FASCICOLO I - SETTEMBRE 1929
PLINIO MARCONI: Architetture minime mediterranee e Architettura moderna, con 17 illustrazioni
Il tema non è nuovo alla nostra Rivista, che già altre volte si è occupata dell’interessante argomento in numerosi articoli: e non è nuovo agli architetti italiani, che, invero preceduti dai colleghi stranieri, in questi ultimi anni furono attratti dalla fresca bellezza delle costruzioni rustiche dell’Italia meridionale, non solo sotto l’aspetto pittorico, ma anche sotto quello architettonico, facendone oggetto di varie pubblicazioni. A tali scritti, di cui dò cenno in calce a queste mie note, mi riferirò per quanto riguarda le caratteristiche costruttive e le derivazioni stilistiche delle architetture minime mediterranee. Fu altre volte rilevato anche il lato particolare di cui qui mi occupo, e cioè la singolare relazione intercorrente tra codeste fabbriche e taluni aspetti della sensibilità architettonica moderna, relazione che le differenzia notevolmente dalle consimili d’altre regioni.
Ci guida ad amare le architetture minori o rustiche in genere ed a trarne sotto alcuni punti di vista ed in un certo ambito naturalmente limitato, ammaestramenti per la nostra attività attuale, il fervido bisogno di rinnovamento ch’è comune all’architettura, a tutte le arti, ed in generale alla vita di noi uomini moderni: più vivo ora che nell’immediato passato.
Le ragioni sono vaste, si riferiscono non solo all’arte, ma alla civiltà odierna; ed a considerarne le remote radici il discorso ci porterebbe lontano.
Non possiamo tuttavia esimerci dal constatare che l’arte non può essere attività astratta, facente parte a se stessa, ma, sia pure in un piano diverso e più largo, aderisce strettamente alla vita morale, intellettuale, sociale e per conseguenza al periodo storico che la esprime.
Ora, la vita attuale discende dal secolo XIX, secolo inquieto e rivoluzionario per eccellenza, che più rapidamente d’ogni altro ha visto sorgere sostanza umana nuova. A cominciare dalla Rivoluzione francese esso ha assistito alla evoluzione e alla dissoluzione dei principi e dei dogmi discesi dalle concezioni intellettuali e morali medievali ed umanistiche; attraverso a guerre, le rivoluzioni, l’enorme incremento demografico, l’industrialismo, le conquiste scientifiche e tecniche, le nuove necessità e teorie sociali, l’americanismo, ecc., esso ha profondamente modificato il precedente modo di intendere la vita, con un processo formativo traboccato nella grande guerra e nei successivi imponenti fenomeni sociali tuttora in corso di sviluppo verso un totale soddisfacimento delle mutate esigenze dello spirito umano.
Ogni processo rivoluzionario comprende due momenti apparentemente antitetici, in realtà collaboranti. L’uno distruttivo, tendente a negare i risultati raggiunti in precedenza, a distruggerli, onde poter temporaneamente raggiungere uno stato di natura che permetta la ricostituzione della forma ab imis, senza l’impaccio di formule tradizionali ed in piena conformità con le più recenti esigenze pratiche e spirituali: è questo un periodo di regresso in cui l’uomo ascolta profondamente la propria natura interiore e primordiale onde tener conto di essa, oltrechè delle contingenze della moderna vita esterna, per darsi una norma veritiera ed adeguata. Il secondo momento è quello della ricostruzione della forma in base appunto a codesti principi di interiorità ed attualità.
Analoghi processi di formazione son propri dell’arte nei momenti di ricostruzione susseguenti il decadere d’un precedente periodo di fioritura,
L’arte attuale sta subendo una crisi non discorde da quella in cui fu coinvolta ogni altra forma di vita nel secolo XIX.
In codesto secolo vediamo il processo di esasperazione romantica, iniziatosi molto prima in alcune arti, intaccarle tutte, giungere in tutte alle estreme conseguenze e quivi arrestarsi, decadere e ritornare.
L’architettura era pervenuta a questa fase ultraromantica, susseguente il mirabile equilibrio classico, già col barocco ed era caduta con gli ultimi sviluppi di esso, col rococò, gli stili di Francia, ecc.
La pittura ebbe uno sviluppo più tardo: in essa il periodo romantico si protrasse con vigoria per tutto l‘800, coll’impressionismo, e il postimpressionismo francese, dopo il 700 italiano; ora è giunta alla stasi, allo smarrimento, e, come prima l’architettura, sta cercando nuova via.
Lo stesso si potrebbe dire, se il discorso non si facesse troppo lungo, della scultura, della poesia e della musica europee: esiste un logico e comprensibile parallelismo fra tutte le possibilità creative dello spirito.
Tutte codeste arti, quale prima, quale dopo, raggiungono, entro il milleottocento, le maggiori altezze degli sviluppi tradizionali del classico nel suo trabordare verso il romantico, in voli eccelsi per complessità e potenza. Lo spirito è teso a portare la forma verso estremi limiti di autonomia ond’essa si scinde e libera quanto è possibile dalla materia usata; si giunge così a un grado di lirismo oltre il quale la forma non può salire senza trabordare in un morboso ed assurdo squilibrio.
Durante il secolo XIX si tentano e successivamente si esauriscono anche i conati di ritorno parziale a cui lo stanco spirito è indotto dalla coscienza di non poter più procedere e d’aver perduta la via, ritorni che quasi sempre si riferiscono al punto di partenza dell’ultima manifestazione stilistica, al classico quindi, sia quello di Grecia o di Roma, sia al più primitivo della Rinascenza (neoclassicismi).
Poi, successivamente in tutte le arti si comincia a sentire che simili rifacimenti parziali sono inadeguati alla profonda modificazione della sensibilità, si vede la necessità di più integrali riforme e si precipita in una sorta di caos ove pullulano insoddisfatti tentativi di vita nuova.
Periodo rivoluzionario, caratterizzato dalle due apparentemente antitetiche tendenze, di cui abbiamo prima parlato: da un lato lo sforzo di adeguare la forma delle sensibilità alla loro effettiva natura, il desiderio cioè di vivere in modo assolutamente attuale, al di fuori di qualsiasi processo stilistico tradizionale (modernismo): dall’altro il bisogno di rintracciare le origini dei processi formativi della sensibilità, onde ricomporre la forma in loro armonia, non più con ritorni parziali, ma del tutto radicali (naturalismo, primitivismo).
Coteste due tendenze opposte sono curiosamente commiste e cooperanti nelle più recenti attività artistiche; vediamo così prediligere e valutare, insieme con le più irte e complesse sensibilità scaturite dalla vertiginosa vita odierna, quelle più spontanee, rudimentali, elementari e native, le arti popolari e paesane, quelle dei paesi incivili.
Ad esempio, in musica e nella danza vediamo mescolarsi ai ritmi più aggressivi e complicati, alle attitudini tonali più stravaganti ed acerbe che il nostro sistema nervoso eccessivamente irritato di uomini moderni può amare, altri ritmi e melodie attinti alle canzoni e danze popolari, o addirittura alle musiche e danze dei selvaggi (danze negre, jazz-band, ecc.). Nelle arti figurative (meno che in Italia ove la crisi si sente meno, salvo la parentesi del futurismo, ed ove la produttività, se pur meno caratteristica, conserva ancora attitudini più castigate) agli ultimi avanzi dell’impressionismo traboccanti nell’espressionismo smidollato e nevrastenico, vediamo sostituirsi da un lato le maniere tendenzialmente e cerebralmente aderenti alla nostra vita attuale (cubismo, surrealismo, meccanicismo, ecc.), dall’altro curiose attitudini trastullantisi in bamboleggianti primitivismi (dadaismo, negrismo, fantoccismo, ecc.); insieme abbiamo assistito in tutta Europa, alla valorizzazione delle arti decorative paesane.
In architettura la tendenza rinnovatrice moderna è caratterizzata dal nuovo costruttivismo, il quale, sotto l’influsso dei tanto progrediti e profondamente mutati processi tecnici (cementi armati, tecnica del ferro e del vetro, ecc.) delle smisuratamente aumentate e differenziate necessità edificatorie, e più, sotto l’influsso del generale bisogno estetico di mutazione, vuole adeguare assolutamente l’architettura alla vita attuale, dimenticando ogni legame colle passate formulazioni stilistiche: l’altro lato del processo rivoluzionario è invece rappresentato dai vari rusticismi e paesismi, che, specie per la costruzione di case, abbiamo visto svolgersi in tutti i paesi di Europa e d’America dopo l’esaurirsi degli ultimi decadentismi ultraromantici e dei diversi neoclassicismi. In parecchi paesi specie dell’Europa del Nord anche questa fase di ritorno è nettamente superata e si procede con precise formulazioni verso vie nuove.
Ho detto prima che le architetture minime mediterranee interessano più che tutte le consimili d’altri paesi giacché, oltre i caratteri di primitività, posseggono anche degli aspetti stranamente vicini a sensibilità architettoniche attuali.
Converrebbe allora definire i caratteri di tali recentissime sensibilità, cosa malagevole giacché il loro processo formativo è ancora agli inizi e si svolge fra tentativi e teorie in parte aberranti, passaggi non chiari ed eccessivi, Qualche dato si può tuttavia fissare.
L’elemento base è da ricercarsi nel nuovo bisogno di costruttività a cui ho accennato, cioè nella volontà di raggiungere assoluta aderenza tra la forma della fabbrica e la sua sostanza, onde ottenere dirette ispirazioni estetiche: manifestare solo organi di bellezza architettonica che abbiano un senso anche dal punto di vista distributivo e statico.
Una simile posizione non deve negare l’indipendenza formatrice dello spirito. È necessario continuare ad affermare, come prima condizione dell’arte, il senso della decoratività, cioè il potere di plasmare, disporre, superare la sostanza secondo uno schema di bellezza che dipenda da noi e non soltanto da coefficienti materiali: non si farà mai arte senza fantasia: ma di questa si sente ora il bisogno di sciegliere soltanto le forme che non si oppongano alla sostanza costruttiva, che ne siano in armonia ed anzi la indichino meglio, la alzino dal suo piano senza falsarla. L’opera dell’intelletto intesa come sforzo di chiarezza, amico della materia e non già come entità a sè stessa, intesa a negare la materia, a celarne il valore, a subirla per pure necessità pratiche.
Un tale stato d’animo si oppone nettamente a quello precedente, del barocco e del romantico, che invece esaltava la pura forma, idealisticamente intesa come unica signora della realtà.
Esiste e deve esistere oggi questo sforzo di approfondimento, di amore della terra, che ci deve far considerare in sè stesse le basi della costruzione, se vogliamo che da essa e da noi insieme, in un rinnovato equilibrio, nascano forme nuove non troppo facilmente ripetute attraverso interpretazioni tramandate.
Non dunque tanto razionalismo quanto costruttività: idee moderne che nascano non al di fuori, alla corteccia della struttura, ma invece col dominio degli stessi organi interni di essa.
Ne consegue un senso di superfluità e di svalutazione nei riguardi d’ogni attitudine decorativa soltanto epidermica come lo stucco, l’ornato, il fregio, ecc.: apprezziamo invece sempre più il buon volume, l’ottima proporzione, la significazione poetica degli andamenti lineari, quando questi elementi siano ottenuti non già violando la razionale forma della costruzione, ma invece penetrandola e plasmandola in virtù d’un possesso totalitario. Tutta l’architettura nella costruzione e mai contro di essa; questa è la divisa della nuova sensibilità, dovesse essa costare, in un primo periodo, l’abbandono della decoratività superficiale più lenta a formarsi.
Un tale stato d’animo avvicina singolarmente la mentalità attuale a quella primitiva, giacchè ogni forma naturale o rustica è dotata al massimo grado di cotesto senso di costruttività e non alberga alcunchè di artefatto, di inutile, di contrario a quanto è direttamente necessario ai bisogni del costruttore.
Le architetture minime delle contrade mediterranee contengono però altri aspetti specifici che le avvicinano anche più all’estetica dell’architettura moderna.
Quali sono?
Indubbiamente il carattere di costruttività di cui ho parlato, ha già dato un proprio contributo a sensibilità d’ordine puramente decorativo.
La continua e assillante presenza delle fabbriche, utensili, macchine, e di quante altre pure necessità tecniche, industriali, scientifiche hanno suggerito alla mente dell’uomo, influiscono fuor di coscenza sull’istinto estetico, modificandone i valori ed orientandoli nella loro sfera.
Il senso generale del volume ne è tocco per primo. L’industria e l’ingegneria realizzano nelle città e nelle campagne costruzioni inusitate per il passato: il silos, l’hangar, la fabbrica, il casamento d’abitazione a blocco, il grande magazzino, ecc.: schemi geometrici, simmetrici, a grandi masse, con pieni e vuoti uniformi e regolari: volumi integri, nudi, continui, duri ed utilitari, antiromantici. Viviamo intensamente di coteste imagini che suscitano il nostro entusiasmo di uomini moderni, vibrano nella nostra retina, entrano sanamente nel nostro gusto poichè la nostra vita ne dipende.
Ed allora tali schemi, apparentemente sordi e lontani dall’arte ci prendono e siamo indotti a generalizzarne il valore, a renderlo sintetico e stilistico: il mondo attuale riconduce così la nostra sensibilità architettonica alla semplicità delle concezioni volumetriche, ai solidi di valore pratico, chiuso, duraturo; il cubo, il parallelepipedo, la sfera, il cilindro: alle masse unitarie, piene, senza fratture, succinte, dotate di equilibrio e uniformità nella composizione d’insieme. Un certo senso di meccanicità, di stringatezza, di pratica chiarezza ci induce ad eliminare in tutte le fabbriche, anche non così utilitarie come i loro modelli, tutto quanto è capriccioso, disordinato, frammentario e pittoresco, quanto esige l’uso di materiali superati o finge materiali non adoperabili e trascura i più recenti ritrovati della tecnica edilizia; ed a dare invece il massimo valore a ciò che indica il volume nel modo più semplice, serio e veloce.
Anche il modo di sentire le superfici ha subito radicali influssi dal contatto coll’ambiente.
Il nostro occhio ha imparato ad amare le nudità essenziali delle vaste pareti degli edifici industriali, in cui l’unico elemento di bellezza è costituito dal taglio e dalla proporzione degli spazi, dai rapporti sostanziali di luci ed ombre, di pieni e vuoti.
Il transatlantico, l’hangar, l’utensile meccanico di ferro coperto di vaste lamiere, han finito col farci piacere la tersa e glabra lucidità delle superfici integre, non aumentate da fregi o dettagli elaborati. Velocemente ci trae la vita davanti alle cose, rapidamente esse si spostano davanti a noi.
Non abbiamo più il tempo e il modo di concederci calme contemplazioni, istintivamente amiamo nelle fabbriche nuove le doti che si afferrano immediatamente, il volume e la forma complessiva, più che il divertimento della superfice. La velocità e l’utilità hanno una loro estetica rivoluzionaria. E così non siamo più capaci di amare ciò che esige lungo tempo per essere prodotto, l’ornato minuto ed elaborato.
Ad una tale essenzialità, aridità forse, ci lega la vita stessa; chi si immelanconisce nei rimpianti è un vinto: è bene aderire con gioia alla realtà che ci ha prodotti e che noi stessi con tutte le nostre azioni determiniamo. E bene passare per superare.
Il decoratore è oggi non meno frettoloso dell’architetto e non sapremmo più trovare chi modella o intaglia fecondamente; il pittore sente le conseguenze della meccanicità e geometricità dell’ambiente, non sa più disegnare la figura umana, sente la sua arte come armonia di volumi e superfici, come stilizzazione e astrazione del senso, a base di colori vivaci, privi di pathos interiore. E allora facciamo volentieri a meno di ciò che non ha più vita.
Nè infine il senso della linea e del profilo sono rimasti estranei alla crisi di formazione; la tecnica del ferro e del cemento hanno ridato valore alla rettilineità, propria, con altra proporzione, dell’architettura trilitica greca. La linea curva, emersa quale elemento di bellezza dal sapiente uso romano delle murature in pietra e mattone, va perdendo terreno nel nostro piacere, la verticalità e sopratutto l’orizzontalità risorgono. Poichè il solaio in ferro od in cemento armato sostituisce ora normalmente la volta di vasta portata, e la trave il grande arco, anche nel piccolo svalutiamo gli elementi strutturali a direttrici curve. Il profilo ha aumentato la sua importanza dal nuovo sintetismo volumetrico; esso è quasi tutto; deve essere sentito e studiato così accuratamente da rendere pressochè superflue ulteriori specificazioni decorative.
La linearità ha permeato di sè anche i dettagli della fabbrica: il ferro delle balconate, delle inferriate, non si torce più in flessuosi ricci e grovigli, ma ama stendersi orizzontale, intrecciarsi semplicemente in disegni geometrici: sono inconsapevolmente presenti a chi lo foggia, le forme famigliari alle nuove creazioni dell’industria e dell’ingegneria, la macchina, l’automobile, la nave.
Ebbene, tornando al tema, parecchi di questi elementi troviamo nelle architetture minime dell’Italia Meridionale, e si tratta certo di concordanze casuali favorite da speciali condizioni di clima e di materiali disponibili. Man mano che si scende dall’Italia centrale verso il golfo di Napoli, cadono gli aspetti troppo caratteristicamente rustici e pittoreschi o le derivazioni stilistiche proprie delle fabbriche di campagna dell’Italia Centrale: i tetti aggettano sempre meno per la minor necessità di protezione delle intemperie, va scomparendo l’uso del legno in vista adoperato per mensole, loggie, porticati, ecc., e quello della pietra da taglio, le superfici si ricoprono d’un intonaco liscio dipinto di color vivo ed uniforme che rende i volumi sempre più unitari, cubici, liberamente evidenti nel loro valore totale, L’eterogeneo si elimina, fintantochè in Capri e nella penisola Sorrentina il tetto scompare del tutto e vien sostituito da coperture a volta che chiudono in alto i volumi; le fabbriche diventano allora blocchi compatti e distesi, esprimenti mediante la loro forma ed il loro profilo prevalentemente orizzontale, senza ulteriori specificazioni epidermiche, la loro natura interiore.
L’omogeneità dei materiali usati per costituire sia i predritti che gli elementi di copertura, accentua il senso di unità volumetrica complessiva che si estende anche ai dettagli strutturali secondari. Scompaiono i troppo accentuati elementi di frammento: i camini coperti di tegole sui tetti rossi, gli stipiti e le fascie alle finestre, le cornici, le mensole, tutti gli aggetti non essenziali. Viene raggiunta una piena aderenza tra forma e sostanza costruttiva, in cui ogni organo interno viene accusato esternamente con verità e con forza di composizione.
Ciò non si può dire con assoluta generalità di tutte le costruzioni rustiche meridionali.
Esistono fabbriche in cui la derivazione dagli stili è evidente, specialmente ove le volte sono troppo accentuatamente visibili all’esterno: si risente allora l’arabo e l’arabo-normanno; in molti elementi decorativi di dettaglio affiora il barocco spagnolesco napoletano (fig. 1-4).
In qualche altro caso, l’uso accentuato di elementi murari informi e troppo semplicisti e la totale casualità degli aggruppamenti conferisce a talune fabbriche un aspetto del tutto primitivo e rudimentale (Fig. 5-11).
Ma talvolta siffatti caratteri vengono superati: le coperture a volta sono contenute in murature di perimetro più alte, continue, dal profilo orizzontale, le scale esterne non predominano col loro sapore pittoresco e frastagliato, gli archi ed i vani di porta e finestra assumono ritmi più serrati.
Allora le fabbriche aggiungono al senso di costruttività elementare ed al senso di forma ricco di poesia, una potenza originale ed insospettata di composizione, un notevole sintetismo volumetrico e lineare, una spiccata tendenza al ritmo ed alla proporzione, un aspetto meditato e volontario (fig. 12-17).
Esse assumono allora queI valore più universale che tipicamente le avvicina alle fabbriche moderne, in voga in certi paesi del Nord.
Sta di fatto che gli architetti del Nord hanno molto meditato su queste costruzioni. Noi dobbiamo fare altrettanto ed anche meglio.
Per finire, una parola di chiarezza.
Siamo uomini moderni e sarebbe assurdo pensare che, nonostante i progressi della nostra tecnica costruttiva e le esigenze pratiche e spirituali della nostra civiltà, dovessimo grettamente ricorrere a dirette ispirazioni formali da costruzioni rudimentali come quelle di cui parliamo.
Il pedestre finto-rustico ed il pittoresco di maniera han fatto il lor tempo e nulla è più deplorevole dello pseudo-caprese che si fa oggi a Capri.
Lo studio e l’attenta considerazione di queste fabbriche elementari ci giovano invece sotto altri punti di vista più larghi. In primo luogo possiamo assorbire da esse, rimanendo nel nostro piano di uomini attuali, quel senso di aderenza alla costruzione che le ispira nel loro: essere nell’ambito dei nostri mezzi cosi costruttivi e semplici come il contadino di Capri lo è stato coi propri.
Impariamo ancora che, specie nelle piccole architetture, quando il senso del volume, delle superfici e dei profili è nettamente formulato e artisticamente potenziato, quando il colore degli impasti è ben scelto, non è necessario aggiungere membrature non esistenti per fare una cosa bella: ciò è importante ai fini delle tendenze moderne.
Amiamo la poeticità e la potenza primigenia dei processi formativi di questi semplici edifici: pensiamo che, se potessimo essere nel nostro ambiente, in proporzione alla nostra coltura, con le recenti possibilità tecniche, fecondi e fantastici cosi come è nella sua primitività l’uomo della terra, potremmo creare cose belle e mature, mentre invece viviamo in un periodo di preparazione: pertanto la visione di queste architetture è di conforto e sprone.
Infine possiamo assorbire da esse, al di fuori di ogni già conclusa manifestazione stilistica, il senso della forma insito nella razza, e stimoliamo in noi la facoltà evidentemente giusta, sana ed inevitabile, di rimanere aderenti alle nostre origini e conseguenti a noi stessi, mentre stiamo per procedere verso gli sviluppi futuri della nostra arte.
(Schizzi di Plinio Marconi).
PLINIO MARCONI.BIBLIOGRAFIA RECENTE SULLE ARCHITETTURE MINORI DELL’ITALIA MERIDIONALE
E. CERIO La casa nel paesaggio di Capri, con disegni del pittore Favai.
Il giardino e La pergola nel paesaggio di Capri, con disegni di E. Castellaneta. Ed. Alfieri e Lacroix.
E. CERIO Le pagine dell’Isola di Capri. Ed. Casella. Napoli 1921.
(Collezione contenente vari studi sul tema, tra cui uno importante che riguarda la casa di Capri nei rapporti con l’attuale attività edificatrice ed il Regolamento edilizio dell’isola).
E. CERIO: Capri. (Importante opera in 4° con disegni architettonici di G. B. Ceas), Casa d’Arte Editr., Roma 1929.
R. PAOLI: Amalfi, Ravello, Capri, The Architect, july 1920, january, march 1921.
R. PAOLI: Amalfi, Emporium 1922. Arti Grafiche Bergamo.
L. PARPAGLIOLO: La difesa delle bellezze naturali dell’Italia. Roma 1923.
C. JONA.: L’Architettura rusticana nella costiera d’Amalfi. R. Crudo e C., Torino.
V. MARCHI: Primitismi Capresi, in Cronache d’attualità, 1922.
V. MARCHI: Architettura Futurista. Ed. Franco Campitelli, Foligno.
E. CERIO: L’Architettura rurale nella Contrada delle Sirene. (Atti del I° Convegno del Paesaggio, in Capri).
F. T. MARINETTI: Lo stile pratico. (Atti del l° Convegno del Paesaggio. In Capri).
E. PALUDI: L’Architecture nouvelle et l’art de Capri et de la côte du golfe de Naples. Les Hirondelles. Giugno 1927. Casa Editrice d’Arti Bestetti e Tumminelli, Milano-Roma.
E. CERIO: L’Architettura minima nella Contrada delle Sirene. (Rivista d’Arch. ed Arti decorative, Anno 1922 Dicembre).
G. CAPPONI: Motivi d’Architettura Ischiana. (Rivista di Architettura ed Arti Decorative. Anno 1927, Luglio).
R. PANE: Tipi d’Architettura rustica in Napoli e nei Campi Flegrei. (Rivista d’Arch. ed Arti Decorative. Anno 1928, Agosto).

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