FASCICOLO II - OTTOBRE NOVEMBRE 1929
GUIDO JELLINEK: Luce e Architettura, con 16 illustrazioni

LUCE E ARCHITETTURA

Senza la luce l’opera architettonica non rimarrebbe tale che nella mente del suo creatore.
È la luce che mette in evidenza la sapiente distribuzione delle masse, che ci fa distinguere l’alto dal basso, il rotondo dal diritto, il curvo dal piatto, il liscio dal ruvido, il bianco dal nero. È la luce che giocando nelle modanature, ammorbidendosi nelle nicchie, riflettendosi sul marmo, diffondendosi sulle pietre e sui cementi, crea per l’occhio dell’osservatore il quadro meraviglioso dell’opera architettonica.
Quando l’artista concepisce una costruzione e pensa ai materiali che la dovranno comporre, non fa altro che attribuire alla luce “l’occasione” di presentare ai nostri occhi ciò che egli ha visto nella sua fantasia. L’abbinare le due parole luce e architettura non è quindi una cosa nuova, soltanto oggi, parlando di luce, non pensiamo solo al sole e alla volta azzurra del cielo, ma altresì a quella piccola miracolosa ampolla di vetro che è la lampadina a incandescenza.
Già abbiamo detto che la luce spiega e valorizza l’opera architettonica e in un ambiente chiuso come potrebbe per esempio essere la sala degli spettacoli di un teatro, tale valorizzazione può essere effettuata solamente per mezzo della luce artificiale.
In genere però in architettura si ha poco riguardo all’illuminazione artificiale, e ciò è dovuto in parte al fatto delle scarse possibilità di illuminazione dei tempi scorsi.
Non si poteva essere troppo esigenti con le vecchie sorgenti luminose. La luce fluttuante delle candele, il pericolo di incendio, la necessità di eliminare i gas della combustione, la necessità di accendere le fiamme e quindi la loro accensibilità, sono tutte ragioni che ci spiegano come i corpi illuminanti conservarono pressochè inalterata la loro forma per centinaia d’anni.
Ma oggi noi disponiamo di una sorgente a luce fissa che irradia il flusso luminoso in una determinata e costante curva fotometrica, sorgente che si può accendere e spegnere da qualsiasi punto del fabbricato, e che particolarmente si presta ad essere mascherata da vetri, cornicioni, apparecchi che ne modifichino la distribuzione del flusso luminoso, ecc.
Accompagnando queste buone qualità della lampadina elettrica a incandescenza al suo elevato splendore unitario che ne rende dannoso l’impiego diretto, nasce spontaneo il desiderio di distribuire opportunamente il flusso luminoso prodotto, nell’ambiente, considerando la luce come vero e proprio materiale da costruzione, complemento necessario alla decorazione del locale.
Per giungere però a questa conclusione occorsero molti anni, ed ancora oggi spesso non si fa altro che “produrre luce” in un dato ambiente, senza preoccuparsi se questa luce veramente corrisponda allo scopo, bastando il più delle volte all’artista che le lampadine siano montate in lampadari, rifacimenti di quelli che agli antenati servivano ad infiggere la candela stearica o la reticella Auer.
Ma a poco a poco per opera di alcuni innovatori vennero comprese e studiate le diverse esigenze delle nuove sorgenti luminose e nacque così, la “tecnica della luce”, nell’applicare la quale potremo distinguere due tendenze.
La prima si occupa specialmente del corpo illuminante e trasformando i vecchi tipi ci ha portato, a poco, a poco, a dei modelli che sempre più si adattano all’architettura dell’ambiente ed anzi in taluni casi più recenti fanno totalmente parte di questo.
La decorazione del locale, il lampadario e la luce prodotta si sono fusi in una unità così intima ed indivisibile che bisogna parlare di vera “architettura della luce”.
Nella seconda tendenza la luce è adoperata per mettere in evidenza tutto il volume dell’ambiente, scopo pienamente raggiunto dalla luce indiretta: le sorgenti luminose poste in opportuni riflettori e nascoste alla vista, irradiano il flusso luminoso sopra il soffitto od altre superfici diffondenti che fungono da sorgenti secondarie.

L’architetto ha cercato di avvicinare sempre più i lampadari e i bracci al muro ed a poco a poco questi sono diventati parte integrante della costruzione.
Molto spesso l’artista non ha ancora potuto staccarsi dai lampadari d’origine, ma per contro in altri casi sono state create cose completamente nuove. Nella fig. 1 vediamo appunto una di tali creazioni. Se in tale lampadario predomina la linea verticale, troviamo in altri casi un prevalere delle linee orizzontali. La biblioteca illustrata in fig. 2, per esempio, è illuminata da un lampadario composto da una grande lastra rotonda di vetro opalino applicata vicino al soffitto e che cela alla vista le sorgenti luminose.
In modo molto più intimo il costruttore di un ristorante ha incorporato l’illuminazione nell’architettura dell’ambiente (fig. 3) preoccupandosi pure di ottenere un bell’effetto decorativo anche durante il giorno. L’illuminazione della fig. 4 è ottenuta mascherando le comuni lampade a incandescenza in tubi di vetro opalino di opportuna densità, ma in questo esempio le sorgenti luminose sono assai poco legate alla sala, ciò che invece non si verifica in fig. 5 dove le lastre di vetro smerigliato fungono in certo senso da capitello.
Analogamente ai lampadari, possiamo osservare la stessa evoluzione anche per i bracci murali, evoluzione che ci ha portati a tipi essenzialmente decorativi ed il più delle volte assai semplici sia nella forma che nella materia che la compone. La fig. 6 ci fa vedere alcune “appliques” formate da vetri opalini molto diffondenti legati in metallo.
Un altro passo in avanti è stato fatto con l’uniforme suddivisione delle sorgenti luminose nel soffitto, cosa che si poteva ottenere solo con le lampadine.
In ogni cassetto del soffitto vi è luce ed ombra, ombra propria e portata, e l’assieme costituisce una unità abbastanza omogenea.
Nell’applicare questo sistema di illuminazione bisogna però avere cura di tenere accese tutte le lampade, perchè accensioni alternate rovinerebbero tutto l’effetto, inoltre bisogna far sì che l’illuminazione del soffitto risulti uniforme perchè altrimenti il soffitto sembra curvo. Nella fig. 7 vediamo applicato tale concetto della distribuzione delle sorgenti luminose sul soffitto.
Creando dei movimenti decorativi mediante cavità e sporgenze, superfici piane e superfici curve, ed impiegando opportuni riflettori, si può ottenere una infinità di effetti diversi, effetti che variano per uno stesso motivo decorativo col variare dell’incidenza dei raggi luminosi. I plastici della fig. 8 fanno vedere qualche esempio.

La luce non interessa solo l’architetto come decoratore, ma anche come costruttore, e l’esempio più caratteristico ci è fornito dall’illuminazione delle scale. La diversa ubicazione delle sorgenti luminose rispetto ai gradini, ed il diverso colore dell’alzata e della pedata possono rendere la scala pericolosa.
Nella fig. 9 sono indicate due scale; nella prima tanto l’alzata che la pedata sono di tinta scura ed anche in forza della cattiva illuminazione proveniente dal pianerottolo sono difficilmente distinguibili. Con la luce prodotta da un diffusore e verniciando l’alzata e la parete, sino alla scala, di bianco, gli scalini risaltano fortemente e sono chiaramente visibili ed è difficile mettere un piede in falso.

Finalmente ecco apparire l’illuminazione completamente indiretta che, per molto tempo, è stata impiegata dagli architetti e dai tecnici dell’illuminazione. Si credeva infatti di ottenere con questo sistema il risultato migliore e molti costruttori si preoccupavano soltanto di nascondere le sorgenti luminose.
La luce indiretta non dà ombre e produce quindi un’illuminazione piuttosto monotona; le decorazioni, le modanature sono prive di risalto perchè mancano le ombre forti atte a metterle in evidenza e l’assoluta mancanza di macchie di luce nell’ambiente toglie a questo la sua vivacità.
Non pertanto l’illuminazione indiretta trova la sua ragione in infiniti casi e, specialmente, è bene impiegarla come “luce corpo” quando si debbano mettere in evidenza delle cupole o delle volte.
Nei saloni da ballo, cinematografi, teatri, ecc., la luce completamente indiretta dovrebbe sempre essere accompagnata da sorgenti sussidiarie aventi uno splendore unitario piuttosto elevato; vetri opalini illuminati dall’interno, appliques di vetro pressato, ecc., appunto per produrre quel tanto di ombre necessarie per dare vita all’ambiente.
La fig. 10 ci mostra un bell’esempio di illuminazione indiretta.

Ma con la luce artificiale altre meravigliose illusioni si possono creare, ombre più o meno intense possono venire proiettate sulle pareti bianche, sul soffitto, sulle volte. Fasci di luci colorate opportunamente combinate possono dare l’illusione dell’alba o del cielo stellato.
Con opportuni dispositivi si possono “dipingere” sul muro bianco, vetriate, nicchie, motivi architettonici, ecc.
Ecco così nata la luci-pittura mediante la quale potremo in pochi istanti far cambiare completamente fisionomia ad un ambiente, trasformandolo a volontà.
La fig. 11 ci mostra un esempio di luci-pittura: la proiezione su di una cupola di una vetriata.
Luce ed architettura, ma anche architettura della luce, in cui questa viene considerata come materiale da costruzione.
Le sorgenti luminose nascoste nel cornicioni, celate da vetri opalini, o pressati, o prismatici, formano architravi, colonne, mensole, pareti intere luminose, e questo non solo per gli interni, ma anche per le facciate.
Le fig. 12-13-14-15-16 ci mostrano alcune manifestazioni di questa nuova arte ed altre forme nasceranno ancora da una più intima collaborazione fra architetto ed ingegnere illuminatore.

Ing. GUIDO JELLINEK

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