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C.COSTANTINI: Il Duomo di Osimo, con 9 illustrazioni |
Il Duomo di Osimo costituisce un esemplare notevole di quell'architettura romanica-gotica che ha belle manifestazioni nelle Marche. Ma il valore artistico di questo monumento è in ragione inversa della sua notorietà, tantochè persino scrittori regionali (come il maceratese A.Ricci che scrisse una Storia dell'Architettura) non si curarono di nominarlo. Ripariamo alle omissioni con questo scritto.
Anzitutto un rapido cenno storico per orientarci. Si vuole che nel IV secolo il vescovo della chiesa Osimana, San Leopardo, fondasse la cattedrale valendosi di frammenti di costruzioni romane del Campidoglio e del teatro ed impiantandola sul luogo di un tempio sacro a Giove. Nessuna traccia peraltro si ha di queste strutture romane e d'altra parte la stessa fondazione cristiana svanisce nelle caligini della leggenda. Quindi possiamo dire di non saper nulla per il periodo più antico. Dobbiamo arrivare sino alla seconda metà del sec. VIII, al tempo del vescovo Vitaliano, per avere una prima notizia sicura. Questo vescovo ampliò, o fors'anco ricostruì dalle fondamenta il Duomo, ma il suo rifacimento doveva scomparire di fronte alle ricostruzioni dei secoli XII-XIII (episcopato di Genfile? 1177-1205) e XIII-XIV (episcopato del B. Giovanni 1298-1320?). Nel 1383 alcuni guastatori (derubatores et mascalzones pedites et equites dice il grosso latino di un cronista) venuti dalla parte di Cingoli, appiccano fuoco alla chiesa ed alle costruzioni annesse. Ne va di mezzo il prezioso archivio che forse conservava molti documenti sul periodo primitivo della Cattedrale. Nel 1487 la rivolta di Buccolino (al 2 di aprile secondo G. Cecconi Buccolino Gazzoni da Osimo Osimo 1889) spinge il pontefice a costruire la Rocca (1488) ed a chiudervi la Cattedrale che si vede cosi alla mercè della soldataglia. Riaperta al culto il 27 dicembre del 1505, a detta del Martorelli (o il 28 febbraio 1506 secondo un ms. del can. Dittaiuti) venne a poco a poco deturpato da pretesi lavori di restauro e di abbellimento. Prima è il vescovo Antonio Ugolini Sinibaldi (1488-1515) che rinforza il muro a tramontana del transetto, e fa bene; ma poi inizia la costruzione delle volte della nave di mezzo, e fa male. E perchè, messo il piede sulla china, si scivola meglio, il nipote che gli succede nella Cattedra, G.B. Sinibaldi (1515-1547) compie il lavoro delle vôlte e lascia andare completamente perduta l'impalcatura del tetto, la quale, dai pochi segni rimasti, doveva esser tutta a travi squadrate e a cassettoni. Su nel transetto, il tetto era rimasto visibile, e quivi sotto era anche un fregio dipinto interno. Sparì tutto; travi e fregio. E dire che le vôlte in questo luogo, le impose il visitatore apostolico Salvatore Pacini, vescovo di Chiusi, a quel poco di buono che fu il vescovo Bernardino de Cuppis (1551-1574). Vero è che trovò mancanti su al presbiterio le finestre; e colombi ed altri uccelli nidificavano fra le travi; ma non sarebbe stato espediente più sicuro e più spiccio ripristinare le finestre? Verso la fine del secolo (nel 1589) il vescovo Teodosio Fiorenzio fece incidere il proprio nome sul portale, forse per averlo restaurato. Alla fine del 600 il cardinale Pallavicini è indicato nella Storia di Osimo del Talleoni, come colui che impasticciò la chiesa con altaroni pretenziosi e goffi, che fece imbiancare le antiche pitture e che guastò il pavimento pieno di lapidi le quali dar potevano qualche sorta di utile ai recenti scrittori. Ai primi del '700 il vescovo Fr. Ferdinando Agostino Bernabei (1729-1734) arriverà niente di meno che a proporre l'ingrandimento dell'abside, ma fortunatamente non lo farà. Da ultimo il cardinale Doglia porterà via di nottetempo, dicono - l'ambone e lo metterà nella chiesa vicina di San Giovanni. Ma ecco l'uomo che sa fermarsi nella discesa e tornare indietro. È per merito del primo vescovo italiano, Michele Seri-Molini (1863-1871) che fu iniziata seriamente la via per ridare al nostro Duomo la sua antica venustà. Il primo artista che si avventurò al restauro fu l'architetto Edoardo Mella di Vercelli. Veramente il Mella non era affatto a posto per il nostro Duomo. Ma il suo progetto piacque e ne fu intrapresa l'esecuzione nel 1878. Questi restauri, abbandonati e poi ripresi, di tempo in tempo, specie nel 1891, vennero ultimati solo nel 1918. Quarant'anni! La soluzione Mella mirava più ad abbellire che a restituire alla chiesa il carattere primitivo. Ei pensò che in fondo alle navi minori avrebbero fatto bella mostra due altari. E propose quindi la soppressione delle scale che vi erano (per salire al presbiterio e per discendere alla cripta) e la chiusura delle arcate comunicanti col transetto. Vero è che quelle arcate le trovò già chiuse per riparare i canonici dalle correnti d'aria; ma ivi era almeno una porta e s'intravedeva la chiesa che prolungavasi al di là. E non era il caso di sopprimere le scale, sicuramente originarie. Peggio fu con l'atterrarne le crociere lì sopra, di rinfianco all'arcosolium per dar loro maggiore sviluppo in altezza. Io che allora ero stato scelto esecutore degli ordini del Mella, benchè troppo giovane e digiuno quasi di arte medioevale, sento ancora un certo rimorso di aver preso parte a quella demolizione. Cattiva proposta del Mella fu pure la posizione che dette alla scala per la cripta sotto il piano avanzato del presbiterio. La ridusse pressochè nascosta e restarono chiuse le arcate negli spalloni dell'arco trionfale, arcate che, ora aperte, alleggeriscono tanto la pesantezza di quegli spalloni. Ma va pur detto che il Mella fece anche del bene alla chiesa con l'atterrare gli altaroni barocchi, col togliere i brutti medaglioni coi ritratti dei vescovi da tutte le pareti del presbiterio, col riaprire molte finestre. Opera discutibile fu invece l'apparizione di costoloni alle vôlte della nave centrale e a tre delle laterali piccole (di queste si aveva soltanto la prima a sinistra). Furono pure costruite le due cappelle del SS. Crocefisso e della Madonna del Rosario a destra con il conseguente spostamento della sacristia, e aperta l'arcata per la cappella di S. San Giuseppe a sinistra, prima destinata a coro d'inverno, (per questi lavori il Mella si limitò a dare il nulla osta). Nella successiva fase dei restauri, che fu a me affidata, venne specialmente risolto il problema delle scale, giacchè vi era uno scalone grandissimo che occupava tutta la nave maggiore (fu forse costruita nel sec. XV o XVI) e che costituiva un impaccio grossolano. Si rimediò con una scalinata di larghezza minore e con due sussidiarie nelle navatelle, le quali possono dare una idea degli accessi laterali che vi erano certamente in origine. Esclusa, come abbiam detto, la possibilità di sapere qualche cosa della basilica più antica, io m'industriai altre volte, in occasione dei restauri, di ricercare almeno le traccie di quella dell'VIII secolo. Premetto che, se non e facile stabilire l'età delle varie parti d'un monumento medioevale, difficoltà ancor maggiori s'incontrano nello studio del Duomo di Osimo. Che esso sia costruzione di più tempi ce ne assicura la pianta e ce lo confermano gli alzati, giacchè vi scorgiamo irregolarità che non possono provenire se non da aggiunte e da rifacimenti (almeno in gran parte, perchè è ben nota l'incostanza degli artefici del Medio Evo). Navi di varie dimensioni, piloni parallelepipedi, ottagonali, cruciformi, diversi modi di girare archi e volte, tecniche diverse di muratura e arti diverse di scalpello. Finestre di ogni specie: a feritoia allargantesi dalla sola parte interna senza schiancio o a schiancio leggerissimo; a feritoia allargantesi dalle due parti, terminate in piano o ad arco leggermente acuto; senza alcuna decorazione, ricche di ornamenti, grandi e sempre ad arco acuto, e con lunetta a frastaglio; circolari. Pensai già che dovevano essere dell'VIII secolo quei muri in cui trovansi certe finestrelle a feritoia rettangolare con l'apertura più stretta all'esterno. Sappiamo da un conoscitore assoluto di quest'architettura dell'alto Medio Evo, il De Dartein, che siffatte non se ne costruirono più dopo l'VIII secolo: A partir du neuvième siècle la partie la plus resserré de la baie fut reportée vers le milieu de l'épaisseur du mur, et la fenêtre s'évasa de chaque coté tant en dehors qu'en dedans. (Étude sur l'architecture Lombarde I, p. 474.) Riferendosi a quelle finestre non sarebbe difficile determinare l'estensione della chiesa di San Vitaliano; che poteva essere una vera croce latina commissa: priva di abside, le navi laterali grandi circa la metà della centrale, il transetto con l'altar maggiore orientato. Altro indizio della chiesa dell'VIII sec. potevano essere le coperture a crociera sul transetto di rinfianco all'arcosolio (furono distrutte nei restauri del Mella, come si dirà in appresso). Esse avevano generatrici orizzontali seguenti direttrici di mezzo tondo, e struttura quasi monolitica; con l'intradosso a conci di travertino e l'estradosso appianato a calcestruzzo. Secondo lo Choisy tali vôlte sarebbero della tecnica classica, e anteriori al IV secolo. Perciò da quelle crociere si sarebbe potuto inferire che la testa delle navi laterali sarebbe stata nientemeno che un resto della chiesa di San Leopardo. A me invece sembrò molto più probabile che fossero state costruite nell'VIII secolo ai tempi di Vitaliano, data la ripresa delle imitazioni delle crociere romane in Occidente appunto nell'VIII secolo. In uno studio recente il Serra tenderebbe a svalutare l'efficenza di questi indizi e come unica testimonianza della costruzione dell'VIII secolo riconoscerebbe alcuni resti scultorii; la magnifica lapide del vescovo Vitaliano (indubbiamente dell'VIII secolo), alcuni frammenti di transenne incastrate nel basamento dell'urna di San Benvenuto, ed infine alcuni capitelli della ctipta. La cripta (ripeterò col Serra) è distinta in sette navatelle longitudinalmente e da tre nel senso opposto mediante fusti di colonne di materiale vario - due di foggia singolare, cioè rivestiti in una faccia da grosse foglie piatte a nervatura mediana - talvolta anche a due rocchi sovrapposti, quasi tutti di provenienza romana, sormontati da capitelli parte romani, per lo più medioevali, nei quali son voltati archi a sesto acuto che reggono vôlte nettamente a crociera. Archi, vôlte e finestre a sesto acuto contrastano, decisamente per carattere con i capitelli che risultano molto più antichi, ond'è legittimo ammettere che siano stati impiegati in una ricostruzione. Dei capitelli meritano particolare attenzione i seguenti che s'indicano contando da sinistra e nel senso longitudinale: primo filare: due campaniformi privi di qualsivoglia ornamento; secondo, uno rivestito di foglie lunghe e grosse attorte a volute al sommo, solcate obliquamente da frequenti nervature e come prolunganti il loro asse sul collarino mediante tre nervature a mo' di radici; quarto e settimo filare, tre similari perchè fasciati aderentemente da foglie di vario disegno; quarto, uno a forma di lungo tronco di cono rovesciato, rivestito di alberelli a foglie frequenti, analogo ad un esemplare di San Pietro di Toscanella (a. 739); sesto: uno liscio nella zona inferiore limitata al tondo da un raccordo lineare, a volute primitive in quella superiore; uno imbutiforme e liscio. Siffatti capitelli possono riferirsi con fondamento al secolo VIII, benchè non sia da escludere che possa trattarsi di forme imitative posteriori, dati i riscontri che si possono istituire con quelli, ad esempio, di Sant'Ambrogio a Milano. (Rassegna Marchegiana a. V. n. 3, dic. 1926). Senza dubbio gli elementi più appariscenti della chiesa preromanica sono i frammenti scultorii sui quali non può cadere che il lieve dubbio di una posteriore imitazione. Ma chi guardi la pianta e constati le sue molteplici irregolarità (pur non calcolando lo sbandamento verso sinistra della tribuna, che simboleggerebbe, secondo un motivo caro agli architetti del Medio Evo, il reclinare del capo di Gesù sulla croce), dovrà presto persuadersi che di tali anomalie l'unica spiegazione plausibile è la servitù dei muri di una costruzione anteriore goduti nella chiesa romanica. L'esperienza di chi studia i monumenti medioevali, ci dice che quasi sempre si lasciò qualche traccia di una costruzione più antica. Così in S. Maria delle Caccie di Pavia Cattaneo trovò le traccie delle finestre ed anche delle volticelle preromaniche. Dopo quanto ne abbiamo detto in principio, poche parole bastano a descrivere la basilica romanica goticizzata. La facciata è, specialmente nel basso, un bell'esempio dello stile romanico (in alto fu posteriormente sformato). Come osserva giustamente il Serra di spirito romanico è anche la decorazione degli archivolti; i due laterali animati da tralci in modulazione larga con grappoli e foglie, il mediano a girari di andamento ristretto inscriventi foglie. Stilisticamente si possono riferire alla prima metà del sec. XIII, ma i capitelli sembrano accennare anche al sec. XIV, i due mediani sopratutto con testa infantile tra foglie, l'ultimo con bucrani tra foglie. Sono gotici invece i portali sulla parete di sfondo in cui è pure una finestra coronata da duplice ghiera di fogliame, che può datarsi alla seconda metà del sec. XIII. Di tal data son pure i leoni stilofori del portale. Così pure il resto del portale che è di tendenza romanico-gotica. Il transetto sembra aggiunto. Esso ha forme ogivali (finestrine che illuminano la cripta; oculus con figure umane e di bestie - la finestrella in alto è però del sec. XV). Il sistema di animazione di questo lato del transetto - scrive il Serra - è notevolmente affine a quello di molte chiese pugliesi. I medesimi caratteri si riscontrano anche nella parte postica, sia del transetto (con finestre ad archi acuti ed ornati gotici; archetti al sommo con motivi decorativi dell'intradosso e, sopra una fascia a fogliame) sia nell'abside che è distinta in due corpi da una sottile fascia che la ricinge più in alto che a metà e sulla quale impostano quattro colonnine semincastrate nel paramento che fan capo ad archetti, mentre fra di esse si schiudono tre finestre avvivate da teste, da figure, da fogliami spiccatamente gotici. L'altro lato del transetto è disadorno. E la facciata principale è di nessuna importanza. L'interno ha assunto una fisonomia tutta gotica. A tre navate con vôlte basse a crociera di cui dicemmo il tardo autore. Gli archi di valico sono originali. Le navi collaterali sono sformate, come pure dicemmo. La tribuna è rialzata e sotto è la cripta di cui già si dette notizia. Questo è il duomo di Osimo che merita di esser considerato dagli studiosi e dagli artisti, anche se l'ignoranza dei tempi attentò seriamente al suo mirabile carattere. Arch. C. COSTANTINI Bibliografia. - Oltre agli accenni fatti nel testo, noto l'opera dello Zacchi: Auximates Ecclesiae descriptio facta MCCCLXI per Gasparem Volatenarrum Episcopum Auximateum (pubbl. nel vol. S. Benvenuto vescovo di Osimo, prete secolare, Quercetti 1765). Lo Zacchi parla della ricostruzione del vescovo Gentile nel sec. XI con queste parole: Cathedralem ecclesiam habentem nimium humiles parietes in altius extulit, columnas easdem suffulcivit, alas utrimque adiunxit, sancta sanctorum addidit magnifico opere construens. La data precisa della consacrazione della chiesa rinnovata, è da alcuni scrittori posta al 1044, da altri al 1053, da altri al l060. Si ricorda una carta di donazione fatta ai canonici nel 1045, (v. COMPAGNONI) op. cit., TALLEONI cit. I, 113, il VECCHIETTI). Altre notizie sui restauri potranno aversi dai miei scritti pubblicati nella Rassegna Marchigiana a. III fasc. VIII, maggio 1925 pp. 283-291 e a. IV fssc. IV, gennaio 1926 pp. 117-127. |
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