideata una disposizione di fabbricati a villaggio, seguendo il concetto di adattare i fabbricati al terreno, ed ha recinta tutta la zona occupata con ampie strade che la isolano da ogni parte. La soluzione a villaggio non è stata ideata soltanto allo scopo di creare giuochi di masse e scene prospettiche diverse, ma anche nello intendimento di eliminare grandi lavori di spianamento di terra. I fabbricati si raggruppano attorno a due arterie principali convergenti verso il piazzale centrale, ove sono situati l’Oratorio, l’edificio dell’Amministrazione, dell’Osservazione e dell’Oculistica. Attorno all’arteria a destra sono raggruppati i quattro padiglioni di Chirurgia, il padiglione Operatorio e quello della Maternità, attorno all’arteria a sinistra sono raggruppati i servizi (disinfezione e lavanderia, guardaroba, cucina, centrale termica), la Farmacia, il padiglione per la Radiologia e per l’alloggio Suore, il padiglione Medico-Chirurgico a pagamento, la Centrale della Medicina e i cinque padiglioni della Medicina. Le costruzioni sono fra loro collegate da gallerie, che, per il dislivello del terreno, vengono ad essere completamente arieggiate su uno dei lati senza affiorare oltre la linea del terreno sull’altro lato.
Nel progetto Foschini la disposizione dei fabbricati è concepita simmetricamente. Per evitare, però, aridità e monotonia, è stato ideato il ribaltamento planimetrico dei padiglioni (senza pregiudicare l’orientamento delle infermerie), in modo da creare tanti ambienti ove le costruzioni più modeste hanno funzioni di quinte e quelle più importanti, di fondali. Così la simmetria, anzichè rendere arido e monotono l’insieme, viene a contribuire alla grandiosità degli aggruppamenti dei vari edifici.
La soluzione Foschini consta di due assi che si incrociano perpendicolarmente sul piazzale principale situato nel centro della zona costruita. Sull’asse perpendicolare all’ingresso, dopo i tre edifici per la Direzione, Osservazione e Fisioterapia, si trovano i padiglioni dell’Oculistica e delle camere a pagamento; i cinque padiglioni della Medicina, i quattro della Chirurgia (i quali sono forniti rispettivamente della sala chirurgica e annessi) e il padiglione della Maternità.
Queste costruzioni hanno accesso diretto dalla strada.
I padiglioni sono collegati da gallerie sotterranee per le condutture dell’acqua, del vapore, dell’elettricità, ecc. Esse però sono aereate e di dimensioni tali da poter servire eventualmente anche per gli altri usi (viveri, biancheria, cadaveri).
Il progetto Loreti-Ciarrocchi è pure basato sul concetto della simmetria, con opportune e geniali sistemazioni edilizie atte a togliere ogni impressione di monotonia.
Prospiciente la nuova piazza di accesso sorge il fabbricato dei servizi generali. A valle di questo edificio si trova un piazzale naturale adattato a giardino, dal quale si può accedere al resto dell’Ospedale. Seguitando a scendere si trovano otto padiglioni disposti simmetricamente all’asse longitudinale, tutti paralleli fra loro, collocati su una serie di terrazzamenti. Questi otto padiglioni sono per l’Osservazione e l’Oftalmologia, per la Medicina ed uno misto per la Medicina e Chirurghia. Fra le due file di edifici si trovano la Chiesa e il padiglione per la Fisioterapia. Approfittando di una variazione del terreno i padiglioni di chirurgia sono stati disposti ad esedra.
Verso Via Montedonzelle è stato collocato il padiglione per la Maternità; sul lato opposto vi sono i servizi (cucina, lavanderia, economato, disinfezione). In posizione più appartata la Sala anatomica e Camera mortuaria. A maggiore distanza il reparto contagiosi. Per l’Ambulatorio, Pronto soccorso e Accettazione sono adibiti tre padiglioni con ingresso a parte.
Le gallerie di collegamento fra i padiglioni sono state adottate solo parzialmente per i padiglioni della chirurgia essendo necessario che questi comunichino col fabbricato delle Sale operatorie.
Descritti, così, sommariamente i tre progetti nella loro distribuzione generale, non credo opportuno approfondire l’esame delle soluzioni particolari poichè tale studio esorbita dal compito prefisso.
E non parlerò nemmeno delle soluzioni architettoniche, ritenendo che i grafici siano sufficienti ad illustrare il concetto artistico che ha animato i concorrenti. Mi piace soltanto segnalare che per la soluzione di un problema architettonico di così assoluta modernità, nessuno dei concorrenti ha creduto di allontanarsi dalla tradizione italiana, che, ancora una volta, ha dimostrato di essere più viva che mai ed atta a rispondere alle necessità tecniche, costruttive, ed igieniche dell’epoca nostra.
GUSTAVO GIOVANNONI.

torna all'indice generale
torna all'indice della rivista
torna all'articolo