FASCICOLO I - SETTEMBRE 1928
VINCENZO FASOLO : L'architettura moderna a Praga, con 24 illustrazioni

L’ARCHITETTURA MODERNA A PRAGA

L’ARCHITETTO ANTONIO ENGEL.

L’Architettura di Praga, nella seconda metà del XIX sec. dopo l’Accademismo fine Impero proveniente da Vienna (a Vienna è l’italiano Pietro Nobile che dà il tono di questo periodo stilistico), o dopo il rivoluzionario ’48, si orienta verso la ricerca di un’arte nazionale. In pittura, Giuseppe Mánes, svincolandosi da influenze francesi, foggia nel popolo il suo ideale artistico, ed è oggi posto come fondatore della moderna pittura ceca; in scultura Myslbeck, superando il classicismo romano di Václav Levy, si rivolge alla natura, mettendosi all’unisono con il movimento realistico della fine dell’ottocento: l’architettura, ripetendo le fasi che con varietà di dettagli sono comuni in tutti i paesi in quell’ibrido ed incerto periodo, oscilla fra il romantico accademismo e un ritardatario medioevalismo.

Una reazione a queste tendenze si ha, verso l’80, con un ritorno a forme della Rinascenza ceca: Ant. Wiehl, seguito da altri, riprende quello stile che sulla fine del XVI sec. fu determinato da influenze e da artefici italiani, e che, assorbito dalle maestranze locali e dalle generazioni discendenti da quegli italiani naturalizzatisi, dà, in tutta la Cecoslovacchia, un particolare riflesso del nostro Rinascimento nella estrema Europa, improntando ovunque di pittoriche varietà, di sottili eleganze, città e borghi.
A questo stile, che nel 1493 si inizia a Praga nel Castello Reale e vi si svolge durante tutto il ’500, appartengono l’edificio municipale di Plzen costruito da Giovanni de Statio di Lugano nel 1554 con schemi e particolari che sono peruzziani; il Palazzo Schwarzemberg, di italiano ignoto, alta mole a parete graffita di bugnati a punta di diamante entro cui si tagliano le finestre di pura regola cinquecentesca; il Cortile del Castello di Opocno con triplice sovrapposizione di ordini di carattere lombardesco, due ad ampie arcate, il terzo architravato, con colonne disposte secondo il modo ritmico, detto bramantesco per il disporsi della colonna su l’asse dell’arcata sottoposta e secondo il rapporto 1:2; arte di chiarità italiana che, dopo un periodo di guerre civili, contro concezioni religiose di cupa austerità, porta il suo sentimento di quieta serenità nel Palazzo e nel Parco che Ferdinando I vuole residenza degna di fasto europeo affidando a Giovanni Spazio, Paolo di Stella, e Forabosco, nel 1536, la creazione del Parco reale e del suo “Belvedere” che sembra un gioiello dell’arte di Fra Giocondo portato nella velata atmosfera del Nord.
Dopo le ricchezze decorative a fiorami e tabernacoli, di statue e girali avvolgentisi nelle illogicità del flamboyant “wladislaviano” che anche dona una tipica impronta alla città, gronde a guscio lunettato, altane, decorazioni a graffiti e a colore, ritmi orizzontali e spazi riposanti, vengono a costituire questo Rinascimento ceco, al quale dunque ritorna sul finire del XIX sec. una schiera di nuovi architetti. Un edificio ispirato a questa concezione è la “Maison de rapport” a Vinohrady, del Wiehl, che citiamo appunto per raffigurare questa nuova tendenza.
Un’altra corrente, invece, rappresentata da Jos. Zitek, segna quel ritorno alle forme del classicismo romano nell’Europa del Nord che da noi, come in Francia, in vario modo si manifesta nei monumentali edifici della fine del XIX sec.: a Praga, del Zitek, il Teatro Nazionale, simbolo ai cechi della loro lunga passione nazionale, l’ Ex-Rudolfinum (ora sede delle Assemblee nazionali), il Colonnato a Karlovy Vary.
Oggi l’arte ceca, impaziente di assumere un’espressione originale e indipendente da porsi alla pari e con valore europeo nella ricerca di tendenze nazionali, mentre dà nella scultura il nome di Jan Stursa, e in pittura quello di Slavicek, crea nuove espressioni architettoniche libere d’ogni tradizionalità formale, con la singolare produzione di Jan Kotera.

Tra queste diverse ed estreme tendenze architettoniche (e le fasi, con nomi diversi, sono le stesse tra cui ci dibattiamo anche noi in questo inizio di èra) si delinea e si afferma in Praga l’opera dell’Architetto Antonio Engel, che ha in sorte d’avere in commissione compiti edilizi ed architettonici, nella sua Capitale, che per l’importanza della loro destinazione, costituiranno un ciclo artistico di durevole storia: opera che, dal tracciamento di un nuovo ampliamento della città oltre la Vltava nella piana del Letnà, comprende la creazione di un quartiere di Studi, di edifici pubblici, Ministeri, e impianti Industriali.
Nella magnifica Capitale che è “come Roma”, (come ci dicono con orgoglio artisti che oltre alla comunanza delle vicende della storia recente, vogliono vedere anche nell’impronta barocca onde è specialmente nota la Capitale boema, la comunanza di aspirazioni), l’opera di Antonio Engel sembra a noi che bene si innesti in quella serie di espressioni architettoniche che costituisce il volto di Praga, aspetti che per essere di romanità classica e secentesca, autentica, per stretti legami di storia, di uomini, di vicende comuni, debbono e vogliono da noi essere considerati e per il vincolo spirituale che ci richiama e per il valore intrinseco dell’artefice destinato oggi a rinnovarlo e saldarlo nelle opere durature.
Ecco perchè dunque a buon diritto questa disanima trova il suo giusto posto in questa rivista di studi artistici italiani.

Antonio Engel, di Podebrady, opera oggi nella sua piena maturità, essendo del ’79: laureato della scuola di architettura di Praga, edile nel 1905 nell’ufficio tecnico di questa città e quindi membro permanente della Commissione del Piano regolatore, è insegnante e decano nella scuola superiore di architettura di Praga: lo abbiamo conosciuto in questa sua missione, guida ai suoi allievi, qui in Roma, dove egli tornava dopo un lungo soggiorno per i suoi studi, parlatore pensoso, conoscitore appassionato dei caratteri dell’arte romana.
Oggi, a Praga, egli traccia le linee della città nuova, oltre il fiume Vltava, nella pianura di Letnà, ove si estende, accanto all’antico nucleo, la citta d’ampliamento (fig. 1). Dipartendosi sulla direttrice del ponte di Svatoplko Cech, una vasta sistemazione monumentale, che abilmente sfrutta le condizioni planimetriche del terreno, serve di collegamento tra le zone di carattere dei quartieri storici e quelli della città moderna. Questo insieme architettonico si svolge come in un grandioso anfiteatro fiancheggiato da edifici pubblici e prepara ad un “Foro” politico in cui domina l’edificio del Parlamento (figg. 2-3): il sistema della composizione è ispirato ai grandi tracciati imperiali romani, da cui evidentemente deriva: l’architetto moderno e in ispecie l’edile urbanistico ha saputo innestare questa serie di “Fori” moderni alla rete delle grandi arterie che, senza attraversarle col loro grande traffico, ma solo fiancheggiandole, lasciano a questi ambienti rappresentativi un austero raccoglimento conveniente alla loro funzione.

Da questo primo nucleo il piano regolatore si svolge nella zona detta Bubenec-Dejvice con chiarezza di poche linee fondamentali e la distribuzione dell’intensità dei fabbricati è opportunamente interrotta da un grande piazzale (figg. 4-5) ad emiciclo cui convergono nuove direttrici: su questo piazzale - individuato da un motivo come di arcata onoraria (fig. 6) s’apre il viale intorno a cui si raggruppa una nuova grande sistemazione degli edifici del Politecnico, progettati dall’Engel stesso.
Anche qui, con sapienza, questo grande quartiere di studi è innestato sulle direttrici delle maggiori arterie, ma si racchiude poi in sè stesso, così da dare al luogo una raccolta silenziosa austerità e, nel tempo stesso la migliore e la più immediata facilità di accesso (fig. 7).
Come già nella disposizione della sistemazione del Parlamento e adiacenze, anche in questa composizione d’insieme domina il ritmo classico delle disposizioni ippodamee dell’antichità a ritmi lineari ampi e insistenti.
Dal suo inizio, con l’arcone onorario che fa fronte sulla piazza dominata dalla colonna commemorativa della Vittoria, questo viale (fig. 8) sul quale si allineano i vari edifici degli studi, si allarga dapprima in una piazza, mentre, normalmente, è attraversato da secondarie arterie: i vari edifici sono collegati da cavalcavia, i quali creano effetti prospettici e rompono l’uniformità delle lunghe arterie in una serie di ambienti racchiusi (fig. 9).
Tutta la composizione prepara e converge verso il “Forum Academicum”, la piazza terminale e conclusiva della composizione (fig. 10).
Accanto al carattere della città barocca foggiata dopo la guerra dei trent’anni nella ripresa cattolica dei Gesuiti, con l’opera di Genovesi e Lombardi, Lurago, Canevale, Carlone, Orsi, Porta, Rossi, con ricchezza d’ambienti che hanno tutta la varietà fantasiosa di alcuni scorci di Roma borrominiana, l’artista moderno crea oggi schemi di classicità, abbandonando concetti di varietà pittorica e di ricerche prospettiche basate sul mutare di punti di vista. Non dunque l’appassionato carattere di ambienti come quella Piazza dei Cavalieri della Croce, racchiusa tra la severità di una facciata tutta bugnata della Chiesa dei Cavalieri inquadrata da ordine dorico, e la Chiesa del S. Salvatore, fastosa, col suo pronao secondo il tipo romano delle facciate a triplice arcata; non la fantasiosa dissimetria, raggiungente tuttavia il fasto monumentale, della Piazza di S. Nicola, con lo scorcio del fantastico Duomo dalle forme borrominiane care a quel Dientzenhofer, fedele entusiasta propagatore nel Nord dell’arte del nostro grande creatore; non la romana calda espressione di quella solitaria piazzetta dove il S.Nicola della Città vecchia ripete lo schema della nostra S. Agnese. Aspetti e concetti questi più sentiti dal nostro spirito: “Veut’ on vivre et sentir un bout de printemps bien italien sur le rive de la Vltava; il suffit de passer un après-midi dans le voisinage du Palais Waldstein: .... le rêve des artistes italiens, qui ont souhaité rendre pareilles aux jardins de leur pays natal ces pentes en forme de terrasses suspendues au-dessus de Palais du Petit Côté, se change en réalité voluptueuse et béate, sous le baiser enflammé d’un soleil de mai....
“Cela nous fait penser à l’Arioste, au Tasse et, par un moment, aussi au maître napolitain d’un style fleuri, de grâes surchargées et raffinées, à Giambattista Marini. Est-ce par pur hasard que pendant que Marini composait sur les dieux et les jardins un épopée mythologique, son homonyme erigeait en ces lieux un palais pour le Duc de Friedland, Albrecht Waldstein?”
Per giungere alle nuove zone della città ci siamo attardati in questi luoghi per comprendere, nel confronto, lo spirito della nuova Arte.
Vediamo dunque l’Engel distaccarsi da questo spirito che per qualche scrittore slavo è “straniero”: egli si parte da concezioni classiche e qualche aspetto di questa maniera ci ricorda l’influenza della Scuola di O. Wagner, alla quale del resto l’Engel stesso nel primo periodo dei suoi studi accorse. Lievi riflessi, è vero, giacchè la forza di acclimatazione e di amalgama della città non può non influire, come effettivamente è manifesto, anche sullo spirito di questo artista, il quale, anch’esso, compie questo travaglio di fusione di elementi permanenti dell’arte, nel crogiolo dell’anima slava: onde vediamo realmente rinnovarsi anche in questo artista la superiore forza della razza: “Elle, (la Capitale Bohême) digéra et travailla tous les styles de construction et de vie, depuis l’art roman jusqu’à l’Empire tardif et le soumit à sa personalité complexe, mais tout de même uniforme, à la quelle participent également la nature et l’Architecture, la sculpture et le jardinage, le climat et les eaux. Ainsi enfin l’âme baroque, souveraine et sèche, a été dominée. Et le paradoxe des paradoxes: l’Espression spirituelle aussi bien que l’oeuvre materielle des Italiens, Espagnols, et Allemands ont été subordonnés à une réalité superieure qui est l’unité historique de la ville de Prague; et celle - là nous appartient à nous autres tchéques”.
È Arné Novák che rileva questa legge di trasformazione dell’arte della sua città e riteniamo opportuno porlo in evidenza nel valutare lo stile e l’arte della nuova fase personificata nel nostro Engel.
Nella composizione particolare degli edifici infatti, vediamo che l’architetto predilige l’insistente ritmo verticale quale ripetizione di un ordine su zone basamentali; se nel dettaglio questo ordine è trattato con sintesi forse un poco aspra, il motivo d’insieme ricorda pur sempre la vasta e grandiosa costruzione del Clementinum di Carlo Lurago e quella più imponente del Palazzo Czernin, con la sua facciata scompartita da ordine abbracciante la sovrapposizione dei piani secondo lo stile Palladiano (Francesco Caratti ne fu l’architetto nel 1669).
In un nuovo gruppo più importante delle opere dell’Engel, il Ministero delle Ferrovie e il Liceo Masaryk, sembra che l’artista voglia in parte abbandonare alcuni caratteri di quel freddo classicismo ellenizzante interpretato dalle recenti scuole viennesi che brevemente, e comunque sempre con personale interpretazione, sembra abbia influito sullo spirito del nostro architetto (esempio il suo concorso per il Cimitero di Praga (figg. 11-12) e alcuni particolari del Politecnico). Sembra a noi di vedere in questa seconda fase e specialmente in questi due edifici un nuovo orientamento rivolto verso un ritorno a quella tradizione più tipica della sua città che si riannoda nella scuola di architetti romanizzante alla fine del XVII sec., che fa capo a quel G. B. Mattei (1), detto e confuso con un Burgundus; al quale recenti studi rivendicano una serie di caratteristici edifici di Praga, ideati con i procedimenti più fedeli dell’architettura romana del XVII sec. e condotti con la sapienza di un artista che ne ha certamente avuto conoscenza ed esperienza diretta.
Il Liceo Masaryk (costruito nel 1924-27) è istituzione nuova e comunque ha in Praga la più completa ed ampia applicazione: esso è la Casa degli studenti bisognosi che trovano quivi soggiorno in camere da uno a tre letti, con ogni conforto di accessori, la sala da pranzo, le sale di studio, la sala di lettura comune, la biblioteca e un salone con Palcoscenico per festeggiamenti e convegni: esso è capace di 800 individui (figg. 13-14-15-16-17). Nell’architettura di questo edificio è una maggiore larghezza e robustezza nelle spaziature, e il modo di collegare in fasciature uniche l’ordine sovrapponentesi delle finestre e in genere tutto l’aspetto dell’edificio ha un’intonazione che lo riporta ai citati edifici del seicento praghese; si ritrova in questa opera la chiarità semplice di quel gruppo di edifici che sono il Palazzo Arcivescovile - il Castello di Troia - della scuola di Equitazione nel Castello, il Monastero di Strahow, il magnifico Palazzo Toscano, la Chiesa di S. Francesco dei Cavalieri della Croce, nei quali vediamo ripetersi il sistema a pilastri piatti e riquadrature abbraccianti più piani; e il Palazzo Wallenstein, con la sua Loggia che pare tolta da un verde angolo di Genova (sembra l’Alessi). Edifici questi, costruiti secondo i procedimenti che a Roma durano fino alla metà del XVI sec. ma che sono un poco in ritardo a Praga per opera appunto di questo Mattia Burgundus, cioè del nostro Mattei.
Perciò forse, questo lavoro dell’Engel ci interessa e ci piace particolarmente e per la ripercussione che trova nel nostro spirito e per la fusione, che ci appare realizzata, di forme della tradizione locale nel tema nuovo e moderno.
E similmente diciamo del Ministero delle Ferrovie (figg. 20-21) che sulle Rive della Vltava, viene a costituire l’elemento dominante in una serie di pubblici edifici: è in corso di esecuzione, ma la pianta organica (è felice e nuova la disposizione dei tre cortili che abbracciano un nucleo centrale costituito da un grandissimo salone di adunanze) e il modello, ci convincono della bontà fondamentale di questa larga concezione.

Posti a confronto questi lavori con altri precedenti, come l’Impianto Idroelettrico di Podebrady (figg. 18-19) e più ancora con il saggio di Concorso per il Cimitero Centrale di Praga, vediamo come le forme di un classicismo a tinte un poco ellenistiche e perciò fredde e un poco lontane dal nostro sentimento, si svolgono ora più forti, più quadrate: la corrispondenza tra le linee di questa architettura e il suo ambiente, una vasta pianura circondata di boschi e di prati, è compiuta ed è realizzata.
L’Impianto di Podebrady (costruito tra il 1914 e il 1920) è però uno dei saggi più significanti della moderna architettura industriale e il trapasso di concezioni e dello spirito classico nella materia nuova e nella significazione di un tema modernissimo è perfettamente e compiutamente riuscito. Altrettanto riescita è in questo campo l’altra importante opera dell’Engel in corso di esecuzione, l’Impianto idrofiltratore di Praga, destinato a dare l’acqua potabile alla città, filtrando quella del fiume Vltava col sistema Pueh-Chabal (figure 22-23-24): difficoltà e ristrettezza di terreno hanno costretto l’architetto a sviluppare in zone verticali i vari filtri, di solito disposti orizzontalmente; l’architettura di questo edificio di carattere industriale è risolta senza rinunzia, anzi con fedeltà che ammiriamo, ai principi estetici che ispirano l’opera di questo artista.
Tutta la serie delle opere che abbiamo esaminato e che costituiscono un blocco compatto e collegato da una linea conduttrice, è animato da uno spirito di nobiltà ed elevatezza artistica e rappresenta uno sviluppo continuo e coerente a principi classici, non formali, ma piegati ad una interpretazione viva, attuale.
Una conclusione ancora, e questa utile e necessaria anche per noi: l’opera dell’Engel e la sua fede, tanto più ammirevole perchè si svolge in un clima diverso dal nostro, dimostra come i principî classici possano vivere e piegarsi alle più svariate manifestazioni della vita moderna: questo è l’ammonimento, ben severo, a quanti, nella terra che sa le origini della serenità classica, si smarriscono nei così detti arcaismi delle cerebrali ricerche nuove.
VINCENZO FASOLO

(1) Un lavoro di revisione nelle attribuzioni delle opere praghesi del Rinascimento e del Barocco a sfondo italiano, è condotto da Oldrich Stefan: questi è indotto a identificare i due nomi di Mattei e di Burgundus e ad attribuire a questo architetto oltre a noti edifici, anche il Palazzo detto Toscano e la Chiesa dei Cavalieri della Croce.

BIBLIOGRAFIA
Birnbaum, Matéjcek, Schránil, Wirth: “L’art Tchecoslovaque”: Ed. Maison “Orbis”. Praga - 1926.
Vaélav Vojtizek: Praga.
Àrne Novák: Prague baroque.
Zdenék Wirth: Kutná Hora - 1912.
Louis Leger: Prague.

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