FASCICOLO IV - DICEMBRE 1929
GIORGIO ROSI : Il Museo dell'Impero Romano in Roma, con 16 illustrazioni
La marea di popoli e di secoli che disperse la compagine politica dell’Impero Romano e per un certo tempo parve sommergerne anche i valori spirituali, non riuscì a cancellare le tracce che la civiltà di Roma aveva lasciato del suo estendersi per il mondo. Così che questa ci appare gigante oltre che per le norme civili che ancora sono la base della società odierna, oltre che per le manifestazioni artistiche che da secoli forniscono elementi ed espressioni nuove, oltre che per le opere letterarie, fonti inesauste di pensiero e di forma, anche per gli innumerevoli resti che continuamente ci rivelano la diffusione e la profondità della colonizzazione romana. Sparsi per ogni contrada, lontanissimi talora dalla madre patria, questi testimoni venerandi di tante vicende sono stati rispettati dal tempo e dalla Barbarie che solo hanno aggiunto loro l’incanto dell’abbandono e dell’antichità, Essi ci rivelano con quale metodicità e vastità di concezione fosse dai romani praticato uno del mezzi più validi d’infiltrazione fra i popoli di civiltà inferiore; quello che consiste nel dare ad essi esigenze nuove e nuovi mezzi per soddisfarle.
Le opere mediante le quali i romani approntavano questi mezzi erano, svariatissime dovendo provvedere a tutto ciò che costituiva la vita civile del tempo, e spesso raggiungevano una imponenza da destare ammirazione anche ai nostri giorni. Gli avanzi di così meraviglioso lavoro di conquista e di organizzazione statale, ci sono ora rivelati dalle numerosissime riproduzioni riunite e organicamente disposte nel Museo dell’Impero Romano. Questa nuova raccolta, originata da quella più modesta che per geniale iniziativa del compianto Senatore Lanciani, ebbe asilo sotto le enormi volte delle terme diocleziane in occasione della Mostra Archeologica del 1911, trasportata da poco nel caseggiato dell’ex Pastificio Pantanella, ove è stata accuratamente sistemata per opera del Prof. G. Q. Giglioli che ne ha curato il chiaro e bel catalogo, ci presenta riuniti in breve spazio avanzi disseminati in tutte le trentasei provincie dell’impero, offrendo un copioso e raro materiale allo studioso, al visitatore profano la possibilità di un sintetico viaggio fantastico attraverso il mondo antico. Tali avanzi sono naturalmente di indole ed entità diversissima: dalla modesta lapide alla imponente stele commemorativa, dal miliarium senza pretese all’arco di trionfo, dal piccolo cippo al mausoleo monumentale, dall’accampamento al palazzo imperiale. Ma pur nella infinita varietà ben distinte appaiono due categorie di opere: quelle di uso pratico, utilitarie, spesso grandiose, ma senza intenti d’arte, e quelle notevoli invece oltre e più che per mole, per elevatezza di espressione artistica e di raffinatezza estetica.
La vastità del campo ci consiglia di dare innanzi tutto un rapido sguardo alle prime, riserbando le seconde come argomento di un ulteriore esame.
Delle costruzioni militari vere e proprie, quelle cioè che l’esercito lmprovvisava durante lo svolgimento delle guerre, restano poche tracce, Si trattava generalmente di terrapieni e impalcature lignee. Alcune volte però tali opere assumevano carattere di stabilità, come quando erano destinate a segnare e difendere il limite dell’Impero. Tali erano il vallum Adriani che attraversava la Britannia e il Limes Imperii Romani dal Reno al Danubio. Restano dell’uno alcuni tratti dell’immensa trincea, dell’altro gli avanzi, talora restaurati, dei castelli che erano sparsi lungo il tracciato: esempio il Castello di Saalburg. Di altri confini fortificati si trovano tracce nei ruderi di fortini esistenti lungo il Limes tripolitanus sul Gebel, e nel castello di Mogarjelo in Bosnia, ben conservato e notevole per la pianta che prelude a quella del castello feudale. Esso consta di un quadrilatero regolare costituito da una salda cinta fortificata a cui si addossano gli edifici destinati ai vari usi, come camerate, stalle, magazzini, in modo da lasciare libero al centro un vasto cortile,
Gli avanzi delle opere destinate alla difesa e alla colonizzazione sono per numero ed importanza di gran lunga maggiori. La estensione delle conquiste romane e le minaccie continue di invasioni da parte dei barbari, che fino dalle epoche leggendarie di Brenno premevano verso il Mediterraneo, fecero sentire ben presto la necessità di una colonizzazione regolare e strategica, la quale consistè principalmente nel rendere stabili e ben muniti gli accampamenti delle legioni, trasformandoli in città fortificate, e nel collegarle fra loro con una copiosa e sicura rete stradale. La disposizione della colonia romana era quindi quasi sempre la stessa: la pianta del castrum e cioè un quadrilatero più o meno regolare cinto di mura, tagliato in quattro da due vie principali, decumanus e cardo, che mettevano in comunicazione le quattro porte principali. Questa disposizione era talora applicata con la massima esattezza come ad Augusta Taurinorum, oggi Torino, e a Drobetae nella Moesia. Ma più spesso si adattava alla conformazione del suolo e alle trasformazioni dell’abitato. In alcune delle città che in seguito ne derivarono è possibile rintracciare la forma della primitiva colonia. Londinium sorgeva al cuore della odierna Londra. Lutaetia Parisiorum intorno a cui si sviluppò Parigi, occupava l’isola della Cité e una sola sponda della Senna. Colonia sorgeva sulla sponda occidentale del Reno di fronte al celebre ponte di legno costruito da Cesare, ponte la cui testa opposta era pure potentemente munita mediante un campo fortificato.
In Palestina, Gerasa, in Siria Palmira, rivestivano di fasto orientale il geometrico schema romano allineando portici ininterrotti lungo le piazze e le vie. Analogamente erano decorate alcune vie di Antinoe che Adriano fece sorgere sulle rive del Nilo in onore del suo favorito Antinoo, sacrificatosi per la di lui salvezza.
Anche le vecchie città conquistate ricevevano la impronta del vincitore, non però con la trasformazione del vecchio nucleo spesso ricco e famoso per monumenti d’arte e di religione, ma mediante l’aggiunta di sobborghi interamente nuovi che di frequente raggiungevano dimensioni e importanza preponderanti. Tali la nuova Gerusalemme nata accanto all’antica dal campo della legione stanziatavi, la nuova Atene fatta sorgere da Adriano presso la vecchia gloriosissima capitale dell’Attica, i nuovi quartieri che moltiplicarono l’estensione di Alessandria d’Egitto, i successivi ampliamenti di Bisanzio, che ebbe tre cinte di mura sempre più vaste da Settimio Severo, da Costantino e da Teodosio II. Di questo lavoro di creazione o di trasformazione di centri abitati pochi sono gli avanzi ancora visibili, giacchè la fisionomia di essi è stata il più delle volte interamente cancellata dalle trasformazioni successive. Essa resta evidente solo in alcune città rimaste presto disabitate, che l’abbandono e talora gli agenti naturali hanno mantenute incontaminate. Tali Palmira in Palestina, Thamugadi, colonia fondata da Traiano in Tunisia, Leptis Magna in Libia, abbellita e ampliata da Adriano e da Settimio Severo; città protette dalla solitudine e dal deserto da cui ora risorgono.
Delle mura restano ancora quelle dei centri minori, cui necessità successive non imposero di abbatterle: imponenti quelle di Tarracona in Spagna, di Adalia in Asia Minore, di Tolemaide, oggi Tolmetta, in Cirenaica. Più spesso anche le mura sono scomparse lasciando, unica testimonianza, le porte monumentali, che le interrompevano nei punti per i quali la via consolare entrava nella città. Di queste porte, che erano fiancheggiate da massicce torri minacciose, contrastanti con la ricca decorazione dei fornici, sono giustamente famose la Porta Nigra a Treviri ove anche le Torri sono fasciate di robusti ordini architettonici, la Porta Palatina a Torino, la Porta di Adriano ad Adalia, la Porta di Selymbria a Costantinopoli.
Da queste porte uscivano diritte le grandi strade consolari, cui era affidata la rapidità delle comunicazioni, requisito indispensabile al mantenimento della coesione e della potenza di così vasto impero. Queste magnifiche arterie che portavano sino agli estremi del mondo la volontà e la vita di Roma, erano veramente costruite per l’eternità. Il loro lastricato in grossi blocchi silicei accuratamente disposti, poteva ben resistere ai frequenti passaggi delle legioni senza risentirne danno, tanto che ancora oggi in qualche tratto superstite le vie romane si mantengono perfettamente conservate. Di miglio in miglio apposite pietre, dette miliarium, davano in solenni caratteri romani, la misura del cammino percorso, rammentando inoltre alla gratitudine del viaggiatore il nome dell’imperatore sotto il quale la via era stata fatta o restaurata. Il tracciato si manteneva per quanto era possibile rettilineo, a costo di salire ripidamente sulle alture, di sorpassare corsi d’acqua e intere vallate mediante ardite e grandiose opere di ingegneria. Molti dei ponti romani resistono ancora agli impeti delle piene e ancora risuonano del transito che si svolge sul loro ampio dorso tante volte secolare. La loro forma varia a seconda dei casi: alcuni, quelli che traversano torrenti dai rapidi cambiamenti di portata, hanno poche e ampie luci, come quello di Settimio Severo a Kiatka in Siria, ad un solo arco, a schiena d’asino, col parapetto che ne segue l’inclinazione a gradoni e due colonne all’imbocco; altri su larghi placidi fiumi di pianura a molti archi avvicinati, come quello presso Treviri. Degni di nota particolare sono i posti destinati a valicare intere vallate senza scenderne al fondo. Tali il ponte di Alcantara in Spagna e quello presso Nimes in Francia, attraverso la valle del Gard. Questa splendida costruzione fatta sorgere da Agrippa durante l’Impero di Augusto consta di tre ordini di arcate; i due inferiori presso che uguali, l’ultimo molto più piccolo. Alla sommità scorreva un acquedotto alle cui esigenze è dovuta la sua grande altezza, già che la via passa soltanto al disopra del primo ordine di archi.
A numerose opere di altrettanta grandiosità furono spesso spinti i Romani dalla cura costante di fornire copiosamente di acqua i loro centri abitati. Su l’esempio di Roma ogni città anche nelle lontane provincie aveva terme, fontane monumentali, giardini, case, ove l’acqua scrosciava perenne in mille modi. E come a Roma opere ingenti si affrontavano per raccogliere l’acqua necessaria agli usi comuni e caratteristici della vita romana. Non conoscendosi che approssimativamente la possibilità di far seguire alle condotte d’acqua il movimento del suolo, gli acquedotti si costruivano in modo da creare un cunicolo di uniforme pendenza, attraverso il quale l’acqua scorreva a pelo libero. Da ciò la necessità di sormontare le vallate su immensi viadotti come il già citato ponte-acquedotto sul Gard, e di attraversare le pianure ad un livello più alto mediante serie di arcate innumerevoli come quello di Cartagine e quelli notissimi dell’Agro Romano, Avanzi di acquedotti esistono sparsi in molte regioni. In Asia Minore, quelli di Smirne e di Aspendos a più ordini di arcate irregolarmente sovrapposte, in Africa quello di Sufetula che in un punto ove sorpassa un torrente ha i piloni rinforzati da massicci contrafforti a pianta semicircolare, quello di Cesarea, quello già citato di Adriano a Cartagine; in Spagna quello di Tarracona a due ordini di arcate analogo a quello di Nimes e, mirabile quello di Segovia. Quest’ultimo è formato da tre ordini di archi di uguale ampiezza ed ha i piedritti rinforzati sino alla sommità da imponenti contrafforti. Talchè il suo organismo costruttivo è costituito da una unica serie di altissime arcate i cui piloni sono collegati fra loro da altre due serie di arcate intermedie.
Ogni periodo della storia di Roma può dirsi illustrato dalla realizzazione o dall’ampliamento di qualche lavoro di questo genere, specialmente il I e il II secolo d. C. E il nome di ogni Imperatore di quel tempo è legato ad imprese di pace non meno gloriose di quelle guerresche, massimamente quelli di Traiano e di Adriano,
Tali opere si costruivano con i materiali che ciascuna regione offriva: in genere pietra da taglio, particolarmente adatta per resistere agli assalti degli uomini e alle offese del tempo, come nel caso di fortificazioni, ponti, acquedotti. Dato il loro scopo unicamente pratico e il loro carattere prettamente utilitario, esse erano, giusta le razionali abitudini costruttive romane, spoglie di ogni decorazione e di quanto non fosse necessario al loro funzionamento. Ma se mancavano in esse intenti artistici dal punto di vista decorativo, non facevano loro difetto, e sono ancora ben riconoscibili, gli elementi sostanziali dell’architettura romana, e cioè il caratteristico senso delle proporzioni, la ricerca della distribuzione volumetrica delle masse, e delle superficie, l’impronta di solennità e di equilibrio fino nei particolari di minore importanza. In una parola lo stile di Roma si affermava nettamente in ogni contrada del suo Impero.
GIORGIO ROSI.

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