FASCICOLO VII - MARZO1927
CARLO GIOVENE DI GIRASOLE: La mobilia napoletana nel seicento, con 30 illustrazioni
LA MOBILIA NAPOLETANA NEL SEICENTO
Per tutto il cinquecento, dopo che Giovanni Merliano da Nola ebbe intagliati gli armadi della sacrestia dell’Annunziata, e nella regione meridionale d’Italia era sorta nelle cattedrali e fino nelle più umili chiese come una gara feconda a quale meglio si ornasse di cori, di armadi, di pulpiti scolpiti, l’uso del mobile intagliato prevalse su quello ad intarsio anche entro le pareti domestiche, ove, rimanevano ancora sobri i costumi e severa la vita.
Ma dopo che l’atrio di S. Maria del Carmine e la sacrestia di S. Martino si furono adornati dei biondi intarsi di Matteo Zucca (1) e di Frate Prospero da Rezzò (2), doveva quest’arte gentile, con i suoi effetti pittorici, i vivaci colori, lo sfoggio di legni preziosi, man mano affermarsi fino a vincere il campo al sorgere del nuovo secolo, con una schiera sempre più numerosa di artefici che da quelle opere derivano.
A misura che i costumi si venivano addolcendo un nuovo senso spuntava, con un desiderio di comodità prima ignoto; una tendenza a godere la vita; uno sforzo di liberarsi da ogni vincolo di tradizione e dare la vita ai sogni. Non più tanto si amano le forme severe, ma seducono le grazie un poco leziose delle variopinte superfici levigate; seduce la preziosità di legni che non possono ottenersi che in sottili sfoglie. E se pure il legno è a massello, deve sempre essere un legno prezioso come l’ebano, che per la sua compattezza anche bene si presta a ricevere i delicati intarsi in avorio. Come si piegano e si ammolliscono gli animi così le linee curve e le superfici rigonfie si sostituiscon alle forme squadrate. Alla nobiltà si sostituisce la grazia, alla severità la compiacenza carezzevole, al rispetto della tradizione lo slancio verso la gioia. Ed il mobile domestico di noce quasi sempre è sostituito da quello impiallicciato, con l’ossatura di pioppo, che si presta ad ogni lenocinio dell’arte, rivestito con sottili sfoglie di radice di noce o di acero di ulivo, intarsiato con preziosi legni.
La tradizione dell’intaglio, però, si mantiene viva per opere grandiose come cori e tribune nelle chiese, organi e mobili di gran lusso. Ed i monaci di Montecassino ancora sul cadere del secolo vollero sostituire al coro intarsiato del Cardinale d’Aragona un magnifico coro intagliato nel nuovo stile, affidandone l’incarico a quattro diversi artefici (fig. 3) che riuscirono, tuttavia, a compiere opera sorprendente per la perfetta unità di sentimento e di stile, e non solo nei dorsali e nei fregi, ove i motivi sono evidentemente contenuti in limiti prestabiliti in accordo dai quattro artefici, quanto ancora nelle figure che sostengono i fianchi degli stalli e nei putti che li sovrastano, tutti in differenti pose, sorprendente prova di inesauribile fantasia e di insuperabile abilità tecnica (fig. 1 e 3). E come a Montecassino in numerose chiese della regione.
Ma, come si è detto, il mobile domestico è quasi sempre impiallicciato e fa solamente eccezione la sedia che mal si presta ad un simile lavoro, essendo formata di assi che si vanno leggiadramente incurvando col formarsi ed il progredire di tendenze nuove.
Per tutto il secolo lo stile classico si svolge man mano in forme più piene e più mosse; la linea retta si curva; spariscono gli angoli. Tale evoluzione si mostra graduale e logica nel mobile meglio che nella architettura, perchè nel lavoro di tutti i giorni di una numerosa classe di artisti meglio si fonde e si rileva il sentimento della regione, nel tempo: e quindi di tale sentimento e delle forme in cui si esprime anche meglio si possono ricercare il progresso e l’intima essenza nello studio del mobile medesimo.
La sedia a bracciuoli parte dal tipo del sedicesimo secolo, con sedile a spalliera di cuoio disteso (fig. 7). Ma negli ultimi anni del cinquecento solleva a cuscino il sedile, ed ai primi del secolo successivo, imbottisce anche lo schienale, pur conservando per parecchi anni la forma severa, con bracciuoli e piedi dritti che cominciano appena ad ornarsi di una sobria tornitura (fig.8) e di sobri intagli nella traversa che collega i piedi anteriori e nelle cime del dorsale. Poi si intagliano i bracciuoli che si incurvano agli estremi, ove possono appoggiarsi le mani, in eleganti volute che quasi accompagnano l’incavo delle palme (fig. 8). Infine il dorsale si sagoma in alto a linee curve, i piedi si arrotondano ed il davanti del sedile anche si incurva con leggiadrìa e si orna di intagli (fig. 6). Ma la sedia è sempre ampia e comoda e rivestita di cuoio od al massimo di velluto. Più tardi, alla fine del secolo, si impicciolirà, assumendo forme più tondeggianti, con imbottitura più piena e sara rivestita di stoffa operata o di ricami a piccoli punti. Ma se è sedia vescovile si arricchirà di intagli e comincierà ad essere dorata (Fig. 5), come poi in tutto il settecento.
La leggera e comoda sedia impagliata, facilmente trasportabile, nata nel cinquecento, diventerà ricca di torniture e le traverse dello schienale saranno intagliate in maniera bizzarra (fig. 4 e 6). Essa sarà dipinta a vivaci colori e poi anche dorata.
Il tavolo ai primi del secolo mantiene la forma massiccia con due solide basi agli estremi, quasi sempre collegate da una traversa dritta. Ma questa man mano si incurva e si solleva fino a raggiungere il centro del piano, poi, spesso, specialmente nella provincia, è costituita da un ferro elegantemente piegato in simile forma. Si aggiungono i cassetti sotto al piano e quando il piano deve servire da scrittoio si aggiungerà più tardi una specie di soprammobili con altri cassetti e comodi ripostigli per carte ed accessori da scrivere (figura 11). Infine alle due basi laterali si sostituiranno quattro robusti piedi tra loro collegati in maniera capricciosa e variabile, con i soliti cassetti sovrapposti, se il tavolo deve servire da scrittoio, spesso sagomandosi anche, allora, l’orlo del piano con una curva rientrante nel lato ove si siede per scrivere. Il mobile, assunta questa forma è in generale impiallicciato ed intarsiato e, curioso particolare, i quattro piedi sono fissati al piano superiore con un sistema di solido avvitamento, ricacciato nel legno medesimo (fig. 14). Inoltre, alla fine del secolo, cominciano ad usarsi, nelle chiese, grandi tavoli, con ricchissimi intagli completamente dorati e col piano di marmo colorato (fig. 12), e se ne diffonde poi l’uso anche nelle case private. La doratura in questo periodo è quasi sempre fatta con argento coperto da una vernice nelle varie gradazioni del giallo.
Il cassettone a tre o quattro tiretti, nato nelle sacrestie per contenere i paramenti sacri, diventa poi di uso domestico. È quasi sempre impiallicciato in radice di acero o di noce ed intarsiato. Ma talvolta, nelle case ricche, è di ebano o di altro legno pregiato con intarsi di avorio. Gli intarsi, sempre originali e variati, se pur formati su tipi costanti, rivelano negli artisti, in questo come in ogni altro mobile, una inesauribile vena di fantasia e una grande abilità nell’arte. Vi predominano fogliami e fiori, con uccelli, vagamente aggruppati attorno a stemmi e medaglioni, ma spesso entro le foglie scherzano putti e spesso ancora appaiono scene di vita con figure anche bernesche. Sul piano di un tavolino da lavoro del Museo di Sorrento sono, per esempio, coppie di duellanti in atteggiamenti pieni di vita (fig. 13). La forma nella prima metà del secolo è dritta (fig. 15), ma poi, man mano che lo stile si sviluppa, si incurva prima nel fronte (fig. 17) poi anche nei fianchi (fig. 16). Il mobile è sempre poggiato su quattro robusti zoccoli, diversamente dalla credenza che spesso si solleva su quattro pieducci incurvati, preannunziando così nella fusione dei due tipi il cassettone più piccolo e grazioso, detto, alla francese commode che sarà tanto in uso nel secolo seguente.
Comunissimo è inoltre il cassettone-scrittoio (fig. 18) nel quale al piano del mobile è sovrapposto, come nello scrittoio, un sistema di ripostigli e cassetti riaccordati con l’orlo anteriore del piano medesimo mediante una specie di coperchio inclinato, che, girando su due cerniere, si dispiega in avanti e forma il piano per scrivere.
E spesso, ancora, sul cassettone-scrittoio si sviluppa un armadio a stipo, che assume le forme più varie secondo la fantasia degli artefici, che lavoravano in piena indipendenza ognuno nella propria bottega (fig. 19-20-21). Talvolta il fronte del mobile è tutto piano o sobriamente incurvato; tal’altra è mosso nel modo più capriccioso, alternandosi le linee piane e le concave e le convesse, come si vede in due esemplari del Museo di Sorrento (fig. 23). Assumono le cimase le più varie forme e si arricchiscono dei più originali frastagli; talvolta finiscono in un ripiano per reggere un orologio, un busto, un vaso. Il mobile è quasi sempre impiallicciato ed intarsiato nella più vaga maniera ed adorno di pendagli e maniglie per l’uso dei cassetti. Ma sino alla fine del secolo l’intarsio in questo come in ogni altro mobile serba sempre linee fondamentali architettoniche, con fondi riquadrati, mentre si comporrà dopo, in tutto il settecento, con disegni più ricchi ad intrecci geometrici, a stelle, a scaglie.
Non vi è casa signorile ove non domini lo stipo nelle più varie forme. In generale questo mobile è sorretto da una base a colonnine tornite, raramente da una base intagliata, ma nell’un caso e nell’altro questa è di legno diverso e meno pregiato di quello del mobile che sorregge. Più rare volte esso si sviluppa in altezza, poggiando direttamente sul suolo, oppure diventa di piccole dimensioni, tale da potersi poggiare su un tavolo o su un cassettone. Ha sempre forme architettoniche che si mantengono quasi immutate nell’intero secolo, col fronte tutto scompartito a cassetti, salvo nella parte centrale, ove, in una specie di tempietto, si apre una porticina (fig.24). Allo interno sono ripostigli, alcune con chiuse segrete, ingegnosamente nascoste nei meandri del mobile, che in generale è di ebano o di una imitazione fatta con legno di pero tinto, con intarsi in avorio. Spesso ancora è rivestito da impiallicciatura di scelti legni venati o di radice con intarsi; altre volte di lamine di tartaruga od ha i fronti dei cassetti in legno graffito e lumeggiato in oro, con scene cavalleresche, episodi della Gerusalemme o scene delle favole di Esopo. Altre volte ancora è ornato di vetri dipinti, e a tal sorta di decorazioni si dedicò talvolta Luca Giordano, come in un bel mobile di casa Roccella (fig. 22). Talvolta ancora il fronte ha movenze architettoniche ricche di ombre e di luci ed è ornato di bronzi dorati, come nel raro esempio del Museo di Sorrento (fig. 25) nel quale le lamine di tartaruga che lo rivestono sono nel retro colorate di rosso. Nella tartaruga correggevano sempre gli artefici la tonalità del colore con speciali apparecchi alla faccia interna, il più delle volte rivestita di lamine argentate.
Anche ai piccoli oggetti, oltre che ad una numerosa serie di mobili secondari, si dedicarono gli ebanisti, e specialmente alle casse per orologi, nelle quali come nelle sedie, nei cassettoni, nei tavoli, è evidente il progressivo variare della forma, che prima dritta, man mano si incurva e si arricchisce di bronzi, che quasi prendono forme efflorescenti verso la metà del secolo seguente, quando lo stile raggiunge il suo pieno sviluppo. La bella serie degli orologi da tavolo posseduta dal Museo di Sorrento mostra con grande evidenza questo progredire delle forme barocche (fig. 26-27-28-29-30-31) e può quasi servire da guida per studiarne il cammino sino alla massima fioritura, quando la fantasia degli artisti, invadendo ogni campo si sbriglierà in composizioni sontuose, sfoggiando delicati intrecci di intarsi e composizioni ricche e fantasiose di intagli, sotto uno sfolgorìo di ori profusi senza misura. E saranno queste le forme predominanti in quasi tutto il settecento.
Dicembre 1926 CARLO GIOVENE DI GIRASOLE.
(1) SALVATORE DI GIACOMO - S. Maria del Carmine Maggiore in Napoli Nobilissima - Anno I - Pag. 59.
(2) FAUSTO NICOLINI - Pietro Summonte, Marcantonio Michiel e l’arte Napoletana del Rinascimento di Napoli Nobilissima - Nuova Serie - Vol. 3° - Fascicoli IX-X.
(3) L’opera fu affidata ai maestri intagliatori, scunltori di legname e di lavoro di squadro Alessandro Scacchi di Sinigaglia, Domenico Antonio Colucci, romano, Matteo di Palma, aversano, e Giulio Gatti, napoletano, i quali divisero il lavoro in quattro parti che sorteggiarono. – Cfr. ANDREA CARAVITA - I Codici e le Arti a Montecassino Vol. III - Pag. 57.

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