LA TERZA BIENNALE DELLE ARTI DECORATIVE A
MONZA
Dire di Monza, proprio su questa Rivista, ormai che la Mostra s’è
chiusa ed è stata suggellata dai bilanci morali e materiali -
giudizi ben più autorevoli e cifre ben più eloquenti -non
mi pare impresa tanto agevole. Innanzi tutto non ritengo utile nè
interessante rifarne una completa e forbita rassegna daccapo; inoltre,
penso che gran parte dei lettori, meglio del gran pubblico curioso,
n’ha conosciute le sale, esplorati gli angoli, soppesate le intenzioni.
Quindi, converrà appena, in una rapida corsa, fissare i giusti
risultati conseguiti, determinare, se possibile, i punti d’arrivo.
Perchè il successo davvero lusinghiero ed insperato di questa
terza Biennale torna a tutto onore dell’Onorevole Marangoni e
dei suoi collaboratori, e stabilisce solide basi per nuovi e più
fortunati voli.
Noi Italiani si comincia, infine, a far dell’Arte Decorativa nel
senso più compiuto della parola; dacchè, finalmente, s’è
capito che bisogna pensare ed operare con metodo. Le fonti possono essere
infinite, lontanissime, ispirazioni straniere, reminiscenze d’arte
antica, prodotti d’eccezione modernissimi: ma, almeno, ci si toglie
dall’inerzia contagiosa di una recente moda facilona e carceriera.
Pare impossibile, quant’è arduo inventare! Ma, tuttavia,
elementi disparatissimi e ben digeriti e passati allo staccio di un’anima
sensibile meglio ritornano sotto forme più raffinate e magari
addirittura originali. Non operavano altrimenti i buoni maestri del
tempo antico, che, pur covando il medioevo ancora, si ispiravano ad
un tantino di classico o di straniero: questa forma è perfino
un po’ orientale, quest’altro motivo è ancora rigidamente
romanico, ma, intanto, ecco l’arte nuova che si districa e porta
in sè i germi profondi di una vittoriosa originalità.
Purchè, naturalmente, tutto sia pensato con giusto equilibrio.
L’ignoranza, od anche semplicemente l’inerzia, si arrestano
sulla soglia della cosidetta arte paesana, folklore e beata ingenuità
contadinesca che non potrà mai avere un predominio di valore
assoluto, ma, appena appena, partecipare alla formazione di un mosaico
d’arte nazionale di seconda mano. Non che si debba uccidere quest’arte
paesana; ha in sè tradizioni e suggestioni così radicate
nella nostra terra, che sarebbe delitto volerla sopprimere, incomprensione
volerla bandire. A Monza, stavolta, l’han collocata in gran parte
a pianterreno, sotto forma di botteghe e di officine, accanto alla buona
iniziativa delle Piccole Industrie. Trattenuta nei giusti limiti, davvero
può vivere e prosperare accanto alle Biennali; può essere,
per il gran pubblico, richiamo ed allettamento; già che, in queste
botteghe, esso si porta via il ricordo della visita. Ma, intendiamoci,
sempre a pianterreno. Sopra, lasci il posto a tutta l’Arte che
deve potersi chiamare con l’A maiuscola.
Daltronde, una certa caratteristica peculiarità regionale, si
mantiene, in qualche modo, anche nelle manifestazioni dell’arte
decorativa più raffinata. Contrariamente all’opinione di
tanti, non saprei ammettere che un mobile pensato a Napoli venga fuori
simile ad uno pensato a Milano; vi sono differenze e barriere di sentimenti
indistruttibili, caratteri di personalità e di ambienti troppo
diversi; vi sono differenti condizioni demografiche troppo radicate,
incompatibilità di usi e costumanze. E, sempre, utopia parrà
la ricerca d’un’unica arte nazionale.
Poi, ecco l’intesa organizzatrice di gruppi regionali che si formano
e lavorano così per motivi di comodità e di praticità.
Si lavora uniti, ciascuno nel proprio campo ma con la stessa passione
e con la stessa affinità di gusti; e dunque si vuol esporre insieme,
perchè anche più completo risulti l’ambiente, e
l’alleanza degli sforzi conduca, infine, al migliore dei risultati.
Convien subito dire che, in questa gara, il meglio disciplinato ed organizzato
apparve il Piemonte, il quale si presentò alla Terza Biennale
con un programma ben fisso. Un vero successo ebbero le sue botteghe,
successo di pubblico e di critica. Vittoria ben meritata, se si pensa
che il Piemonte fu, per l’addietro, la classica terra creatrice
delle mostre retrospettive tipo Borgo Medioevale; e qui, invece, s’è
tutto rinnovato. Un vero passo innanzi, dunque, una vera novità
piena d’insegnamenti, anche se sfortunatamente costretta nell’illusione.
Perchè, questi negozi, stan bene così come sono, quasi
nature morte dell’architettura, modelli inanimati e non frequentati:
tradotti nelle ben diverse condizioni ed esigenze di una vita reale
perderebbero non poco del loro valore effettivo. Ma tant’è:
la macelleria del Casorati, il bar di Sobrero, la farmacia ed il centralino
telefonico son ottimi spunti per qualchecosa di più definitivo.
Molto meno interessante, purtroppo, la confetteria, e quasi brutta,
addirittura, la messinscena delle bambole Lenci, sempre, invece, deliziose.
Completano l’iniziativa piemontese alcuni progetti architettonici
di modernissima concezione e d’un certo interesse.
Poi, la Lombardia, che tanto della Mostra ha invaso. Espositori isolati
che si perdono nel mare magno di una non rigorosa successione: dagli
scialli Piatti nobilmente presentati nelle vetrine un po’ tedesche
di Nizzoli ed Amaldi, fin alla schiera molto meno interessante dei fabbricanti
di mobili di professione. I migliori artefici del legno che vanti la
Lombardia non sanno scostarsi dal tradizionale loro tipo di mobile e
seguono con inattaccabile perizia la via del cattivo gusto. Nè,
più allettanti, sono apparsi certi mobili disegnati da Gino Maggioni,
così grevi e rigidi da non invogliare alla confidenza.
Diversamente s’è presentato un gruppo di altri architetti;
e fragilità un po’ leziosa domina in quasi tutti gli esemplari
del loro Labirinto. Ecco, fu detto, i novatori della nostra arte decorativa:
un gruppo di giovani che, sotto diverse bandiere e con differenti iniziative,
afferma una reale eccellenza nei campi più disparati; specialmente
affrontando decisamente e da architetti il problema del mobile isolato,
prima che quello dell’ambiente. E, poichè giovani sono
davvero, anche di spirito e di tenace ricerca, loro facilmente si perdonano
taluni difetti di mancata consistenza accusata, per lo più, nei
mobili di maggior mole. L’uniformità di indirizzo ormai
fa presto riconoscere un artista del gruppo Ponti, Lancia, Marelli,
Buzzi, Chiesa e Venini. La tendenza s’è venuta formando
all’ombra di un neoclassico un po’ d’eccezione, di
reminiscenze d’una romanità piuttosto provinciale, cui,
deliberatamente, si son uniti la praticità di certi interni di
mobili inglesi ed il gusto tedesco di certi metalli. Arte, per ora,
di schietto lusso: ne fan fede perfino i prezzi esposti e richiesti,
compresi quelli della Domus Nova, arredamento che La Rinascente vorrebbe
far passare a buon mercato. Seimila e più lire per una camera
da letto, pochi mobili nudi e crudi, mi sembran davvero troppe, valore
d’arte compreso; nè invogliano il gran pubblico, tentennante
fra gusti non determinati, a preferire questi agli altri mobili tradizionali
mogano e bronzi.
Un tentativo che va lodato è il pianoforte dell’architetto
Marelli: tentativo incoraggiabilissimo di cambiar il viso al mobile
più tradizionalmente antipatico delle nostre stanze.
Gio Ponti ha avuto, personalmente, un buon successo anche nella marcia
decisiva che rinnova tutta la produzione della Richard Ginori. Accanto
a pezzi già noti, ha stavolta esposto novità elegantissime
e d’ultimo grido; specialmente squisiti certi ninnoli e soprammobili
inutili. Certe sue creazioni han tuttavia pregi d’un valore un
po’ passeggero, arrischiano, forse, nel tempo, di perdere la loro
freschezza. Per citare un esempio: ormai un tantino di stantio comincia
a manifestare la lunga serie dei Pellegrini stanchi. Li abbiamo ammirati
in ceramica, in terraglia, a basso rilievo, a tutto rilievo, dipinti;
e non v’è luogo dove non se ne incontri, casa mia compresa.
Vicino alla Richard Ginori, cammina la Ceramica di Laveno. Anche qui
è un architetto, Guido Andlovitz, che lavora all’eccellente
rinnovamento. Se voi pensate che, non molti anni or sono, la quasi esclusiva
produzione verbanese si limitava alle tazzine con su RICORDO DI...,
palese vi risulta la strada daccapo compiuta. Specialmente nelle terraglie
di gran diffusione, mi pare che l’Andlovitz possa dare risultati
soddisfacenti.
In fine, tra i lombardi, non vanno dimenticati i saggi architettonici
del Gruppo 7: saggi tuttavia di un valore intrinseco ancora relativo.
Le altre regioni italiane, specie nelle mostre personali d’artisti
isolati, sono apparse meno interessanti di Piemonte e Lombardia. Fan
eccezione i romani che han recato un deciso contributo di nuove iniziative,
sopratutto nelle mostre d’ambiente. La sala che potrebbe esser
chiamata delle corna, di Alfio Fallica, m’è sembrata riuscita
più in certi particolari che non nell’assieme: la porta
in legno e cuoio in modo speciale è meritevole di osservazione.
Ugualmente devesi dire per il gabinetto da lavoro di Del Debbio, ricco
di elementi plastici di non comune pregio.
Mi parve di gusto non troppo nuovo, invece, la saletta sportiva del
Labò, nella sezione ligure; più interessante, forse, la
cappellina dall’elegante pavimento a bianco e nero. Eleganze nuove
di motivi e di invenzioni fu dato incontrare nei merletti di Jesurum,
che si van rinnovando sui disegni del Rosso. Bellotto, sicuro nella
tradizionale virtuosità dei suoi cancelletti, si ripete in una
monotonia eccessiva di elementi; e, stavolta, espone vetri alla muranese,
legando con scure gale la fragile trasparenza dei vasi e delle coppe.
Venini e Cappellin han gareggiato in acrobazie di forme e di trasparenze,
nè possono essere dimenticati nella più frettolosa delle
rassegne. Così come, in certi arazzi, Nizzoli e Dal Pozzo. In
poche ceramiche i savonesi; mentre parvero non eccessivamente nuove
le terraglie della solatia Romagna. Sempre interessanti, anche riveduti
qui tutti uniti, i disegni di Mario Sironi per il “Popolo d’Italia”.
E, infine, gli ospiti stranieri, che meriterebbero ben più del
poco spazio rimasto in fine di queste note.
Molto c’insegnano Germania ed Ungheria, sempre all’avanguardia
in simili manifestazioni d’arte. Germania, sopratutto, maestra
nel presentare, nel giustissimo modo, ogni minimo oggetto, maestra nel
lavorare i metalli. Bruno Paul e la signora Tilly Schloemann han saputo
davvero radunare a Monza opere di innegabile interesse sempre, spesso
di incondizionato valore. Metalli e smalti della scuola d’arte
che lo stesso Paul dirige a Berlino; stoffe e vasi, se non bellissimi,
mai d’un gusto volgare; candelabri e lampadari argentei d’una
leggerezza paragonabile davvero soltanto allo scintillio della luce.
Se tante cose germaniche mandate quaggiù han purtroppo il valore
effimero d’un momento, perchè in esse troppo ancora palese
è la ricerca dell’eccezione, sempre in esse è tuttavia
affermata una rara serietà di intendimenti.
Meno agguerrita della Germania, meno interessante delle sue stesse mostre
precedenti, è stata, stavolta, l’Ungheria. Sotto le direttive
del prof. Megyer Meyer, ha preferito attenersi alla semplicità
ed alla sobrietà di presentazione; nè ha esposto qualchecosa
di particolarmente nuovo. Notevole, daltronde, apparve lo studio presentato
dai fratelli Huba su disegni di Giulio Thot; meno raffinata una cappellina
di carattere piuttosto popolaresco.
Sempre eleganti le ceramiche danesi di Copenhaghen, come i vetri di
Orrefors: fabbriche di fama mondiale che si fanno ovunque onore con
esemplari di gusto sicuro, di giusto equilibrio e di lavorazione perfetta.
La Svizzera ha mandato poche . cose, e non troppo ammirevoli, ad esser
sinceri. La Russia ha partecipato alla Mostra con la tradizionale babele
di carattere contadinesco, unendovi manifestazioni poco limpide di eccezione.
Di un certo interesse i saggi scenografici, non nuovi, daltronde; pregevoli
molti saggi illustrativi di bianco e nero.
Per ultimo, Francia e Spagna. Ma sembrò a tutti che, nè
l’una nè l’altra, avessero esposto i saggi migliori
delle loro scuole e delle loro officine. Specialmente, della prima,
avremmo tanto volentieri qui veduta la produzione d’arredamento
dei grandi Magazins; e diciamo subito anche la . biricchina ragione.
Per un raffronto, e magari non soltanto di carattere sentimentale, con
tutto quello che il confratello milanese - La Rinascente - ha, quest’anno,
presentato con la Domus Nova.
FERDINANDO REGGIORI.