FASCICOLO VI - FEBBRAIO 1926
GUSTAVO MINNUCCI: Architetti e Decoratori olandesi. I - L'Edificio centrale degli Uffici delle Ferrovie, con 31 illustrazioni
I. - L’EDIFICIO CENTRALE DEGLI UFFICI DELLE FERROVIE
(arch. G. W. van Heukelom)


Presentiamo qui uno dei maggiori moderni edifizi di Olanda: costruito sulla fine della guerra, sorge in Utrecht, centro del traffico ferroviario olandese.
Il progetto, fino ai più minuti particolari sia della costruzione che dell’arredo interno è opera dell’ingegnere dottor G. W. van Heukelom, Direttore generale delle Strade e Lavori nella società Ferroviaria stessa. La grande massa del fabbricato che occupa una superficie quasi quadrata dal lato di circa metri 301, ha un aspetto veramente imponente e genera nel nostro animo una impressione nella quale si fonde il fantastico rivivere delle magnificenze favolose delle costruzioni Caldee ed il sentimento che ci dànno le sublimità ascetiche del gotico medioevale. L’una sensazione ci è causata dalla disposizione a terrazze e dal carattere rettilineo della concezione architettonica, l’altra dalla prevalenza degli elementi verticali e dalla forma ascendentale sia del complesso dell’edificio che delle aperture.
L’uso di una specie di contrafforti-speroni che s’appoggiano alle facciate fino sopra il secondo piano, ci aiuta nel richiamo all’architettura maestra del Viollet-Le-Duc.
Le facciate, interne ed esterne, sono tutte in mattoni in vista, di un colore rosso-bruno, e l’edificio è a completa struttura in muratura a causa del costo e difficoltà di provvista, in quel periodo critico, del materiale necessario al cemento armato.
La costruzione ha sul davanti della facciata anteriore e di quella posteriore, terreno sistemato a giardino: dalla figura 2 vediamo come ciò sia fatto con un’unica concezione architettonica in modo che armonicamente si passa dallo spazio libero all’ingresso dell’edificio. Le tre porte del l’entrata principale sono fiancheggiate anche da speroni decorati, ad una certa altezza, da quattro lampade, sorta di teste d’animale in maiolica scura, che formano quasi tutta la decorazione applicata dell’esterno dell’edificio. Qualche dentellatura, risega od aggetto di mattoni, sono sufficienti ad alleggerire delle superfici, a vivificarle, a formare tutta l’armonia decorativa di una creazione che cerchi sapientemente l’arte solo nelle proporzioni e disposizioni costruttive.
La torre non è eretta a solo scopo decorativo, ma contiene alla sua sommità il serbatoio d’acqua per il fabbricato stesso che non poteva esser alimentato dalle riserve della città. Essa è tutta aperta interiormente dal soffitto sotto il serbatoio, fino al pavimento del seminterrato; in ogni piano, delle aperture si affacciano su questa specie di pozzo creato dalla torre: in realtà l’esistenza di questo vuoto per l’altezza di undici piani, abbondantemente illuminato lateralmente dalle alte finestre che traforano la torre nell’ultima parte, forma un’organismo architettonico, oltre che utile, veramente superbo anche all’interno dell’edificio stesso.
Le pareti degli ingressi, corridoi, scale e passaggi sono anche in muratura in vista e solo le diverse qualità e disposizioni dei mattoni creano un certo ritmo decorativo. In questo sentiamo che l’autore è seguace della scuola del Berlage, benchè nell’insieme dell’interiore dobbiamo rimarcare un eccessivo senso di pesantezza ed una certa disarmonia con l’aspetto esterno dell’edificio. L’entusiasmo con cui abbiamo parlato di questo, e che a nessun sano artista deve sembrare eccessivo, avrà più valore in quanto esponiamo schiettamente anche la critica sfavorevole. Passando dall’esterno, vivo giuoco di linee e di aperture verticali, ad un interno piuttosto scuro, di altezza limitata in rapporto alla lunghezza dei corridoi, e dove i soffitti piani non appaiono che appena in mezzo a numerosi archi e pilastri, abbiamo netta l’impressione che il concetto architettonico esteriore portava all’applicazione, almeno interna, di strutture elastiche, sia pure in unione a strutture resistenti in muratura.
Per l’adozione di vôlte ed archi ribassati l’interno acquista un carattere che si trova fuori dei tempi e dell’uso dell’edificio: la luce non manca, l’abbondanza dell’illuminazione delle camere degli ambienti d’ufficio si riversa nei corridoi attraverso doppie aperture esistenti in alto ed ai lati di ogni porta d’ingresso dal corridoio alle camere, ma il colore scuro della muratura insieme al susseguirsi degli archi, dà una sensazione di claustrale, di religioso che non economa al fabbricato moderno per uffici.
All’infuori però di questo carattere psicologico dissonante, la disposizione tecnica è ottima, e con uno spazio ben utilizzato si hanno scale ampie ed ambienti ben arieggiati ed illuminati. Tutte le migliori disposizioni per i servizi vi sono applicate, dall’impianto per la riproduzione dei disegni necessari alla Società Ferroviaria, ai locali e ristorante per la colazione del mezzodì agli impiegati.
Da notare che, eccetto dinanzi all’ingresso principale, in tutta la costruzione è eliminato l’uso del marmo e di qualsiasi pietra naturale, anche le pedate dei gradini di tutte le scale sono costituite con piccole piastrelle costruite a questo scopo e con ottimo risultato.
Elemento artistico rimarchevole dell’interno è la grande sala di riunione dei commissari, della quale anche la decorazione e mobilio sono progetto dell’ingegnere van Heukelom. I mobili e applicazioni in legno sono in colore naturale giallo chiaro; di un aspetto semplice e costruttivo lontano da ogni sfoggio di lusso: la parte superiore delle pareti che rimane libera dal rivestimento in legno, è intonacata con un impasto cementizio di rena e ghiaia minuta ed è lasciata grezza con un colore grigio chiaro.
Il soffitto è invece intonacato bianco con sostegno di travicelli in legno scuro.
Le vetrate sono a vetri delicatamente decorati e bruciati che con la loro trasparenza leggermente opalina dànno una luce dolce e raccolta. Lateralmente alla sala vi sono due salette sussidiarie che, per mezzo di grandi porte, possono quasi riunirsi a questa in una sola unità.
La fotografia non ci dà di questo ambiente che un’idea disgraziatamente molto inferiore; ma come anche del restante, speriamo che i colleghi con la loro conoscenza artistica possano supplire e farsi una giusta opinione di questo prodotto architettonico dei nostri tempi, che certo resterà come uno dei migliori esempi creati nell’affannosa ricerca delle nuove vie della nostra arte.


II. DUE ARREDATORI D'INTERNI
(W.Penat ed S. van Ravensteyn).

Se la casa-esterno, gli edifici, sono i singoli elementi di un tutto, di un’espressione architettonica complessa che è la città, ambiente della nostra vita pubblica, le stanze e gli alloggi, invece, formano la casa-interno contenente la vita privata. Ciò significa che, se la concezione esterna ha una grandissima importanza, l’interno dell’abitazione ne ha una enorme perchè costituisce la ragione per cui l’edificio viene eretto, la sua utilità. Queste sono parole che tutti credono di conoscere e di mettere in pratica: eppure i fatti dimostrano che ciò avviene solo in una parte insignificante: l’esame delle condizioni generali in questo campo lo mostra così chiaramente che non può non addolorare chi è compreso dello spirito dei tempi. Se nell’architettura, parte estetica esteriore, siamo al punto di molti secoli fa, nella concezione dell’interno siamo ancora più arretrati. Di quanto è cambiata la nostra casa, l’abitazione del ventesimo secolo, dai tempi della Roma repubblicana ed imperiale? Riflettiamo e vedremo che l’avanzamento è solo di qualche passo, e che nelle linee generali siamo agli stessi sistemi. Dopo un attento esame, essendoci spogliati di pregiudizi e vani orgogli, avremo netta l’impressione che nell’epoca dei progressi, tecnici e scientifici meravigliosi, l’ambiente che ci contiene è plasmato come al tempo della scrittura con lo stile, che il cammino di venti e più secoli è insensibilmente nel miglioramento della concezione dell’abitazione.
Naturalmente non parliamo del progresso nella migliore distribuzione delle abitazioni igieniche anche fra le classi popolari: la nostra critica si rivolge alla concezione dell’alloggio, al modo con cui è studiato, alle basi errate e millenariamente antiche su cui si fonda ancor oggi questa che è la macchina più necessaria alla vita. In più, l’urbanesimo e l’aumentare delle spese di costruzione, ci hanno ridotto ad ingabbiare talmente l’umanità, che è più che mai necessario studiare ed applicare, non più dei semplici perfezionamenti, ma tutto un nuovo indirizzo nell’essenza stessa dell’abitazione. Sono le nuove forme del vivere che ce lo impongono, i progressi scientifici, i nuovi assestamenti sociali. (Non dimentichiamo il personale di servizio domestico, che va sempre più scomparendo; sembra prosaico e banale questo, ma se penetriamo realmente nella vita domestica, sapremo come sia un problema degno della più grande cura). È veramente un dramma colossale che viviamo e che spesso peggioriamo noi stessi senza accorgercene. È un problema che va dai particolari minimi dell’abitazione alla disposizione generale della città: problema che avvince lo spirito dell’architetto come i tentacoli di un’enorme piovra.

Non occorre che una casa della nostra epoca sia ricoperta di tutta una falsa decorazione mista di tutti gli elementi decorativi del passato: falsa perchè inutile alla costruzione, perchè vana alla creazione della bellezza che oggi deve essere, ed è, di tutt’altro valore psicologico: chè i nostri occhi vedono diversamente, come i nostri spiriti sentono anche altrimenti che nelle epoche passate.
Non si devono neppure cercare gli elementi decorativi moderni, come si fa molto al presente, ma piuttosto la mente deve essere lambiccata per la creazione dell’interno: nel lato costruttivo, pratico, estetico. Ciò con fondamento alla nostra vita, a quella dell’umanità di oggi, di domani.
Quando esiste l’equilibrio della concezione interna, questo trasparirà vigoroso sui prospetti dell’edificio e formerà la nuova architettura, le sue nuove concezioni. Non per questo deve essere dimenticato l’esterno, ma la legge fondamentale è che mai, nella lotta, nell’eccitazione della ricerca per l’equilibrio interno-esterno, debba essere sacrificato ciò che è lo scopo primo, l’essere stesso della costruzione. Il capolavoro risulterà dalla mente che con più capacità e fortuna, concilierà la migliore, in tutti i sensi, creazione dell’ambiente interno, con la linea, i piani e le masse dell’esterno.

Quando l’architetto concepisce il suo ambiente, in pianta, deve sentirne anche completa la sua configurazione interna, volumi e arredamento: la sua cura deve, non meno, rivolgersi al mobile, che è parte integrale della casa. Esso rientra nel dominio dell’architettura in modo diretto, sia perchè è l’elemento vitale dell’interiore, sia perchè la sua arte si identifica in gran parte con l’architettura stessa.
Tra le linee e le forme degli edifici e dei mobili di un periodo c'è una perfetta armonia, vive uno stesso spirito creativo ed estetico. Agli splendori e magnificenze degli uni ne corrispondono simili negli altri; ad una banale e vanitosa ricchezza della decorazione degli edifici si contrappone perfettamente un vano arricchirsi del mobile.
Quando, nell’ultimo periodo, l’architettura si dilettò nelle orribili forme dello stile floreale, del “modern style” negli spezzettamenti incoerenti e nelle “zeppe”, portate dal falso interpretare dell’uso del cemento, fiorirono rigogliosamente il mobile e l’arredamento a rami e fiori, che benchè meno illogici dell’architettura, pure indicavano la completa mancanza di ogni sano sentimento d’arte.
Ora anche, con ritmo parallelo all’arte architetturale, dopo i brancolamenti di quest’ultimo quarto di secolo, il mobilio s’incammina verso nuove soluzioni, su principi puri stabiliti dal crearsi di una vera coscienza del valore della nostra epoca. I costruttori, i fabbricanti, cominciano a valersi dell’opera di artisti, abbandonando la triste abitudine di servirsi di mediocri disegnatori, copisti assidui di tutti i vecchi motivi, creatori di antichità ringiovanite e modernizzate.
L’avvento della lavorazione meccanica aveva recato un grande danno all’arte: diremmo che i suoi sistemi sono stati applicati sopra le espressioni di un’epoca passata, come quando applicato un motore di automobile ad una carozza per cavalli.
La rapidità e facilità dell’esecuzione ci doveva dare prodotti a buon prezzo e che anche nelle linee rispecchiassero il cambiamento della tecnica: si inondò invece il mercato di oggetti lavorati, in cui la forma semplice era scomparsa sotto le contorsioni di una decorazione qualsiasi. Si approfittò dell’amore per l’oggetto lavorato, che nei tempi scorsi, per essere il prodotto individuale di artigiani e artisti, aveva un indiscusso valore, per dare al pubblico i prodotti di un’arte falsa e dozzinale. Ristabilitosi l'equilibrio fra i mezzi della tecnica e il sentimento, l’educazione estetica di noi stessi, sentiamo la necessità di ritornare alle cose semplici, di vedere di nuovo la bellezza nelle semplici linee costruttive, nella sobrietà e nella semplicità che sono, e rimangono sempre, le virtù caratteristiche del periodo ascensionale nell’arte.
È impossibile di crearsi un giusto sentimento, di partecipare alla vita architettonica, senza conoscere e comprendere lo stato psicologico ed evolutivo delle altre arti, della pittura e scultura soprattutto, e con esse dell’umanità del proprio tempo. Tutta la nostra vita è un’armonia, dalle arti alle scienze; diremmo che nell’architettura dobbiamo fondere e riassumere le vibrazioni dello spirito umano dell’epoca: l’architetto è colui che crea l’ambiente della vita all’uomo del suo tempo, la sua missione è insieme una delle più alte e una delle più gravose.
Sta a lui di formarci la casa che sia all’altezza della tecnica di oggi, per disposizione e costruzione; sta anche a lui di formarcene l’interiore e l’arredamento che, benchè semplifichi la vita materialmente, pure lasci allo spirito godere una certa poesia del suo ambiente, che raggiunga l’arte nell’armonia delle forme tecniche e costruttive, ma che non ne uccida ogni spiritualità facendocela pesare nel cuore con la freddezza di un macchinario. Se bella è la macchina nelle matematiche linee della sua potenza, pure non dobbiamo per questo macchinizzare anche noi stessi nella nostra intimità.
Febbrile è certo la vita degli artisti in questi ultimi anni, la loro vita interiore intensa traspare dai prodotti: individui e gruppi si slanciano arditamente su nuove vie, ansiosamente ricercanti forme ed espressioni in armonia ai nostri bisogni materiali e spirituali. Eppure nella loro modernità sentiamo spesso trasparire un fondo primitivo, un ritorno alle più lontane creazioni artistiche umane: nei più realisti scopriamo incosciente una profonda sentimentalità, un romanticismo inconsapevole ad essi stessi.
Futurismo, cubismo, impressionismo, e simili, (si diviene nervosi a leggerli soltanto) non rappresentano che stadi acuti di sentimenti e convulsioni dell’animo degli artisti: ciascuno porta le sue verità, ciascuno contribuisce con i suoi urti ad un orientamento definitivo che non potrà mancare. Dall’esagerazione, dal contrasto e dall’urto delle opposizioni, scaturisce la luce, la verità e poi l’equilibrio degli elementi e dei sentimenti.
Architetti che avevano amato, applicato il cubismo, le forme rette e semplici dell’architettura, che avevano cercato l’effetto decorativo nell’urtarsi spesso stridente dei colori più vivi, gradualmente hanno abbandonato questi metodi per completare le loro creazioni con l’uso di forme più complesse e meno assolute, di colori con toni più fusi, più tranquilli, raggiungendo uno stadio più completo nella loro arte.
L’interiore ed il mobile hanno subìto una semplificazione e questa è la giusta via: ma essi rimangono ancora in generale creazione unica di un artista e il loro valore, oltre che nella linea, è troppo spesso cercato nella ricchezza del materiale. Tale indirizzo è anche fuori dalla giusta via, non è che un domandare alla natura ciò che la mente e l’animo dell’artista è incapace di dare, è uno sfuggire al problema. Il compito consiste invece nel creare dei mobili che siano per tutti, che rispondano alla nostra epoca non solo per il sentimento artistico, ma anche praticamente ed economicamente: perciò l’architetto non deve solamente essere un artista; la casa, contenente e contenuto, è qualche cosa di pratico e di bello che deve servire, e servire bene a tutti.

II.

Se portiamo qui delle riproduzioni di interni e mobili, non è perchè crediamo citarli a modelli della perfezione, o dell’espressione ideale della nostra epoca, ma perchè rappresentano caratteri dell’arte contemporanea in questo ramo, espressioni sane che dimostrano il giusto evolversi della nostra epoca artistica.
Il Ravesteyn compone il suo interno con l’amore e la sapienza con cui un pittore comporrebbe il suo quadro. Noi vi troviamo, una originalità rimarchevole; la sua composizione, per l’uso di forme semplici, per le colorazioni piane, per l’equilibrio dei valori, superfici, colori, luci ed ombre, acquista un grande valore plastico.
L’ambiente suscita in chi lo abita un sentimento di purezza, grande tranquillità e riposo: il giusto e sobrio giuoco di linee e di colorazioni genera una profonda atmosfera. artistica, un godimento ottenuto senza sfarzo e senza lusso. Mettiamoci di fronte alla parete di fondo nella camera da studio: essa ha a sinistra un semplice banco con cuscini, a destra due porte; non ne riceviamo forse un’impressione fra le più favorevoli allo studio ed alla concentrazione, del nostro spirito? Non distrazione, non ammassamento di fotografie, quadri, bibelots, colori che eccitino la nostra mente distraendola, che infiltrino nel nostro animo una ridda di pensieri estranei al lavoro; ma una fusione ed un’armonia tale di toni e di forme, da riposare il fisico, la mente, lo spirito.
Ciò è ottenuto senza alcun sfoggio di materiali costosi, con mezzi semplici ed economici; osservando le lampade che l’artista ha applicato, possiamo farci un’idea dell’utilizzazione pratica e semplice dei prodotti tecnici moderni: un semplice tubo di vetro di una diafaneità argentea che ci dà la luce più gradevole e diffusa.
Nei suoi mobili troviamo più ricercatezza, se alcuni hanno il valore di una grande semplicità, altri, le sedie per esempio, ci indicano che l’autore è ancora nella ricerca, che deve sviluppare e modificare il suo concetto troppo eccentrico, troppo voluto. Il mobile deve ancora assestarsi in una definitiva concezione di equilibrio. La camera da letto, che sarà all’esposizione di Parigi, è pratica e tranquilla nella realtà ma ancora ci dice troppo di essere il prodotto di uno spirito che, assorbito dal cubismo, cerca ogni valore della composizione nei contrasti dei colori, delle linee e delle masse; egli si vale solo di una parte degli elementi che l’arte mette a nostra disposizione, è troppo esclusivista, diremmo. Ma la sincerità costruttiva, la modestia dei mezzi e della materia impiegata, ci fanno certi che l’autore troverà un maggiore equilibrio, una più intima fusione nella linea, un completamento nell’indirizzo.
Dei mobili del Penaat, di cui possiamo anche dare numerose illustrazioni, diremo pure brevemente: essi parlano un linguaggio così chiaro e semplice che godono subito della simpatia del pubblico. Sobri, non ricercano il loro valore che nell’espressione dell’oggetto in sè stesso, che in una linea che elegante nella sua leggerezza e semplicità, ed essendo del nostro tempo, non urti a nessuna idea di conservativismo.
Rappresentano un giusto equilibrio delle esigenze del buon mobile moderno, principalissima tra cui la caratteristica di essere veramente pratici ed utili al gran pubblico. Non sono oggetti d’arte creati ad uso esclusivo di una élite, sono prodotti quali ci aspettiamo dall’arte decorativa e dall’industria contemporanea, puri nel loro valore estetico ed accessibili all’economia domestica.
Questi mobili non cercano di rendersi ammirati per uno sfoggio spasmodico di materie preziose, di legni esotici e rari, cosa che oggi è molto di moda, specie nei mobili moderni francesi. Dopo la frenesia delle decorazioni e creazioni in tutti gli stili, ecco la lussuria delle materie rare: non vediamo che mobili in palissandro, in acajou, ebano, intarsi in avorio e simili; forse è anche questa una conseguenza del pescecanismo.
Le creazioni del Penaat, al contrario, sono eseguite in legno di quercia, senza applicazioni, quasi con una sobrietà francescana: sono editi dalla Casa Metz di Amsterdam che compie così una vera propaganda del buon gusto, fra il grande pubblico, come del resto fa anche in tutti gli altri rami attinenti all’arredamento della casa.

Alla rassegna internazionale dell’arte decorativa che avremo fra poco a Parigi, potremo trarre conclusioni abbastanza giuste ed individuare il cammino su cui si è definitivamente diretta l’arte moderna, della casa soprattutto. Là vedremo come i Paesi che si sono più ostinatamente attaccati alle forme tradizionali, comprendendo malamente la tradizione come una questione di forma ma e di aspetto esteriore, piuttosto che nella sua essenza e dovere sacro di continuare nel cammino e nell’evoluzione dell’arte non offuscando la gloria del passato, dovranno essere assorbiti dalle correnti di quelle nazioni che, per un giusto comprendere del momento, hanno prima dedicato le loro energie alla soluzione dei problemi artistici che l’evoluzione dell’umanità portava con se.
E speriamo, e ci auguriamo, che l’Italia non sarà a rimorchio, che non avrà, ancora una volta, perduto quel dominio artistico che, se fu incontrastato un giorno, da lungo tempo non rimane più che un bagliore dei capolavori immortali che ci restano in eredità gloriosa, sì, ma che sembra immobilizzarci in un’ammirazione che diventa di giorno in giorno più perniciosa.
Il genio Italico, è questa la nostra fede, specie per l’opera di qualche artefice sommo ed isolato, saprà brillare ancora attraverso le tenebre in cui sembra soffocarlo un tradizionalismo mal indirizzato ed una educazione fondata, in genere, su delle basi fuori del nostro tempo.

Amsterdam, marzo-aprile 1925.
G. MINNUCCI.

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