FASCICOLO VIII - APRILE 1928
Notiziario

CORRIERE ARCHITETTONICO

LA QUIRINETTA
DELL’ARCH. MARCELLO PIACENTINI

Questa recente opera di Marcello Piacentini coadiuvato per la parte scultorea da Alfredo Biagini e per quella pittorica da Giulio Rosso, è già ben nota al pubblico italiano per varie pubblicazioni; e dei suoi pregi hanno parlato autorevoli critici. Riportiamo i giudizi che ci sembrano più adeguati, stralciandoli da scritti di Cipriano E. Oppo e di Carlo Tridenti.

L’OPERA DELL’ARCHITETTO E DELLO SCULTORE

Idea audace, questa, di affidare a veri artisti la sistemazione architettonica e decorativa di un locale sottereaneo in cui il teatro, il concerto, la trattoria notturna, il bar e la classica osteria romana formassero un’amalgama signorile, divertente e nuova. Idea audace specialmente a Roma ove gli artisti sono in genere musoni e sognano soltanto “le mura e gli archi” imperiali; e il pubblico si è abituato, purtroppo, ad accoppiare l’idea del luogo di divertimento con il cattivo gusto scenografico e la pacchianeria. Ora mi pare che il lavoro compiuto dall’architetto Marcello Piacentini, di superare tante esigenze e tante difficoltà, quali ne richiede un simile insieme e nel medesimo tempo di riuscire a far cosa degna sotto tutti i riguardi d’essere considerata di fine buon gusto, sia da notare, nel vasto campo della sua attività, come operetta caratteristica, briosa e gentile.
Ma non si creda con ciò che l’impresa sia stata tanto facile dal punto di vista materiale e che insomma il lavoro d’adornamento sia stato l’unico. Perchè in questo caso l’architetto avrebbe dovuto molto all’opera dello scultore e del pittore. Ma bisogna pensare che il locale era quasi completamente interrato, e, trasportate le terre, si son dovute rafforzare le fondazioni del Teatro soprastante e dei locali circostanti. Sono stati creati tutti i muri nuovi, distaccati dagli esistenti, sì da costruire, sopra e sotto alle pareti, tante camere d’aria: così che ogni sala è quasi una scatola isolata dai muri che la circondano: in queste intercapedini passano correnti d’aria fresca o calda secondo le stagioni.
È quest’ultima la risoluzione di un problema importantissimo. È notorio l’inconveniente che si riscontra in locali eleganti consimili, dove la quantità del pubblico e gli apparecchi d’illuminazione rendono l’atmosfera pesante e qualche volta irrespirabile, per l’acido carbonico che si sviluppa, e per gli odori molesti delle vivande e dei grassi caldi delle cucine. La “Quirinetta” è munita di un impianto di ventilazione e di riscaldamento studiati secondo i criteri pià moderni della tecnica, assicurando in modo perfetto il continuo rinnovo dell’aria negli ambienti. L’aria di ogni vano viene completamente ricambiata quattro volte in un’ora. L’aria pura viene presa sul terrazzo del Teatro e filtrata negli ambienti sotterranei; nello stesso tempo l’aria viziata è aspirata dalle sale ed espulsa all’esterno. Troppo lungo sarebbe spiegare il funzionamento dell’impianto costituito da due reti separate e funzionanti indipendentemente l’una dall’altra; basti sapere che una delle più importanti ditte d’Italia ha curato la costruzione della grande cabina con i ventilatori centrifughi, i quali sono muniti di speciale disposizione per ridurre a nulla il rumore che non sarebbe assolutamente sopportabile, e che le bocchette sono tutte munite di serrande di regolazione e la velocità dell’aria può farsi variare come si vuole.
L’insieme degli ambienti è composto di sei sale per ristorante e di un teatro contenente circa duecento poltrone. Vi sono tre accessi; uno diretto sulla Via Marco Minghetti e due dal Teatro.
La sala più vasta, detta dall’architetto, sala etrusca, ha le pareti di mattoni disposti con gusto assai vivace. L’architettura semplicissima è arricchita da decorazioni in terra cotta che ricordano gli acroteri dei tempi etruschi. Questi bassorilievi dello scultore Alfredo Biagini sono gustosissimi: perchè non soltanto hanno il carattere della tecnica e della tipologia etrusca, ma hanno un leggero sapore caricaturale e sono pervasi da una malizia di accostamenti stilistici molto moderna e arguta. I lampadari in bronzo verde ricordanti la chimera d’Arezzo sono anche opere del Biagini come, del resto, quanto vi è di scultura in tutta la “Quirinetta”. Così pure i putti in bronzo sulla testata dell’ingresso in Via Marco Minghetti, i bassorilievi del bar ecc. Ritroviamo anzi qua e là, giustamente messe in singolar luce d’importanza, alcune opere esposte alla Mostra del ’900 Milanese, all’Esposizione di Venezia e alla Biennale Romana. Ma come la bella Amadriade in marmo grigio sulla elegante scala di accesso, la Venere della saletta, e la Bagnante della fontanina nella sala etrusca, qui trovano una migliore collocazione e una più logica vita!
Una saletta singolarissima, tutta irregolare, è quella battezzata Sala di Bacco ove sono due nicchie con due fontane da cui cade vino bianco e vino rosso. Una baccante, o satiressa sdraiata, di deliziosa modellazione, un caminetto e un pannello a stucco rappresentante la vendemmia sono anche opera del Biagini. È veramente straordinario come questo artista riesce a passare da un genere all’altro, da una ispirazione stilistica ad un’altra, con la medesima facilità!
Così nella “Sala degli stucchi”, tutta bianca, egli ha saputo creare una rievocazione di gusto tra pompeiano e rinascimento, eseguendo sul posto i leggerissimi e raffinati stucchi nell’antica maniera e tecnica perfette, ma al solito facendo una garbata ironia della moderna maniera decadente e postcubistica. E pieni di sapore sono anche gli stucchi della saletta rosa e mauve, detta dell’Ombrello, perchè è coperta da una volta a ombrello. Questa graziosissima saletta ovale s’apre con un arcone sulla sala etrusca, ed ha una ringhiera di ferro battuto, delicata opera del Petrassi.
Ma dove la piacevolezza arriva ai limiti estremi dell’eleganza è nella sala denominata “Saletta della Venere”. Questa minuscola saletta ha le pareti a quattro archi sorreggenti la cupoletta semisferica (come la tomba di Galla Placidia); lo zoccolo alto è a mosaico a fondo nero e decorazioni in bianco; alle pareti vi sono lastre di alabastro orientale luminoso; la volta con mosaico a fondo bianco ha le decorazioni in nero. È difficile ridire la sapienza con cui il Biagini ha pensati ed eseguiti, sul gusto romano, questi mosaici e come l’insieme risulti armonioso e perfetto. In tutto questo lavoro, veramente importante è stata appunto la fusione dell’opera architettonica con quella decorativa; cosa che non ci stancheremo mai di domandare agli architetti; che cerchino d’avere a loro disposizione gli artisti migliori per farli lavorare ad uno scopo preciso.
Marcello Piacentini va lodato appunto per avere sempre cercato di fare opera completa e non soltanto architettonica. Perciò questa “Quirinetta” è risultata così piacevole. La sala del Teatro dipinta da Giulio Rosso è cosa davvero signorile, ed ha un palcoscenico assai curioso e bizzarro, lungo e pieno di meandri; ove uno scenografo moderno avrebbe da sbizzarrirsi parecchio. Il Teatro è, si capisce, in miniatura, ma può essere adibito a spettacoli d’eccezione e di raffinatizza, a piccole opere da gustare da vicino in tutti i particolari, a balletti, a concerti, a conferenze ecc. adatti ad un ambiente come questo, dove mai si dovrà dimenticare un tono aristocratico.
Non crediamo di esagerare dicendo che un locale come la “Quirinetta” è unico del suo genere in Italia, e non ha nulla da invidiare a locali consimili francesi e tedeschi. Anzi quel sapore sottilmente ironico sul quale abbiamo tanto insistito, dà un tono di allegria serena, nostrano, diverso di molto dall’avvinazzato, perverso e nouveau riche che è in quasi tutti i locali stranieri.
CIPRIANO E. OPPO.

L’OPERA DEL PITTORE

...... delle decorazioni pittoriche per “Quirinetta” di Giulio Rosso, è da sperare, saranno intesi e il finissimo umorismo e la intellettuale complessità. Bisogna osservarle attentamente non soltanto per il modo grazioso con cui s’intonano allo spirito dell’ambiente, ma anche perchè riassumono e forse conchiudono tutto un periodo di attività dell’artista che le ha create.
...... vinta la prima impressione festosa e domenicale suscitata in noi specialmente dalle scene del vestibolo, lo spirito, colti i più vistosi contrasti formali, si diverte ad analizzare gli elementi (la ricetta, potrebbe aggiungere un osservatore troppo malizioso) di una così inconsueta e pur così facile e familiare espressione estetica. Non v’è contraddizione in queste parole: specialmente se si considera la prontezza e la spontaneità con cui dal sorriso ci si sente disposti a passare al più pacato ragionamento. A questo, del resto, si è addotti proprio dal temperamento, subito apparente, dello scaltrissimo artista che ci sta dinnanzi. Il quale non fa mistero a nessuno delle sue preferenze e simpatie, delle sue volubilità nella simpatia. Non è nemmeno passato da un’amore all’altro, no: infatti una precoce aridità cordiale lo incoraggiava più ad un gaio e curioso dongiovannismo artistico che alle incomode e distraenti passioni successive. E lo si vede.
Ecco spuntare nelle scene eleganti, dove dame e zerbinotti indugiano in preziosi “maurivaudages”, la smilza grazia di taluni neoromantici francesi, ultimi eredi di Callot e dei “petits maitres” settecenteschi. Vien fatto di ripensare alle parole severe e giuste del Baldinucci: “Il Parisi osservando la gran facilità ch’egli (il Callot) aveva in disegnare piccole figurine con un modo però ammanierato e aggrottescato molto, come quegli che nulla mai aveva fatto dal naturale, non cessava di persuaderlo a disegnare molto e molto da esso naturale”. Le figure dei “Capricci” del lorenese riappaiono, così, vestite alla moda, oggi guardata con nostalgia, del 1830 e 40: con un po’ meno di grottesco e un po’ più d’ironia malinconica. Ma è piuttosto l’ombra di un sogno lontano che una certa rispondenza ideale, di per sè stessa esclusa dalla natura troppo, finora, svagata, dell’artista. E si passa difatti, per tutti i gradi di un cosciente risentimento di spirito e di forme. La popolesca e sgargiante parata delle stampe muricciolaie e delle carte da giuoco: la spesso rozza, ma spiritosa e realistica semplicità degli artisti locali trecenteschi e quattrocenteschi, narratori divertiti della prima notte di un giovin signore nella stanza del podestà in San Gemignano o del tranquillo meriggiare, tra i cespugli, di due innamorati (v. qualche cassone nuziale d’arte fiorentina) o di qualche costumanza cittadina o dei ricorrenti aspetti della vita contadina; persino il piglio grandioso e monumentale dei più severi plastici nostri; e un po’ di secessione viennese e uno sprizzo di balletto russo; il tutto dosato, mescolato e insaporito con la furba cautela dilettantesca di qualche sensibile ricettiva personalità straniera: di un Grigorieff, per esempio. Con questo gustoso artista Giulio Rosso ha innegabili affinità. Il fiorentino confessa apertamente, del resto, di esser stato profondamente attirato dalle illustrazioni di una rivista riproducenti le pitture eseguite dal Grigorieff per La Biche, un restaurant di Montmartre di moda qualche anno fa.
Ma v’è di più. V’è, in più, il frizzo delicato di certi contrasti e il godimento d’ironia con cui talune manie formali della moderna arte d’avanguardia sono svuotate di quel tanto di solennità teorica che in origine riusciva a salvarle dal nostro totale disincanto. Rivedete così, ridotti alla pura piacevolezza illustratitiva, le tondezze di modellazione dei cézanniani; quel modo ormai abusato, di accentuare i volumi con un chiaroscuro tutto tenuto lungo i limiti della forma; quel piano e puro distendersi, fuor da ogni possibile vibrazione e modificazione atmosferica, di sonore tinte locali, che sembrava riservato un tempo alle stampe popolari di tutti i paesi di questo mondo.
I contrasti, poi, sono palesi: ora è una preziosa minuzia da primitivo applicata a un dettaglio minimo, ora l’inserirsi di un particolare rustico in una elegantissima cornice architettonica di derivazione pompeiana. Prevalenza, ovunque si giri l’occhio, di un’arguta trasposizione caricaturale di forme già attuate, specialmente di forme magne: accettazione romantica di elementi disparatissimi, fatti apparire e scomparire e poi riapparire trasformati come dalla diabolica prestezza di un giocoliere buontempone.
Pure non si può negare al Rosso di aver raggiunto in molte scene del nuovo teatrino la sospirata unità. Persino l’originalità. Il Rosso, fiorentino di nascita, lettore deliziato dei novellieri trecenteschi e di Rabelais e del Balzac dei Contes drolatiques, ha pimentato la sua, già gustosa, olla podrida con una droga alquanto rara di questi tempi: un umorismo senza amari sottintesi, anzi animato dalla grazia ridanciana, grassoccia e spregiudicata di un gaudente paesano, intinto di gaia letteratura, sopratutto dotato di buono stomaco e... del resto. Di carattere e gusto prettamente latini. È stato proprio questo spirito il salvatore miracoloso: che ha fuso al calore della sua fantasia anche ciò che era accattato o meno genuino e mantenuto l’intera visione nei limiti di una discreta italianità realizzatrice.
Del resto si trattava di decorare un piccolo ed esclusivo locale notturno: per le ore d’arte leggera e di svaghi tersicorei. Sarebbe stato alquanto strano ritrovare chiusa nei delicati profili piacentiniani la più o meno abile traduzione delle ventilate immaginazioni di certi barbuti decoratori. Ecco perchè dicevo, in principio, che l’architetto Piacentini sa scegliere con giudiziosa opportunità i propri collaboratori.
CARLO TRIDENTI.

L’ESPOSIZIONE DI TORINO DEL 1928

È un’opera vasta e complessa, che si distende su di una superficie di oltre 380.000 metri quadrati e che comprende più di quaranta Padiglioni; opera difficile per il rispetto che si è voluto imporre alle piante ed alle linee del nobile Parco, e che sarà certamente coronata di successo per i pregi propri e per quelli incomparabili dell’ubicazione.
Ora, a costruzioni avanzate, possiamo dire che la caratteristica più spiccata dell’Esposizione, sarà la sua veste moderna, fresca, giovanile e festosa, come quella che doveva sorgere innanzitutto dal gruppo di giovani architetti che ha progettato i Padiglioni e ne dirige i lavori con infaticabile entusiasmo.
Ad una prima rapidissima rassegna non convengono dettagliate descrizioni e rilievi estetici particolari: ci bastino le illustrazioni di queste pagine e i pochi cenni che aggiungiamo.
Il Padiglione della Chimica, primogenito nel tempo e massimo come area coperta (11.000 mq.) è stato progettato dall’arch. Giuseppe Pagano Pogatschnig. Si distende sull’area dell’ex laghetto della Società dei Pattinatori e contiene il Salone a crociera delle macchine, alto 17 metri e culminante nella Cupola, sull’incrocio alta 36 metri. Altre gallerie per esposizione di prodotti completano l’edificio, formando tre cortili, con giardini, fontane e pélouses.
L’ingresso principale, decorato da pannelli del pittore Gigi Chessa, si aprirà verso il piazzale del Monumento al Principe Amedeo.
L’architettura è particolarmente sobria, come richiedeva il carattere industriale dell’edificio, affidando l’espressione estetica alle masse e al ritmo di partiti triangolari ascendenti che giocano con i loro chiaroscuri netti e sottili.
Il Padiglione dei Festeggiamenti e della Moda è stato progettato dagli architetti Giuseppe Pagano Pogatschnig e Gino Levi Montalcini. Copre un’area di 4.100 mq. e conterrà un grande Salone per spettacoli, capace di 1.300 posti, il palcoscenico, foyer, ecc.
Due grandi gallerie a tenaglia racchiudenti il piazzale centrale, albergheranno l’esposizione per la Moda.
L’esterno sarà ornato da statue e da pannelli degli scultori Balzardi e Terracini, su cartoni dell’arch. Levi Montalcini, l’interno da pannelli del pittore Deabate.
L’architettura esterna, di ampio respiro moderno, sarà rallegrata da dodici fontane luminose con getti a ventaglio ed a lancia, specchi illuminanti e boules iridescenti.
Il Padiglione dell’Agricoltura è opera dell’arch. Ettore Pittini. Copre una superficie di circa 3.000 mq. e accoglierà la mostra generale dell’agricoltura, cerealicoltura, risicoltura, opere di bonifica ecc.
L’architettura ha carattere spiccatamente romano con grandi piani riposanti coronati da sobrie cornici e pannelli decorativi dello scultore Baglioni con figurazioni modernizzate di deità pagane.
Due grandi torri, dalla parte della fontana Ceppi, verso la quale si apre l’ingresso principale, porteranno le installazioni per gli altoparlanti, i fari e gli ascensori.
Dell’arch. Pittini è anche il Padiglione dell’Alimentazione, a due piani, con una superficie di circa 5.000 mq.
L’edificio ha la pianta di un doppio T. con le facciate a timpano leggermente mosso da una cornice a riprese curvilinee, sopra un semplice colonnato che continua tra gli abeti in forma di porticato. Gustosi bassorilievi decorativi dello scultore arch. Levi Montalcini rialzano la chiarità sobria dei timpani.
Il Padiglione accoglierà la mostra dei vini, olii, biscotti, cioccolata, paste alimentari ecc.
Il Padiglione dell’Esercito, Marina e Aereonautica è stato progettato dagli architetti Pagano Pogatschnig, Pittini e Gino Levi Montalcini. Copre un’area di 1.700 mq. Nel centro del Padiglione sarà posta una Sala cinematografica capace di 600 spettatori, dove verranno proiettate le films di guerra del Comando Supremo.
Il Padiglione ha un aspetto solido e marziale, caratteristico nel bugnato a punte di diamante.
La Mostra per l’Industria del Freddo e l’adiacente Padiglione degli Architetti, sono stati progettati dall’arch. Paolo Perona. Oltre agli impianti industriali modernissimi mostrerà un completo appartamento tipo, accuratamente studiato nella disposizione razionale dei locali e nell’arredamento, progettato dall’intero gruppo dei giovani architetti presieduto dall’architetto Betta. Riteniamo che l’iniziativa costituirà uno dei “numeri” più interessanti dell’Esposizione contribuendo efficacemente alla propaganda delle idee più moderne sul conforto e la bellezza della casa.
La Mostra Coloniale sorgerà nella zona di oltre Po, detta del Filonetto. Il Padiglione d’onore e il Mercato Coloniale sono stati studiati dagli architetti Pagano Pogatschnig e Pittini, e ricordano felicemente motivi di suggestive costruzioni libiche arricchiti da caratteri imperiali Romani ancora sopravviventi.
La Mostra della Caccia e Pesca è opera dell’arch. G. Pagano Pogatschnig e ha un simpatico sapore rusticano.
Nei prossimi numeri ritorneremo con più pacato discorso sui più importanti padiglioni non ancora illustrati o già illustrati, documentandoli di piante e di particolari decorativi.
Arch. ARMANDO MELIS.

RETTIFICHE

Nell’articolo sul Palazzo per la Società delle Nazioni in Ginevra, pubblicato nel fascicolo settembre-ottobre della Rivista, laddove sono riportati i due progetti con firma Arch. Broggi ed Arch. Piacentini leggasi invece rispettivamente Architetti Broggi Vaccaro-Franzi e Architetti Piacentini-Rapisardi-Mazzoni.
Nel fascicolo settembre-ottobre della Rivista, nel resoconto sull’esito del Concorso pel Monumento al Finanziere, fu detto per errore che nel suo progettto l’Architetto A. Limongelli aveva avuto per collaboratore lo Scultore A. Biagini, mentre invece trattavasi della Scultore E. Drei.
n. d. r.

LA TOMBA GIANNINI A CASTELLETTO TICINO di GIGIOTTI ZANINI

Questa edicola trae, dalla franca e serena semplicità, il suo massimo pregio; ed il maggior merito sta nella concezione e nell’esecuzione elegantissima e sobria. Ha in sè tuttavia uno strano valore architettonico; e, nell’insieme e nei particolari, fa pensare ai tempietti che una volta usavano elevare nei grandi templi: sagome esili, rapporti di masse e sporgenze risolte con timidezza, un non so che di timoroso, un’architettura da tabernacoli, insomma.
Il motivo di lesene trabeate che reggono il timpano triangolare si ripete sulle fronti opposte, ed è tutto quanto caratterizza questo monumento. Soltanto gli sfondati han, da ciascuna parte, diversa importanza, ed il maggiore fa da alcova e custodisce, oltre le targhe per le epigrafi, nicchiette per ampolline e fiori.
Zanini ha qui usato pietra di Trento e nero del Belgio; attorno, a delimitare il campo, gira un’esile ringhiera su pilastrini bronzei.
Quest’è, davvero, fra le migliori costruzioni funerarie apparse negli ultimi anni.
R. F.

NOTIZIARIO

COMMEMORAZIONE DELL’ARCH. MANFREDO MANFREDI NELLA SALA DELLE BANDIERE AL VITTORIANO IN ROMA.

Il giorno 12 febbraio u. s. per iniziativa della Direzione e del Corpo Accademico della R. Scuola Superiore di Architettura in Roma, alla presenza del Re, l’attuale Direttore Prof. Gustavo Giovannoni pronunciò un discorso commemorativo del primo direttore della Scuola, Architetto Manfredo Manfredi, morto in Roma lo scorso anno.
Erano presenti numerose autorità fra cui i Ministri Fedele e Giuriati e notevolissime personalità nel campo artistico, politico, letterario, scientifico.
Nella sala erano stati esposti i lavori dell’insigne artista scomparso ed i progetti architettonici degli allievi laureati dalla Scuola nata sotto le sue cure.
Il Prof. Giovannoni ricordò la figura di Lui; come uomo battagliero, probo, buono; come artista che fra i primi reagì al frigido e vuoto accademismo della sua epoca, sforzandosi di realizzare cose vive, pur non allontanandosi dalle forme romane, o dalla interpretazione di esse data dalla nostra Rinascenza: e specialmente come Maestro infaticabile amico dei giovani, desideroso del loro progredire, in chè il Suo spirito scorgeva opera di vita illimitata, più vasta di quanto forse non gli sembrasse la concreta realizzazione delle sue medesime idee e sensibilità.
La Scuola Superiore di Architettura, che per la prima volta in Italia fornisce ai giovani la possibilità di nutrirsi in modo completo di tutti gli elementi artistici e scientifici che inscindibilmente cooperano a determinare la figura intellettuale dell’Architetto, Scuola che Egli, nella incomprensione generale dell’epoca, tenacemente propugnò e nel 1920, ottenne fosse fondata, è forse la Sua opera più importante e duratura, quella per cui alla memoria di Lui correrà sempre riconoscente il pensiero degli architetti di domani.
P. M.

SINDACATO NAZIONALE ARCHITETTI

PAGINE DI VITA SINDACALE

BANDO DI CONCORSO PER LO STUDIO DI UN PROGETTO
DI PIANO REGOLATORE E DI AMPLIAMENTO PER LA CITTÀ
DI CASTELLAMMARE DI STABIA.

Dall’Arch. Vittorio Pandaleo, Segretario Provinciale del Sindacato Nazionale Architetti di Napoli, ci viene comunicato il seguente Bando di Concorso. Siamo lieti di constatare che il lodevole sistema di consultare per le più importanti questioni urbanistiche ed edilizie i competenti di tutta Italia si vada estendendo.
Ecco il testo del Bando:

Il Podestà del Comune di Castellammare di Stabia bandisce un concorso per un progetto di massima del piano regolatore ed ampliamento della città di Castellammare a cui possono partecipare tutti gli ingegneri ed architetti italiani.
Il progetto di massima del piano regolatore ed ampliamento deve corrispondere alle seguenti condizioni;

1.° - Il progetto deve tener conto delle condizioni attuali e dello sviluppo presumibile per un trentennio, tenuto presente l’aumento demografico, industriale e marittimo e quello della stazione climatica balneare e di cura.
2.° - Si dovrà considerare in particolare:
a) la natura e intensità dei diversi mezzi di traffico e la sistemazione e miglioramento dei mezzi meccanici di trasporto con rotaie, filovie, funicolare ecc. in modo che siano opportunamente distribuite in relazione alla nuova sistemazione stradale.
b) la sistemazione dei servizi pubblici.
c) la distinzione della città in tre zone:
I - Zona industriale (stabilimenti e case operaie) da estendersi sui terreni a valle della stazione ferroviaria verso Torre Annunziata coordinandola con gli attrezzamenti marittimi e col porto.
II - Zona climatica a monte della città attuale verso Scanzano, Botteghelle, Quisisana, S.Maria del Pozzo con i collegamenti necessari stradali, con la parte montuosa soprastante e le terme sottostanti.
III - Zona marittima che colleghi opportunamente le due zone indicate e completi la zona centrale opportunamente migliorata considerando eventualmente un riempimento del mare in modo da permettersi la costruzione di villini, stabilimenti speciali di ritrovo, stabilimenti di bagni, campi di tennis, ecc.
3.° - Tra i principali obiettivi il progetto dovrà contemplare:
a) il coordinamento dei progetti già approvati, o in corso di esecuzione, al piano regolatore progettato, in modo da ottenere una sistemazione razionale dell’attuale città e rendere facile lo sviluppo degli ampliamenti futuri della stessa.
b) la costruzione di una strada litoranea con giardini pubblici e privati e con zone riservate ad edifici pubblici: gli edifici debbono essere in generale di altezza limitata, separati dalle strade da una zona tenuta a giardinaggio appartenente agli edifici stessi e debbono presentare nel loro insieme l’aspetto di un parco.
Nella costruzione della predetta strada deve tenersi presente di non togliere la visuale del golfo dai pubblici giardini.
c) le nuove strade e piazze nell’attuale centro cittadino debbono, oltre che sistemare la circolazione e migliorare le condizioni igieniche, procurare di isolare la parte climatica del centro cittadino in modo che il traffico normale della vita cittadina e industriale non invada e turbi la parte più strettamente utilizzata come zona climatica. Debbono naturalmente essere tenute presenti le caratteristiche della città, l’isolamento dei suoi monumenti ed edifici pubblici, l’ubicazione delle varie scuole, i campi sportivi, ecc.
Per quanto riguarda la zona esterna della città deve essere opportunamente studiata la rete stradale in relazione alla rete interna della città in modo che il traffico dei mezzi di trasporto più pesanti si effettui all’infuori del centro abitato e della zona climatica, eventualmente con opportuna strada di circumvallazione.
Il progetto dovrà esser tale da potersi eseguire gradualmente e ordinatamente e contenere le norme edilizie che regolano la costruzione in città e di gruppi isolati di fabbricati nella zona considerata esterna e da vincolarsi.
Il Comune di Castellammare fornirà, su richiesta a) una planimetria di scala da 1 a 25.000 dell’Istituto Geografico Militare comprendente la città di Castellammare e la regione circostante, considerata zona esterna della città e da vincolarsi; ed un’altra planimetria della città da 1 a 5.000 con i progetti edilizi vigenti, indicazione delle aree e stabili di proprietà del Comune, delle aree demaniali di possibile utilizzazione, delle aree occupate da stabilimenti industriali esistenti.
b) una planimetria della sistemazione ferroviaria e tramviaria attuale o in progetto.
c) una planimetria delle aree del Porto e delle aree destinate agli impianti portuali attuali o in progetto.
d) un elenco dei monumenti e case sottoposte alla sorveglianza della R. Sopraintendenza all’arte medioevale e moderna.
Tali documenti verranno rilasciati previo deposito di Lire 100.
Il deposito verrà restituito all’atto della presentazione del progetto contro restituzione della ricevuta del deposito stesso.
4.° - I concorrenti dovranno presentare in tavole distinte la risoluzione dei vari problemi, illustrando, ove occorre, con prospettive, gli aspetti dei nuovi quartieri proposti. Tali prospettive dovranno essere studiate anche da punti visuali situati sul suolo stradale. Una relazione scritta deve accompagnare il progetto.
5.° - I progetti devono essere presentati entro sei mesi, dalla data di pubblicazione del bando, alla Segreteria Generale del Comune la quale ne rilascerà ricevuta.
I progetti in tutto o in parte presentati dopo tale termine saranno esclusi dal concorso.
Il concorrente è libero di far pervenire il proprio progetto col mezzo da lui ritenuto più opportuno; dovrà tuttavia curare a che esso giunga a destinazione chiuso in involucri suggellati.
Gli involucri non dovranno portare che un motto ed un numero scelti dal concorrente e dovranno essere accompagnati con una busta perfettamente opaca, anch’essa suggellata, con entro un foglietto portante il nome, cognome e indirizzo dell’autore o degli autori del progetto stesso, e i documenti comprovanti che il concorrente è ingegnere o architetto di cittadinanza italiana.
Anche la busta dovrà essere sull’esterno contrassegnata dal motto e dal numero.
Motto e numeri dovranno altresì trovarsi sul foglietto interno della busta e su tutti gli elementi costituenti il progetto.
All’infuori delle scritte sopra precisate, non si dovranno riscontrare segni, marchi, scritti od indicazioni di qualsiasi genere che possano comunque servire all’identificazione dei concorrenti.
Le buste accompagnanti i progetti come sopra è detto, saranno conservate intatte a cura del Comune e verranno aperte soltanto con le modalità in appresso stabilite.
6.° - GIURIA - Sarà istituita a suo tempo una Giuria nominata dal Podestà. I membri della Giuria, prima di iniziare i lavori, dovranno rilasciare dichiarazione scritta di non aver collaborato in qualsiasi modo coi concorrenti e non aver con essi vincoli di sorta.
La Giuria giudicherà a maggioranza di voti. In caso di parità di voti deciderà il voto del Presidente.
Il giudizio è inappellabile e la Giuria dovrà dare in ogni caso la classifica dei concorrenti prescelti in ordine di valore, con la motivazione del giudizio. Essa dovrà dare il suo giudizio entro due mesi dalla chiusura del concorso; potrà però, con deliberazione unanime, chiedere di prolungare tale periodo di altri 30 giorni oltre il detto termine.
Aggiudicherà un primo premio di L. 20.000.
Un secondo premio di L. 5.000.
I premi dovranno in ogni caso venire assegnati.
7.° - I progetti premiati diventeranno di assoluta proprietà del Comune e s’intenderanno da esso acquistati per effetto stesso del presente concorso e del premio conferito, ed il Comune potrà disporre in tutto od in parte con modificazioni o senza, o farne quell’uso che crederà conveniente per l’attuazione del piano regolatore e di ampliamento.
I progetti non premiati resteranno invece di assoluta proprietà dei loro autori, i quali tuttavia per conservare tale diritto, dovranno curarne a proprie spese il ritiro presso la sede del Comune entro il termine di un mese dalla pubblicazione dell’esito del concorso. Scaduto questo termine il Comune non avrà più alcuna responsabilità di fronte al concorrente od a chi per esso.
8.° - Il Comune si riserva fin d’ora l’assoluta libertà o meno dell’esecuzione del progetto vincitore, e di apportarvi in sede di esecuzione quelle modificazioni o varianti che gli fossero suggerite da insindacabili apprezzamenti di carattere tecnico o finanziario o da speciali considerazioni pratiche, senza che l’autore del progetto possa comunque sollevare eccezioni di sorta.
9.° - Tutte le buste dei progetti presentati dovranno essere lasciate chiuse ed allegate al progetto al quale rispettivamente si riferiscono, per essere poi a suo tempo, escluse quelle dei progetti premiati, assieme al progetto stesso, restituite a chi di diritto dietro esibizione della ricevuta rilasciata all’atto della consegna.
Le buste dei progetti premiati non potranno essere aperte se non dopo la proclamazione del risultato del concorso e soltanto dopo di essa potranno essere conferiti i premi di concorso.
La consegna, il ritiro e la spedizione dei progetti saranno fatti a totale cura e spesa del concorrente.
Il Comune si riserva la facoltà dell’eventuale riproduzione con mezzi meccanici di tutti i progetti presentati.
10.° - I progetti prima del giudizio della Giuria saranno esposti al pubblico in luogo da determinarsi per la durata di un mese.
11.° - Tutte le deliberazioni del Comune e della Commissione Esaminatrice per quanto si riferiscono al presente concorso si devono ritenere insindacabili e inappellabili in qualsiasi sede, ed i concorrenti, per il semplice fatto di partecipare al concorso, accettano anche queste condizioni.
Dal Municipio, lì 15 gennaio 1928 - Anno VI.
Il Podestà: F. MONTI

CONCORSO PER IL MANIFESTO ILLUSTRATO DELLA MOSTRA
DELLA VILLA E DEL GIARDINO ITALIANO IN VICENZA.

A proposito di quanto già annunciammo circa la Mostra del Giardino Italiano in Vicenza, pubblichiamo il seguente bando di concorso emesso dal Podestà di detta città:

È aperto un concorso fra gli artisti italiani per il manifesto illustrato della Mostra della Villa e del Giardino Italiano, che sarà tenuta a Vicenza nel prossimo anno e che comprenderà:
Mostra retrospettiva (stampe, plastici, disegni delle Ville e dei Giardini delle Regioni Italiane).
Ville e Giardini del’900 (arti decorative, architettura di Ville e Giardini, e concezioni nuove di Ville e Giardini moderni).
Esposizione di pittura moderna con riflesso al Giardino.
Concorsi speciali per Giardini di piccoli centri; per Parchi e Giardini pubblici, Giardini privati e Ville.
Concorsi di fioricoltora e piante ornamentali.
Concorsi per decorazioni della Villa e del Giardino.
Le misure del bozzetto sono fissate in cm. 70 per cm. 100. Esso deve prestarsi alla riproduzione litografica a non più di 4 colori e consentire altresì la riproduzione sia in dimensioni maggiori per affissi murali, sia in dimensioni minori per cartoline, frontespizi, francobolli ecc.
È lasciata all’artista ampia libertà di concezione purchè sia osservato lo spirito di italianità, di modernità e di dignità artistica; riuscirebbe gradito un richiamo eventuale ad elementi architettonici vicentini.
Il bozzetto recherà la dicitura: MOSTRA DEL GIARDINO ITALIANO - VICENZA - MAGGIO-OTTOBRE 1929 - ANNO VII - RIDUZIONI FERROVIARIE.
I bozzetti firmati dall’artista o contrassegnati da un motto che sarà ripetuto sopra la busta chiusa (contenente il nome dell’autore) dovranno essere consegnati alla Segreteria della Mostra del Giardino Italiano (Via Morette, N. 2) non più tardi delle ore 24 del giorno 15 Maggio 1928.
All’autore del bozzetto prescelto verrà assegnato un premio unico di L. 8.000, e a titolo di indennità sarà corrisposta la somma di L. 500 a ciascuno degli altri quattro bozzetti che saranno giudicati migliori.
Il bozzetto premiato resta di proprietà della Mostra del Giardino Italiano, con facoltà di riproduzione in qualunque forma e con qualunque mezzo.
Vicenza, 10 Febbraio 1928 - A. VI.
IL PODESTÀ
A. FRANCESCHINI

SCONTO PER L’ABBONAMENTO ALLA RIVISTA
CONCESSO AGLI INGEGNERI INSCRITTI NEL
SINDACATO NAZ. FASCISTA DEGLI INGEGNERI

La Casa Editrice Bestetti e Tumminelli, a seguito della richiesta avanzata dal Segretario Generale del Sindacato Architetti, ha cortesemente concesso lo sconto del 15% sul prezzo d’abbonamento a tutti gli inscritti al Sindacato Nazionale Fascista degli Ingegneri, che facciano l’abbonamento presso il rispettivo Sindacato Provinciale degli Ingegneri per tramite però del Segretario Provinciale del Sindacato degli Architetti.

CRONACA DELL’ATTIVITÀ SINDACALE
NELLA PROVINCIA DI MILANO

A Milano, nell’Assemblea del Sindacato Fascista Architetti, indetta il giorno 5 marzo, presieduta dal Dott. Baccani, Segretario dei Sindacati intellettuali, è stato presentato il nuovo Segretario Provinciale Architetto Giovanni Mainetti.
L’Assemblea ha quindi designato a comporre il Direttorio gli Archit.: Alberto Alpago Novello, Cav. Uff. Carlo Bianchi, Comm. Diego Brioschi, Stefano Lissoni, Commendator Pietro Portaluppi, Comm. Ulisse Stecchini, Giovanni Venini e Cav. Giacinto Zari.
Le nomine sono state ratificate dal Comm. Maia, Commissario dell’Ufficio Provinciale Milanese dei Sindacati Fascisti.
Gli intervenuti, che avevano già accolto plaudendo le parole del Dott. Baccani al cui appoggio cordiale si deve l’ottima situazione del Sindacato, dopo un breve ringraziamento del nuovo Segretario Provinciale, ai Gerarchi Comm. Maia e Dott. Baccani, su proposta dello stesso, hanno approvato l’invio di telegrammi, all’On. Rossoni, Presidente della Confederazione Nazionale dei Sindacati, al Grand. Uff. Calza Bini, Segretario Generale del Sindacato Nazionale Architetti.

RESOCONTO DELL’ATTIVITÀ SINDACALE
NELLA PROVINCIA DI VENEZIA
dall’aprile 1927 al marzo 1928.

Il Segretario Provinciale per la Provincia di Venezia Arch. Duilio Torres ci comunica un dettagliato resoconto della veramente lodevole attività di quel Sindacato, dei cui lati più interessanti diamo notizia per sommi capi.
Costituito il Direttorio nelle persone degli Architetti Duilio Torres, Giuseppe Colcerniani, Prospero Battestin, Silvio Lorenzetti, Orfeo Rossato, Vittorio Invernizzi, le prime cure furono rivolte alla iscrizione dei colleghi nel costituendo Albo Professionale. Tale attività si sviluppò durante il resto dell’anno.
Il Sindacato si interessò in seguito alla questione della sostituzione dell’attuale Ponte dell’Accademia deliberando di indire, a tempo opportuno, una Assemblea generale, onde discutere uno studio preparatorio concreto elaborato da una Commissione eletta espressamente.
Essendosi iniziato dal Comune di Venezia lo studio per l’attuazione della riforma del regolamento edilizio e di igiene, il Sindacato decise un’azione tendente ad ottenere che detti regolamenti non potessero essere applicati senza il proprio benestare.
Intervenuto un rappresentante del Sindacato nell’opera di organizzazione della Mostra Dopolavoristica del Mobilio, ottenne fosse bandito un concorso aggiuntivo di progetti per ammobigliamento popolare, al quale furono chiamati a partecipare, con esiti brillantissimi, i più noti ed i più giovani architetti delle tre Venezie.
Interpellato il Sindacato da parte di S. E. il Prefetto al riguardo dell’applicazione della Tariffa Professionale, fu risolta, d’accordo col Sindacato degli Ingegneri, la questione in linea temporanea, in attesa della definizione delle iscrizioni agli Albi, e decidendo che non appena la iscrizione sarà avvenuta, dovrà esser cura speciale del Sindacato di farsi promotore di un’azione da estendersi a tutti i Sindacati della penisola, proponendo lo studio, già preparato, perchè la Tariffa sia stabilita per la categoria separatamente da quella degli Ingegneri e sia unica per tutta Italia.
Per ultimo il Sindacato predispose le basi per la istituzione, anche in Venezia, quale Circolo di cultura del Sindacato, di una Associazione di Amatori e Cultori di Architettura, libera anche ad estranei, ma essenzialmente emanazione del Sindacato stesso, a somiglianza cioè delle Istituzioni analoghe di Roma, Milano e Napoli.

COMUNICAZIONI DEL SEGRETARIO GENERALE
DEL SINDACATO AI SEGRETARI PROVINCIALI

Riproduciamo il testo della seguente circolare trasmessa in data 14 marzo 1928:

Ai Sigg. Segretari Provinciali,

Debbo rammentare che il 14 aprile avrà luogo in Roma il Congresso Nazionale del Sindacato Nazionale Fascista degli Architetti; sono quindi in attesa dell’assicurazione d’intervento da parte dei Sigg. Segretari Provinciali e di due altri rappresentanti del Sindacato, di ciascuna Provincia, già richiesta con la circolare in data 28 febbraio. Al Congresso, oltre ai rappresentanti dei vari Sindacati Provinciali, potranno intervenire tutti gli iscritti ai Sindacato che ne abbiano desiderio; sarò lieto anzi se gli intervenuti saranno numerosi.
Raccomando vivamente alla S. V. di farmi avere al più presto una precisa e dettagliata relazione sulle condizioni di vita e sui propositi di cotesto Sindacato.
Devo infine con rincrescimento rilevare che quasi nessuno dei Segretari Provinciali ha risposto all’invito di mandare atti e notizie per la pubblicazione sulla Rivista.
Prego intanto la S. V. di voler provvedere perchè nella prima settimana di ogni mese vengano spedite quelle notizie che possano interessare la nostra classe, destinate alla pubblicazione.
Con saluti fascisti
f.to: ALBERTO CALZA BINI

UN LUTTO DEL SINDACATO NAZ. INGEGNERI

Or non è molto su queste colonne esprimevamo al Segretario Generale del Sindacato Nazionale degli Ingegneri, la gratitudine degli Architetti italiani per la prova di cordiale cameratismo e di fecondo esperimento di collaborazione ch’era stato dato al nostro Sindacato.
Oggi dobbiamo ancora rivolgere il commosso pensiero fraterno al Camerata scomparso.
L’On. Galeazzi è morto a Roma il 15 marzo. Era un eroe glorioso, combattente purissimo, spirito di fiamma ardente e generoso.
Gl’Ingegneri perdono in Lui un capo illuminato e fattivo che difficilmente potrà essere rimpiazzato; egli aveva dimostrato nel breve tempo, in cui fu alla testa della poderosa organizzazione sindacale, di essere ancora, come nella guerra e nella rivoluzione fascista, un combattente tenace fervido e onesto, in difesa dell’ingegneria nazionale.
Gli Architetti italiani si uniscono ai camerati Ingegneri nel senso di profondo cordoglio, e inchinano riverenti i loro spiriti commossi ed i loro gagliardetti abbrunati.

ALBERTO CALZA BINI

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