FASCICOLO XI E XII LUGLIO - AGOSTO 1925
CARLO CECCHELLI : L'Architettura alla Terza Biennale romana, con 24 illustrazioni

L'ARCHITETTURA
ALLA TERZA BIENNALE ROMANA


La prima biennale romana ebbe il merito d’ospitare una larga rappresentanza dell’architettura. Tendenze nuove e vecchiume vi si confondevano con una promiscuità che è propria dei tentativi iniziali. La seconda biennale volle esser tutta, intransigentemente, pittura e scultura. Forse se ne trovò male. Fatto sta che la terza ha nuovamente accolto la sezione architettura; e la graduale unificazione delle tendenze artistiche di questi ultimi tempi, nonchè la maggiore educazione architettonica hanno fatto escludere tutto ciò che rappresentava la cianfrusaglia banale ripetuta sino alta sazietà. Nelle due grandi sale della «serra» si sono allineate non molte opere ma quasi tutte buone.
Parecchie di esse furono già riprodotte in questa rivista e perciò non riteniamo opportuno di ripeterle (tranne l’interno dell’arco di trionfo di Limongelli, perchè trattasi di una variante inedita). Altre sono invece completamente nuove o almeno, come dicono gli attori, nuove per queste scene, e perciò, con vero piacere, le ospitiamo.
Commenti sarebbe inopportuno ed inutile farne. Vale più una riproduzione che cento arabeschi letterari dei soliti critici.
A titolo di cronaca rileviamo soltanto che nella mostra si distinguevano tra le opere isolate, due gruppi omogenei: quello dell’Istituto delle case popolari e l’altro dell’Ufficio Architettura e dell’Ufficio Piano regolatore del Comune di Roma.
Come i lettori ben sanno l’Istituto delle case popolari reputa che casa bella non voglia dir sempre casa costosa. Perciò tutti i suoi sforzi son volti a conciliare la maggiore economia con le esigenze della costruzione solida e ben distribuita, che è particolarmente reclamata dall’ambiente romano.
Anche nel Comune di Roma (e, dobbiamo pur dillo, sotto l’attuale amministrazione straordinaria) si nota una grande sensibilità per l’arte. I suoi uffici tecnici raccolgono energie giovanili e assai ben quotate.
Ciononostante non si disprezza l’opera esterna, e, a dimostrazione di questo, vi sono i numerosi concorsi che il Comune ha spesso affidato a sodalizi artistici perchè fossero banditi con le norme più corrette, Analogamente si è pure comportato l’Istituto per le Case Popolari.

A esposizione chiusa dobbiamo confessare che il pubblico ha mostrato di interessarsi ancor più delle altre volte alla sezione dell’architettura. E questa è la riprova che le esposizioni di architettura si debbono fare pur usando certe limitazioni.
Molti tecnici torceranno la bocca a queste mie affermazioni. Le prospettive - essi rilevano - sono molto spesso una falsificazione della realtà. Più affine al vero è il bozzetto in istucco, ma gli manca l’ambiente, ed un’opera d’arte architettonica è sempre, checchè si dica, strettamente legata all’ambiente.
Che cosa quindi noi andiamo ad esporre? Una pittura, o un rilievo come tanti altri. Prendete la Scuola d’Atene di Raffaello e cavatevi i personaggi: Ecco una prospettiva dell’interno di un edificio. Costruibile? E chi lo sa? Bisognerebbe vedere all’atto pratico giacchè tracciare un segno è più... disinvolto che mettere pietra su pietra. D’altra parte come certi grandi scrittori hanno una brutta calligrafia, così certi grandi architetti disegnano male. Mi dicono di uno che non sa affatto disegnare, ma che quando deve fare un progetto gira in carrozzella per la città (è una città della grande arte), si ferma davanti a certi palazzi o chiese e ne addita alcuni particolari al suo aiutante dicendogli: Nel progetto metterai una finestra di quel tipo e una porta come questa. E per la cornice, prendi il modello da quest’altra. Non diversamente Bramante ordinava al suo fidatissimo Menincantonio di rilevare certe trabeazioni del Pantheon per uso del nuovo S. Pietro.
Morale: Il progetto che si mostra al gran pubblico è assai spesso disegnato da un modesto collaboratore. E il pubblico, nella sua incredibile ingenuità, che cosa ammira in sostanza? Il bel disegnino a penna o a lapis, il vivace acquerello, il plastico ben trattato. Questa non è tanto architettura quanto pittura, o scultura.
Tutto ciò è vero. Ed appunto in considerazione di tali difficoltà che fa mestieri imporre le limitazioni di cui parlavo.
Anzitutto una mostra di architettura dovrebb’essere concepita, secondo me, come un aggregato di mostre personali, o di gruppi che abbiano direttive comuni, ovvero di opere raccolte da un ente pubblico o privato che svolga una particolare attività edilizia. Il pubblico si deve orientare, e perciò si raccapezzerebbe assai poco (meno assai che in pittura e in scultura) nel vedere accanto alla chiesa del Raincy (diamo esempi stranieri... per non urtare suscettibilità nostrane) dei fratelli Perret, la stazione di Pennsylvania degli Architetti Mc. Kim, Mead and White. Anche nel caso di mostre particolari d’enti, bisognerebbe ricercare una certa omogeneità.
La mostra personale è sempre una rivelazione, giacchè all’artista è permesso di mettere in evidenza tutte le variazioni del suo spirito. A un certo punto sparisce, dinanzi all’osservatore ciò che è mero graficismo (dovuto spesso ad aiuti) per rimanere come costante, come unica denominatrice la personalità dell’artista che quelle opere ha generato.
Il gruppo con direttive comuni suscita sempre un alto interesse poichè il pubblico vi sorprende la formazione di una corrente che, se accetta alle masse, potrà aver domani impensati sviluppi e forse improntare di sè tutta l’arte nazionale. E' una vera fortuna quando il gruppo corrisponda ad una unità geografica, per esempio ad una regione, giacchè si può vedere quanto abbia in esso influito l’ambiente, quanto le tendenze etniche.
Il caso dell’ente pubblico o privato serve a rivelare l’indirizzo estetico, la perfezione tecnica raggiunta dai singoli istituti. Il che può suscitare l’emulazione in altri e produrre benefici effetti per le popolazioni. Quando espone una scuola (e ci piace di rammentare in proposito il bel successo ottenuto dalle nostre scuole alla mostra del Congresso di Educazione Architettonica in Londra) è ovvio quali importanti deduzioni possano trarsi circa la media intellettuale dei discenti e l’abilità didattica dei docenti. Errori o semplici difetti potranno essere attenuati in base al giudizio che darà la critica non compiacente.
Ecco dunque le parti ben definite di una esposizione d’architettura. Opere isolate, biglietti da visita sia pure di nomi illustri dovrebbero essere sbanditi del tutto, o per lo meno guardati in cagnesco.
In quanto al tipo di materiale da esporre, io non sono del parere di coloro che avversano le fotografie. A differenza delle altre arti, la fotografia è per l’architettura la prova di un lavoro che non si è arrestato alla semplice ideazione, ma è venuto a contatto con la... dura realtà dei materiali. Il progetto sta all’edificio costruito molto meno che il bozzettino di creta alla grande statua di marmo. Perciò la stupida apparenza della positiva fotografica è compensata dal valore effettivo di ciò che essa mostra. Naturalmente si vorrebbe che le fotografie fossero grandi ed eseguite con tutte le risorse della moderna tecnica fotografica per ottenere il massimo della nitidezza.
E si vorrebbe pure che i plastici non avessero quel biancore di gesso, quell’aspetto «rognoso» che troppo spesso si dà loro nell’intento di attribuire una spigliatezza che manca alla concezione. Chi ha veduto il progetto di Michelangelo e del Fontana per la cupola di S. Pietro, o quello di Sangallo junior per la basilica stessa, comprende che il plastico può essere anch’esso una grande opera d’arte.
Concludendo: Le Mostre di Architettura si debbon fare ed ora che siamo agli inizi c'è mezzo di studiarle e di approntarle secondo le specialissime esigenze che le contraddistinguono. Però io non le vedo che isolate, o anche unite a mostre d’arte decorativa (intendo la decorazione che può servire all’edificio come al suo arredamento). In ogni modo è escluso, a parer mio, che l’esposizione d’architettura abbia qualcosa di comune con la scultura assoluta e indipendente, o con la pittura da cavalletto.
CARLO CECCHELLI

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