FASCICOLO VI - FEBBRAIO 1928
GUSTAVO GIOVANNONI : San Tolomeo di Nepi, con 9 illustrazioni

SAN TOLOMEO DI NEPI

Negli studi che sto perseguendo da molti anni sulle opere di Antonio da Sangallo il giovane, cioè del fiorentino Antonio Cordini (di cui ho ritrovato il nome preciso e di cui spero di ricomporre in modo completo la grande e complessa figura), moltissime schede, tratte specialmente dai disegni che si conservano nella grande Collezione architettonica della Galleria degli Uffizi, mi è stato possibile identificare con sicurezza di attribuzione per la persona e pel tema, rettificando giudizi dubbi od errati. Un gruppo di tali schede si riferisce ad una magnifica opera ideata dal Sangallo con tutto il fervore della sua arte, iniziata e poi troncata dalle tante vicende della vita politica ed economica che così spesso attraversano l’attività costruttrice: ed è la chiesa di S. Tolomeo di Nepi, nella regione settentrionale del Lazio.
Che il Sangallo abbia molto lavorato in Nepi pei Farnese è ben noto. Ci dice il Vasari che egli «seguitò per lo detto duca di Castro la fortezza di Nepi e la fortificazione di tutta la città che è inespugnabile e bella. Dirizzò nella medesima città molte strade e per i cittadini di quella fece disegni di molte case e palazzi». E tutti questi lavori, ed altri che il Vasari ignora, dovettero svolgersi nel periodo tra il 1537 ed il 1545, cioè tra il tempo in cui Pierluigi Farnese ebbe da Paolo III il ducato di Nepi e Camerino che unì alla contea di Castro, a quando Ottavio Farnese, figlio di Pierluigi e sposo dell’«altera bastarda» di Carlo V, cedette nuovamente il ducato e cessò anche di esser governatore di Nepi.
Le mura di Nepi, la porta Romana, una serie di opere nella rocca, ora diruta, che il Sangallo trovò già costruita forse dallo zio Antonio Giamberti pel duca Valentino ma che trasformò radicalmente, stanno ancora ad attestare la vasta opera ivi compiuta. Molte case di Nepi, tra cui possono identificarsi quella del poeta Accolti, detto l’Unico, e quella di Ascanio Celso, famigliare dei Farnesi, hanno ancora intatto il carattere sangallesco. La zona basamentale del palazzo del Comune, che molti attribuiscono al Vignola, è invece quasi certamente del Sangallo, che nella sua immensa attività e nella sua grande organizzazione di lavoro trovava modo di lasciare la sua traccia anche in questi temi, quando il suo compito principale era quello di curare la fortificazione di tutta la città, e, secondando la sua posizione naturale, farne, come già aveva voluto il Valentino, il baluardo settentrionale dello Stato della Chiesa.
I vari disegni relativi appunto a tale fortificazione che di lui si conservano agli Uffizi (ai N. 955, 956, 953, 954, 1787), sono tra i più interessanti per lo studio dell’arte militare del tempo, intesa come cosa viva, adattata alle condizioni di luogo e di potenza delle artiglierie. Uno, ad esempio, il 956, è uno schizzo topografico in cui sono annotate tutte le posizioni che potrebbero interessare assedianti ed assediati, ed è indicata la «valle che va montando dolcemente» o la «collina alta quanto la terra», o un prossimo «monte di tufo da levarsi» cioè un’altura esterna alla rocca che bisognava abbassare. In un altro, il 954, si descrivono in nota «tre modi per fortificare Nepi, uno stretto, uno mezano, uno magiore. Lo grande è bono perfetto perchè toglie per sè due cavalieri di monti che sono cavalieri alla terra di verso roma e guarda la terra da questa banda fino da piè alla terra e piglia dentro el mulino e sono quattro baluardi ».
In questi grandi lavori di fortificazione, che sconvolsero in parte il terreno e richiesero anche abbattimenti di case, inaspettatamente vennero fuori, come ci riferisce il Libro dei Ricordi conservato nell’Archivio del Comune, antiche tombe, ed ivi furono riconosciuti i corpi intatti e con ferite sanguinanti di S. Tolomeo e di altri martiri. La cosa fece grande rumore e lo stesso Paolo III, richiamato dal figlio Pierluigi, si recò a Nepi e dei sacri trovamenti dette poi notizia nella bolla «Salvatoris» datata a Roma il 4 gennaio 1542 (1).
Con le elargizioni del Papa e dei fedeli, il Farnese fece cominciare un maestoso tempio per raccogliere le spoglie dei martiri; ma il tempio rimase incompiuto, o, per dir meglio, appena all’inizio; e più tardi vi fu sovrapposta, valendosi delle sue fondazioni ma racchiusa in un’area più limitata, l’attuale insignificante chiesa dei domenicani, che nulla ricorda della concezione sangallesca. Il Willich (2) la rileva e l’attribuisce al Vignola senza alcuna ragione; chè di vignolesco v’è solo lo schema planimetrico abituale in tutte le chiese della seconda metà del Cinquecento.
Del progetto, ed anzi dei progetti del Sangallo, i disegni, finora inediti, della Galleria degli Uffizi ci danno precisa nozione. Uno di essi, contrassegnato col N. 957, rappresenta un primo affrettato bozzetto, pur corredato di dati e misure concrete; è tutto di mano, nel disegno e nelle scritte, di Antonio, ed è delineato su carta, che per dimensioni e per tipo di filigrana rivelasi appartenere allo stesso taccuino dei disegni N. 955, 956 già citati. Esso reca la iscrizione «per sto tolomeo di nepi»; ripetuta nel verso del foglio con l’aggiunta «del ducha di Castro»; e da un lato ha l’indicazione planimetrica della località in cui la chiesa doveva sorgere sulla «strada nova», presso alla «torretta» ed alla «piazza di sto brancatio»; ed il disegno è intersecato da una serie di computi e di misure, in cui già appaiono definiti i dati principali che si ritroveranno in tutti gli altri studi: larghezza di 40 palmi della nave principale, di 20 per le navatelle, di 96 per la sala ottagona.
Questo disegno ci dà la chiave per riconoscerne altri che svolgono lo stesso tema planimetrico con una maggiore maturità, e che erano dispersi nella collezione con le attribuzioni più varie, di cui la più diffusa era quella per S. Giovanni de’ Fiorentini in Roma (3); e sono i disegni contrassegnati coi N. 866, 551, 865. Il loro legame col bozzetto iniziale è preciso e sicuro per il ritornare delle dimensioni e per lo svilupparsi delle disposizioni principali e delle soluzioni spicciole della pianta. Un altro disegno invece, il N. 959, rappresentante una sezione di una chiesa, sembra appartenere allo stesso ciclo, ma la mancanza di ogni dato e perfino di ogni scala di misura ne rende dubbia l’attribuzione; sicchè si è preferito metterlo da parte per non confondere il certo con l’incerto.
Dei tre disegni dunque ora menzionati l’866 non è altro che un secondo bozzetto in cui l’autore ha ben precisato la parte anteriore dell’edificio, ma procede a tentativi, disegnando e cancellando, nello studio relativo allo spazio della cupola ed al coro; esso ci appare essere una preparazione al progetto delineato «in pulito» nel disegno N. 551. Se pertanto in uno studio analitico esso può riuscire di grande interesse per cogliere il lavoro dell’artista che prova e riprova, e forse anche dà la traccia ad alcuno dei suoi tanti collaboratori per la esecuzione materiale, ci è superfluo in quanto si voglia illustrate la soluzione compiuta, che il Dis. 551 esprime ben più regolarmente. Ai due disegni dai N. 551 ed 865 può ora limitarsi il nostro esame.
Essi sono riprodotti nelle figure a pagina precedente; ma per quanto regolarmente delineati, non è facile leggervi, sia perchè il tempo li ha annebbiati e scoloriti, sia perchè sempre i disegni architettonici cinquecenteschi, fatti non per impressionare il pubblico, ma per fissare le idee e trasmetterle ai competenti, non sono facilmente interpretabili. Così ad esempio nel dis. 551 le piante del piano terreno e del sotterraneo sono unite e confondono in parte la cognizione dello spazio architettonico (4). Ho pensato perciò di tradurli in regolari disegni geometrici (5), con le loro scale grafiche desunte dalle misure a palmi romani; e questi disegni si presentano nelle unite tavole.
In ambedue i disegni la parte anteriore della chiesa appare preceduta da un maestoso atrio e conformata a tre navi, fiancheggiate a lor volta da cappelle, con una disposizione intermedia tra la chiesa quattrocentesca e quella che si affermerà con la Controriforma, ma che già il Sangallo aveva anticipato nella chiesa di S. Spirito in Sassia. Segue lo spazio ottagonale su cui doveva elevarsi la grande cupola; e qui la ispirazione da S. Maria del Fiore, cioè dal monumento fiorentino che nostalgicamente tornava alla mente del Sangallo, è evidente. Anche qui la cupola comprende, non soltanto la larghezza della navata centrale, ma quella grandissima di tutte e tre le navate; anchè qui si manifestano le difficoltà pel raccordo fra la testata delle navatelle ed il lato obliquo dell’ottagono, e la soluzione, che nella cattedrale fiorentina è ottenuta non felicemente con uno stretto passaggio, e che in casi analoghi aveva affaticato l’ingegno del Bramante a Pavia e dei Sangallo a Loreto, qui si limita a chiudere le navatelle con un’abside senza uscita, laddove invece nel primo bozzetto sono adombrati i tentativi del passaggio obliquo o del nicchione nei lati intermedi dell’ottagono centrale.
I due disegni differiscono essenzialmente per la disposizione degli ambienti posti intorno alla cupola. Nel dis. 551 appaiono due braccia trasversali formanti la croce, e nel fondo un coro circolare fiancheggiato da due cappelle poligonali; negli spazi irregolari di innesto col corpo anteriore due ampie scale per discendere nella cripta sotterranea. Il dis. 865 ci mostra invece una composizione ben più armonica e grandiosa in cui si associa il ricordo di S. Maria del Fiore con quello delle piante bramantesche per S. Pietro, per S. Biagio, per S. Celso (6); tre absidi simmetricamente disposti si aprono nello spazio centrale, e due cappelle o sacristie poligonali (analoghe a quelle progettate dal Sangallo per S. Pietro) occupano gli angoli.
La cripta doveva avere importanza essenziale nel monumento e costituirne la parte più sacra ove si conservavano le ossa dei martiri. La pianta 551 ed i bozzetti preparatori ci mostrano il tipo per essa ideato, che è di una costruzione centrale disposta intorno alla sala ottagona. Nel mezzo della sala una costruzione poligonale, in cui è evidente l’ispirazione di monumenti romani e forse di una tomba che esisteva in S. Sebastiano, ed in cui è da riconoscersi la confessione, contenente le sacre reliquie nell’interno spazio circolare ed otto altari tutto all’intorno. All’esterno, sotto al coro una cappella a grandi rientranze che probabilmente doveva essere il sepolcro dei Farnese, il sacello che, se non il Papa, alcuni della sua grande famiglia volevano erigersi accanto al luogo santificato dal sacrificio.
Orbene, parte di questa costruzione ancora esiste intatta, sia pure deturpata e ridotta a lurido magazzino. Esiste la confessione nella precisa forma delineata, e la sala ottagona la contiene, ed una bassa volta anulare ricopre lo spazio tra le mura della sala e la confessione, sorretta (come nel sotterraneo del cortile di Caprarola, opera anch’essa sangallesca) dal nucleo centrale e dal perimetro; ambienti laterali, in parte interrati, sembrano indicare lo sviluppo della costruzione del resto della cripta, poi abbandonata ed alterata, ma non cancellata interamente; ma allo stato attuale non ci permettono di riconoscere se rispondessero all’una od all’altra delle soluzioni ideate dal Sangallo.
Dovevano tali due soluzioni essenzialmente differire nell’aspetto esterno, nella facciata. Il dis. 551 ci mostra infatti un regolare portico ad arcate di cui lo spazio centrale, più ampio degli altri, costituisce quasi un protiro; mentre nel dis. 865 il portico è limitato alla parte centrale, e lo fiancheggiano due massiccie costruzioni quadrate, che certo dovevano essere basamento di due torri.
Dalle precise misure delle piante, dalla conoscenza del minuzioso procedere del Sangallo nel far corrispondere l’alzato alla planimetria, dal confronto di tante altre composizioni ideate e non eseguite dal maestro, per S. Giovanni dei Fiorentini, e per S. Luigi dei Francesi e per S. Pietro in Roma, e per S. Marco in Firenze, si può passare con una certa attendibilità alla restituzione di quella che può dirsi la terza dimensione in cui si esprime l’alzato architettonico, e ne risultano i due schemi qui delineati, a cui devesi mantenere il provvisorio carattere di tentativo, ma di tentativo non troppo lontano, nei riguardi delle masse, dalla realtà: alquanto basso l’uno, sicchè la facciata risultava dominata dalla grande cupola, vasto e maestoso l’altro, in cui le torri vengono ad inquadrarla.
E la concezione architettonica, specialmente per questo secondo progetto, ha molteplici rapporti col grande tema che incessantemente martellava la mente dell’artista, cioè quello della forma e dell’aspetto del più grande tempio della cristianità, di S. Pietro in Vaticano... Ma il discorso ci porterebbe troppo lungi da quello che è il carattere e l’intento di queste note, cioè il far conoscere una delle tante opere ignorate del nostro Rinascimento rimasta allo stato di progetto, quasi fiore senza rutto, ed il ricomporre nelle sue due fasi una delle più belle ed armoniche concezioni del magior realizzatore dell’architettura cinquecentesca (7).
GUSTAVO GIOVANNONI

(1) Più ampie notizie sulla signoria dei Farnese a Nepi e su questi avvenimenti sacri e profani potranno trovarsi in G. CARABELLI. Dei Farnese e del ducato di Castro e Ronciglione, Firenze 1865; GROTTANELLI. Il ducato di Castro, Firenze 1891; S. GAY. Memorie storiche di Nepi, Ancona 1907.
(2) Cfr. H. WILLICH. Giacomo Barozzi da Vignola, Strassburg, 1906, pag. 45.
(3) Vedi il Catalogo di N. FERRI dei disegni architettonici degli Uffizi. L’errore di attribuzione relativo a S. Giovanni dei Fiorentini è stato ripetuto da molti autori, tra cui D.FREY in Michelangelo – Studien, IV.
(4) Analoga sovrapposizione planimetrica è forse da notare nei ben noti disegni di Michelangelo per S. Giovanni dei Fiorentini, in cui sono rappresentate edicole centrali non dissimili da quella di S. Tolomeo di Nepi.
(5) In questo lavoro sono stato egregiamente coadiuvato dall’Ing. Cesare Valle, cui desidero esprimere vivi ringraziamenti.
(6) Cfr. G. GIOVANNONI. Opere sconosciute di Bramante nella Nuova Antologia, 1923.
(7) Debbo vivamente ringraziare il Dr. Comm. Poggi Direttore della Galleria degli Uffizi per avermi cortesemente procurato le fotografie dei disegni sangalleschi.

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