FASCICOLO XII - AGOSTO 1927
GIOACCHINO MILOIA: Vecchia architettura romena, con 17 illustrazioni
Per tutti i paesi che seguono la linea di confine tra l'Occidente e l'Oriente le questioni artistiche si presentano oltremodo difficili; le diverse correnti che si sono incontrate - venute in parte dal Sud (Grecia e Roma) in parte dall'Oriente (Asia e Bisanzio) e in parte dall'Occidente (Francia e Germania) - hanno prodotto una tale mescolanza che ci sono voluti molti secoli prima che i rispettivi paesi siano riusciti a fondere tali elementi in un complesso organico, dando origine ad una vera arte nazionale.
Non deve quindi meravigliare il fatto che di architettura romena non si possa parlare che soltanto verso la fine del seicento (1), quando, dopo un periodo laborioso di tre secoli, lo stile delle costruzioni romene, avvenuta la fusione degli elementi prestati o imposti dal di fuori, dimostri una linea definitivamente stabilizzata. Durante questo periodo a Curtea de Arges, la primaria sede Vescovile della Valacchia, sorge fin dalla metà del Trecento, una serie di costruzioni religiose e profane, e più tardi, la magnifica Basilica Maggiore fatta costruire dal Principe Neagoe Basarab fra il 1512 ed il 1521, che dimostra chiaramente la combinazione dello stile bizantino trapiantato nella Valacchia con gli elementi locali romeni e che porta già i segni caratteristici del nuovo stile. Contemporaneamente nella Moldavia avveniva la costruzione di un'altra serie di chiese e monasteri fatta erigere da quella figura degna del Rinascimento occidentale che fu Stefano il Grande (1457-1505) il quale dopo ogni vittoria sopra i Turchi - e ne riportò ben 38 - dedicava una chiesetta ai suoi protettori celesti, ognuna delle quali aveva un particolare carattere, a seconda della influenza artistica che le aveva ispirate.
Vediamo quali sono queste influenze.
Innanzi tutto occorre tener presente che la dominazione romana, sebbene lasciasse nella Dacia delle vestigia imperiture, per quanto riguarda però l'architettura ebbe influenza quasi nulla. Le forti costruzioni romane scomparvero presto sotto gli zoccoli delle invasioni barbariche, quindi, allorchè l'elemento daco-romano, disperso per più secoli, si riunì sugli inizi dell'XI secolo in “giudizii” - e nel sec. XII fondò i due principati di Moldavia e di Valacchia, - i pochi ruderi classici sopravissuti non potevano più influire che in misura limitatissima sulla nascente architettura del basso Danubio.
Fu invece il Bisanzio dei Paleologhi a dettare i canoni fondamentali della costruzione religiosa nei principati romeni e, per riflesso, anche di quella civile. L'influenza venne direttamente da Costantinopoli e indirettamente, attraverso la Bulgaria e la Serbia, dal Monte Athos. Ed i principati Danubiani legati dalla religione a questi due centri, durante il periodo della formazione, si conformarono in tutto ai dogmi architettonici che venivano impartiti insieme a quelli della fede.
Nella Moldavia nordica l'architettura oltre a quanto s'è detto sopra, prende una sfumatura locale, provocata anzitutto dal clima più freddo e, in secondo luogo, dall'immediata vicinanza dei paesi cattolici: le costruzioni sono più alte, più slanciate, col tetto aguzzo, atto a sostenere il peso della neve, e più riparate dalla corrosione delle frequenti piogge; per conseguenza, invece della finestra ad arco a centro pieno della Valacchia, troviamo qui un adattamento locale di quella gotica. Inoltre vi troviamo i contraforti esterni, ciò che in Valacchia è ben raro, poichè, secondo le regole della costruzione bizantina, la resistenza alla spinta della vôlta veniva affidata interamente allo spessore dei muri. La vôlta poi, spessissimo, si conforma al principio gotico: l'armatura è formata da nervature a sesto acuto con riempimento di muratura. Di spirito gotico sono anche i capitelli, che rappresentano come al solito, anche qui, la flora locale. Caratteristici sono i portali, di origine gotica anche questi, che però invece della teoria di colonnette degli archi degradanti ne conservano solo l'intenzione, avendo la forma di "boudins" verticali che nella parte superiore sono intersecati con altri orizzontali. Inoltre l'arco e più ribassato, prendendo, qualche volta, la forma di arco moresco e talvolta dimostrando in modo assai rudimentale l'origine gotica per un piccolo intaglio nel mezzo dello stipite. Lo stesso concetto troviamo anche nelle finestre, che però non si restringono soltanto a questa regione, ma si estendono anche a gran parte delle costruzioni della Valacchia.
Il Rinascimento italiano poco ha attecchito nella costruzione religiosa dei due principati. Qualche influenza si può tuttavia vedere in alcune chiese erette in Moldavia da Stefano il Grande (es. quella di Neamtu) e, se troviamo anche in Valacchia delle modeste risonanze, queste riguardano più che altro i dettagli decorativi. Ma il genio costruttivo del Rinascimento italiano, ha lasciato tracce veramente notevoli nel campo della fortificazione; di cui l'esempio tipico è l'indistruttibile fortezza di Cetatea-Albà nella Moldavia, costruita da artisti Genovesi.
Anche il barocco è rimasto assai poco conosciuto nei principati romeni; esso comincia a farsi sentire solo durante la decadenza dello stile civile e cioè verso la fine del sec. XVII, ma nell'architettura religiosa non è mai entrato che in insignificanti particolari. In generale si può dire che le influenze occidentali non sono riuscite a mutare l'essenza dell'architettura religiosa dei Principati poichè la base e lo spirito delle costruzioni del culto sono rimasti sempre quelli bizantini: pianta a croce greca con un'abside in fondo e con due laterali (qualche volta queste ultime mancano). L'altare è diviso dalla nave per mezzo di un'alta parete, l'iconostasi, con tre porte; è una delle parti più preziose della chiesa romena, poichè ci rappresenta sempre ciò che di più squisitamente artistico ha prodotto la mano del pittore e dell'intagliatore in legno.
Nel mezzo si erge generalmente la cupola, con alto tamburo, che riposa sui quattro piloni per mezzo dei pennacchi (talvolta ha doppia serie di pennacchi, ciò che fa pensare ad influenze armene). Non sono rare le chiese a più cupole, anzi, ad Arges, ne troviamo cinque, queste però non hanno funzioni prevalentemente statiche come nelle cupole bizantine, ma si riducono unicamente piuttosto ad una espressione estetica.
Quanto alla decorazione esterna le chiese della Valacchia portano la caratteristica delle superficie delle pareti divise in due piani; lungo la fascia superiore corre una teoria di archi ciechi con o senza rosoni e nella inferiore, divisa dalla prima per mezzo d'un fregio intrecciato, o trabeazione, ricorre un'altra teoria o di archi ciechi e traforati da finestre o di rettangoli nella stessa maniera, gli uni e gli altri contornati con cornici di stucco. Nella Moldavia invece, e specialmente nella regione settentrionale, nella Bucovina, oltre a questo tipo eccellono le meravigliose chiese affrescate anche all'esterno, dal tetto al suolo. E se le chiese valacche con la chiarezza delle teorie di archi finti o veri riproducono quanto di più bello l'architettura romena ha tramandato ai posteri, i muri affrescati della Moldavia, che per iconografia e per maniera conducono alla stessa origine, formano le pagine più belle della pittura e dell'arte decorativa.
Quell'uniformità di spirito originario che si osserva nell'architettura religiosa per tutti i Balcani, compresa la Romenia non si ritrova invece nella architettura civile e in ispecie nella casa rustica. A questo riguardo la Romenia appartiene ai paesi del legno; l'uniformità, con le variazioni locali beninteso, si estende da questo punto verso Nord fino alla Finlandia. La casa del contadino romeno, quasi sempre fatta di sua mano, è divisa in due parti. Una parte è riservata agli ospiti o alle cerimonie, e comprende la stanza più grande (casa marecasa o stanza grande) che contiene il suo piccolo tesoro. Ivi egli raccoglie in cassoni infiorati gli artistici prodotti usciti dalla mano delle donne o dispone su scaffali intagliati la sua ceramica; qui troneggia il letto dell'ospite carico di meravigliosi tappeti e cuscini, mentre in mezzo alla stanza domina la tavola intagliata di quercia o di noce. La seconda parte comprende l'appartamento famigliare. La cucina, o una stanzetta di disimpegno, divide la casa-mare dalla stanza o dalle stanze ove la famiglia abita.
La caratteristica della casa romena paesana, è il suo balcone, una terrazza che si estende per tutta la lunghezza della casa, oppure ombreggia a guisa di pronao l'ingresso in forma di edicoletta, sostenuto da colonnine di legno più o meno intagliate, tanto da rendere l'ingresso allegro e bizzarro.
Oltre al balcone, il vanto del contadino romeno è la porta, sulla cui superficie la sua mano di intagliatore si sbizzarrisce in piena libertà. Sostenuta da colonne intagliate, la porta è coperta da una ricca grondaia che serve nello stesso tempo da colombaia. I1 tetto della casa, ad alti spioventi, serve per ripostiglio del frumento; davanti al lato più lungo della casa, si stende il cortile con le adiacenze e dietro a questo il giardino o pometo.

Molto interessanti sono anche le case dei piccoli signori di campagna, le cosidette "cule". L'origine di queste costruzioni risale ai tempi remoti, quando la casa dei piccoli latifondisti doveva essere ben munita per resistere alle invasioni e aggressioni: prende per conseguenza la forma generalmente quadrata, massiccia, di piccola fortezza, a due piani. Nel pianterreno, che generalmente ha pochissime aperture, si conservano il frumento e gli utensili campestri, mentre al primo piano si trova l'abitazione del signore. La costruzione è in pietra e vi ritroviamo le stesse particolarità della casa del contadino riguardo al balcone, che occupa generalmente una o più pareti del primo piano, in forma sviluppata di loggia, sostenuta da basse colonne, che si appoggiano alla balaustrata, e che sono raccordate da archi quasi sempre trilobati.
Da queste forme semplici si è sviluppato lo stile del palazzo romeno, e da questa disposizione originaria hanno preso lo spunto anche gli artisti che hanno costruito il magnifico Palazzo di Mogosoaia, del grande e cristianissimo principe Valacco, Costantino Brâncoveanu, che, insieme ai quattro figli minori, preferì la morte anzichè rinnegare la sua fede e rivelare dove teneva nascosti i suoi tesori riservati al benessere del suo Paese, e alla costruzione e al mantenimento delle numerose chiese da lui fatte erigere.
Il Palazzo di Mogosoaia, di cui parleremo in seguito, è la pietra che segna il punto più avanzato dell'architettura romena profana, ed è la conclusione del lavoro di preparazione, di studio, attraverso il quale s'è arrivato a creare il tipo del palazzo romeno, non più di campagna, ma di città.
È appunto questo stile, detto del Brâncoveanu, insieme allo stile già sviluppato delle chiese, che ha ispirato agli artisti romeni nelle costruzioni posteriori.
Per illustrare questo stile prendiamo in rapido esame due delle numerose costruzioni del munifico mecenate romeno: la Basilica Maggiore di Hurezi (prov. Valcea) per l'architettura religiosa, e il Palazzo di Mogosoaia, vicino a Bucarest, per quella profana.

La Basilica Maggiore di Hurezi, che si erge in mezzo al complesso delle fabbriche del grande monastero, e delle chiese minori, fu destinata dal Brâncoveanu a servire di tomba per lui e per la sua famiglia. La sua costruzione fu terminata nel 1692 e quindi fu consacrata nell'anno seguente.
La Chiesa ha la pianta della croce greca con nartace sostenuto da dieci colonne su cui appoggiano archi a pieno centro; due di queste colonne sorreggono l'edicoletta d'ingresso, l'exonarthex che abbiamo già visto elemento quasi immancabile, fin nelle costruzioni di legno. Dal vestibolo si entra nel “matroneo” di forma rettangolare, contrario al matroneo bizantino che si trova al primo piano; segue poi la grande nave, destinata agli uomini; questa ha la forma tricora con l'abside di fondo più allungata, contenente l'altare e con le due laterali più piccole. La chiesa è dominata da due cupole: la prima, la più piccola, posa sul primo compartimento interno, mentre la seconda, la più grande, fonda sulla nave tricora. Anche le torri come il resto, si conformano allo schema bizantino; hanno le finestre alte e strette con calotta a gola rovescia.
Le superfici esterne sono divise in due piani, come abbiamo già notato parlando dei caratteri generici, e quello superiore comprende una teoria di archi ciechi decorati da rosoni; un fregio lo divide da quello inferiore, dove rettangoli contornati a stucco racchiudono delle finestre vere e finte. I particolari, specialmente all'ingresso, sono riccamente decorati; le colonne hanno tanto il capitello corinzio quanto le basi decorate a foglie d'acanto; il portale e le finestre sono racchiuse entro fastosi intagli di fiori e fogliame mentre le due colonne dell'edicoletta d'ingresso rappresentano un magnifico ricamo in pietra: lungo le scanalature tortili dei fusti corrono dei festoncini di foglie d'acanto e di svariatissimi fiori, genere di colonne che ritroviamo più ricche ancora al Palazzo di Mogosoaia.
La poesia delle proporzioni delle arcature grigie sul fondo bianco, e in generale di tutta la costruzione, è accresciuta ancora dallo splendore delle pitture a fresco che decorano l'interno, dai fregi che corrono lungo le nervature, ma specialmente dai ricchi e smaglianti colori e dall'oro degli affreschi, che a guisa di tappeti stesi sulle pareti, corrispondono allo stile architettonico della Chiesa, e segnano anch'essi una data nell'evoluzione storica della pittura romena. Ma di questa si dovrà parlare a parte.
Il Palazzo di Mogosoaia la cui costruzione fu ultimata nel 1702 e che si è conservato, salvo pochi restauri, nella sua purezza originale, consiste in due piani; quello inferiore, destinato secondo il principio stesso delle “cule” a magazzini ed abitazioni della servitù, ha tutto il carattere di un basamento alto, di difesa, è robusto, semplice, senza ornato; quello superiore invece, l'abitazione del Principe, si sviluppa con grande lusso.
Da uno dei lati lunghi sporge l'immancabile loggia aperta, sostenuta per ogni lato da quattro colonne corinzie sormontate da archi trilobati. Le basi decorate delle colonne sono fissate nella balaustra riccamente traforata.
Al lato opposto, che guarda verso il parco, è la magnifica facciata a largo respiro con in mezzo una loggia, adorna di quattro archi trilobati sostenuti da colonne tortili, e fiancheggiata da due balconi ad arco a sesto pieno. Due finestre trilobate chiudono la facciata alle due estremità. Agli altri due lati sporgono altri due avancorpi in forma di loggia, ma qui abbiamo i pilastri invece delle colonne. Ogni dettaglio è riccamente ornato; i fusti delle colonne tortili, i capitelli corinzi; le basi sono scolpite con maestrìa, che dimostra a quale grado fosse arrivato nei Principati romeni il mestiere dello scalpellino.
Gli scomparti della balaustrata, differenti uno dall'altro, sono divisi dalle basi delle colonne, dove intorno al rosone centrale si avvolgono foglie d'acanto intagliate con valentìa; le mensole, ornate anche queste con foglie d'acanto, i fregi con pittura e mosaico che corrono sugli archivolti, nei sottarchi, negli stipiti, formano un insieme che, lontano dal provocare un senso di sovraccarico, provano la possenza e nello stesso tempo il pacato equilibrio spirituale del Signore che li fece costruire.
In seguito al rapido occidentalizzarsi dei due principati durante i secoli XVIII e XIX l'architettura profana dimostra l'applicazione senza un troppo severo discernimento di quanto arrivava dall'Occidente; fatto provocato anche dai bisogni pratici della vita moderna. Oggi lo stile romeno per le sue caratteristiche si presta meglio al villino e quindi viene tenuto lontano dalle grandi città, popolando invece i lunghi e ampi viali delle periferie, o soddisfacendo - come nel passato - il gusto tradizionale del signore di campagna. Tuttavia a Bucarest non mancano esempi di costruzioni in stile romeno, destinate ad uffici, come ad esempio il palazzo del Ministero dei Lavori pubblici, costruito prima della guerra dall'architetto Antonescu. È un tentativo di riconciliare il pratico col bello, tentativo in gran parte riuscito e veramente encomiabile.
GIOACCHINO MILOIA.

(1) Il termine di “stile romeno unitario” è piuttosto convenzionale in quanto che per le differenze provocate dalle diverse influenze è più corretto parlare di architettura Valacca o Moldava, anche quando ambedue abbiano lo stesso punto di partenza.

BIBLIOGRAFIA

N. IORGA. e G. BALS - Histoire de l'art roumain ancien, Paris 1922 - e gli altri numerosi scritti del dotto storico Iorga.
ROMSTORFER - Die Mo1davisch-byzantinische Baukunst, Vienna 1899 e Die Kirchenbauten in Bukovina in Mitteilungen der k. u. k. Centralkommission, XXI, 1895 ed altri suoi lavori riguardanti l'architettura moldava settentrionale.
TZIGARA-SANMRCAS - Arta in Romània.
V. MIRONESCU - Mânâstirile si bisericile întemciate de Stefan Cel Mare.
AL. LAPEDATU - Curtea de Arges et ses monuments. Buc. 1909.

Vedere inoltre le pubblicazioni del Bulet, conusiei monumentelor istorice dall'anno 1908 in su; quelle del Bull. de la section historique de l'Académie Roumaine; per le riproduzioni specialmente: N. IORGA - Roumanie en images; Calauza Cailor ferate române (ed. 1914 delle ferrovie romene). VOINESCU I. - Monumente de Arta tarancasca in România.

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