FASCICOLO VIII - APRILE 1927
WART ARSLAN: Ritorno a Palladio, con 16 illustrazioni
In bella veste, moderna di gusto e di mezzi, l’architetto Loukomski, che prosegue con bella attività la sua opera di illustrazione, di ricerca e di studio della nostra Arte ed in particolare della nostra architettura, ci dà conto in due volumi dell’editore Morancé sulle ville di Palladio (1); e stavolta trae partito ad esuberanza dalle risorse, che si possono dire ormai raffinate, della fotografia. Si che non tanto l’apparato critico, è quello che qui conta, bensì le illustrazioni eseguite con un garbo nuovo, e in gran parte inedite.
Dove il taglio dà valore al soggetto ce lo presenta con quel sapore appunto che gli viene dell’esser guardato con gli occhi di noi uomini del ventesimo secolo. Perciò non potranno queste fotografie andar disgiunte da una delle tante edizioni antiche del Palladio; edizioni che, almeno nella felice contaminazione del Gurlitt, ogni architetto dovrebbe avere a pronta portata di mano.
Abbiamo, tra queste fotografie, scelte quelle che ci son parse le più eloquenti per l’architetto d’oggi, il quale non è dubbio che si sente attirato, ora più che mai e in misura sempre maggiore, dal grande artista veneto, che ha saputo fondere il senso tutto cinquecentesco di armonia delle proporzioni con la semplicità austera dell’espressione, libera ormai da ogni aggiunta ornamentale; sicchè la sua è essenzialmente architettura di masse e di spazi.
Diciamo veneto, e non a caso. Per quanto tempo mai il Palladio non è passato per un architetto classicista? La parola racchiudeva in sè un che di gelido che avrebbe quasi voluto accomunarlo ai costruttori della prima metà dell’ottocento. Per noi invece Palladio è, di tutti gli architetti del suo tempo, proprio il più affine a Paolo Veronese, ad Alessandro Vittoria. Veneto non soltanto di nascita, ma d’ispirazione.
L’apparato esterno dell’architettura, specie rurale, palladiana ha lungamente tratto in errore sulla sua natura più vera e più intima. Classico, o classicista, il Palladio potrebbe esser detto semmai soltanto per l’armoniosa e ragionata disposizione degli interni: se per classico si deve intendere chi, in architettura, mette la logica a primo fondamento di essa. Non certo egli dovrà esser chiamato classico per l’esterno delle sue fabbriche, almeno rurali: che con le lunghe ali dei portici dietro tanta gravità dissimulano i vani richiesti dalle più umili esigenze (abitazione dei gastaldi, magazzini, stalle, ecc.).
E nemmeno egli può esser detto classico per lo sviluppo di forme grandiose che ripetono e arieggiano quelle degli edifizi antichi. Il pronao palladiano è molto chiaramente un pleonasmo. E in un caso, nella villa Piovene a Lonedo, è semplicemente attaccato a una costruzione preesistente, senza un legame degno, non diciamo di un toscano, ma di Palladio stesso.
Orbene, tutto ciò è ben veneziano; e coerente allo spirito di quella terra, dove appunto si trova ogni villa che da Palladio trae l’origine, o l’ispirazione. E si riassume in una breve frase: incoerenza tra l’interno e l’esterno. Esterno che a Venezia si risolve nel colore, oppure nella decorazione, in Palladio nel rapporto tra i vuoti e i pieni: unico punto di contatto ch’egli abbia coi toscani. I quali per gli edifici, al pari della musica, esigevano, per dirla con l’Alberti, “una sonora e dilettevole parilità di proporzione e di concerto”.
Gran musico fu il Palladio infatti dei modi architettonici. E non sembri retorico il dire che quanto della sua architettura penetra per gli occhi nell’animo, vi si scioglie e riecheggia davvero come una musica appena udita.
Così, alleandosi al paesaggio che per natura sua è proclive tanto, come appunto la musica, a farsi interprete del subcoscente e dar forma all’inesprimibile, la villa veneta del cinquecento divenne, per il tramite di Palladio, parte integrante di quel paesaggio stesso.
Non bisogna dimenticare inoltre che nella musicalità di quelle proporzioni, dove è tanta umana commozione, e nella tendenza a schivare, come già fu notato, lo sviluppo tridimensionale è un’altra ragione per non credere al classicismo del Palladio e affermarne quello che, con brutta parola, chiameremo il suo “venetismo”.
“Venetismo” che lo ha fatto credere barocco, laddove egli non è niente più barocco di un qualsiasi altro architetto del maturo rinascimento. Ed è anzi, certamente, meno barocco, ad esempio, di un Pietro Lombardo.
WART ARSLAN(1) G. - K. LOUKOMSKI, Les villas des Doges de Venise, Editions AIbert Morancè. Al volume seguirà immediatamente un altro, certo di alto interesse anch’esso sull’opera del Vignola.

torna all'indice generale
torna all'indice della rivista
torna all'articolo