FASCICOLO IX - MAGGIO 1929
ITALO GISMONDI: La sala del "Planetario" nelle Terme Diocleziane, con 13 illustrazioni

LA SALA DEL “PLANETARIO” NELLE TERME DIOCLEZIANE

La deliberazione di collocare in Roma il nuovo Planetario in quella sala delle Terme Diocleziane, ora distaccata mediante la via Cernaia dal principale nucleo termale, ha portato seco la necessità di un restauro della sala stessa; ed il complesso lavoro, in parte di consolidamento nel riparare le tante ferite recate all’edificio, in parte di ripristino e di innovazione nel riprendere le esterne linee e nell’innestarvi il nuovo ingresso, è stato eseguito dalla R. Sovraintendenza alle Antichità di Roma ed in particolare dal sottoscritto, che ne ha avuto incarico dal Sovraintendente prof. Paribeni.
Il Planetario è stato disposto nell’interno in modo da non alterare la grande volta romana ed anche di consentirne la veduta nello spazio anulare interposto tra la costruzione antica e la nuova. I due finestroni, larghi m. 8,46 ed alti m. 10, che illuminavano l’aula sono stati chiusi, per le esigenze del Planetario, da muri sottili, di cui quello verso l’attuale ingresso è stato rivestito da transenne e da un portico anteriore. Ritrovate nella parete volta a S. O. le traccie delle mensole sorreggenti la cornice di coronamento ed il sovrastante timpano, tali elementi sono stati ripristinati seguendo il modello delle albe cornici ricorrenti all’esterno delle terme; e ne è risultato un grandioso motivo architettonico pieno di ampiezza e di carattere.
Il fatto, un pò triste un pò lieto, di questi lavori resi necessari da un adattamento ad uno scopo troppo diverso dal primitivo, ha consentito al sottoscritto di compiere uno studio analitico sulla interessantissima costruzione, che è raro esempio di un edificio romano coperto a volta pervenutoci completamente conservato nella sua ossatura.
La pianta dell’aula è quadrata all’esterno, ottagona all’interno, ed il raccordo è fatto con quattro grandi nicchie ricavate negli angoli. La larghezza interna è di m, 22,05 secondo uno degli assi, di m. 21,25 secondo l’altro.
La cupola appartiene al tipo cosidetto ad ombrello, ed è cioè composta di otto elementi ad unghia sferica, che s’incontrano in alto in un anello che contiene un foro di forma ottagona il cui cerchio inscitto ha il diametro di m. 1,25; la linea d’imposta della cupola è a m. 13,70 dal pavimento ed il vertice intradossale a m. 24,40.
Tale forma schematica, bella nella sua ritmica varietà e razionalissima staticamente in quanto concentra nel modo migliore le spinte nei punti nodali, era già nota nelle costruzioni romane; chè il vestibolo della piazza d’Oro nella villa Adriana, il Serapaeum nella stessa villa, il ninfeo degli Horti Sallustiani, il cosidetto tempio della Siepe nel Campo Marzio in Roma, quale ci risulta da una stampa di Alò Giovannoli, una sala termale rilevata dal Peruzzi, la sala centrale delle terme del Bacucco presso Viterbo (1) ce ne offrono interessanti esempi, ai quali può dirsi affine la maggiore e più complessa applicazione data dalla sala della Villa Liciniana (2), il cosidetto tempio di Minerva Medica. E la soluzione che i costruttori bizantini svilupperanno (ad esempio nella chiesa dei S.S. Sergio e Bacco di Costantinopoli) e che il Quattrocento riprenderà nelle Sacrestie di S. Spirito e di S. Lorenzo in Firenze ed in tanti altri monumenti.
La singolarità del modo con cui essa è attuata nell’aula delle terme Diocleziane sta nella struttura muraria. Negli spigoli della cupola sono otto nervature di mattoni, che a differenza delle costole di altre volte romane, sono veri archi massicci, costituiti da tre serie di grossi mattoni bipedali, taluni interi, altri tagliati ad un terzo; la larghezza di questi archi si mantiene costante, di m. 1,25, dall’imposta fino all’anello di chiusa superiore; lo spessore invece diminuisce verso l’alto, ma comprende tutto lo spessore della cupola, sicchè, in altre parole, gli archi affiorano nell’estradosso.
Tra arco ed arco la muratura concrezionale di riempimento è formata in prevalenza di tufi e frammenti di pomice, disposti a strati orizzontali; ma nella linea mediana di ciascuna lunetta il costruttore ha inserito un’altra nervatura longitudinale, eseguita come le precedenti, che fraziona la lunetta stessa in due volte veIoidiche, la cui monta massima raggiunge circa 30 cm.
Le osservazioni relative alla malta delle varie parti ed all’innesto dei vari materiali stanno a provare che la costruzione delle nervature e quella delle zone di riempimento è stata contemporanea.
Questo sistema costruttivo, di cui si sono qui riassunte le caratteristiche, è nel suo insieme molto simile a quello del cosidetto tempio di Minerva Medica, ma è certamente più razionale e perfetto; sia per l’esplicita adozione della forma ad ombrello, appena larvata nella cupola della Minerva Medica, sia per la struttura robusta e piena delle nervature. Fra i due monumenti v’è il rapporto che corre tra il tentativo e la soluzione completa. Lo schema a scheletro indipendente dell’aula delle terme Diocleziane, ora così pienamente determinato, rappresenta, ormai sullo scorcio dell’impero, la padronanza ormai raggiunta dl tutto il giuoco delle azioni e delle resistenze nella struttura a volta; è il prototipo delle volte lombarde e gotiche, delle grandi cupole del Rinascimento, dei moderni sistemi ad ossatura resistente in ferro od in cemento armato.

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A questa notizia di una determinazione che mi sembra di notevole importanza per la cognizione della tecnica delle costruzioni romane, parmi opportuno aggiungere qualche altro dato analitico rilevato durante il restauro del monumento.
La fondazione dei muri è stranamente disimmetrica rispetto gli assi, ed in corrispondenza dei due muri esterni su cui si aprono i finestroni presenta due enormi riseghe all’interno, larga m, 4,60 quella rispondente al lato di S. O., circa m. 3.40 quella rispondente al lato di N. O.
Le pareti sono a cortina di mattoni con larghe commessure di malta e con ricorsi di laterizi bipedali. Gli archi a tutto sesto dei finestroni e delle nicchie sono a doppio anello di bipedali; le porte invece sono ad arco ribassato e presentano l’arco di un solo anello di bipedali sormontato, secondo la consuetudine, invalsa nel periodo diocleziano, da un arco di scarico a tutto sesto.
All’intradosso della cupola, in taluni punti, si ha un rivestimento costituito da tegole, disposto probabilmente per regolarizzare l’interna superficie; e queste coprono indifferentemente nervature e zone di riempimento, il che è novella prova della contemporaneità delle due costruzioni.
Le tegole adoperate per il parziale rivestimento dell’intradosso sono piuttosto piccole. Esse sono alte m. 0,39 e larghe da m. 0,29 a m. 0,225 con i margini affogati nella malta, ed attraversate nel centro da un grosso chiodo ancorato fortemente nel conglomerato cementizio. Le tegole sono disposte irregolarmente: ve ne sono in maggior numero verso il vertice e non esistono affatto nel primo quarto della cupola. Questo rivestimento laterizio serviva per fare aderire meglio l‘intonaco alla volta e tale artificio venne impiegato a preferenza verso il vertice dove l’intonaco era maggiormente sollecitato dal proprio peso a staccarsi (3).
Esternamente la cupola è a superficie continua ed ha quattro gradoni anulari; esistono ancora traccie della copertura impermeabile in cocciopesto dello spessore di circa m, 0,18. Quattro scale larghe m. 0,90 in direzione delle diagonali del quadrato di pianta, incassate nel nucleo della volta, salgono fino al foro ottagono ed altre scalette sussidiarie danno accesso alle chiostrine triangolari.
Nell’interno dell’aula è scomparsa ogni traccia di decorazione ed anche il pavimento è stato interamente distrutto forse nel 1706 quando essa fu adoperata come Horrea per la provvista di tutta la cittadinanza.
Il livello approssimativo del pavimento si può riconoscere dalla risega di fondazione; manca però un elemento qualsiasi che possa far supporre che questa sala servisse per bagno.
Queste dunque sono le principali caratteristiche della magnifica costruzione ora rilevata, che ci è pervenuta salva miracolosamente dalla distruzione del tempo e degli uomini, senza mostrare cedimenti o lesioni: meraviglioso collaudo di tutto un sapiente e grandioso sistema costruttivo.
ITALO GISMONDI

(1) Cf. COSTANTINO ZEI. - Le Terme romane di Viterbo nel “Boll. d’Arte del M. della P. I.”, 1917, p. 155 e seguenti.
(2) Cf. G. GIOVANNONI. - La sala termale nella Villa Liciniana e le cupole romane in “Annali della Soc. Ing. e Arch. Ital.”, 1904, p. 17-18.
(3) Ciò conferma l’opinione del Cozzo. - G. Cozzo. Ingegneria Romana, Casa Editrice Selecta, Roma. 1928.

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