FASCICOLO XI E XII LUGLIO - AGOSTO 1925
Concorsi e notizie varie

CONCORSI E NOTIZIE VARIE

IL PRIMO CONCORSO DELL’ISTITUTO DELLE CASE PER I DIPENDENTI COMUNALI

Come l’Istituto delle casa Popolari, quello costituitosi per costruire case economiche ai dipendenti del Comune di Roma, ha pensato di rivolgersi all’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura per bandire il concorso relativo. Si trattava in questo primo concorso di erigere case su area trapezoidale della ex Piazza d’Armi, già per tre quarti occupata da grandi palazzi dello stesso tipo, ai lati di vie larghissime e con mirabili vedute.
I concorrenti si son tutti ispirati a caratteristiche del barocco locale. Ed anche han preso gusto a rielaborare i motivi di quel «palladiano» che sembra aver conquistato, da un po’ di tempo a questa parte, una simpatia diffusa. Di che Palladio dovrebbe rallegrarsi e stringere la mano in segno di gratitudine a persone di mia conoscenza che hanno contribuito a lanciarlo.... sulla piazza dei valori estetici. Anche il neo-classico tanto calunniato risorge. Ma.... speriamo bene.
Per dovere di cronaca riferiamo che il primo premio fu guadagnato dagli architetti associati M. De Renzi e L. Ciarrocchi, il secondo dal Vetriani e Tagliolini (associati pure loro), il terzo dal Guerra e Stefanori ed altri premi sono stati proposti dalla Commissione per i notevoli progetti del Cappacci - Sforza, del Sabatini e Peguiron. Noto il caso che si va facendo sempre più frequente, di un architetto che si unisce ad un ingegnere. Questa collaborazione della competenza tecnica con l’artistica potrà dare buoni frutti. A condizione che il ménage à deux non si sciolga per.... incompatibilità di carattere.
C. CECCHELLI


IL CONCORSO DELL’ASSOCIAZIONE ARCHITETTI E CULTORI.

Il concorso recentemente bandito dall’Associazione Architetti e Cultori di architettura di Napoli per il progetto di un villino da costruirsi a Posillipo ha avuto un esito felicissimo nonostante la brevità del tempo concesso ai concorrenti e l’esiguità del premio.
I concorrenti sono stati dieci e la maggioranza dei progetti presentati risponde brillantemente alle condizioni del tema e dell’ambiente.
La Commissione giudicatrice composta dal prof. Gustavo Giovannoni, dal pittore Caprile e dall’architetto Vittorio Pantaleo ha espresso il suo compiacimento per questo tentativo pienamente riuscito ed ha aggiudicato il primo premio all’architetto Roberto Pane. Seguono in ordine di graduatoria l’architetto Canino, Giovanni Smith e Alberto Sanarica.
L’esposizione dei progetti è stata tenuta al pubblico nei giorni 16 e 17 agosto nel padiglione del Circolo Artistico alla Villa Nazionale.


IL CONCORSO VERONESE PER UN PONTE MONUMENTALE.

La città di Verona a commemorazione della Vittoria deliberò di erigere un ponte monumentale a cavaliere dell’Adige e non lontano dal ponte Scaligero. Idea quanto mai sapiente, giacchè ne abbiamo fin troppo di lapidi e monumenti inutili che spesso nulla aggiungono neanche al patrimonio artistico nazionale. E del pari fu ottima l’idea d’invitare a concorso gli artisti italiani. I progetti furono molti ed in essi notavasi una preminenza di cose buone.
Oltre i progetti vincitori che qui riproduciamo, ne abbiamo in serbo degli altri che la tirannia dello spazio ci obbliga a rinviare ad altro numero nel prossimo 5° anno.
I progetti su cui si fissò l’attenzione dei Commissarii (il sen. Corrado Ricci, l’ing. Camillo Guidi, l’arch. Gaetano Moretti) furono tre, uno col motto Nec descendere nec morari, l’altro col motto Roma, il terzo col motto Patria. Ed ecco in merito gli apprezzamenti dei commissarii:
Nel n. 12, Patria, vedemmo ben trovati e ben disposti i piloni i quali, ripartendo lo sviluppo del ponte in modo da facilitare l’opportuna collocazione dei ricordi storici, affermano anche (felicemente casuale o sapientemente voluta) una assonanza con la movenza di linea che profila il Ponte Scaligero. E ci piacque pure l’impronta stilistica romana liberamente seguita in tutta l’opera, anche nei piloni d’entrata, ai quali però nuoce l’altezza eccessiva.
Nel n. 24, Roma, trovammo notevole, oltre la linea indovinata degli archi, l’armonia e la semplicità dell’insieme, del quale risultano forse fin troppo modesti (non dimentichiamo che si tratta di un ponte monumentale) gli elementi decorativi.
Nel n. 27, Nec descendere nec morari, (di cui fu pure presentata una variante della parte architettonica monumentale, variante accettata dalla Commissione), piacque il motivo corrispondente alle pile, sobrio ed elegante, che si presta bene nella parte scultoria ad esprimere ricordi della guerra vittoriosa, e artisticamente pratico nel felice complemento dei balconi che sporgono sul fiume.
Non meno apprezzabile parve, nella sua nobile semplicità e nel contenuto suo sviluppo, il tipo dei piloni di ingresso alle due testate. Le preoccupazioni, inoltre, e i propositi espressi nella relazione circa le garanzie che saranno da esigere per il felice risultato dei complementi scultorei, le riserve fatte a proposito del costo a cui potranno elevarsi alcuni elementi delle varianti e gli studi del piano regolatore delle adiacenze, specialmente per ciò che riguarda la via d’accesso al Ponte sulla riva destra del fiume fanno fede della serietà di questo progetto, il quale si armonizza in pieno con l’antico e cospicuo Ponte di Verona detto Ponte della Pietra, così singolare frutto ed accordo di vari tempi.
Un più lungo studio richiesero tali tre progetti dal lato tecnico.
Premettiamo che l'art. 4 del bando di concorso stabiliva che “come materiale in vista dovrà essere adottata unicamente la pietra di Verona, oppure mattoni”.
Tale norma è stata tenuta in gran conto da noi, come quella che sanziona il proposito di esigere che il materiale in vista apparisca realmente come il complemento logico e di per sé solido, di un organismo tutto o di pietra o di laterizio, anche se nella sua interna struttura al costruttore sia consentito giovarsi di altri sistemi costruttivi meno dispendiosi, ma esclude, all’opposto, il principio innaturale che codesta moderna struttura appaia puramente rivestita da pietre o da mattoni, i quali costituendo una semplice superficie di copertura vi si adagino a guisa di parato murario.
Qui la relazione si diffonde ampiamente ad esaminare la parte tecnica e statica dei tre progetti prescelti. Quindi continua:
Da tutto ciò risulta chiaro che dal lato tecnico anche i progetti prescelti non risultano finora pienamente conclusivi. Però non si deve dimenticare che, mentre a tale riguardo è sempre possibile raggiungere, con più accorate indagini, quella perfezione che deve garantire dal lato costruttivo, è chiaro che noi dovevamo tenere in sommo conto la bellezza del ponte in sè stessa e in armonia col nobilissimo ambiente.
In considerazione di tutto ciò la Commissione ha assegnato il primo premio al progetto Nec descendere nec morari (arch. cav. Ettore Fagiuoli di Verona, autore), il secondo al progetto Roma (arch. prof. Valle di Udine, autore), il terzo al progetto Patria (arch. prof. C. Bazzani di Roma, autore).
C. C.

CRONACA DEI MONUMENTI

ROMA. — Le antiche mura romane prossime alla stazione di Termini, che costituiscono uno dei più cospicui resti della cosidetta cinta serviana e che tanto interesse presentano come ricordo topografico, come entità costruttiva, come caratteristiche di procedimenti seguiti e persino di sigle tracciate dai lapicidi, corrono pericoli gravi. Con la ristretta mentalità che troppo spesso caratterizza i tecnici e gli amministratori, i quali nei monumenti non sanno vedere che l’ingombro noioso o l’ostacolo incomodo ad una soluzione volgare ispirata alla legge del “minimo studio”, tutta una guerra subdola si sferra contro quei poveri avanzi che hanno resistito a venticinque secoli. Vi si apre attraverso un passaggio, vi si addossano tavole e travi di un cantiere, si trascura ogni manutenzione; ed intanto si disegnano progetti invadenti di edifici che vi si svolgerebbero addosso e che nel loro perimetro nessun conto terrebbero della loro esistenza, e - ultimo oltraggio recentissimo - si costruisce una latrina a pochi metri di distanza, quasi a nasconderne la vista ai viaggiatori che nella stazione adiacente avevano dal rudero una impressione suggestiva dei ricordi romani.
Le Sovraintendenze agli scavi ed ai monumenti si affannano, coi loro scarsi mezzi, alla difesa; ma occorrerebbe che questa fosse sostenuta da coloro che intendono il vero valore sacro di nobiltà e di elevatezza che è nei resti antichi in Roma. Occorrerebbe, più ancora, che gli uffici tecnici si persuadessero che non è con la meschina e cieca opera negativa di vandalismo che si difendono gli interessi della vita moderna, ma studiando, e sollevandosi ad una visione più ampia e più completa.
Questo della stazione di Termini è un esempio tipico. È così inadeguato tutto l’impianto della stazione alle moderne esigenze, così irrazionale, così vecchio, che non è davvero una pensilina posta ad utilizzare lo spazio di un antico muro che potrebbe rimediarvi efficacemente. Il sacrificio anzi non si risolverebbe che nel prolungare forse per un anno l’attuale disposizione provvisoria, anzichè affrontare in modo organico il problema indilazionabile. E, pur senza andare alla soluzione lontana di creazione di una stazione nuova, posta ad esempio fuori la porta Maggiore a funzionare come stazione non di sosta ma di transito, il problema per ora potrebbe risolversi con lo schierare i binari d'arrivo e di partenza più indietro degli attuali, arretrando tutta la fronte e valendosi dell’edificio esistente in modo analogo a quello che è stato recentemente ed efficacemente fatto per la stazione di Napoli.
Ed ecco che, usciti dalla strettoia allo spazio aperto del nuovo piazzale, nulla più disturberebbero i ruderi antichi dell’aggere serviano. Posti entro un giardino, accuratamente difesi dalle intemperie, fatti centro di una sistemazione edilizia ed architettonica, che è logico si adatti ai resti di ciò che è venuto al mondo tanti secoli fa anzichè pretendere che essi si adattino ai tracciati nuovi, essi sarebbero salvi e la crisi sarebbe superata: come sempre dovrebbero superarsi quelle che non tanto dipendono da contrasti di effettive esigenze, ma dalla scarsa competenza o dall’interessamento nullo o dall’impastoiamento entro vincoli artificiali di chi non sa o non può, o non vuole intraprendere uno studio integrale.
G. GIOVANNONI.

VERONA. — Un garage dalla orribile facciata è stato elevato quasi addosso all’Anfiteatro e ne chiude la vista e lo deturpa. Come mai la Sovraintendenza ai Monumenti che ha sede in Verona non s’è accorta della costruzione e non ha provveduto in tempo a renderla meno dannosa per il monumento insigne?

FERRARA. — Sulla piazza della Cattedrale si sta ricostruendo accanto al volto del Cavallo la facciata del palazzo del Comune secondo un progetto a cui la commissione centrale per le Belle Arti ha dato inutilmente voto nettamente contrario. Trattasi di una delle solite facciate false medioevali, a cui la regolarità degli spazi, la banalità dei particolari architettonici e decorativi tutti uguali danno, a chi abbia una sensibilità meno che grossolana, un senso di disagio e di disarmonia, proprio perchè si è voluto raggiungere meccanicamente, e non nello spirito, l’armonia. Il tempo delle finestre bifore e dei merli e dei tanti altri elementi contrari ugualmente al sentimento nostro ed a quello del tempo antico dovrebbe essere finito nei restauri di rinnovamento!
Nel caso speciale se pur si voleva seguire tale via, si aveva il dovere di ricercare i documenti autentici; e non sarebbe stato difficile ritrovare nella Biblioteca comunale un bel disegno della faccia quale era (se non erriamo) nel XV secolo, e si aveva altresì il dovere di rispettare l’unità stilistica e non mescolare elementi spurii ad elementi autentici. Ma la colpevole superficialità architettonica non ha voluto neanche compiere questa piccola fatica: e la nuova facciata medioevale sorge a rendere volgare e sciocca una delle più belle piazze d’Italia, a dimostrare ancora quanta indisciplina e quanta anarchia ci sia tra noi nel campo delle Belle Arti; se è possibile infischiarsi dei voti dei consessi che la Legge ha posto garanzia del patrimonio artistico nazionale.
G.G.

BOLOGNA. — Nella recente adunanza del benemerito Comitato per Bologna storico- artistica è stato approvato un voto, formulato dal Socio Conte Masetti - Zannini, per la integrità di quanto ancora resta della cinta di mura di Bologna: «Il comitato fa voti affinchè il tratto di mura fra porta Zamboni e porta Mascarella che racchiude in dolce curva il giardino e la palazzina della Viola, sia mantenuto intatto a memoria della intera cerchia ricordata da Dante e dal Petrarca. »

NAPOLI. — Nella chiesa di Vergini presso Foria alcuni lavori di restauro e di esplorazione delle cantine, ordinati dal R. Sovraintendente ai monumenti, Arch. Gino Chierici, hanno condotto al trovamento del presbiterio di una chiesa trecentesca che le varie vicende hanno fatto divenire sotterranea rispetto la chiesa attuale. E le pareti, dopo che il terreno di riempimento è stato tolto, hanno mostrato tutta una serie di mirabili dipinti, taluni di scuola senese, altri giotteschi. Gli scavi proseguono, con grande prudenza richiesta dalle costruzioni sovrastanti, ed è da sperare che rivelino un complesso monumento di pittura da non disgradare di contro a quelli dell’Incoronata e di Donna Regina.

COMMENTI E POLEMICHE


CONSORZI ARCHITETTONICI.

Un tema di alta importanza pratica, che potrebbe essere oggetto di studio e di proposte concrete per gli architetti italiani, quando questi finalmente sentissero l’utilità di camminare uniti e di ritornare ad essere classe dirigente, è forse quello della costituzione di consorzi obbligatori nelle città tra i proprietari di aree o di stabili di uno stesso isolato o talvolta anche di tutto un quartiere.
Dopo tante delusioni che ci ha dato l’architettura moderna, noi abbiamo cominciato a vedere, un po’ tardi, che la unità che più conta è non tanto quella architettonica, quanto quella edilizia. Una casa a sè, un villino isolato trovansi ordinariamente in pessime condizioni ambientali per l’apprezzamento artistico, neutralizzato o dal soverchio affastellamento di costruzioni non armonicamente ideate, o dal collocamento meschinamente sporadico nello spazio. L’associazione di più case o di più villini può invece, con mezzi modestissimi (e tanti esempi ce ne mostrano le vecchie città e le vecchie borgate in cui l’affratellamento edilizio si produceva spontaneamente) raggiungere effetti armonici ottimi nell’arte degli spazi, piuttosto che in quella dell’ornato; e, ciò che più conta, ottimi per l’economia.
Ben più tutto questo vale nella disposizione planimetrica. Il coordinamento, la giusta utilizzazione dei cortili, l’associazione degli spazi in giardini interni, lo sfalsamento delle masse isolate in modo da non chiudere le visuali, l'addossamento ai muri comuni, la formazione dl rientranze o piazzette unite alla strada, sia a consentire maggiori altezze, od a sviluppare maggiormente i negozi, sia a migliorare le condizioni di aria e di luce (ricordiamo la bella proposta dei boulevards à dedans dell’Hénard) sono altrettanti mezzi agili e vivi i quali consentono nell’interesse collettivo studi più larghi che non siano quelli del singolo elemento.
So bene quali e quante obbiezioni si avanzino in frotte contro la proposta. Si dirà: in Italia abbiamo negli ultimi due decenni fatto esperimenti grandiosi di codesta architettura collettiva, cioè le ricostruzioni delle città distrutte dai terremoti dapprima, le costruzioni delle case delle società cooperative statali poi. I risultati non sono stati molto incoraggianti!
Cum hoc, ergo propter hoc. Gli esempi orrendi che rappresentano i maggiori fallimenti dell’architettura moderna, son dovuti e ben altre cause che non al sistema edilizio, e sono: la crisi dell’insegnamento architettonico, la confusione professionale, la costituzione di una vera burocrazia della costruzione, la ignoranza cieca delle classi dirigenti e la piccola vanità individualistica dei singoli cooperatori che si risolve in uno sciocco desiderio d’indipendenza. Quasi mai, che io sappia, il problema è stato posto nella sua vera formula di costituire organicamente un quartiere.
Nette vecchie città, in quelle zone in cui l’igiene ed il decoro richieggono miglioramenti, la costituzione di consorzi tra proprietari confinanti è ancora più necessaria. Chi scrive queste righe è ben convinto che il problema edilizio dei vecchi centri non si risolve con gli sventramenti e con le altre mutazioni radicali intese a variare profondamente lo schema dell’abitato esistente, le quali invece non ci danno una vera città moderna e non ci conservano il carattere della città antica; è convinto che solo avviando la fabbricazione liberamente verso nuove zone e sdoppiando nettamente i temi e le funzioni della viabilità da quelle dell’abitazione sarà possibile dare razionale sviluppo alle nostre agglomerazioni formantesi nei secoli. Ma questa tesi delle grandi linee edilizie non può e non deve andare disgiunta dal miglioramento spicciolo dei vecchi isolati e questo ha per espressioni dal punto di vista edilizio il principio del diradamento, da quello architettonico la sistemazione interna, basata sul coordinamento e sulla unione degli spazi, sul miglioramento delle condizioni di aereazione, d’illuminazione, di decoroso aspetto esterno; il che male si ottiene se ciascuno dei proprietari confinanti sta per proprio conto, e, stringendo nel pugno il Codice Civile, difenda strettamente i suoi diritti ed impedisca agli altri ed a sè stesso ogni variazione dello statu quo.
Diamo qualche esempio positivo o negativo. A Roma una delle iniziative edilizie private più felicimente riuscite è stata quella attuata una ventina d’anni fa negli stabili dell’isolato tra la via Emanuele Filiberto ed il viale Manzoni dalla Banca d'Italia che se ne rese unica proprietaria. Erano dapprima casamenti poveri e malsani con scale oscure con minuscoli cortili o chiostrine; poi, la demolizione di corpi di fabbrica interni, l’apertura di finestre e di loggiati, il collegamento delle varie costruzioni ha portato ad avere ottimi appartamenti prospicienti su grandi cortili coltivati a giardino; ed il miglioramento economico è venuto a compensare di gran lunga la perdita per la diminuzione di spazio fabbricato e per le spese dei lavori.
Anche in Roma, non v’è chi non abbia notato la bruttura delle case poste in Via Nazionale all’angolo di Via Parma, ove una servitù di altius non tollendi vieta di elevare le basse costruzioni esistenti sulla linea stradale e lascia scoperti indecorosamente balconi e cessi della fabbrica retrostante. A Padova, nei quartieri del Ghetto e di S. Lucia ove il frazionamento minutissimo della proprietà addensa le case intorno minuscoli cortili isolati ed ostacola l’applicazione del sistema del diradamento interno, a Genova, ove frequentemente la divisione è a strati, ed ogni trasformazione deve essere compiuta d’intesa tra i singoli possessori dei vari piani, a Napoli, a Venezia, gli esempi della convenienza dei consorzi obbligatori potrebbero moltiplicarsi.
Ma come dovrebbero funzionare tali consorzi? Grave e complesso è l’argomento e non suscettibile, giuridicamente praticamente, artisticamente, di una formula fissa; ma non certo insolubile. Risolvano i periti le questioni degli espropri degli stabili indivisi, quelle del valore delle aree fabbricabili, che, in ultima analisi, è valore potenziale; stabiliscano i Comuni coi regolamenti, obblighi complessi che limitano la proprietà nell’interesse collettivo. Meno difficile sarà accordare alcuni proprietari confinanti sulla base dell’equo loro interesse diretto; ma certo non debbono mancare per questo tre elementi: la costituzione di un vero Magistrato architettonico che presieda ai consorzi, la facilitazione ad un credito fondiario, l’extrema ratio della espropriazione per pubblica utilità da parte dei Comuni che si sostituiscano così ai Consorzi quando non ne sia possibile il funzionamento.
G. GIOVANNONI

MILANO: Il palazzo dei Perego e il nuovo rettifilo della Stazione centrale. — Il grandioso rettifilo studiato dall’architetto Stacchini (in collaborazione coll’ufficio tecnico del Municipio di Milano) sull’asse della erigenda stazione centrale, tagliando netto nel cuore della città vecchia, porterà all’inevitabile sacrificio di più di un edificio monumentale, se pur non verranno adottate modifiche di tracciato e attuati provvedimenti a gran voce invocati da privati autorevoli e da enti culturali. Grave appare sopratutto la scomposizione della aristocratica via Borgonuovo, che, tagliata di traverso dalla nuova arteria, perderà i due edifici forse più ragguardevoli della contrada: il palazzo Falcò, dal grandioso cortile a colonnato, e quel gioiello d’arte settecentesca che è la casa dei Perego.
La fortuna della benemerita famiglia Perego non risale, come noto, che alla metà circa del ‘700: ed intorno al 1775 Gaetano Perego acquistò una preesistente casa in via Borgonuovo, e valendosi dell’opera dell’architetto Francesco Bozzolo, la trasforma con raro gusto nelle forme attuali. Relativamente modesto all’esterno, il palazzo presenta tuttavia nella facciata un intatto esemplare dell’architettura del settecento lombardo a base di stucchi e di ferri battuti: tutta grazia e misura, qualità ignote agli imitatori guasta mestieri.
La ricchezza è tutta all’interno: il Perego dovè ricordare quella vecchia massima lombarda, che con rude ma efficace espressione portiana, assegna il «di dentro» ai padroni, il «di fuori» agli sciocchi. E nella sua casa che fu lieto ritrovo di artisti e di letterati, è tutta una fuga di sale, dove si vede il barocco fiorito cedere il passo alle rinascenti forme classiche, che dall’Italia emigravano a prendere etichetta francese o inglese.
La storia dell’arte lombarda per un quarto di secolo è scritta sulle pareti e sui soffitti, negli stucchi delicatissimi nei vasti affreschi, nei mobili, nei quadri, nelle collezioni.
Dominano nelle volte in arditi scorci le creazioni fantasiose, che ricordano da vicino il Bellotti e sorride in tonalità azzurrine l’arte serena dell’Appiani. La graziosa cappelletta a freschi, stucchi e dorature è assegnata al decoratore Felice Biella da documenti del tempo, che pure ricordano i nomi degli autori, delle deliziose decorazioni parietali a stucchi e intagli: Carlo e Donnino Riccardi, Paolo Pessina, Gerolamo Benzoni, Antonio Zanetta.
Ricche collezioni d'arte, accresciute dai successori e particolarmente del defunto Don Alessandro, fanno del palazzo di via Borgonuovo la meta di frequenti visite da parte di studiosi e di amatori d’arte. Primeggiano le due ben note e celebrate tele di Domenico Veneziano: mentre il Caravaggio, il Castiglione Genovese e giù giù Rosa da Tivoli, il Borgognone, il Crivellone, lo Zuccarelli sono rappresentati da tele di primo ordine.
Raccolta di preziose porcellane e di ceramiche (importante fra queste la collezione delle vecchie Milano) bronzi e mobili di fattura squisita contribuiscono a comporre un assieme di mirabile armonia: unico esemplare, forse, superstite del raro gusto di quella società Milanese, da cui sulla fine del ‘700 si sprigionò tanta luce di intellettualità.
Dalle finestre lo sguardo spazia sull’ampio giardino, che il fondatore volle popolato secondo il gusto classicheggiante del tempo di statue, di cippi, di erme, di fontane, di peschiere: rimaneggiato più tardi, quando vennero in voga i giardini così detti all’inglese, conserva tuttora nell’ombra delle sue piante secolari tutto il fascino romantico dei primi decenni dell’800.

Ma che giova? Chi tenta difendere qualche traccia dell’arte del passato è messo facilmente a tacere: è un artista (sorriso di benevolo compatimento) oppure (severo cipiglio) si fa eco di interessi privati: e qui siamo noi a sorridere. Ma si sorride amaro.
Questa volta per altro la concordanza di parere fra i naturali tutori dei monumenti e i comitati tecnici, è perfetta. Da una parte la Commissione d’arte A.N.I.A.I, movendo da ragioni artistiche, dall’altra la Sovraintendenza ai monumenti e la Commissione Reale di conservazione dei monumenti movendo da ragioni d’arte e di storia, sono in pieno accordo nel reclamare una revisione del nuovo piano regolatore per quel tratto che dai navigli si dirige al crocicchio via Brera - Monte di Pietà. La prima, perchè sopratutto, vorrebbe uno sbocco migliore al cosidetto rettifilo, che, così com'è tracciato, ha termine in un crocicchio già ingombro e mal risolve il problema di deviare dal centro il traffico destinato ai quartieri di Porta Sempione - Magenta: le seconde, perchè preoccupate di salvare ben tre edificii monumentali che, manco a farlo apposta, sono presi d’infilata dalla nuova arteria: e cioè il palazzo Perego in primo luogo, poi i palazzi Falcò e Passalacqua (oggi del Cenacolo).
Traduzione grafica di questi voti e migliorata riedizione di un piano già studiato presso l’A.N.I.A.I, esce per le stampe in questi giorni un progetto di modifica alla nuova arteria stradale steso dall’architetto Alpago Novello. Un semplice sguardo al progetto municipale e alla variante proposta non può lasciare dubbio di scelta in chi appena abbia qualche familiarità coi problemi urbanistici. E' anche da tener conto che la variante, anzichè tagliare palazzi e giardini, attraversa in pieno le lucide catapecchie ammassate fra Ponte Vetero e Via Brera, sicchè rappresenta un’opera di provvidenziale risanamento in un quartiere che necessita di radicali riforme.
Nell’attuale vigorosa ripresa edilizia, Milano ha la fortuna di essere retta da un’amministrazione fattiva e capace: l’attuale assessore all’edilizia in particolare è un giovane tecnico di ammirevole attività e di intelligenza fuori dal comune, dimostrata nei metodi francamente moderni coraggiosamente inaugurati negli studi di piano regolatore. Confidiamo che alle singolari sue benemerenze l’Amministrazione comunale aggiunga quella di tener conto dei voti della parte più colta ed illuminata della città, già troppo sacrificata nel passato alla ingordigia della speculazione ed alle improvvisazioni mal consigliate, se anche volonterose, dei meno capaci.
PAOLO MEZZANOTTE.

Qualche numero addietro pubblicammo il notevolissimo progetto dell’ing. Stacchini per la sistemazione edilizia del centro di Milano. Oggi il ch.mo nostro corrispondente milanese prof. arch. Mezzanotte dà notizia di una variante che salverebbe un edificio di singolare importanza. Com’è nostra imparziale abitudine abbiamo voluto che gli elementi pro e contro fossero ugualmente noti. Ed accoglieremo ogni voce serena sul delicato problema. (N.d.R).

PEL MONUMENTO A BATTISTI IN TRENTO.

Moltissimo si è parlato in questi ultimi tempi del monumento da erigersi a Cesare Battisti in Trento e numerose sono le proposte, alcune delle quali purtroppo vengono da persone colte ed autorevoli, per collocarlo, sotto forma di uno dei soliti gruppi in scultura, nella fossa del Castello del Buon Consiglio ove il martire subì il supplizio. E quegli egregi uomini non intendono quanto quello spazio chiuso e ristretto cui sovrasta l’alta parete sia più suggestivo ora, nel silenzio della sua tragica nudità, di quel che sarebbe se una qualunque statua enfaticamente composta venisse a rendere volgarmente concreta e stabile la visione, in modo quasi certamente inarmonico col monumento grandioso non meno che col sentimento triste e pio del visitatore. Non basta che i tanti monumentini sorti a ricordo dei poveri caduti abbiano ovunque deturpato le piazze delle città e delle borgate italiane ed immeschinito il concetto che volevano celebrare?
Molto più opportuna e geniale e nobile è la proposta di Corrado Ricci: il monumento al martire sia di carattere architettonico, o sacrario, o ara, o torre e si elevi sul Doss Trento, il bel colle rupestre che domina maestoso la città e si slancia, a guisa di acropoli, a profilarsi tra gli alti monti che chiudono la vallata. Contenga bensì il monumento i sacri ricordi di Cesare Battisti e vi associ quelli degli altri martiri trentini; ma ingrandisca nella nostra impressione il significato delle nobili figure e del sacrificio eroico, anzichè impicciolirlo, e sia meta di pellegrinaggi, e si scorga da lungi nella valle dell’Adige, ora italiana.

G. GIOVANNONI.

torna all'indice generale
torna all'indice della rivista
torna all'articolo