LO STILE “PITTORESCO”
NELLA FONTANA DI TREVI
Siamo d’accordo nel riconoscere che manca ancora una monografia
esauriente ed acuta sulla maggiore fontana di Roma che sembra racchiudere
in se stessa tutto il significato dell’arte barocca e costituisce
indubbiamente la conclusione più splendida dello stile pittoresco
in architettura.
Non si creda però che con un semplice articolo quale questo si
propone di essere si tenti in qualche modo di colmare la mancanza d’uno
studio completo: se mai ci si lusinga di riuscire a creare uno spunto
per qualcosa di più organico che contenga finalmente anche uno
spoglio esauriente di documenti e sopratutto un esame stilistico quale
la grande opera di arte merita. Per ora, senza aver la pretesa di dire
cose assolutamente nuove, ci accingiamo a raccogliere qui alcune notazioni
sullo stile tutto particolare che si afferma nella Fontana di Trevi,
nato, possiamo dire, all’ingrosso, nella seconda metà del
cinquecento, ma splendidamente realizzato soltanto nel secolo XVII e
nel secolo XVIII.
Che la Fontana di Trevi, appunto per le sue vicende architettoniche
che ne variarono la struttura nello spazio di parecchi anni prima che
fosse completata nel suo insieme, sorga da una concezione di “sintesi”
la quale intenda di riunire scultura e architettura e con ciò
di offrire uno spettacolo architettonico-scenografico del maggiore effetto,
è stato affermato, nè c’è per questo bisogno
di prove successive: si tratterà invece di dimostrare come questa
sintesi avvenga e con quali sottili e delicati effetti dovuti alle maestria
dell’architetto ma anche (in grandissima parte) alla abilità
di scalpellini quasi ignoti i quali, continuando una tradizione essenzialmente
romana e (per esser più precisi) berniniana si dettero a scolpire
l’insieme della scogliera con particolari d’un verismo “paesistico”
quale non si realizza in alcuna altra opera d’arte con tanta grandiosità.
Come accade quando ci si occupa d’un argomento tentando di raccogliere
le maggiori documentazioni per trattarlo esaurientemente, allo studio
stilistico della fontana s’è venuto aggiungendo il contributo
di alcuni disegni della biblioteca di storia dell’arte a Berlino(1)
i quali lumeggiano le singole fasi della costruzione con una efficacia
tutta particolare chiarendoci anche il procedere della concezione barocca,
quasi inconsciamente, verso quell’affermazione di stile pittoresco
che poi fu il suo aspetto definitivo.
La composizione dell’insieme della fontana nasce dal concetto
architettonico che ha le sue origini nel “bugnato” rustico
e che, dal ’400 in poi ebbe la maggiore applicazione nei palazzi
italiani; ma mentre il bugnato del rinascimento serviva a dare l’impressione
della maggiore solidità nella parte inferiore dell’edificio,
il quale tanto più acquistava varietà ed eleganza quanto
più era curato nella parte superiore, la concezione del “bugnato”
barocco applicato sopratutto dal Bernini nei suoi progetti e nelle sue
costruzioni realizzate, spinge l’involontario naturalismo di questo
elemento sempre più verso una cosciente imitazione di rocce naturali:
ed ecco che lo stile “rustico” o, come disse Leon Battista
Alberti “ronchioso” diviene elemento essenziale, non soltanto
applicato nell’architettura per spezzare, variandole, le superfici
regolari della costruzione, ma, immedesimandosi con la roccia assume
il valore di basamento scenografico e pittoresco da cui le linee dell’architettura
nascono, come improvvisate, più pure forse, perchè contrastanti
con la rozzezza naturale della roccia stessa.
Questa concezione nasce senza dubbio dal gusto “pittoresco”
del ’600 il quale non è se non uno sviluppo logico di quel
sentimento della natura che dal Rinascimento in poi viene assumendo
tanta importanza nell’arte italiana.
Leon Battista Alberti suggeriva d’applicare il bugnato “ronchioso”
soltanto nelle fontane aggiungendovi, per maggiore varietà e
grazia, vere conchiglie, madreperle, nicchi naturali: tutto ciò
produceva uno stile verista che ben s’addiceva all’architettura
del Rinascimento: e mentre il Brunellesco si arrestava ad una forma
di bugnato puramente architettonico che trova la sua più grandiosa
applicazione in Palazzo Pitti, l’Alberti s’indugiava a ricercare
la suggestione delle materie pittoresche, accanto agli elementi architettonici.
Quando il cinquecento portò la sua impronta di maggiore pienezza
a questa ricerca di architettura paesistica nelle grandi costruzioni
di giardini, fontane, piccole ville campestri (in cui la natura stessa
accampa pienamente i suoi diritti suggerendo con il variare dei piani
e con il diverso aspetto del paesaggio le linee per l’architettura
e gli spunti per le fontane) infiniti motivi pittoreschi si introdussero
anche nell’architettura cittadina e sembrò che gli elementi
naturali e veristi allontanati dall’architettura per opera dei
grandi spiriti architettonici “puri” dal Rinascimento in
qua, ritornassero a prendere, se non il posto che avevano nell’architettura
gotica, certo un importanza non secondaria.
Non sarà perciò cosa strana, nel cinquecento, incontrarci
con portali grandiosamente sbozzati nella roccia con figure a metà,
eseguite in pieno rilievo e per il resto perdute in un effetto tipicamente
“rustico”, come sarà cosa comune sorprendere elementi
architettonici quasi unicamente basati sopra effetti veristi e pittorici(2).
Al seicento dobbiamo l’affermazione più libera e piena
di questa concezione “pittoresca” e Bernini ne è
il più alto rappresentante forse appunto perchè, nella
sua natura meridionale, egli maturava le sue concezioni architettoniche
in tutto il loro effetto scultoreo e pittoresco: anima complessa e fervidissima,
egli doveva lasciar sgorgare la sua creazione solo nel momento della
vera “ispirazione” e tutte le sue opere portano questa profonda
impronta di genialità.
Nel Palazzo del Parlamento, sopratutto prima che moderne modificazioni
nella parte inferiore togliessero al caratteristico basamento il suo
aspetto primitivo, Bernini applicò in maniera cosciente e sottile
l’effetto del bugnato roccioso in modo da creare davvero il “prototipo”
di questo nuovissimo stilte: e secondo questo principio vennero da lui
ideate anche le fontane che avevano importanza architettonica.
La fontana maggiore di Piazza Navona sorge sul basamento roccioso e
si impernia tutta nella perfetta rispondenza di elementi plastici e
pittoreschi di fronte alla rigidità architettonica dell’obelisco
piantato nel centro.
Questa fontana (di cui Bernini eseguì diversi modelli in plastica(3))
servì poi di spunto a gran parte degli artisti barocchi per la
creazione e lo sviluppo di idee pittoresche essenzialmente berniniane.
Forse non si è abbastanza osservato quanta parte nell’effetto
generale abbiano in questa fontana gli elementi pittoreschi che si potrebbero
chiamare addirittura veristici. Ciascun fiume è presso la sua
pianta simbolica e basta gettare uno sguardo, in una giornata favorevole,
alle modellature del fico d’India seminascosto nella roccia o
alle larghe foglie di un “cedro” colossale e seguire i colpi
di scalpello che modellano la palma rigogliosa di travertino, per accorgerci
come tutti questi elementi siano stati considerati da Bernini essenziali
all’effetto della fontana (fig. 1).
Lo stesso concetto pittoresco si ritrova, mirabilmente attuato nella
fontana detta “degli scogli” sulla piazza maggiore di Lanuvio
(Civita Lavinia) (fig. 2), fino a poco tempo fa assegnata al Bernini
e recentemente a Carlo Fontana (1675)(4). Tuttavia l’opera è
cosi interamente berniniana che si oserebbe dubitare della più
recente attribuzione. Il confronto con il basamento della fontana di
piazza Navona si direbbe, infatti, decisivo.
Quando la Fontana di Trevi, dopo tanto variare di progetti e modificazioni
di idee assunse il suo aspetto definitivo, per la parte inferiore che
costituisce la culla donde nasce l’architettura, si immaginò
un insieme roccioso naturalisticamente scolpito dal quale si elevarono
le membrature dell’edificio. Al centro, attraverso un arco trionfale,
sboccarono al primo piano, come sulla ribalta di un palcoscenico, i
gruppi di figure, limitati tuttavia alla parte centrale e dominati dalla
monumentale statua dell’Oceano scolpita dal Bracci.
Anche a prima vista la fontana di Trevi appare dunque composta di tre
elementi fondamentali, riuniti in sintesi davvero mirabile: la scogliera:
eredità berniniana, derivata dalle concezioni architettoniche
e plastiche del grande maestro; l’architettura scenografica della
fronte del palazzo, studiata in modo da sembrare più monumentale
di quel che in realtà non sia (con la diminuzione progressiva
delle finestre e un sapientissimo calcolo di chiaroscuro): la parte
statuaria, movimentata, che commenta efficacemente la scogliera pittoresca
popolandone le anfrattuosità.
Nella parte architettonica, il centro è rappresentato da un arco
trionfale romano interpretato, con poche varianti, in modo da costituire
il nodo di tutta la struttura della fronte: non si è abbastanza
osservato questo particolare, eppure basta isolare l’arcata centrale
dalle due ali laterali dell’edificio, trascurandone le sculture,
per avere innanzi agli occhi la perfetta riproduzione di un arco imperiale
in cui persino la disposizione dei bassorilievi e la linea del fastigio
sull’iscrizione ripete in modo sorprendente la costruzione classica.
Questo elemento (come altri efficaci accenni) costituisce quella vena
di classicismo che si manifesta nella Fontana di Trevi accanto all’ultimo
sboccio delle forme pittoresche barocche: noi assistiamo cioè
ad un principio di neo-classicismo, proprio nell’opera che offre
il più fantasioso insieme di elementi pittoreschi.
Attraverso la storia dei progetti per la Fontana di Trevi è facile
intravedere una progressiva organicità di attuazione e sorprendere
l’ampliarsi del sogno architettonico iniziato con qualche incertezza
non intieramente dipendente da questioni materiali (5).
È del 1453 il prospetto che Nicolò V° pose nella piccola
piazza di S. Maria in Trivio: esso con tre bocche quadrangolari versava
l’acqua Vergine nuovamente recuperata dalla genialità di
Leon Battista Alberti (fig. 3). Questo prospetto durò per molto
tempo restaurato e di poco ampliato finchè al tempo d’Urbano
VIII la mostra fu trasportata nell’attuale Piazza di Trevi e si
pensò a far progettare dal Bernini una nuova sistemazione degna
della grandiosità seicentesca: si cercò perfino di utilizzare
i marmi di Capo di Bove (Cecilia Metella) ma la sistemazione non fu
attuata.
In una stampa del 1665 l’acqua di Trevi sgorga in una ampia tazza
ma nulla di architettonico appare nuovamente costruito.
Ai primi del ’700 e precisamente nel 1703 per l’occasione
del rifacimento di tutta la condottura che per un terremoto era stata
danneggiata, come narra il Valesio nel suo diario manoscritto, Clemente
XI pensa di creare una nuova Fontana immaginando persino di far trasportare
la colonna Antonina nel centro della vasca, al di sopra di una massa
rocciosa, schiettamente berniniana come l’obelisco di Piazza Navona:
questo progetto d’altronde assai goffo e irrealizzabile, ci appare
in un disegno ben noto conservato nell’archivio Bracci (fig. 4).
A questo punto s’innesta la serie di progetti ai quali numerosi
artisti prendono parte e che dal 1728 giungono fino al 1747 con poche
e rare interruzioni. Nel luglio del 1728 si può determinare l’inizio
di un concreto progetto per costruire la nuova fontana: fu Mons. Sardini
che persuase il Papa a far costruire un prospetto monumentale alla fontana
rimasta fino allora senza una concreta sistemazione: il nome del Benaglia,
napoletano, appare per la prima volta in questi anni e a lui credo si
debbano i primi progetti schiettamente barocchi dei quali resta viva
traccia nei disegni di Berlino. Fu questo artista, come dice il Valesio
“uomo ardito ma di poco o niun sapere nella sua arte” e
dalla serie dei modelli per la fontana di Trevi davvero possiamo confermare
le parole del diarista. Solo il primo di questi disegni (fig. 5) in
cui la data scritta sulla fronte, appare del MDCC . . . . ma che potrebbe
esser datato appunto in questo periodo, rivela una certa fantasia e
una spigliatezza Berniniana che ci permette, di distaccarlo dall’opera
del Benaglia e di immaginarlo disegnato da un altro artista chiamato
prima di lui a tracciare il nuovo prospetto per la Fontana di Trevi:
dal “lago” della fontana s’innalza infatti, una piccola
scogliera a piramide su cui tritoni e divinità marine si raggruppano
attorno alla figura dell’Oceano campeggiante sull’alto della
scogliera: come fondale al gruppo, un portico, anch’esso di struttura
berniniana, tipicamente alternato a coppie di colonne doriche, si apre
innanzi ad un arioso fondo creato dallo squarcio della facciata del
palazzo che ci fa immaginare quasi la creazione di una prospettiva nel
cortile dell’edificio stesso.
Da questo spigliato e originale disegno, per quanto alcune parti di
esso si mostrino ingenue, possiamo farci un’idea del concetto
scenografico che dominò fino da questo primo periodo la sistemazione
della fontana di Trevi.
Ed eccoci ai quattro disegni spettanti al progetto del Benaglia, di
uno dei quali il Valesio ci lasciò la spiritosa descrizione,
già pubblicata dal Luzî (6). La prima idea assai diversa
da quella manifestata dai tre prospetti seguenti, fu di aprire un grande
arcone nel centro del palazzo e di servirsene come un palcoscenico,
o, meglio, come una di quelle prospettive da cortile così comuni
al gusto barocco e delle quali tanti esempi rimangono.
Alcune parti di essa dovevano essere in scultura, altre in pittura e
nell’insieme, dall’arcone scenografico doveva godersi una
scena assai simile a quelle che si prospettavano nelle ville principesche,
a sfondo di ninfei e di fontane.
Seguendo da un lato il disegno del Benaglia, dall’altro la prosa
del Valesio noi possiamo ricostruire con esattezza questa barocca e
pesante composizione che, per fortuna, i contemporanei non vollero realizzata:
una scogliera con tre bocche d’acqua serviva di basamento alle
figure principali: la Vergine, la religione, una Roma armata, perfino
un liocorno, sporto a mezzo dall’acqua e, dietro la quinta di
due quercie un frammento di campagna romana che, se appare di un gusto
assai discutibile e di un effetto superficiale, tuttavia, quante cose
ci insegna su quella tipica passione del “rovinismo” barocco!
Ecco un frammento di acquedotto, arricchito di piante e di fronde incolte,
e lontano altre rovine proprio come dettava il concetto arcadico che
d’un paesaggio facilmente faceva una artificiosa creazione retorico-pastorale
(fig. 6).
Narra il Valesio, nella sua prosa squisitamente ironica, che si rivolge
sopratutto, contro gli ideatori d’una composizione retorica: “nel
luogo più elevato è posta a sedere la B. Vergine del Rosario
e questa ne la ha voluta S. B., sotto a queste alla sinistra dei risguardanti
vi è la Vergine Trivia, nata dalla testa del prelato, come Pallade
da quella di Giove; questa con una mano accenna la Vergine SS.ma e con
la sinistra l’acqua che esce da alcuni scogli; alla destra vi
è una Roma armata, in piedi ed accanto ad essa, senza alcun proposito,
una scrofa con alcuni porchetti e dalla banda della Vergine Trivia un
alicorno”.
Contrastante con il “rovinismo” del disegno esaminato è
la concezione puramente architettonica dei tre disegni legati da una
simile composizione costruttiva (figg. 7-8-9): la parte centrale dell’edificio
è in tutti e tre i disegni rappresentata da una forma borrominiana
con predominio di rientranze e di curve basato su tre vasche che sostengono
delle sculture sormontate dalla figura centrale.
Non sappiamo dire con esattezza se questi tre progetti fossero anteriori
o venissero dopo il curioso disegno scenografico con lo sfondo pittoresco
e la scogliera già sviluppata: troppi elementi ci mancano e anche
ciò che sulla fontana di Trevi e sui disegni che ad essa si riferiscono
è stato pubblicato, non ci offre documentazioni così precise
da poterne tessere una storia infallibile.
Comunque sia il Benaglia non riuscì ad essere prescelto per il
prospetto della Fontana di Trevi: a lui rimase soltanto, a quanto pare,
l’esecuzione del fastigio superiore con le due figure sostenenti
lo stemma papale: egli andò perdendo terreno mano a mano, sotto
l’incalzare dei nuovi, più grandiosi e più originali
prospetti. Nel 1730 morto Benedetto XIII ed eletto Clemente XII, molti
architetti presentano i nuovi disegni e il martedì 16 settembre
1732 il Pontefice approvò il disegno definitivo di Nicola Salvi
(7).
D’ora in poi potendo seguire punto per punto l’esecuzione
del progetto del Salvi, è chiaro che, se pure ci furono delle
modificazioni quasi sostanziali, nella Fontana di Trevi dominò
sempre la figura del Salvi tra scultori e architetti che lo circondarono:
egli che aveva dimostrato nei progetti precedentemente eseguiti per
altre fabbriche e sopratutto in un geniale disegno per una “macchina”
per fuochi artificiali eseguita nella Piazza di Spagna (fig. 10), un
ingegno misurato e non privo di fantasia, nella Fontana di Trevi trovò
le più geniali soluzioni appunto nel contemperamento del concetto
barocco con le strutture più riposate e composte dell’architettura.
La parte che più c’interessa, nella realizzazione del Salvi,
è costituita dalla scogliera: essa ci offre tutti gli elementi
che noi consideriamo come tipici della concezione “pittoresca”
dell’Architettura barocca: in questo elemento non è difficile
rintracciare la più schietta eredità berniniana interpretata
tuttavia con spirito settecentesco, arcadico e in molti punti addirittura
“piranesiano”. Gli scultori che noi incontriamo in questo
periodo sono Bartolomeo Pincellotti, Agostino Corsini, Bernardino Ludovisi,
Francesco Queirolo, Giovan Battista Maini. A quest’ultimo spettano
le statue dei Tritoni che si riversano fuori delle rocce e sembrano
commentare con le loro schiene ricurve il moto dell’acqua scrosciante
verso la vasca principale: questi Tritoni furono terminati nel 1738
e accanto al Maini, il Poddi e il Pincellotti ebbero una parte notevole:
esiste un conto vistato da Nicola Salvi al 29 maggio del 1744 in cui
è descritto il “carro” e cioè la grande conchiglia
posta sotto la figura dell’Oceano scolpita, come è noto,
da Pietro Bracci. Vale la pena di soffermarci alle frasi che descrivono
l’enorme conchiglia, anche se il documento sia stato altre volte
pubblicato e per primo dal Luzî che ci ha lasciato, nel suo importante
e dimenticato articolo sulla fontana di Trevi il più prezioso
insieme dei documenti sulla fontana stessa.
La descrizione, estremamente pittoresca, porta il titolo di “Misura
del carro” e dice: “per la fattura e intaglio del conchiglione,
che forma carro alla figura dell’Oceano, lavorato a guisa di Ostricha
intarterita da ogni parte imitando il vero; e la medesima è consistente
in una Ostricha doppia, cioè nel da Capo scherza slabrando il
suo fine di contorno Iregolare con sua grossezza intarterita, come si
dovesse aprire; dà piedi a detta restringe, e forma due gran
Corni intarteriti; sopra uno di essi posa il piede la figura, e snodando
per il di sotto scherzosa forma due orecchioni intarteriti per di dentro,
e sopra terminando spumose, e rivolgendo verso l’Ostricha di sotto,
con la medesima grossezza forma due grandi Occhi, che in mezzo alli
medesimi dalli Tarteri de Corni ne nasce una bocca dove scaturirà
l’acqua; poi segue la grossezza delle parti laterali di detti
Occhi e con grandi scannelli, parimenti intarteriti, formano un’altra
Ostricha, dove dovrà correre la gran bocca d’acqua et in
mezzo ad essa, da i Tartari molti rilievati, formano due tazze per fare
cadute, e bullori dell’acqua; e tutta la suddetta Macchina è
lavorata con cavi fondi, e voti da ogni parte”.
L’originale descrizione, con la sua minuziosa tecnica, ci ricorda
immediatamente quei conti e spese per mascherate o spettacoli teatrali
barocchi: anche i termini tutti particolari di carro e macchina ci riportano
subito a qualcosa di scenografico, come appunto lo stile di tutta la
fontana ci appare strettamente legato alla scenografia.
In alcune ore del giorno, ma più di notte, quando la grande “macchina”
di travertino è battuta dalla fredda luce lunare che ne fa risaltare
l’aspetto fantastico, chi ha potuto respingere la sensazione di
trovarsi di fronte ad un vero e proprio spettacolo?
La conchiglia è lavorata, come dice la descrizione, a guisa di
“ostrica intartarita” da ogni parte imitando il vero ed
è evidente che questo elemento è considerato da scultori
e intagliatori in pietra con una attenzione degna d’una vera e
propria scultura.
Al Poddi e al Pincellotti dovettero spettare gran parte di queste “imitazioni”
di conchiglie, di rocce, di vegetazione e possiamo senza pericolo di
andar lontani dal vero affermare addirittura che tutto il “pittoresco”
della fontana spettò a questi umili scultori che portavano nella
loro arte la tradizione del seicento berniniano.
Per tutto ciò gli elementi che in un primo tempo sembrarono secondari
nella fontana di Trevi, divennero, se non principali, indubbiamente
importantissimi: le rocce non si limitarono al basamento dell’edificio
o delle statue ma si lanciarono verso le membrature architettoniche,
se ne impadronirono: anzi, in parte le sostituirono. Non credo si incontri
in altri esempi architettonici un connubio più stretto tra roccia
e architettura; i due pilastri che limitano la fronte dell’edificio
non poggiano sulle rocce ma sembrano ricavati dalla roccia stessa: quello
di sinistra è interrotto bruscamente da un grosso blocco roccioso,
in quello di destra assistiamo all’effetto d’un vero “terremoto
artificiale” (fig. 11). Chiunque abbia ceduto alla suggestione
d’un esame particolare della fontana di Trevi in questa parte
scenografica, avrà infatti osservato che lo spigolo di destra,
a forma di pilastro, a un certo punto si spezza: la base si frange e
noi dobbiamo rintracciarla tra le anfrattuosità della roccia,
presso le piante scolpite nel vivo travertino. A due passi da questo
sconvolgimento dell’architettura sboccia un fico selvatico amorosamente
scolpito nella pietra (fig. 12), e più in là uno stemma
cardinalizio (fig.13), gettato con noncuranza in mezzo a queste rovine,
sembra ancora sconvolto dal vento impetuoso che muove ogni elemento
della scogliera facendo sembrare più grandiosa e fragorosa la
caduta delle acque.
L’aspetto definitivo della fontana di Trevi fu dunque frutto del
naturale sviluppo d’una concezione paesistica propria del seicento,
rappresentata da pittori ed architetti in modo pieno e chiarissimo.
Bernini per l’architettura delle fontane e Salvator Rosa nella
pittura di paesaggio si trovano ben vicini nell’esprimere l’ideale
paesistico del loro secolo. E per quanto nella fontana di Trevi gli
elementi architettonici si vadano rendendo classici e tranquilli, il
predominio della scogliera è veramente tipico di questa visione
che potremmo dire romantica.
Come non ricordare, di fronte allo sconvolto paesaggio della fontana
di Trevi, la meravigliosa lettera di Salvator Rosa che reca l’impressione
viva e tumultuosa della Cascata di Terni? È forse la stessa impressione
che si tradusse nel capolavoro pittorico degli Uffizi (fig.14): e nella
prosa di lui come nella pittura, lo stesso ideale “pittoresco”
della fontana di Trevi, trova la sua espressione.
Natura anch’egli sconvolta, Salvator Rosa ama quel paesaggio scosceso
e dinamico dove tutto è ravvivato dalla caduta delle acque: lo
ama “atteso che è d’un misto così stravagante
d’orrido e di domestico, di piano e di scosceso, che non si può
desiderare di vantaggio per lo compiacimento dell’occhio......”
La cascata gli sembra ‘‘cosa da far spiritare ogni cervello
incontentabile per la sua orrida bellezza, per vedere un fiume che precipita
da un monte di mezzo miglio di precipizio ed innalza la sua schiuma
per altrettanto (8)”. E quando più tardi egli parla d’un
altro paesaggio meno grandioso ma altrettanto selvatico ricorda “il
selvaticume di quel paese tanto geniale alla nostra natura”. Anche
volendo considerare la differenza che passa, a distanza di anni, dalla
concezione paesistica di Salvator Rosa a quella del settecento, non
si può fare a meno di riconoscere che questi appassionati ricercatori
dell’orrido nel paesaggio sono tutti indubbiamente legati da un
unico ideale.
Pannini (fig. 16) e Piranesi (fig. 17) aggiunsero in vario modo, a questa
forma di romanticismo, la nota più intensa e significativa: la
“poesia delle rovine” e questa passione resterà al
fondo di tutta l’arte romantica europea.
Incredibile e non ancora studiata è la grande influenza che in
letteratura ebbe questo concetto pittorico-architettonico. In ciò
si giungerà alla creazione di veri paesaggi artificiosamente
rovinati e la letteratura inglese (9) che fu la prima a dimostrare il
suo entusiasmo per questa concezione tutta particolare della natura,
arriverà perfino ad indicare la creazione di giardini, di fontane,
di veri paesaggi in cui tutto è “composto” secondo
il concetto pittoresco d’un Salvator Rosa o d’un Piranesi.
Questo l’ambiente di aspirazioni e di desiderii in cui sorse la
grandiosa fontana di Trevi, ultima espressione del “pittoresco”
nell’arte barocca.
Bernini, Salvator Rosa, Pannini, Piranesi: ecco i grandi ispiratori
e fratelli spirituali dell’architetto che concepì la definitiva
soluzione della fontana: nella ricerca degli effetti romantici delle
rovine abbandonate e inselvatichite presso le rocce scenografiche, gli
intagliatori di pietre seguirono le loro idee trasformando il primo
piano della grande fontana romana in un vero e proprio paesaggio dove
la nostra anima, assetata di sconvolte bellezze, può trovare,
con inaudita evidenza, il proprio ideale trasformato in pietra ma non
per questo morto.
VALERIO MARIANI
(1) Vive grazie vanno qui al prof. Enrst Steinmann illustre studioso
e cortesissimo amico per averci procurato le fotografie dei bei disegni
riferentesi alla Fontana di Trevi conservati nella biblioteca di Storia
dell’Arte di Berlino. Uno di questi fogli non si lilustra in questo
articolo perchè ci è apparso un disegno posteriore e di
carattere accademico, forse di scuola, creato per esercitazioni, quando
già la fontana era stata da tempo costruita. Gli altri hanno
importanza davvero grandissima e, per quanto fossero noti, hanno pieno
diritto ad essere divulgati per il vivo commento che creano alla storia
della Fontana di Trevi.
(2) Stupendo esempio di questa applicazione di “bugnato”
animato da figure umane di cariatidi, ci è offerto dalla “grotta”
del “Jardin des Pins” a “Fontainebleu”, certo
opera d’architetto italiano.
(3) Vedi BRINKMAN, Barok-Bozzetti. Vol. II, tavola 44, e seg.
(4) Vedi MASSIMO GUIDI, Notizie intorno all’arch. C. Fontana in
Roma, 1925, pag. 458.
(5) Per tutta la storia documentaria della Fontana di Trevi è
di ottimo sussidio il bellissimo articolo del LUZI, La Fontana di Trevi,
e Nicola Salvi in Annali della Società degli Ingegneri ed Architetti,
Roma, n. 3, pag. 137.
(6) Vedi LUZI, id. pag. 138 e segg.
(7) Vedi anche C. GRADARA, Pietro Bracci scultore, ecc. Utile sopratutto
per la storia dei disegni appartenenti all’archivio Bracci, tav.
XXVI-XXX, anno 1910 pag. 99. E ancora A. MUÑOZ, Roma barocca,
Bestetti e Tumminelli, 1919. Per quel che riguarda i rapporti tra Bernini
e i primi progetti della Fontana vedi il fondamentale articolo di E.
VOSS, Die Berninische Fontäne in Jahrbuch für K. Preussishe
inst., ecc. anno 1910, pag. 99 e FRASCHETTI, Il Bernini, la sua vita,
ecc., Cap. XIV, pag. 128, ecc.
(8) Vedi Lettere di Salvator Rosa, Ediz. Sonzogno pag. 285. Vedi anche:
LUCILLA MARIANI, Salvator Rosa a Roma (“Roma” anno IV n.
7) e: la seconda dimora di S. R. a Roma (anno VI n. 2).
(9) Per tutto lo sviluppo del “pittoresco” nel 700 vedi
la recensione elegantissima di Mario Praz in La Cultura, 1928, pag.
279.
Tipico, a questo riguardo, li giardino di Mr. Tyers, per la sua villeggiatura
di Denbies con viali ora comodi ora scabrosi e scoscesi rappresentanti
simbolicamente i sentieri della vita umana e il capolavoro grottesco
in questo campo, L’Eilophusikon del 1781, mirabile invenzione
del De Loutherbourg: un panorama in carta pesta animato da giuochi di
luce. A questo punto il paesaggio teatrale e quello “in natura”
si sovrappongono e, bisogna pur dirlo, si guastano a vicenda.