SAN TOLOMEO DI NEPI
Negli studi che sto perseguendo da molti anni sulle opere di Antonio
da Sangallo il giovane, cioè del fiorentino Antonio Cordini (di
cui ho ritrovato il nome preciso e di cui spero di ricomporre in modo
completo la grande e complessa figura), moltissime schede, tratte specialmente
dai disegni che si conservano nella grande Collezione architettonica
della Galleria degli Uffizi, mi è stato possibile identificare
con sicurezza di attribuzione per la persona e pel tema, rettificando
giudizi dubbi od errati. Un gruppo di tali schede si riferisce ad una
magnifica opera ideata dal Sangallo con tutto il fervore della sua arte,
iniziata e poi troncata dalle tante vicende della vita politica ed economica
che così spesso attraversano l’attività costruttrice:
ed è la chiesa di S. Tolomeo di Nepi, nella regione settentrionale
del Lazio.
Che il Sangallo abbia molto lavorato in Nepi pei Farnese è ben
noto. Ci dice il Vasari che egli «seguitò per lo detto
duca di Castro la fortezza di Nepi e la fortificazione di tutta la città
che è inespugnabile e bella. Dirizzò nella medesima città
molte strade e per i cittadini di quella fece disegni di molte case
e palazzi». E tutti questi lavori, ed altri che il Vasari ignora,
dovettero svolgersi nel periodo tra il 1537 ed il 1545, cioè
tra il tempo in cui Pierluigi Farnese ebbe da Paolo III il ducato di
Nepi e Camerino che unì alla contea di Castro, a quando Ottavio
Farnese, figlio di Pierluigi e sposo dell’«altera bastarda»
di Carlo V, cedette nuovamente il ducato e cessò anche di esser
governatore di Nepi.
Le mura di Nepi, la porta Romana, una serie di opere nella rocca, ora
diruta, che il Sangallo trovò già costruita forse dallo
zio Antonio Giamberti pel duca Valentino ma che trasformò radicalmente,
stanno ancora ad attestare la vasta opera ivi compiuta. Molte case di
Nepi, tra cui possono identificarsi quella del poeta Accolti, detto
l’Unico, e quella di Ascanio Celso, famigliare dei Farnesi, hanno
ancora intatto il carattere sangallesco. La zona basamentale del palazzo
del Comune, che molti attribuiscono al Vignola, è invece quasi
certamente del Sangallo, che nella sua immensa attività e nella
sua grande organizzazione di lavoro trovava modo di lasciare la sua
traccia anche in questi temi, quando il suo compito principale era quello
di curare la fortificazione di tutta la città, e, secondando
la sua posizione naturale, farne, come già aveva voluto il Valentino,
il baluardo settentrionale dello Stato della Chiesa.
I vari disegni relativi appunto a tale fortificazione che di lui si
conservano agli Uffizi (ai N. 955, 956, 953, 954, 1787), sono tra i
più interessanti per lo studio dell’arte militare del tempo,
intesa come cosa viva, adattata alle condizioni di luogo e di potenza
delle artiglierie. Uno, ad esempio, il 956, è uno schizzo topografico
in cui sono annotate tutte le posizioni che potrebbero interessare assedianti
ed assediati, ed è indicata la «valle che va montando dolcemente»
o la «collina alta quanto la terra», o un prossimo «monte
di tufo da levarsi» cioè un’altura esterna alla rocca
che bisognava abbassare. In un altro, il 954, si descrivono in nota
«tre modi per fortificare Nepi, uno stretto, uno mezano, uno magiore.
Lo grande è bono perfetto perchè toglie per sè
due cavalieri di monti che sono cavalieri alla terra di verso roma e
guarda la terra da questa banda fino da piè alla terra e piglia
dentro el mulino e sono quattro baluardi ».
In questi grandi lavori di fortificazione, che sconvolsero in parte
il terreno e richiesero anche abbattimenti di case, inaspettatamente
vennero fuori, come ci riferisce il Libro dei Ricordi conservato nell’Archivio
del Comune, antiche tombe, ed ivi furono riconosciuti i corpi intatti
e con ferite sanguinanti di S. Tolomeo e di altri martiri. La cosa fece
grande rumore e lo stesso Paolo III, richiamato dal figlio Pierluigi,
si recò a Nepi e dei sacri trovamenti dette poi notizia nella
bolla «Salvatoris» datata a Roma il 4 gennaio 1542 (1).
Con le elargizioni del Papa e dei fedeli, il Farnese fece cominciare
un maestoso tempio per raccogliere le spoglie dei martiri; ma il tempio
rimase incompiuto, o, per dir meglio, appena all’inizio; e più
tardi vi fu sovrapposta, valendosi delle sue fondazioni ma racchiusa
in un’area più limitata, l’attuale insignificante
chiesa dei domenicani, che nulla ricorda della concezione sangallesca.
Il Willich (2) la rileva e l’attribuisce al Vignola senza alcuna
ragione; chè di vignolesco v’è solo lo schema planimetrico
abituale in tutte le chiese della seconda metà del Cinquecento.
Del progetto, ed anzi dei progetti del Sangallo, i disegni, finora inediti,
della Galleria degli Uffizi ci danno precisa nozione. Uno di essi, contrassegnato
col N. 957, rappresenta un primo affrettato bozzetto, pur corredato
di dati e misure concrete; è tutto di mano, nel disegno e nelle
scritte, di Antonio, ed è delineato su carta, che per dimensioni
e per tipo di filigrana rivelasi appartenere allo stesso taccuino dei
disegni N. 955, 956 già citati. Esso reca la iscrizione «per
sto tolomeo di nepi»; ripetuta nel verso del foglio con l’aggiunta
«del ducha di Castro»; e da un lato ha l’indicazione
planimetrica della località in cui la chiesa doveva sorgere sulla
«strada nova», presso alla «torretta» ed alla
«piazza di sto brancatio»; ed il disegno è intersecato
da una serie di computi e di misure, in cui già appaiono definiti
i dati principali che si ritroveranno in tutti gli altri studi: larghezza
di 40 palmi della nave principale, di 20 per le navatelle, di 96 per
la sala ottagona.
Questo disegno ci dà la chiave per riconoscerne altri che svolgono
lo stesso tema planimetrico con una maggiore maturità, e che
erano dispersi nella collezione con le attribuzioni più varie,
di cui la più diffusa era quella per S. Giovanni de’ Fiorentini
in Roma (3); e sono i disegni contrassegnati coi N. 866, 551, 865. Il
loro legame col bozzetto iniziale è preciso e sicuro per il ritornare
delle dimensioni e per lo svilupparsi delle disposizioni principali
e delle soluzioni spicciole della pianta. Un altro disegno invece, il
N. 959, rappresentante una sezione di una chiesa, sembra appartenere
allo stesso ciclo, ma la mancanza di ogni dato e perfino di ogni scala
di misura ne rende dubbia l’attribuzione; sicchè si è
preferito metterlo da parte per non confondere il certo con l’incerto.
Dei tre disegni dunque ora menzionati l’866 non è altro
che un secondo bozzetto in cui l’autore ha ben precisato la parte
anteriore dell’edificio, ma procede a tentativi, disegnando e
cancellando, nello studio relativo allo spazio della cupola ed al coro;
esso ci appare essere una preparazione al progetto delineato «in
pulito» nel disegno N. 551. Se pertanto in uno studio analitico
esso può riuscire di grande interesse per cogliere il lavoro
dell’artista che prova e riprova, e forse anche dà la traccia
ad alcuno dei suoi tanti collaboratori per la esecuzione materiale,
ci è superfluo in quanto si voglia illustrate la soluzione compiuta,
che il Dis. 551 esprime ben più regolarmente. Ai due disegni
dai N. 551 ed 865 può ora limitarsi il nostro esame.
Essi sono riprodotti nelle figure a pagina precedente; ma per quanto
regolarmente delineati, non è facile leggervi, sia perchè
il tempo li ha annebbiati e scoloriti, sia perchè sempre i disegni
architettonici cinquecenteschi, fatti non per impressionare il pubblico,
ma per fissare le idee e trasmetterle ai competenti, non sono facilmente
interpretabili. Così ad esempio nel dis. 551 le piante del piano
terreno e del sotterraneo sono unite e confondono in parte la cognizione
dello spazio architettonico (4). Ho pensato perciò di tradurli
in regolari disegni geometrici (5), con le loro scale grafiche desunte
dalle misure a palmi romani; e questi disegni si presentano nelle unite
tavole.
In ambedue i disegni la parte anteriore della chiesa appare preceduta
da un maestoso atrio e conformata a tre navi, fiancheggiate a lor volta
da cappelle, con una disposizione intermedia tra la chiesa quattrocentesca
e quella che si affermerà con la Controriforma, ma che già
il Sangallo aveva anticipato nella chiesa di S. Spirito in Sassia. Segue
lo spazio ottagonale su cui doveva elevarsi la grande cupola; e qui
la ispirazione da S. Maria del Fiore, cioè dal monumento fiorentino
che nostalgicamente tornava alla mente del Sangallo, è evidente.
Anche qui la cupola comprende, non soltanto la larghezza della navata
centrale, ma quella grandissima di tutte e tre le navate; anchè
qui si manifestano le difficoltà pel raccordo fra la testata
delle navatelle ed il lato obliquo dell’ottagono, e la soluzione,
che nella cattedrale fiorentina è ottenuta non felicemente con
uno stretto passaggio, e che in casi analoghi aveva affaticato l’ingegno
del Bramante a Pavia e dei Sangallo a Loreto, qui si limita a chiudere
le navatelle con un’abside senza uscita, laddove invece nel primo
bozzetto sono adombrati i tentativi del passaggio obliquo o del nicchione
nei lati intermedi dell’ottagono centrale.
I due disegni differiscono essenzialmente per la disposizione degli
ambienti posti intorno alla cupola. Nel dis. 551 appaiono due braccia
trasversali formanti la croce, e nel fondo un coro circolare fiancheggiato
da due cappelle poligonali; negli spazi irregolari di innesto col corpo
anteriore due ampie scale per discendere nella cripta sotterranea. Il
dis. 865 ci mostra invece una composizione ben più armonica e
grandiosa in cui si associa il ricordo di S. Maria del Fiore con quello
delle piante bramantesche per S. Pietro, per S. Biagio, per S. Celso
(6); tre absidi simmetricamente disposti si aprono nello spazio centrale,
e due cappelle o sacristie poligonali (analoghe a quelle progettate
dal Sangallo per S. Pietro) occupano gli angoli.
La cripta doveva avere importanza essenziale nel monumento e costituirne
la parte più sacra ove si conservavano le ossa dei martiri. La
pianta 551 ed i bozzetti preparatori ci mostrano il tipo per essa ideato,
che è di una costruzione centrale disposta intorno alla sala
ottagona. Nel mezzo della sala una costruzione poligonale, in cui è
evidente l’ispirazione di monumenti romani e forse di una tomba
che esisteva in S. Sebastiano, ed in cui è da riconoscersi la
confessione, contenente le sacre reliquie nell’interno spazio
circolare ed otto altari tutto all’intorno. All’esterno,
sotto al coro una cappella a grandi rientranze che probabilmente doveva
essere il sepolcro dei Farnese, il sacello che, se non il Papa, alcuni
della sua grande famiglia volevano erigersi accanto al luogo santificato
dal sacrificio.
Orbene, parte di questa costruzione ancora esiste intatta, sia pure
deturpata e ridotta a lurido magazzino. Esiste la confessione nella
precisa forma delineata, e la sala ottagona la contiene, ed una bassa
volta anulare ricopre lo spazio tra le mura della sala e la confessione,
sorretta (come nel sotterraneo del cortile di Caprarola, opera anch’essa
sangallesca) dal nucleo centrale e dal perimetro; ambienti laterali,
in parte interrati, sembrano indicare lo sviluppo della costruzione
del resto della cripta, poi abbandonata ed alterata, ma non cancellata
interamente; ma allo stato attuale non ci permettono di riconoscere
se rispondessero all’una od all’altra delle soluzioni ideate
dal Sangallo.
Dovevano tali due soluzioni essenzialmente differire nell’aspetto
esterno, nella facciata. Il dis. 551 ci mostra infatti un regolare portico
ad arcate di cui lo spazio centrale, più ampio degli altri, costituisce
quasi un protiro; mentre nel dis. 865 il portico è limitato alla
parte centrale, e lo fiancheggiano due massiccie costruzioni quadrate,
che certo dovevano essere basamento di due torri.
Dalle precise misure delle piante, dalla conoscenza del minuzioso procedere
del Sangallo nel far corrispondere l’alzato alla planimetria,
dal confronto di tante altre composizioni ideate e non eseguite dal
maestro, per S. Giovanni dei Fiorentini, e per S. Luigi dei Francesi
e per S. Pietro in Roma, e per S. Marco in Firenze, si può passare
con una certa attendibilità alla restituzione di quella che può
dirsi la terza dimensione in cui si esprime l’alzato architettonico,
e ne risultano i due schemi qui delineati, a cui devesi mantenere il
provvisorio carattere di tentativo, ma di tentativo non troppo lontano,
nei riguardi delle masse, dalla realtà: alquanto basso l’uno,
sicchè la facciata risultava dominata dalla grande cupola, vasto
e maestoso l’altro, in cui le torri vengono ad inquadrarla.
E la concezione architettonica, specialmente per questo secondo progetto,
ha molteplici rapporti col grande tema che incessantemente martellava
la mente dell’artista, cioè quello della forma e dell’aspetto
del più grande tempio della cristianità, di S. Pietro
in Vaticano... Ma il discorso ci porterebbe troppo lungi da quello che
è il carattere e l’intento di queste note, cioè
il far conoscere una delle tante opere ignorate del nostro Rinascimento
rimasta allo stato di progetto, quasi fiore senza rutto, ed il ricomporre
nelle sue due fasi una delle più belle ed armoniche concezioni
del magior realizzatore dell’architettura cinquecentesca (7).
GUSTAVO GIOVANNONI
(1) Più ampie notizie sulla signoria dei Farnese a Nepi e su
questi avvenimenti sacri e profani potranno trovarsi in G. CARABELLI.
Dei Farnese e del ducato di Castro e Ronciglione, Firenze 1865; GROTTANELLI.
Il ducato di Castro, Firenze 1891; S. GAY. Memorie storiche di Nepi,
Ancona 1907.
(2) Cfr. H. WILLICH. Giacomo Barozzi da Vignola, Strassburg, 1906, pag.
45.
(3) Vedi il Catalogo di N. FERRI dei disegni architettonici degli Uffizi.
L’errore di attribuzione relativo a S. Giovanni dei Fiorentini
è stato ripetuto da molti autori, tra cui D.FREY in Michelangelo
– Studien, IV.
(4) Analoga sovrapposizione planimetrica è forse da notare nei
ben noti disegni di Michelangelo per S. Giovanni dei Fiorentini, in
cui sono rappresentate edicole centrali non dissimili da quella di S.
Tolomeo di Nepi.
(5) In questo lavoro sono stato egregiamente coadiuvato dall’Ing.
Cesare Valle, cui desidero esprimere vivi ringraziamenti.
(6) Cfr. G. GIOVANNONI. Opere sconosciute di Bramante nella Nuova Antologia,
1923.
(7) Debbo vivamente ringraziare il Dr. Comm. Poggi Direttore della Galleria
degli Uffizi per avermi cortesemente procurato le fotografie dei disegni
sangalleschi.