LUCE E ARCHITETTURA
Senza la luce l’opera architettonica non rimarrebbe tale che
nella mente del suo creatore.
È la luce che mette in evidenza la sapiente distribuzione delle
masse, che ci fa distinguere l’alto dal basso, il rotondo dal
diritto, il curvo dal piatto, il liscio dal ruvido, il bianco dal nero.
È la luce che giocando nelle modanature, ammorbidendosi nelle
nicchie, riflettendosi sul marmo, diffondendosi sulle pietre e sui cementi,
crea per l’occhio dell’osservatore il quadro meraviglioso
dell’opera architettonica.
Quando l’artista concepisce una costruzione e pensa ai materiali
che la dovranno comporre, non fa altro che attribuire alla luce “l’occasione”
di presentare ai nostri occhi ciò che egli ha visto nella sua
fantasia. L’abbinare le due parole luce e architettura non è
quindi una cosa nuova, soltanto oggi, parlando di luce, non pensiamo
solo al sole e alla volta azzurra del cielo, ma altresì a quella
piccola miracolosa ampolla di vetro che è la lampadina a incandescenza.
Già abbiamo detto che la luce spiega e valorizza l’opera
architettonica e in un ambiente chiuso come potrebbe per esempio essere
la sala degli spettacoli di un teatro, tale valorizzazione può
essere effettuata solamente per mezzo della luce artificiale.
In genere però in architettura si ha poco riguardo all’illuminazione
artificiale, e ciò è dovuto in parte al fatto delle scarse
possibilità di illuminazione dei tempi scorsi.
Non si poteva essere troppo esigenti con le vecchie sorgenti luminose.
La luce fluttuante delle candele, il pericolo di incendio, la necessità
di eliminare i gas della combustione, la necessità di accendere
le fiamme e quindi la loro accensibilità, sono tutte ragioni
che ci spiegano come i corpi illuminanti conservarono pressochè
inalterata la loro forma per centinaia d’anni.
Ma oggi noi disponiamo di una sorgente a luce fissa che irradia il flusso
luminoso in una determinata e costante curva fotometrica, sorgente che
si può accendere e spegnere da qualsiasi punto del fabbricato,
e che particolarmente si presta ad essere mascherata da vetri, cornicioni,
apparecchi che ne modifichino la distribuzione del flusso luminoso,
ecc.
Accompagnando queste buone qualità della lampadina elettrica
a incandescenza al suo elevato splendore unitario che ne rende dannoso
l’impiego diretto, nasce spontaneo il desiderio di distribuire
opportunamente il flusso luminoso prodotto, nell’ambiente, considerando
la luce come vero e proprio materiale da costruzione, complemento necessario
alla decorazione del locale.
Per giungere però a questa conclusione occorsero molti anni,
ed ancora oggi spesso non si fa altro che “produrre luce”
in un dato ambiente, senza preoccuparsi se questa luce veramente corrisponda
allo scopo, bastando il più delle volte all’artista che
le lampadine siano montate in lampadari, rifacimenti di quelli che agli
antenati servivano ad infiggere la candela stearica o la reticella Auer.
Ma a poco a poco per opera di alcuni innovatori vennero comprese e studiate
le diverse esigenze delle nuove sorgenti luminose e nacque così,
la “tecnica della luce”, nell’applicare la quale potremo
distinguere due tendenze.
La prima si occupa specialmente del corpo illuminante e trasformando
i vecchi tipi ci ha portato, a poco, a poco, a dei modelli che sempre
più si adattano all’architettura dell’ambiente ed
anzi in taluni casi più recenti fanno totalmente parte di questo.
La decorazione del locale, il lampadario e la luce prodotta si sono
fusi in una unità così intima ed indivisibile che bisogna
parlare di vera “architettura della luce”.
Nella seconda tendenza la luce è adoperata per mettere in evidenza
tutto il volume dell’ambiente, scopo pienamente raggiunto dalla
luce indiretta: le sorgenti luminose poste in opportuni riflettori e
nascoste alla vista, irradiano il flusso luminoso sopra il soffitto
od altre superfici diffondenti che fungono da sorgenti secondarie.
L’architetto ha cercato di avvicinare sempre più i lampadari
e i bracci al muro ed a poco a poco questi sono diventati parte integrante
della costruzione.
Molto spesso l’artista non ha ancora potuto staccarsi dai lampadari
d’origine, ma per contro in altri casi sono state create cose
completamente nuove. Nella fig. 1 vediamo appunto una di tali creazioni.
Se in tale lampadario predomina la linea verticale, troviamo in altri
casi un prevalere delle linee orizzontali. La biblioteca illustrata
in fig. 2, per esempio, è illuminata da un lampadario composto
da una grande lastra rotonda di vetro opalino applicata vicino al soffitto
e che cela alla vista le sorgenti luminose.
In modo molto più intimo il costruttore di un ristorante ha incorporato
l’illuminazione nell’architettura dell’ambiente (fig.
3) preoccupandosi pure di ottenere un bell’effetto decorativo
anche durante il giorno. L’illuminazione della fig. 4 è
ottenuta mascherando le comuni lampade a incandescenza in tubi di vetro
opalino di opportuna densità, ma in questo esempio le sorgenti
luminose sono assai poco legate alla sala, ciò che invece non
si verifica in fig. 5 dove le lastre di vetro smerigliato fungono in
certo senso da capitello.
Analogamente ai lampadari, possiamo osservare la stessa evoluzione anche
per i bracci murali, evoluzione che ci ha portati a tipi essenzialmente
decorativi ed il più delle volte assai semplici sia nella forma
che nella materia che la compone. La fig. 6 ci fa vedere alcune “appliques”
formate da vetri opalini molto diffondenti legati in metallo.
Un altro passo in avanti è stato fatto con l’uniforme suddivisione
delle sorgenti luminose nel soffitto, cosa che si poteva ottenere solo
con le lampadine.
In ogni cassetto del soffitto vi è luce ed ombra, ombra propria
e portata, e l’assieme costituisce una unità abbastanza
omogenea.
Nell’applicare questo sistema di illuminazione bisogna però
avere cura di tenere accese tutte le lampade, perchè accensioni
alternate rovinerebbero tutto l’effetto, inoltre bisogna far sì
che l’illuminazione del soffitto risulti uniforme perchè
altrimenti il soffitto sembra curvo. Nella fig. 7 vediamo applicato
tale concetto della distribuzione delle sorgenti luminose sul soffitto.
Creando dei movimenti decorativi mediante cavità e sporgenze,
superfici piane e superfici curve, ed impiegando opportuni riflettori,
si può ottenere una infinità di effetti diversi, effetti
che variano per uno stesso motivo decorativo col variare dell’incidenza
dei raggi luminosi. I plastici della fig. 8 fanno vedere qualche esempio.
La luce non interessa solo l’architetto come decoratore, ma anche
come costruttore, e l’esempio più caratteristico ci è
fornito dall’illuminazione delle scale. La diversa ubicazione
delle sorgenti luminose rispetto ai gradini, ed il diverso colore dell’alzata
e della pedata possono rendere la scala pericolosa.
Nella fig. 9 sono indicate due scale; nella prima tanto l’alzata
che la pedata sono di tinta scura ed anche in forza della cattiva illuminazione
proveniente dal pianerottolo sono difficilmente distinguibili. Con la
luce prodotta da un diffusore e verniciando l’alzata e la parete,
sino alla scala, di bianco, gli scalini risaltano fortemente e sono
chiaramente visibili ed è difficile mettere un piede in falso.
Finalmente ecco apparire l’illuminazione completamente indiretta
che, per molto tempo, è stata impiegata dagli architetti e dai
tecnici dell’illuminazione. Si credeva infatti di ottenere con
questo sistema il risultato migliore e molti costruttori si preoccupavano
soltanto di nascondere le sorgenti luminose.
La luce indiretta non dà ombre e produce quindi un’illuminazione
piuttosto monotona; le decorazioni, le modanature sono prive di risalto
perchè mancano le ombre forti atte a metterle in evidenza e l’assoluta
mancanza di macchie di luce nell’ambiente toglie a questo la sua
vivacità.
Non pertanto l’illuminazione indiretta trova la sua ragione in
infiniti casi e, specialmente, è bene impiegarla come “luce
corpo” quando si debbano mettere in evidenza delle cupole o delle
volte.
Nei saloni da ballo, cinematografi, teatri, ecc., la luce completamente
indiretta dovrebbe sempre essere accompagnata da sorgenti sussidiarie
aventi uno splendore unitario piuttosto elevato; vetri opalini illuminati
dall’interno, appliques di vetro pressato, ecc., appunto per produrre
quel tanto di ombre necessarie per dare vita all’ambiente.
La fig. 10 ci mostra un bell’esempio di illuminazione indiretta.
Ma con la luce artificiale altre meravigliose illusioni si possono
creare, ombre più o meno intense possono venire proiettate sulle
pareti bianche, sul soffitto, sulle volte. Fasci di luci colorate opportunamente
combinate possono dare l’illusione dell’alba o del cielo
stellato.
Con opportuni dispositivi si possono “dipingere” sul muro
bianco, vetriate, nicchie, motivi architettonici, ecc.
Ecco così nata la luci-pittura mediante la quale potremo in pochi
istanti far cambiare completamente fisionomia ad un ambiente, trasformandolo
a volontà.
La fig. 11 ci mostra un esempio di luci-pittura: la proiezione su di
una cupola di una vetriata.
Luce ed architettura, ma anche architettura della luce, in cui questa
viene considerata come materiale da costruzione.
Le sorgenti luminose nascoste nel cornicioni, celate da vetri opalini,
o pressati, o prismatici, formano architravi, colonne, mensole, pareti
intere luminose, e questo non solo per gli interni, ma anche per le
facciate.
Le fig. 12-13-14-15-16 ci mostrano alcune manifestazioni di questa nuova
arte ed altre forme nasceranno ancora da una più intima collaborazione
fra architetto ed ingegnere illuminatore.
Ing. GUIDO JELLINEK