FASCICOLO V - GENNAIO 1929
V.FASOLO: L'Architettura nelle pitture del Rinascimento - I. L'interpretazione dei monumenti romani, con 18 illustrazioni
L’architettura compie nelle composizioni pittoriche una funzione unifìcatrice: essa entra nella tessitura dell’opera con i suoi ritmi, con la sua trama di linee e di contorni, per creare dei limiti, degli spazi, sui quali risaltano gli episodi del quadro, che talvolta servono a scompartire o a collegare gli episodi del tema artistico e tal’altra a giuocare nella composizione con funzione puramente decorativa e ornamentale: forma lo scheletro prospettico che determina il senso dello spazio e della profondità; entra essa stessa, col suo carattere, con il suo stile, col taglio delle sue masse, come elemento espressivo, per dire un’idea, per mettere in evidenza qualche lato sentimentale, per raggiungere la sua tonalità spirituale nel complesso significato dell’opera.
Uno studio che consideri l’architettura secondo questa funzione nelle opere pittoriche dei vari artisti è parte d’ogni esame critico singolo ed è, anche, per le Scuole Fiorentine ad esempio, raggruppato in qualche studio riassuntivo.
La fantasia e la più squisita sensibilità dei pittori, hanno infatti interpretato forme e temi architettonici con libertà e con indipendenza dai più rigidi canoni cui in ogni epoca ogni architetto fu costretto dalle positive ragioni della pratica: la spiritualità dell’artista, preso sopratutto dal sentimento, le ragioni di adattamento degli elementi architettonici ricercati in rapporto ed in funzione della sua creazione fatta prevalentemente di emozione e di sentimentalità, hanno creato nelle scene pittoriche idee architettoniche piene di novità e di gustose sorprese. Ma queste architetture dipinte possono essere studiate da un punto dl vista più particolare, certamente più ristretto al paragone del metodo critico che vaglia l’unità artistica dell’opera d’arte, se si disassociano dall’insieme della composizione, isolandole dalla più complessa combinazione di valori spirituali e decorativi del quadro.
Se si percorre l’orizzonte di qualche quadro dove in un fondo di paese si delineano edifici, se si completa qualche edificio o elemento architettonico parzialmente rappresentato per necessità di composizione proseguendone senza aggiunte arbitrarie ma con evidenti ragioni di simmetria e di proporzione la parte mancante, se si portano a fuoco alcune architetture di questi fondali che per ragioni di valore coloristico sono attenuate per accentuarne i valori plastici, si vedono sorgere architetture che, se pure hanno riscontro di cose forse viste dall’artista, rappresentano anche tipi che l’architetto deve individuare per la loro singolarità.
Qualche volta l’artista ha dato una interpretazione architettonicamente e costruttivamente illogica al suo edificio, al suo ordine: volutamente, per ragioni di composizione, per trasfigurare secondo un bisogno del suo spirito la realtà che gli è pur nota, qualche volta per vera inabilità tecnica, dalla quale tuttavia traspare la più corretta forma del modello: si può in questo caso ritrovare il reale organismo donde quell’artista partì o che non seppe rendere, per tracciare la sua trama lineare o gli spazi della sua composizione o l’ambiente architettonico delle sue storie, ripristinando la realtà costruttiva alterata dal sentimento, o dalla istintiva ingenuità dell’artista.
Così condotto, questo studio può giungere a soddisfare una parziale curiosità storica, per segnalare qualche tipo architettonico da innestare nella serie dei monumenti noti, ma può anche creare una visione di forme, di aspetti artistici non del tutto estranei ai particolari modi di sentire e di ricercare prediletti dalla modernità; quell’alterare i rapporti architettonici consacrati dalla lunga esperienza, quello stilizzare deformando ritmi e moduli, quel fare ingenuo di forme rese arcaiche quasi per fare più evidente lo sforzo della volontà o del sentimento che tentano la loro rivelazione, tutte queste “maniere” di cui si compiace il gusto contemporaneo, possono ritrovare in questo campo una fonte di idee e comunque una certa risonanza. Anche a questo vuol tendere il presente studio, affinchè l’eco delle cose sentite nella più lontana tradizione ripercuotendosi nella rinnovantesi vita, possa perpetuare in nuova sonorità il canto eterno della nostra arte.
La ricerca si limita alle pitture del Rinascimento: si risale pertanto allo studio di architetture classiche, particolarmente di quelle romane.
Come in architettura si segue il trapasso dalle forme trecentesche ai primi timidi innesti del nuovo classicismo, similmente questa evoluzione si palesa nello stile architettonico dei pittori del 400, si compie robusta e perfetta nelle forme dei pittori del 500. Non possiamo seguire questo trapasso: lo studio pieno d’interesse per completare la conoscenza della figura artistica dei maggiori maestri e della loro scuola, per collegare alla serie delle forme architettoniche realizzate quest’altra ricca e fantasiosa, fiorita sugli affreschi e sulle tele, in armonia e continuità con i caratteri regionali e con i raggruppamenti delle varie scuole pittoriche, per determinare le influenze esercitate dai più grandi maestri dell’architettura sui pittori contemporanei, e gli apporti diretti che certamente alcuni di quelli dovettero esercitare su dipinti a carattere architettonico; questo studio più complesso non può trovare sede in questa pubblicazione. Dobbiamo, per limitare il campo che è estesissimo, raccogliere gli elementi del nostro assunto intorno ad alcuni schemi e ad alcuni tipi di edifici e di destinazione e particolarmente a quelli che si ricollegano per interpretazione più o meno diretta o per ispirazione a documenti e a ricordi di monumenti romani.
Limitato così lo studio al Rinascimento, specie nelle sue prime manifestazioni e al suo splendore, ecco affacciarsi il fascino e le forme delle antichità di Roma ed apparire sugli orizzonti delle composizioni tipiche sagome dei suoi monumenti. Sono visioni talvolta ispirate direttamente e con scrupolo topografico, talvolta liberamente composte ritraendo però sempre la suggestione delle linee caratteristiche della città monumentale. Basti citare, ricordiamo a caso, la città del quadro di Pisa, la “Torre di Babele” di Gozzoli, quella di Botticelli nel “Castigo dei compagni di Cora”, di Gozzoli ancora nel “Sant’Agostino che parte da Roma”, la ricostruzione d’insieme della città, di Baldassare Peruzzi (Bartoli II, Fig.327), la nota veduta di Roma nella Sala degli sposi a Mantova, quella del Sodoma nella “Vita di San Benedetto” a Monte Oliveto, e le importanti vedute di Roma al tempo di Sisto V della Biblioteca Vaticana, documento dell’aspetto e dei monumenti di Roma nel Cinquecento.
Fantastiche città che prendono il loro carattere per il delinearsi di qualche monumento ricordante quelli più tipici della città, e, per il rimanente, composte di edifici ispirati agli schemi classici con un miscuglio talvolta strano di elementi medievali. Così vediamo in Francesco Di Giorgio negli “Episodi della vita di San Benedetto”, così in Perugino nella “Predicazione di S. Giovanni” nella Sistina, in Ghirlandaio nella “Pace tra Romani e Sabini” nella Galleria Colonna, in Fra Diamante nella “Sommersione di Faraone” nella Sistina. Franciabigio nella Villa Reale di Poggio a Cajano tra edifici rotondi e templi e colonne onorarie svolge la scena della “Lega di Roma e degli Achei”, in uno sfondo nostalgico che la poesia e il fascino malinconico della campagna romana accentuano. Così Sodoma negli “Episodi di S. Benedetto” a Monte Oliveto, Sebastiano del Piombo nella “Resurrezione di Lazzaro” a Londra, così Raffaello (o Giulio Romano) che nel “Costantino e l’apparizione della Croce” ritraggono una Roma piena di splendore monumentale, entro la quale, oltre il solco del Tevere con i suoi ponti adorni di colonne onorarie, spiccano le due moli di qua e di là dal fiume, dei Mausolei di Augusto e di Adriano. Nel tardo 500 e nel 600 (gli Zuccari nella villa di Papa Giulio, G. B. Castello a Bergamo nella “Storia d’Ulisse” con una città piena di rovine ispirate a una visione dei Fori con i suoi templi caduti e la rovina di una grande basilica a cupola) svilupperanno ancora questo amore per gli aspetti della romanità e per la poesia delle rovine.
Sono questi ambienti romani ritratti con una certa fedeltà; e quelli più frequentemente riprodotti sono la conca del Colosseo dominata dal Palatino deserto, la volta poderosa del Pantheon, le Torri, le arcate della Basilica del Foro, la Cinta delle mura oltre le quali si ergono le colonne onorarie, le rotonde dei mausolei, la Piramide di Caio Cestio, tutti questi monumenti con il loro carattere glorioso e monumentale soffuso dalla malinconia di un paesaggio deserto e ondulato che fa così solenne il paesaggio romano.
Questo amore delle “anticaglie” oltre che nel ritrarre ricordando e, talvolta, documentando, traspare anche nella frequenza con cui i fondali architettonici, anche di invenzione, sono rappresentati con aspetto di rovina: il tragico di queste unità spezzate armonizzandosi talora con l’anima del soggetto, o contrastando con il raccoglimento o con la poesia delle attitudini, è nota preferita di questi pittori, che certo amavano ricercare fra le rovine i frammenti della bellezza antica. Ricordo Botticelli nell’“Assunzione della Vergine” e nell’“Adorazione dei Magi” agli Uffizi e in quello della Natyonal-Gallery, Sebastiano del Piombo nella “Risurrezione di Lazzaro” e fra tutti tipico quell’Amico Aspertini che “tutto il campo empie con le sue anticaglie ritratte entro alle romane grotte”: nell’“Adorazione del Bambino” (Fr. Mus.) e nel “Martirio di Valeriano” nel “Sant’Agostino” di San Frediano di Lucca, frammenti architettonici, are, colonne infrante, arcate spezzate, mettono la nota triste e nostalgica della rievocazione. Similmente Bramantino nella “Sacra Famiglia” di Brera, Francia nell’“Adorazione” in Bologna, Tintoretto nel “foro diruto” nel quale “Sant’Agnese risuscita Licinio” in Santa Maria dell’Orto, Tamaroccio a Bergamo con la visione di un vasto anfiteatro, e la scuola Ferrarese, specialmente Scaletti, del Cossa nella “Atalanta” Fr. Mus. e nei “Miracoli di San Giacinto” (Vaticano) ricorrono a questo artifizio di composizione.
Ma oltre a questa spiritualità d’ambiente e di poesia romana, più ricca e vasta è l’interpretazione architettonica di elementi, di forme, di concetti monumentali romani, risultandone trasformazioni architettoniche in forma di invenzioni del nuovo stile: sono note le trasfigurazioni dei monumenti romani nei curiosi disegni della Roma di Ciriaco d’Ancona ed è pieno d’interesse seguire nei disegni di Cronaca di Michelozzo, il modo come da spunti reali la fantasia di quegli artisti abbia creato nuovi edifici che nelle loro annotazioni vorrebbero rappresentare la Casa dei Cesari, il Tempio di Giove, il Tempio di Cesare: più che documentazione, pretesti per ideare qualche vaga reminiscenza o per dare forma alle leggendarie storie di Roma.
I temi fondamentali dell’architettura romana sono ripresi e svolti per incorniciare le scene, per formare il loro ambiente; qualche volta indipendentemente da una corrispondenza tra soggetto e ambiente, ma solo per amore di rievocazioni stilistiche classiche, È dalla basilica che più frequentemente sono ispirati alcuni edifici; più spesso che nella trasformazione che questo organismo andava subendo nelle origini del rinascimento per opera degli architetti, essa è figurata con interpretazioni architettoniche derivate dal tipo della basilica classica. Basti qualche ricordo, chè il soggetto meriterebbe uno studio particolare: Ghiberti nella scena del “San Giovanni in prigione” nel Battistero di Siena; Ghirlandaio con la grandiosa sala del “Banchetto di Erode” in Santa Maria Novella ispirata ad un sistema di basilica a volta; Donatello nel “Convito di Erode”, la grandiosa Basilica dell’“Eliodoro scacciato dal tempio”. Poi sistemi di sale colonnate come in Pier della Francesca nella “Flagellazione” di Urbino, nell’“Incontro di Saba e Salomone” del Cossa in “Miracoli di San Giacinto”, che hanno per scena una vasta sala ipostile Corinzia; sistemi e ordini d’arcate con tutta la varietà decorativa quattrocentesca fino al più sobrio aspetto cinquecentesco e alla robustezza palladiana di alcune architetture di Sodoma a Monte Oliveto e più sentitamente nel “Cenacolo” di Brera (Tiziano?) con l’ordine che per sobria robustezza sembra quello di un Palladio come lo è quel fondale di Dom. Campagnola nella “Scuola del Santo” a Padova.
Varie sono le interpretazioni di templi, fondali e nicchie ed edicole che spesso per il loro modo di ricollegarsi si richiamano ai sistemi architettonici dipinti nelle pareti romane pompeiane. Le colonne onorarie, spesso raffigurate ogni qualvolta l’artista abbia voluto simboleggiare Roma o dare il senso di antichità classica a qualche città per le sue storie, danno luogo ad alcune particolari rappresentazioni: Giotto nel “Piero liberato dal carcere” trasforma la sua spirale scolpita in una specie di colonna a tortiglione, racchiudendola entro un recinto così come fa l’Angelico nel “Santo Stefano e dottori” in Vaticano, rappresentando insieme l’aspetto della classicità antica e quello militare e chiuso della città medioevale. Così similmente rappresenta Ciriaco d’Ancona; e Gentile Bellini, orientalizzando il concetto, nella strana città mista di bizantine e di lombardesche architetture (San Marco che predica in Alessandria) tratta il medesimo tema, trasformando la spirale scultoria in un ballatoio avvolgentesi a spirale intorno al fusto.
Anche gli archi di trionfo costituiscono un soggetto immancabile nelle vedute di Roma: più frequentemente con fedeltà riproducente gli archi di Settimio Severo e di Costantino (si veda Botticelli “Sacrifizio di Cora” Sistina, Sodoma nella “Benedizione dei pani” Pienza, Perugino “Predicazione” Sistina, Aspertini in “S. Agostino” Lucca), ma spesso, come nuova creazione, come l’arco trionfate posto a fondo dell’“Adorazione” di Fr. di Giorgio che è in S. Domenico a Siena come segno di glorificazione. È da queste rievocazioni che derivano le figg. 2 e 3 tolte dalle scene dipinte nei cassoni nuziali quattrocenteschi dove le storie sono quasi sempre quelle del mondo antico. Originalissime creazioni pel motivo dei cavalli sui contrafforti, nel secondo, e nel primo per l’elegante distribuzione dei piani e dei chiaro-scuri della zona scolpita nell’attico in contrasto con la nitidezza della zona inferiore e per la trovata della copertura architravata come un pronao.
Questo studio si deve però limitare a un piccolo gruppo di edifici che più frequentemente sembrano prediletti ai pittori in armonia con l’interesse che tra gli architetti si dimostrava in quell’inizio della nuova arte per il medesimo concetto, quello delle architetture simmetriche, centrali.
La linea dalle torri romane (quella delle Milizie non manca mai negli sfondi che ricordano Roma), quelle dei sepolcri che si elevano con sovrapposizioni di ordini degradanti in una successione di prismi o di rotonde, gli schemi a zona basamentale quadra svolgentesi poi in forma cilindrica, le sagome dei mausolei, danno lo spunto ad una serie di edifici in parte o completamente alterazione di monumenti visti, in parte invenzioni originali. Si veda ad esempio la torre del Bart. di Giovanni (fig. 4) che riveste di un ordine lo scheletro della torre delle Milizie e quello del Pantheon (fig. 5) (Bart. di Giovanni “Ratto delle Sabine” Galleria Colonna). Troviamo questo tipo in Giotto, in Taddeo di Bartolo (Siena, “trasporto della Madonna”) e nei noti bassorilievi di Filarete; in Botticelli (“Assunzione della Vergine” Uffici; “Purificazione della lebbra” Sistina), in Bramantino (“Crocifissione” di Brera), in G. Ferrari (“S. Gioacchino” Brera) e con strana composizione in un Ferrarese (fig. 6).
Questo concetto, con maggiori risorse nel variare le masse pure nella obbligatoria e monotona cadenza del ritmo ascendente, lo troviamo svolto nella serie di edifici che caratterizzano la monumentale e fastosa città che è fondo del “Convitto in casa di Levi”, del Veronese (fig. 7), come in Tintoretto nel “Trasporto di S. Marco” e in Peruzzi “Presentazione al Tempio” in Santa Maria della Pace (fig. 8), in Franciabigio nel “Trionfo di Cesare” a Poggio Caiano (fig. 9).
Ma è dai Mausolei di Adriano e di Augusto che sorgono nuove visioni: in una combinazione con le disposizioni di arcate riprese dalle grandi costruzioni romane e con quelle degli acquedotti sorgono le fantasie in pitture da corali (esempio quello della fig. 10 tratta da una miniatura di Gerolamo da Cremona). Più direttamente le architetture della fig.11 e della fig. 12 tratte dal quadro della visione di Costantino (Giulio Romano?) le quali ci mostrano l’aspetto della mole Adriana e quello del Mausoleo d’Augusto disposti nel quadro con fedeltà topografica di qua e di là del corso del Tevere: il secondo specialmente individuato dalla presenza di due obelischi che come sappiamo dovettero esistere ai lati dell’ingresso: due documenti dunque interessanti che possono lumeggiare qualche lato incognito dei due monumenti. Anche nello stato di rudero la loro mole aveva nel deserto del piano circostante apparire, come cosa compiuta con la stessa suggestione che emana dalle nude strutture del sepolcro disegnato nella fig. 13, tipo frequente nella campagna romana e che è derivato da una figurazione di Piranesi.
Sono queste rievocazioni di ruderi che gli architetti del Rinascimento annotavano, come quello che era al IX miglio della Via Appia a forma rotonda sovrapposta a basamento quadrato (S. Peruzzi, Bart. fig. 687) come quello a doppio ordine concentrico degradante disegnato da Giuliano da San Gallo e che è a Capua (Rivoira Arch. rom. fig. 226). La fig. 14 derivata da Fogolino nell’“Adorazione dei Magi” ne rappresenta un tipo; e quella a fig. 15 a forma di Mausoleo disegnato nel fondo della “Natività” di Fr. di Giorgio (o Signorelli) in S. Domenico di Siena che è una originale invenzione. Come quello ispirato da una tarsia del Duomo di Siena (fig. 16) e come quello disegnato da F. Zuccari nella Villa di Papa Giulio (fig. 17). Sviluppi architettonici che procedono dai mausolei di Adriano sono alcune concezioni di Mantegna che animano lo sfondo della campagna del “Ritorno dalla caccia” nel palazzo ducale di Mantova e l’altra anche del Mantegna che dà l’ambiente classico del “Trionfo di Cesare” (Hapton Court) (fig. 18).
V. FASOLO.
(Continua)

torna all'indice generale
torna all'indice della rivista
torna all'articolo