LA SALA DEL “PLANETARIO” NELLE
TERME DIOCLEZIANE
La deliberazione di collocare in Roma il nuovo Planetario in quella
sala delle Terme Diocleziane, ora distaccata mediante la via Cernaia
dal principale nucleo termale, ha portato seco la necessità di
un restauro della sala stessa; ed il complesso lavoro, in parte di consolidamento
nel riparare le tante ferite recate all’edificio, in parte di
ripristino e di innovazione nel riprendere le esterne linee e nell’innestarvi
il nuovo ingresso, è stato eseguito dalla R. Sovraintendenza
alle Antichità di Roma ed in particolare dal sottoscritto, che
ne ha avuto incarico dal Sovraintendente prof. Paribeni.
Il Planetario è stato disposto nell’interno in modo da
non alterare la grande volta romana ed anche di consentirne la veduta
nello spazio anulare interposto tra la costruzione antica e la nuova.
I due finestroni, larghi m. 8,46 ed alti m. 10, che illuminavano l’aula
sono stati chiusi, per le esigenze del Planetario, da muri sottili,
di cui quello verso l’attuale ingresso è stato rivestito
da transenne e da un portico anteriore. Ritrovate nella parete volta
a S. O. le traccie delle mensole sorreggenti la cornice di coronamento
ed il sovrastante timpano, tali elementi sono stati ripristinati seguendo
il modello delle albe cornici ricorrenti all’esterno delle terme;
e ne è risultato un grandioso motivo architettonico pieno di
ampiezza e di carattere.
Il fatto, un pò triste un pò lieto, di questi lavori resi
necessari da un adattamento ad uno scopo troppo diverso dal primitivo,
ha consentito al sottoscritto di compiere uno studio analitico sulla
interessantissima costruzione, che è raro esempio di un edificio
romano coperto a volta pervenutoci completamente conservato nella sua
ossatura.
La pianta dell’aula è quadrata all’esterno, ottagona
all’interno, ed il raccordo è fatto con quattro grandi
nicchie ricavate negli angoli. La larghezza interna è di m, 22,05
secondo uno degli assi, di m. 21,25 secondo l’altro.
La cupola appartiene al tipo cosidetto ad ombrello, ed è cioè
composta di otto elementi ad unghia sferica, che s’incontrano
in alto in un anello che contiene un foro di forma ottagona il cui cerchio
inscitto ha il diametro di m. 1,25; la linea d’imposta della cupola
è a m. 13,70 dal pavimento ed il vertice intradossale a m. 24,40.
Tale forma schematica, bella nella sua ritmica varietà e razionalissima
staticamente in quanto concentra nel modo migliore le spinte nei punti
nodali, era già nota nelle costruzioni romane; chè il
vestibolo della piazza d’Oro nella villa Adriana, il Serapaeum
nella stessa villa, il ninfeo degli Horti Sallustiani, il cosidetto
tempio della Siepe nel Campo Marzio in Roma, quale ci risulta da una
stampa di Alò Giovannoli, una sala termale rilevata dal Peruzzi,
la sala centrale delle terme del Bacucco presso Viterbo (1) ce ne offrono
interessanti esempi, ai quali può dirsi affine la maggiore e
più complessa applicazione data dalla sala della Villa Liciniana
(2), il cosidetto tempio di Minerva Medica. E la soluzione che i costruttori
bizantini svilupperanno (ad esempio nella chiesa dei S.S. Sergio e Bacco
di Costantinopoli) e che il Quattrocento riprenderà nelle Sacrestie
di S. Spirito e di S. Lorenzo in Firenze ed in tanti altri monumenti.
La singolarità del modo con cui essa è attuata nell’aula
delle terme Diocleziane sta nella struttura muraria. Negli spigoli della
cupola sono otto nervature di mattoni, che a differenza delle costole
di altre volte romane, sono veri archi massicci, costituiti da tre serie
di grossi mattoni bipedali, taluni interi, altri tagliati ad un terzo;
la larghezza di questi archi si mantiene costante, di m. 1,25, dall’imposta
fino all’anello di chiusa superiore; lo spessore invece diminuisce
verso l’alto, ma comprende tutto lo spessore della cupola, sicchè,
in altre parole, gli archi affiorano nell’estradosso.
Tra arco ed arco la muratura concrezionale di riempimento è formata
in prevalenza di tufi e frammenti di pomice, disposti a strati orizzontali;
ma nella linea mediana di ciascuna lunetta il costruttore ha inserito
un’altra nervatura longitudinale, eseguita come le precedenti,
che fraziona la lunetta stessa in due volte veIoidiche, la cui monta
massima raggiunge circa 30 cm.
Le osservazioni relative alla malta delle varie parti ed all’innesto
dei vari materiali stanno a provare che la costruzione delle nervature
e quella delle zone di riempimento è stata contemporanea.
Questo sistema costruttivo, di cui si sono qui riassunte le caratteristiche,
è nel suo insieme molto simile a quello del cosidetto tempio
di Minerva Medica, ma è certamente più razionale e perfetto;
sia per l’esplicita adozione della forma ad ombrello, appena larvata
nella cupola della Minerva Medica, sia per la struttura robusta e piena
delle nervature. Fra i due monumenti v’è il rapporto che
corre tra il tentativo e la soluzione completa. Lo schema a scheletro
indipendente dell’aula delle terme Diocleziane, ora così
pienamente determinato, rappresenta, ormai sullo scorcio dell’impero,
la padronanza ormai raggiunta dl tutto il giuoco delle azioni e delle
resistenze nella struttura a volta; è il prototipo delle volte
lombarde e gotiche, delle grandi cupole del Rinascimento, dei moderni
sistemi ad ossatura resistente in ferro od in cemento armato.
* * *
A questa notizia di una determinazione che mi sembra di notevole importanza
per la cognizione della tecnica delle costruzioni romane, parmi opportuno
aggiungere qualche altro dato analitico rilevato durante il restauro
del monumento.
La fondazione dei muri è stranamente disimmetrica rispetto gli
assi, ed in corrispondenza dei due muri esterni su cui si aprono i finestroni
presenta due enormi riseghe all’interno, larga m, 4,60 quella
rispondente al lato di S. O., circa m. 3.40 quella rispondente al lato
di N. O.
Le pareti sono a cortina di mattoni con larghe commessure di malta e
con ricorsi di laterizi bipedali. Gli archi a tutto sesto dei finestroni
e delle nicchie sono a doppio anello di bipedali; le porte invece sono
ad arco ribassato e presentano l’arco di un solo anello di bipedali
sormontato, secondo la consuetudine, invalsa nel periodo diocleziano,
da un arco di scarico a tutto sesto.
All’intradosso della cupola, in taluni punti, si ha un rivestimento
costituito da tegole, disposto probabilmente per regolarizzare l’interna
superficie; e queste coprono indifferentemente nervature e zone di riempimento,
il che è novella prova della contemporaneità delle due
costruzioni.
Le tegole adoperate per il parziale rivestimento dell’intradosso
sono piuttosto piccole. Esse sono alte m. 0,39 e larghe da m. 0,29 a
m. 0,225 con i margini affogati nella malta, ed attraversate nel centro
da un grosso chiodo ancorato fortemente nel conglomerato cementizio.
Le tegole sono disposte irregolarmente: ve ne sono in maggior numero
verso il vertice e non esistono affatto nel primo quarto della cupola.
Questo rivestimento laterizio serviva per fare aderire meglio l‘intonaco
alla volta e tale artificio venne impiegato a preferenza verso il vertice
dove l’intonaco era maggiormente sollecitato dal proprio peso
a staccarsi (3).
Esternamente la cupola è a superficie continua ed ha quattro
gradoni anulari; esistono ancora traccie della copertura impermeabile
in cocciopesto dello spessore di circa m, 0,18. Quattro scale larghe
m. 0,90 in direzione delle diagonali del quadrato di pianta, incassate
nel nucleo della volta, salgono fino al foro ottagono ed altre scalette
sussidiarie danno accesso alle chiostrine triangolari.
Nell’interno dell’aula è scomparsa ogni traccia di
decorazione ed anche il pavimento è stato interamente distrutto
forse nel 1706 quando essa fu adoperata come Horrea per la provvista
di tutta la cittadinanza.
Il livello approssimativo del pavimento si può riconoscere dalla
risega di fondazione; manca però un elemento qualsiasi che possa
far supporre che questa sala servisse per bagno.
Queste dunque sono le principali caratteristiche della magnifica costruzione
ora rilevata, che ci è pervenuta salva miracolosamente dalla
distruzione del tempo e degli uomini, senza mostrare cedimenti o lesioni:
meraviglioso collaudo di tutto un sapiente e grandioso sistema costruttivo.
ITALO GISMONDI
(1) Cf. COSTANTINO ZEI. - Le Terme romane di Viterbo nel “Boll.
d’Arte del M. della P. I.”, 1917, p. 155 e seguenti.
(2) Cf. G. GIOVANNONI. - La sala termale nella Villa Liciniana e le
cupole romane in “Annali della Soc. Ing. e Arch. Ital.”,
1904, p. 17-18.
(3) Ciò conferma l’opinione del Cozzo. - G. Cozzo. Ingegneria
Romana, Casa Editrice Selecta, Roma. 1928.