L’ARCHITETTURA MODERNA A PRAGA
L’ARCHITETTO ANTONIO ENGEL.
L’Architettura di Praga, nella seconda metà del XIX sec.
dopo l’Accademismo fine Impero proveniente da Vienna (a Vienna
è l’italiano Pietro Nobile che dà il tono di questo
periodo stilistico), o dopo il rivoluzionario ’48, si orienta
verso la ricerca di un’arte nazionale. In pittura, Giuseppe Mánes,
svincolandosi da influenze francesi, foggia nel popolo il suo ideale
artistico, ed è oggi posto come fondatore della moderna pittura
ceca; in scultura Myslbeck, superando il classicismo romano di Václav
Levy, si rivolge alla natura, mettendosi all’unisono con il movimento
realistico della fine dell’ottocento: l’architettura, ripetendo
le fasi che con varietà di dettagli sono comuni in tutti i paesi
in quell’ibrido ed incerto periodo, oscilla fra il romantico accademismo
e un ritardatario medioevalismo.
Una reazione a queste tendenze si ha, verso l’80, con un ritorno
a forme della Rinascenza ceca: Ant. Wiehl, seguito da altri, riprende
quello stile che sulla fine del XVI sec. fu determinato da influenze
e da artefici italiani, e che, assorbito dalle maestranze locali e dalle
generazioni discendenti da quegli italiani naturalizzatisi, dà,
in tutta la Cecoslovacchia, un particolare riflesso del nostro Rinascimento
nella estrema Europa, improntando ovunque di pittoriche varietà,
di sottili eleganze, città e borghi.
A questo stile, che nel 1493 si inizia a Praga nel Castello Reale e
vi si svolge durante tutto il ’500, appartengono l’edificio
municipale di Plzen costruito da Giovanni de Statio di Lugano nel 1554
con schemi e particolari che sono peruzziani; il Palazzo Schwarzemberg,
di italiano ignoto, alta mole a parete graffita di bugnati a punta di
diamante entro cui si tagliano le finestre di pura regola cinquecentesca;
il Cortile del Castello di Opocno con triplice sovrapposizione di ordini
di carattere lombardesco, due ad ampie arcate, il terzo architravato,
con colonne disposte secondo il modo ritmico, detto bramantesco per
il disporsi della colonna su l’asse dell’arcata sottoposta
e secondo il rapporto 1:2; arte di chiarità italiana che, dopo
un periodo di guerre civili, contro concezioni religiose di cupa austerità,
porta il suo sentimento di quieta serenità nel Palazzo e nel
Parco che Ferdinando I vuole residenza degna di fasto europeo affidando
a Giovanni Spazio, Paolo di Stella, e Forabosco, nel 1536, la creazione
del Parco reale e del suo “Belvedere” che sembra un gioiello
dell’arte di Fra Giocondo portato nella velata atmosfera del Nord.
Dopo le ricchezze decorative a fiorami e tabernacoli, di statue e girali
avvolgentisi nelle illogicità del flamboyant “wladislaviano”
che anche dona una tipica impronta alla città, gronde a guscio
lunettato, altane, decorazioni a graffiti e a colore, ritmi orizzontali
e spazi riposanti, vengono a costituire questo Rinascimento ceco, al
quale dunque ritorna sul finire del XIX sec. una schiera di nuovi architetti.
Un edificio ispirato a questa concezione è la “Maison de
rapport” a Vinohrady, del Wiehl, che citiamo appunto per raffigurare
questa nuova tendenza.
Un’altra corrente, invece, rappresentata da Jos. Zitek, segna
quel ritorno alle forme del classicismo romano nell’Europa del
Nord che da noi, come in Francia, in vario modo si manifesta nei monumentali
edifici della fine del XIX sec.: a Praga, del Zitek, il Teatro Nazionale,
simbolo ai cechi della loro lunga passione nazionale, l’ Ex-Rudolfinum
(ora sede delle Assemblee nazionali), il Colonnato a Karlovy Vary.
Oggi l’arte ceca, impaziente di assumere un’espressione
originale e indipendente da porsi alla pari e con valore europeo nella
ricerca di tendenze nazionali, mentre dà nella scultura il nome
di Jan Stursa, e in pittura quello di Slavicek, crea nuove espressioni
architettoniche libere d’ogni tradizionalità formale, con
la singolare produzione di Jan Kotera.
Tra queste diverse ed estreme tendenze architettoniche (e le fasi,
con nomi diversi, sono le stesse tra cui ci dibattiamo anche noi in
questo inizio di èra) si delinea e si afferma in Praga l’opera
dell’Architetto Antonio Engel, che ha in sorte d’avere in
commissione compiti edilizi ed architettonici, nella sua Capitale, che
per l’importanza della loro destinazione, costituiranno un ciclo
artistico di durevole storia: opera che, dal tracciamento di un nuovo
ampliamento della città oltre la Vltava nella piana del Letnà,
comprende la creazione di un quartiere di Studi, di edifici pubblici,
Ministeri, e impianti Industriali.
Nella magnifica Capitale che è “come Roma”, (come
ci dicono con orgoglio artisti che oltre alla comunanza delle vicende
della storia recente, vogliono vedere anche nell’impronta barocca
onde è specialmente nota la Capitale boema, la comunanza di aspirazioni),
l’opera di Antonio Engel sembra a noi che bene si innesti in quella
serie di espressioni architettoniche che costituisce il volto di Praga,
aspetti che per essere di romanità classica e secentesca, autentica,
per stretti legami di storia, di uomini, di vicende comuni, debbono
e vogliono da noi essere considerati e per il vincolo spirituale che
ci richiama e per il valore intrinseco dell’artefice destinato
oggi a rinnovarlo e saldarlo nelle opere durature.
Ecco perchè dunque a buon diritto questa disanima trova il suo
giusto posto in questa rivista di studi artistici italiani.
Antonio Engel, di Podebrady, opera oggi nella sua piena maturità,
essendo del ’79: laureato della scuola di architettura di Praga,
edile nel 1905 nell’ufficio tecnico di questa città e quindi
membro permanente della Commissione del Piano regolatore, è insegnante
e decano nella scuola superiore di architettura di Praga: lo abbiamo
conosciuto in questa sua missione, guida ai suoi allievi, qui in Roma,
dove egli tornava dopo un lungo soggiorno per i suoi studi, parlatore
pensoso, conoscitore appassionato dei caratteri dell’arte romana.
Oggi, a Praga, egli traccia le linee della città nuova, oltre
il fiume Vltava, nella pianura di Letnà, ove si estende, accanto
all’antico nucleo, la citta d’ampliamento (fig. 1). Dipartendosi
sulla direttrice del ponte di Svatoplko Cech, una vasta sistemazione
monumentale, che abilmente sfrutta le condizioni planimetriche del terreno,
serve di collegamento tra le zone di carattere dei quartieri storici
e quelli della città moderna. Questo insieme architettonico si
svolge come in un grandioso anfiteatro fiancheggiato da edifici pubblici
e prepara ad un “Foro” politico in cui domina l’edificio
del Parlamento (figg. 2-3): il sistema della composizione è ispirato
ai grandi tracciati imperiali romani, da cui evidentemente deriva: l’architetto
moderno e in ispecie l’edile urbanistico ha saputo innestare questa
serie di “Fori” moderni alla rete delle grandi arterie che,
senza attraversarle col loro grande traffico, ma solo fiancheggiandole,
lasciano a questi ambienti rappresentativi un austero raccoglimento
conveniente alla loro funzione.
Da questo primo nucleo il piano regolatore si svolge nella zona detta
Bubenec-Dejvice con chiarezza di poche linee fondamentali e la distribuzione
dell’intensità dei fabbricati è opportunamente interrotta
da un grande piazzale (figg. 4-5) ad emiciclo cui convergono nuove direttrici:
su questo piazzale - individuato da un motivo come di arcata onoraria
(fig. 6) s’apre il viale intorno a cui si raggruppa una nuova
grande sistemazione degli edifici del Politecnico, progettati dall’Engel
stesso.
Anche qui, con sapienza, questo grande quartiere di studi è innestato
sulle direttrici delle maggiori arterie, ma si racchiude poi in sè
stesso, così da dare al luogo una raccolta silenziosa austerità
e, nel tempo stesso la migliore e la più immediata facilità
di accesso (fig. 7).
Come già nella disposizione della sistemazione del Parlamento
e adiacenze, anche in questa composizione d’insieme domina il
ritmo classico delle disposizioni ippodamee dell’antichità
a ritmi lineari ampi e insistenti.
Dal suo inizio, con l’arcone onorario che fa fronte sulla piazza
dominata dalla colonna commemorativa della Vittoria, questo viale (fig.
8) sul quale si allineano i vari edifici degli studi, si allarga dapprima
in una piazza, mentre, normalmente, è attraversato da secondarie
arterie: i vari edifici sono collegati da cavalcavia, i quali creano
effetti prospettici e rompono l’uniformità delle lunghe
arterie in una serie di ambienti racchiusi (fig. 9).
Tutta la composizione prepara e converge verso il “Forum Academicum”,
la piazza terminale e conclusiva della composizione (fig. 10).
Accanto al carattere della città barocca foggiata dopo la guerra
dei trent’anni nella ripresa cattolica dei Gesuiti, con l’opera
di Genovesi e Lombardi, Lurago, Canevale, Carlone, Orsi, Porta, Rossi,
con ricchezza d’ambienti che hanno tutta la varietà fantasiosa
di alcuni scorci di Roma borrominiana, l’artista moderno crea
oggi schemi di classicità, abbandonando concetti di varietà
pittorica e di ricerche prospettiche basate sul mutare di punti di vista.
Non dunque l’appassionato carattere di ambienti come quella Piazza
dei Cavalieri della Croce, racchiusa tra la severità di una facciata
tutta bugnata della Chiesa dei Cavalieri inquadrata da ordine dorico,
e la Chiesa del S. Salvatore, fastosa, col suo pronao secondo il tipo
romano delle facciate a triplice arcata; non la fantasiosa dissimetria,
raggiungente tuttavia il fasto monumentale, della Piazza di S. Nicola,
con lo scorcio del fantastico Duomo dalle forme borrominiane care a
quel Dientzenhofer, fedele entusiasta propagatore nel Nord dell’arte
del nostro grande creatore; non la romana calda espressione di quella
solitaria piazzetta dove il S.Nicola della Città vecchia ripete
lo schema della nostra S. Agnese. Aspetti e concetti questi più
sentiti dal nostro spirito: “Veut’ on vivre et sentir un
bout de printemps bien italien sur le rive de la Vltava; il suffit de
passer un après-midi dans le voisinage du Palais Waldstein: ....
le rêve des artistes italiens, qui ont souhaité rendre
pareilles aux jardins de leur pays natal ces pentes en forme de terrasses
suspendues au-dessus de Palais du Petit Côté, se change
en réalité voluptueuse et béate, sous le baiser
enflammé d’un soleil de mai....
“Cela nous fait penser à l’Arioste, au Tasse et,
par un moment, aussi au maître napolitain d’un style fleuri,
de grâes surchargées et raffinées, à Giambattista
Marini. Est-ce par pur hasard que pendant que Marini composait sur les
dieux et les jardins un épopée mythologique, son homonyme
erigeait en ces lieux un palais pour le Duc de Friedland, Albrecht Waldstein?”
Per giungere alle nuove zone della città ci siamo attardati in
questi luoghi per comprendere, nel confronto, lo spirito della nuova
Arte.
Vediamo dunque l’Engel distaccarsi da questo spirito che per qualche
scrittore slavo è “straniero”: egli si parte da concezioni
classiche e qualche aspetto di questa maniera ci ricorda l’influenza
della Scuola di O. Wagner, alla quale del resto l’Engel stesso
nel primo periodo dei suoi studi accorse. Lievi riflessi, è vero,
giacchè la forza di acclimatazione e di amalgama della città
non può non influire, come effettivamente è manifesto,
anche sullo spirito di questo artista, il quale, anch’esso, compie
questo travaglio di fusione di elementi permanenti dell’arte,
nel crogiolo dell’anima slava: onde vediamo realmente rinnovarsi
anche in questo artista la superiore forza della razza: “Elle,
(la Capitale Bohême) digéra et travailla tous les styles
de construction et de vie, depuis l’art roman jusqu’à
l’Empire tardif et le soumit à sa personalité complexe,
mais tout de même uniforme, à la quelle participent également
la nature et l’Architecture, la sculpture et le jardinage, le
climat et les eaux. Ainsi enfin l’âme baroque, souveraine
et sèche, a été dominée. Et le paradoxe
des paradoxes: l’Espression spirituelle aussi bien que l’oeuvre
materielle des Italiens, Espagnols, et Allemands ont été
subordonnés à une réalité superieure qui
est l’unité historique de la ville de Prague; et celle
- là nous appartient à nous autres tchéques”.
È Arné Novák che rileva questa legge di trasformazione
dell’arte della sua città e riteniamo opportuno porlo in
evidenza nel valutare lo stile e l’arte della nuova fase personificata
nel nostro Engel.
Nella composizione particolare degli edifici infatti, vediamo che l’architetto
predilige l’insistente ritmo verticale quale ripetizione di un
ordine su zone basamentali; se nel dettaglio questo ordine è
trattato con sintesi forse un poco aspra, il motivo d’insieme
ricorda pur sempre la vasta e grandiosa costruzione del Clementinum
di Carlo Lurago e quella più imponente del Palazzo Czernin, con
la sua facciata scompartita da ordine abbracciante la sovrapposizione
dei piani secondo lo stile Palladiano (Francesco Caratti ne fu l’architetto
nel 1669).
In un nuovo gruppo più importante delle opere dell’Engel,
il Ministero delle Ferrovie e il Liceo Masaryk, sembra che l’artista
voglia in parte abbandonare alcuni caratteri di quel freddo classicismo
ellenizzante interpretato dalle recenti scuole viennesi che brevemente,
e comunque sempre con personale interpretazione, sembra abbia influito
sullo spirito del nostro architetto (esempio il suo concorso per il
Cimitero di Praga (figg. 11-12) e alcuni particolari del Politecnico).
Sembra a noi di vedere in questa seconda fase e specialmente in questi
due edifici un nuovo orientamento rivolto verso un ritorno a quella
tradizione più tipica della sua città che si riannoda
nella scuola di architetti romanizzante alla fine del XVII sec., che
fa capo a quel G. B. Mattei (1), detto e confuso con un Burgundus; al
quale recenti studi rivendicano una serie di caratteristici edifici
di Praga, ideati con i procedimenti più fedeli dell’architettura
romana del XVII sec. e condotti con la sapienza di un artista che ne
ha certamente avuto conoscenza ed esperienza diretta.
Il Liceo Masaryk (costruito nel 1924-27) è istituzione nuova
e comunque ha in Praga la più completa ed ampia applicazione:
esso è la Casa degli studenti bisognosi che trovano quivi soggiorno
in camere da uno a tre letti, con ogni conforto di accessori, la sala
da pranzo, le sale di studio, la sala di lettura comune, la biblioteca
e un salone con Palcoscenico per festeggiamenti e convegni: esso è
capace di 800 individui (figg. 13-14-15-16-17). Nell’architettura
di questo edificio è una maggiore larghezza e robustezza nelle
spaziature, e il modo di collegare in fasciature uniche l’ordine
sovrapponentesi delle finestre e in genere tutto l’aspetto dell’edificio
ha un’intonazione che lo riporta ai citati edifici del seicento
praghese; si ritrova in questa opera la chiarità semplice di
quel gruppo di edifici che sono il Palazzo Arcivescovile - il Castello
di Troia - della scuola di Equitazione nel Castello, il Monastero di
Strahow, il magnifico Palazzo Toscano, la Chiesa di S. Francesco dei
Cavalieri della Croce, nei quali vediamo ripetersi il sistema a pilastri
piatti e riquadrature abbraccianti più piani; e il Palazzo Wallenstein,
con la sua Loggia che pare tolta da un verde angolo di Genova (sembra
l’Alessi). Edifici questi, costruiti secondo i procedimenti che
a Roma durano fino alla metà del XVI sec. ma che sono un poco
in ritardo a Praga per opera appunto di questo Mattia Burgundus, cioè
del nostro Mattei.
Perciò forse, questo lavoro dell’Engel ci interessa e ci
piace particolarmente e per la ripercussione che trova nel nostro spirito
e per la fusione, che ci appare realizzata, di forme della tradizione
locale nel tema nuovo e moderno.
E similmente diciamo del Ministero delle Ferrovie (figg. 20-21) che
sulle Rive della Vltava, viene a costituire l’elemento dominante
in una serie di pubblici edifici: è in corso di esecuzione, ma
la pianta organica (è felice e nuova la disposizione dei tre
cortili che abbracciano un nucleo centrale costituito da un grandissimo
salone di adunanze) e il modello, ci convincono della bontà fondamentale
di questa larga concezione.
Posti a confronto questi lavori con altri precedenti, come l’Impianto
Idroelettrico di Podebrady (figg. 18-19) e più ancora con il
saggio di Concorso per il Cimitero Centrale di Praga, vediamo come le
forme di un classicismo a tinte un poco ellenistiche e perciò
fredde e un poco lontane dal nostro sentimento, si svolgono ora più
forti, più quadrate: la corrispondenza tra le linee di questa
architettura e il suo ambiente, una vasta pianura circondata di boschi
e di prati, è compiuta ed è realizzata.
L’Impianto di Podebrady (costruito tra il 1914 e il 1920) è
però uno dei saggi più significanti della moderna architettura
industriale e il trapasso di concezioni e dello spirito classico nella
materia nuova e nella significazione di un tema modernissimo è
perfettamente e compiutamente riuscito. Altrettanto riescita è
in questo campo l’altra importante opera dell’Engel in corso
di esecuzione, l’Impianto idrofiltratore di Praga, destinato a
dare l’acqua potabile alla città, filtrando quella del
fiume Vltava col sistema Pueh-Chabal (figure 22-23-24): difficoltà
e ristrettezza di terreno hanno costretto l’architetto a sviluppare
in zone verticali i vari filtri, di solito disposti orizzontalmente;
l’architettura di questo edificio di carattere industriale è
risolta senza rinunzia, anzi con fedeltà che ammiriamo, ai principi
estetici che ispirano l’opera di questo artista.
Tutta la serie delle opere che abbiamo esaminato e che costituiscono
un blocco compatto e collegato da una linea conduttrice, è animato
da uno spirito di nobiltà ed elevatezza artistica e rappresenta
uno sviluppo continuo e coerente a principi classici, non formali, ma
piegati ad una interpretazione viva, attuale.
Una conclusione ancora, e questa utile e necessaria anche per noi: l’opera
dell’Engel e la sua fede, tanto più ammirevole perchè
si svolge in un clima diverso dal nostro, dimostra come i principî
classici possano vivere e piegarsi alle più svariate manifestazioni
della vita moderna: questo è l’ammonimento, ben severo,
a quanti, nella terra che sa le origini della serenità classica,
si smarriscono nei così detti arcaismi delle cerebrali ricerche
nuove.
VINCENZO FASOLO
(1) Un lavoro di revisione nelle attribuzioni delle opere praghesi
del Rinascimento e del Barocco a sfondo italiano, è condotto
da Oldrich Stefan: questi è indotto a identificare i due nomi
di Mattei e di Burgundus e ad attribuire a questo architetto oltre a
noti edifici, anche il Palazzo detto Toscano e la Chiesa dei Cavalieri
della Croce.
BIBLIOGRAFIA
Birnbaum, Matéjcek, Schránil, Wirth: “L’art
Tchecoslovaque”: Ed. Maison “Orbis”. Praga - 1926.
Vaélav Vojtizek: Praga.
Àrne Novák: Prague baroque.
Zdenék Wirth: Kutná Hora - 1912.
Louis Leger: Prague.