FASCICOLO III-IV NOVEMBRE-DICEMBRE 1927
ROBERTO PANE: Architettura Barocca Napolitana, con 18 illustrazioni
Prima del seicento non è possibile ritrovare in Napoli caratteri architettonici, tali, da poterci far riconoscere, come per gli altri paesi d’Italia, un particolare sviluppo locale.
L’incrociarsi ed il succedersi delle più diversi correnti etniche, in relazione alla varia fortuna di tanti dominatori stranieri, non consentirono l’affermarsi di quella libertà comunale che sola poteva creare un proprio ambiente storico, ed essere quindi suscitatrice di quelle energie locali capaci di assimilare e tradurre, in forme proprie, le esperienze degli altri paesi.
Artisti toscani quasi sempre, e qualche volta, francesi o spagnuoli, risultano essere gli autori di quasi tutti i più importanti monumenti napoletani anteriori al periodo dell’arte barocca. D’altra parte, era naturale che un’attività artistica, svolgentesi per riflesso o per imitazione, producesse opere i cui caratteri stilistici fossero in notevole ritardo rispetto a quelli delle opere ispiratrici.
È facile, infatti, trovare a Napoli una decorazione ogivale nel pieno quattrocento, o una facciata eseguita nel cinquecento con forme assai vicine a quelle già usate a Firenze circa un secolo prima. Napoli, per il suo spirito musicale e coloristico, per la giocondità della sua luce così poco favorevole agli austeri raccoglimenti dello spirito, era, diremo così, allo stato potenziale, il paese barocco per cccellenza prima ancora che il barocco nascesse. Era quindi naturale che quest’arte fiorisse a Napoli come sul suo terreno più propizio, affermandosi con caratteri ben distinti da quelli di ogni altra città italiana. Appunto questa originalità cercheremo d’individuare limitandoci ad osservare l’ambiente secondo una sommaria visione d’insieme.
I1 barocco napoletano non conobbe mai i grandiosi organismi del barocco romano, che, assimilate le esperienze del rinascimento, seppe intendere più liberamente la tradizione classica ed affrontare i moderni problemi di edilizia cittadina.
A Napoli il barocco svolge, quasi essenzialmente, un programma decorativo nella plastica e nel colore, e di questo secondo elemento si giova nelle sue più diverse applicazioni, dall’affresco agl’intarsi di legno, ai marmi policromi, alle maioliche.
Non c’è però soltanto una originalità di ornamentazioni; non mancano, infatti, soluzioni originali anche nella pura plastica architettonica, specialmente nell’architettura civile, la quale, valendosi di un clima particolarmente favorevole, compose facciate con terrazzi e balconi, grandi portali d’ingresso e scale aperte, con piante e movimenti prospettici degni del più accurato studio da parte di un moderno architetto, per la grazia e praticità con cui sono sfruttati il materiale e lo spazio.
Ma prima di parlare delle fabbriche civili, diremo qualche cosa delle chiese. Immaginiamo, dunque, di guardare la città dall’alto, per esempio dal belvedere del Museo di San Martino. Tra le innumerevoli terrazze asfaltate ed imbiancate a calce, che riportano subito la fantasia ai paesi di oriente, si eleva ogni tanto una cupola luccicante di maioliche, a tegole col bordo semicircolare come le squame di un fantastico pesce. Queste tegole che aderiscono cosi armoniosamente alla superficie curva, sono disposte a semplici disegni col contrasto di due colori come il giallo ed il verde oppure il bianco e l’azzurro o addirittura il bianco e nero.
Si comprende facilmente quale importanza abbia assunto questo semplice rapporto di colore che il barocco ha largamente usato, ma la cui origine va, forse, ricercata nella più lontana decorazione araba.
Tra queste cupole ricordiamo quella di San Vincenzo alla Santità, di San Sebastiano, di Santa Maria in Portico.
Il bisogno della policromia espresso all’esterno dalle maioliche, si manifesta all’interno più riccamente, raggiungendo una perfetta armonia di toni specialmente in alcune piccole chiese (San Martino, San Gregorio Armeno, Annunziatella), veri capolavori di decorazione barocca.
Sotto le volte affrescate o i soffitti dorati, gli intagli di marmo colorato rivestono i pilastri, gli altari, i pavimenti. Questi ultimi, più frequentemente, offrono un rivestimento di “riggiole” o mattonelle maiolicate, non con motivi isolati per ciascun pezzo, come usavano nel Rinascimento, ma con grandi disegni d’insieme che abbracciano tutto lo spazio del pavimento.
Dovuta esclusivamente alla maiolica è l’opera più napoletana che si conosca: il chiostro delle Clarisse in Santa Chiara, dove i festoni gialli e verdi, dipinti a fondo azzurro chiaro sui pilastri, danno a questi un effetto di trasparente leggerezza nella verde ombra delle viti, mentre sulle spalliere dei sedili e sugli zoccoli dei pilastri, lungo il portico, si svolge la più bizzarra rappresentazione del folklore napoletano: quadri di costumi, scene, giuochi e serenate, svolgentisi su un fondo di paesaggi e marine. Umili espressioni popolari ma ben più degne di tanti quadri di essere considerate discendenti dell’arte di Callot e Stefano della Bella.
Per i pavimenti di marmo intagliato, composti con motivi di foglie d’acanto, cartocci, cornucopi, Napoli offre alcuni esempi che invano si ricercherebbrro altrove. Ricordiamo quello di San Martino, della sacristia dei Girolomini della Chiesa di Donna Regina.
Chi conosce le chiese napoletane sa quanto sia delicata questa sinfonia di colori, specialmente per quei monumenti in cui la decorazione barocca è quella originale, e quindi non contrasta con forme anteriori piu severe e più semplici. È un barocco assai ricco ma senza sfarzose esibizioni perchè le dorature si smorzano sul colore dei marmi o dei dipinti e nessun particolare fa violenza agli altri.
A Roma, invece, si è spesso disturbati dal freddo biancore dei pilastri a cui le festose decorazioni a fresco rimangono troppo estranee per poter creare con esse un insieme pittorico. Specialmente negli esempi maggiori pare che la decorazione si sia soltanto sovrapposta alla superba mole architettonica, interompendosi in alcune parti e contrastando fortemente con tutto il resto. Questa pittoricità delle chiese napoletane va forse attribuita non soltanto ai gusti di ambiente, ma anche alla personalità singola degli artisti, i quali, ancora più che architetti, furono fantasiosi decoratori e pittori. Di rado, infatti, lo schema architettonico si presenta con caratteri veramente originali; quasi sempre originale ne è invece la decorazione policroma.
Ma il barocco napoletano, oltre che con la maiolica, offre composizioni di colore anche nell’uso dei materiali di rivestimento alle facciate. Basterebbe ricordare due campanili, quello di Sant’Agostino alla Zecca e quello del Carmine Maggiore, nei quali le membrature di peperino contrastano pittoricamente con i fondi di mattone ed i fregi e gli ornati di marmo bianco.

Il sei e settecento napoletano offrono una singolare originalità anche dal punto di vista costruttivo per quello che riguarda la scala nella casa d’abitazione. Le scale napoletane non si presentano quasi mai rinchiuse tra quattro mura, ma si aprono sul cortile per mezzo di successive volte e grandi aperture ad arco.
Si vedono così scale assai luminose situate in cortili angusti nei quali non ci si aspetterebbe di trovare una graziosa soluzione architettonica.
La caratteristica di queste scale aperte così diverse da quelle degli altri paesi è dovuta essenzialmente alle condizioni favorevoli del clima per il quale tutta la vita napoletana pare che tenda a manifestarsi verso l’esterno.
Dì queste scale offriamo alcuni esempi tratti fra quelli che risultano essere più tipici e nello stesso tempo più strettamente locali.
Nelle facciate dei fabbricati civili è data grande importanza alla decorazione dell’ingresso, il cui portale è, spesso, così grande da raggiungere l’altezza di due piani; questi portali risultano però più come elementi isolati che come particolari di composizione di tutta la facciata. Se ne vedono, infatti, di molto sontuosi in contrasto con prospetti assai semplici e che, disegnati in iscala stupirebbero per la evidente sproporzione dei loro rapporti d’insieme. Questo, però, trova la sua giustificazione nel fatto che, data l’angustia delle vecchie strade, una notevole ampiezza dell’ingresso costituiva un vantaggio per il facile accesso dei carri nel cortile, mentre la limitata visuale prospettica appena consentiva di abbracciare con lo sguardo la decorazione del portale. Sorgeva, quindi, naturale il bisogno di concentrare nell’ingresso tutta l’ornamentazione del prospetto.
Queste considerazioni ci sono suggerite, in particolar modo, dai palazzi barocchi che si affacciano sulle più antiche strade di Napoli e che sorsero dalla trasformazione di fabbricati anteriori nei quali, specialmente per ragioni di difesa, dovettero prevalere criteri del tutto opposti a quelli suddetti.
In via dei Tribunali, l’antico “decumanus major” della città greco-romana, in cui si riassume quasi intera la storia di Napoli, s’incontrano portali barocchi davvero sorprendenti per il loro carattere teatrale: sembrano veri boccascena eseguiti in marmo bianco e piperno. Anche di questi offriamo alcuni esempi.
Ad avvalorare l’osservazione fatta circa l’eccezionale ampiezza degli ingressi, basterà constatare che, per le case barocche prospicienti a piazze o strade abbastanze ampie, il portale appare sempre più subordinato al resto della facciata in modo da dar luogo, insieme con questo, ad un rapporto abbastanza normale.
Considerando inoltre, le moderne soluzioni dei balconi sulle facciate napoletane viene spontaneo di paragonarle a quelle di due secoli fa. Anzitutto non s’incontrano mai facciate barocche con tutti balconi; appare sempre evitata questa uniformità che oggi è, purtroppo, così diffusa e che costituisce una difficoltà alquanto grave per la composizione di un prospetto. Le nuove case di Napoli somigliano, infatti, a stipi giganteschi con un centinaio di cassetti tutti aperti. I barocchi, si resero conto di questa difficoltà e, pur disegnando facciate con molti balconi usarono per questi, sporgenze più o meno graduali, alternando l’ombra portata con sagome curve che si raccordavano con un naturale passaggio alla parete piena. Sotto i balconi correva spesso, lungo tutto un piano, una semplice cornice nella quale l’aggetto del balcone veniva legato in modo da costituire soltanto un particolare di essa.
Questo senso di legame chiaroscurale, unito alla grazia dei ferri battuti, adornava le case borghesi creando un effetto d’insieme che, senza avere nessuna pretenzione monumentale, sapeva riuscire ricco ed allegro; esso ancora più ci sorprende quando lo paragoniamo alle facciate delle attuali case borghesi in cui la finta pietra, le balconate di cemento e persino gli affreschi dorati concorrono in modo così disgraziato ad accentuare, invece che alleviare, quel carattere di ristrettezza e di urgenza che distingue la maggior parte delle nostre fabbriche civili.
L’esperienza dell’architettura barocca che, a Roma, già da molti anni assimilata, ha prodotto i suoi frutti nelle fabbriche più recenti, non è ancora nemmeno lontanamente sentita a Napoli, in cui, pure, l’esempio di un passato schiettamente locale ed originale, avrebbe già potuto determinare un sano indirizzo della moderna architettura civile.
ROBERTO PANE.

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