FASCICOLO V GENNAIO FEBBRAIO 1925
Notiziario
CRONACA DEI MONUMENTI

COMO. — Un problema attuale, davvero interessante e grave, è quello che si riferisce alla conservazione ed al restauro del pronao della chiesa dl S. Giacomo in prossimità della cattedrale, in immediato contatto con la torre ed il portico del Broletto.
Ben pochi sanno che in quelle umili case che separano piazza del Duomo da piazza Grimoldi si nascondono i resti di una importante e nobile costruzione del sec. XII, avulsa dal corpo principale a cui apparteneva. Fino dal Cinquecento l’ampia e bella basilica di S. Giacomo, disposta parallelamente al Duomo, era stata sventrata, col ridurre a piazza la parte rispondente alle prime sei campate della nave maggiore; le altre erano rimaste ed esistono ancora a costituire una minor chiesa, che ancora presenta nell’interno e nell’abside interessanti elementi lombardi, che ce la dicono affine alla minor chiesa di Vertemate; ed il taglio fu rimarginato con una insignificante facciata nuova.
Così rimase distaccato e dimenticato, poi chiuso in fabbriche volgari, il pronao, che ancora ad una diligente indagine appare racchiuso nelle murature e negli intonachi aggiunti. Ed è di una rara forma, a triplice arcata nel mezzo racchiusa da due alte torri laterali (anch’esse ora mozzate e mutue) secondo uno schema divenuto poi frequentissimo delle cattedrali romaniche e gotiche d’oltralpe.
Tutto questo risulta chiaramente espresso nei disegni che qui si uniscono, dovuti all’egregio Arch. Frigerio, che così benemerita opera ha dedicato all’argomento e che ne ha fatto oggetto di un pregevole studio recente (Questioni d'Arte e d’Archeologia Comasche, Como, 1923). Nella restituzione del prospetto il Frigerio ha onestamente segnalato gli elementi ipotetici, disegnando a tratti le linee superiori delle torri ed il coronamento della parte centrale ora mancante.
Ma il tema contingente ora non tanto è di studio, il quale serve essenzialmente a dimostrare resistenza ed il valore del monumento, quanto di difesa dei suoi resti. Si vorrebbe infatti demolire l’edificio contenente il pronao per sostituirvene un altro di maggiore importanza e di maggior reddito; mentre dall’altro lato si propone il restauro del pronao stesso, collegato a tutto il mirabile complesso monumentale, da ricomporsi anch’esso, della torre e del palazzo del Broletto. Ed i demolitori, oltre ai soliti argomenti del dispregio al passato e della necessità di uno sviluppo presente, portano in campo la precarietà delle condizioni statiche, la impossibilità di riportare il pronao ad una forma degna, ad una destinazione concreta.
Sarebbe stolto negare un peso a queste ragioni: ma occorre che esse siano portate ad una discussione obiettiva e serena, siano vagliate attraverso saggi accurati e constatazioni prudenti, anzichè voler prevalere tumultuariamente e prepotentemente. In special modo occorre sia studiata l'asserita instabilità dell’edificio, che tanto spesso è un comodo mezzo per richiedere l’abbattimento, quasi che la tecnica moderna non possedesse mezzi validi di sostegno e di rinforzo.
Invece, come sovente avviene nel centri minori, la questione si vuol trasformare in un dibattito acre di persone e di partiti. E questo non può e non deve avvenire quando si tratta di un monumento glorioso, di un valore estetico di una delle più belle piazze d’Italia, di un interesse comasco e nazionale cioè che trascende di molto le piccole beghe. In tal senso proseguirà certo l’azione vigile del Ministero dell’Istruzione, già affermatasi con i divieti della Sovrintendenza e con i voti della Commissione centrale per le Antichità e le Belle Arti.

C. C.

PALERMO. — Sta per iniziarsi, sotto la direzione dell'egregio Sovraintendente ai Monumenti, Comm. Valenti, il restauro del palazzo Roccatagliata, importante esempio di quella fine e vivace Architettura gotica tarda, che rappresenta la terza fioritura dell’Arte della Sicilia.
Ed il restauro presenta notevole interesse pel ritrovamento di una strana finestra angolare, che ricorda la disposizione di uno dei finestroni del fianco di S. Petronio di Bologna; ed altresì per l’adozione di un ingegnoso espediente che nelle finestre della fronte principale ha consentito dl risolvere il contrasto tra l'esterna cornice ricorrente ed il piano interno del pavimento, il quale è stato forse abbassato in lavori di adattamento, sicchè ora i davanzali risulterebbero di troppo forte altezza, non conciliabile con le leggittime esigenze dell’abitazione.
L’espediente, suggerito al Valenti dall’esempio di un palazzo quattrocentesco di Trapani, consiste nell’ abbassare in corrispondenza delle finestre la linea della cornice orizzontale, non più continua, profilata anch’essa. Come quasi sempre nella vita, la soluzione onesta e sincera, che indica con garbo l’alterazione avvenuta, è la migliore.
Certo in questa soluzione, come pure nella riproduzione degli ornati delle finestre da un unico modello esistente nella facciata interna, qualche arbitrio alla Viollet le Duc non manca. Ma con quel senso di transazione con la realtà che è necessario in questo arduo tema dei restauro, occorre non rifiutarlo sdegnosamente in un monumento minore, quando rappresenti l’unico mezzo per farlo rivivere.

PADOVA. — L’edificio medioevale che va sotto il nome di “ Stalli del Capitanio” all’angolo tra la piazza del Duomo e la via dei Soncini, è stato recentemente restaurato con risultati che nel loro complesso non possono dirsi felici. Ottimamente invero sono state riprese le finestre bifore prossime all’angolo, ma tutto il resto della facciata di fronte al duomo è nuovo, fatto in stile, e per mille segni rivela l’opera arbitraria, la mancanza di rispondere al sentimento antico: nella uguaglianza dei motivi, nella regolarità di disposizione dei vani, equidistanti e rispondentisi verticalmente l’uno sull’altro, nel nuovo balcone aggiunto.
Ma alla constatazione di questi inconvenienti non può scompagnarsi l’indulgenza necessaria verso chi fa ed affronta il tema arduo dei restauri quando la documentazione e le testimonianze precise mancano. Non così per quello che si è deturpato all’ interno.
Era ivi un cortile che rappresentava, con le sue mensole e le sue grandi sporgenti coronanti il sottile duplice loggiato, uno dei più belli esempi dell’architettura del legno in Italia. Ora è tutto uno scempio. Adibito il cortile ad officina con una tettoia a vetri nel mezzo murati quasi tutti gli intercolumni, alcune parti del loggiato superiore restaurate goffamente con nuove dipinture, con l’aggiunta di davanzali traforati simili a quelle degli châlets svizzeri.... Come mai tutto questo si è potuto permettere?

POLA. — E' ormai prossimo all’attuazione, secondo un buon progetto preparato dall’Ufficio per le ricostruzioni dell’Istria e del Carso, il restauro del duomo di Pola, danneggiato dal grande incendio dell’anno scorso, che distrusse la copertura ed alterò non piccola parte dell’interno. Nel complesso monumento, che tanto ricorda nel suo interno aspetto il duomo d’Aquileia, le principali fasi di sviluppo saranno rispettate. La riapertura delle finestre ad arco circolare nel fianco delle navatelle e nella parte superiore delle pareti della nave centrale ridarà all’insieme il pieno carattere basilicale. La copertura verrà ricostruita a capriate apparenti. Una più opportuna disposizione della scala che sale al presbiterio permetterà la liberazione delle basi, ora nascoste, delle ultime colonne. La facciata settecentesca avrà il suo completamento in pietra secondo le sue linee ampie e grandiose in cui ancor vive uno schema palladiano.

ASSISI. — In occasione del prossimo centenario francescano, tutto un fervore di opere si prepara nella bella città del silenzio. Assai temibili quelle che fanno capo ad albergatori ed a privati, che intendono ad ampliare, raschiare, tinteggiare le case per accogliere degnamente le schiere dei forestieri; provvide, se bene indirizzate, quelle di carattere permanente in prò dei monumenti.
Il ritorno ai frati di S. Francesco del grande Convento che Matteo Gattaponi, con mirabile sentimento ambientale, addossò alla chiesa, richiederà certo non lievi lavori di adattamento e di restauro; che è da augurare tuttavia che siano volti al ritorno dell’antica forma, così come ritornano all’antica destinazione.
Molto si parla della liberazione del tempio di Minerva e sarebbe opera magnifica, se non altro in omaggio a Giotto, che l'ha rappresentato più bello del vero negli affreschi della Chiesa superiore. Ma ancora non sembra che si stia per uscire dal limbo delle buone intenzioni.
Si intende invece porre subito mano in S. Francesco all’ingrandimento ed alla sistemazione in nuova forma della cripta che racchiude il corpo del Santo. Dal ritrovamento, avvenuto all’inizio del secolo scorso data l’attuale chiesa sotterranea, ed è a tutti noto quanto ne siano volgari e false le linee, quanto pretenziosi ed effimeri gli ornati, sicchè nessun spirito di conservazione può presentarsi a difendere un’opera che rappresenta una vera offesa all’ambiente d'Arte e al sentimento francescano.
Ma quanto al fare di nuovo cominciano le difficoltà gravi; ed ecco infatti la successione dei progetti, alcuni ingegnosi, altri goffi, che in questi ultimi anni si sono affacciati all’arduo tema, pretendendo nella maggior parte dei casi di risolverlo con una imitazione delle forme inimitabili della Chiesa inferiore.
Il Comitato promotore e l’egregio Architetto Ugo Tarchi, seguendo i suggerimenti ripetutamente espressi dalla Commissione centrale delle Belle Arti, si sono ora messi, col progetto ormai prossimo all’attuazione, sulla via migliore, forse l’unica possibile: quello della espressione semplice, severa, costruttiva. Non è soltanto la triste nostra condizione stilistica (che non vuole la copia dell’antico e non sa produrre espressioni nuove che non siano di moda effimera) a richiedere la rinunzia all’ornato architettonico e decorativo, ma il significato stesso, il sentimento profondo che deve ispirare l’opera. La tomba di S. Francesco non ammette fronzoli.
La pianta della cripta attuale non avrà mutamenti sostanziali, ma solo qualche ampliamento della parte anteriore per migliorare le condizioni d’accesso e dar luogo ad altari in piccole absidi laterali. Poi, spicconate senza pietà le pareti a finti marmi, a poveri ornati, a balordi bassorilievi, i muri e le volte avranno un rivestimento di blocchi di pietra viva, senza colonne, senza cornici, senza decorazioni, nè plastiche, nè cromatiche. Nel mezzo sarà l’edicola contenente l’urna, composta di elementi preesistenti, ritrovati ed opportunamente rimessi insieme, completata da sua bella, finissima cancellata in ferro, anch’essa rinvenuta nei magazzini dei monastero. Ed attorno circolerà la massa fluente dei pellegrini, per risalire poi da questa nobile umiltà ai fastigi d’Arte delle due chiese meravigliose....

G. G.

MONUMENTI D’AQUILEIA
RESTAURATI DOPO GUERRA

La cripta degli scavi. — Parliamo dei mosaici, scoperti in parte prima, in parte durante e dopo la guerra intorno al campanile e al fianco sinistro della Basilica aquileiese, soltanto per quel che riguarda la loro sistemazione architettonica; essendo i musaici stessi già stati esaminati e studiati da C. Costantini nel fascicolo per il “XXI centenario della fondazione di Aquileia” 1919; da C. Cecchelli nell’importante studio su i “litostrati aquileiesi” in “Memorie storiche forogiuliesi 1923” e da G. Brusin nella sua “Guida di Aquileia” che uscirà tra breve; e notiamo ancora, tra parentesi, che detti musaici attendono anche una grande illustrazione grafica e possibilmente a colori, che forse tra due o tre anni sarà un fatto compiuto.
Dalla navata sinistra della Basilica si entra nel sotterraneo degli scavi. Il piano di questi, corrispondente ai musaici teodoriani della Basilica, si trova a circa 250 dal suolo. Oltre allo strato dei musaici teodoriani vi sono altri strati di pavimenti, anteriori e posteriori. Si tratta di pavimenti d’abitazioni private del I sec. d. C. eseguiti in musaico a motivi geometrici o con intarsie di marmi versicolori, sparsi come a caso, i quali producono un effetto coloristico vivissimo. S’intende che il lavoro tecnico di questi musaici è sempre minuto, con piccoli tasselli, accurato.
Il secondo strato, di gran lunga più importante degli ultimi due, a circa 180 dal soprastante livello del suolo, e la gran area musiva teodoriana ( in cui il Cecchelli ha sagacemente distinto le varie inserzioni e i rifacimenti) la quale si estende collegata alla Basilica mediante un passaggio a terrazzo, su uno spazio corrispondente al pavimento teodoriano conservato nella basilica. Su l’importanza storicoartistica di questi musaici, splendidissimi fra quanti ne esistono, non potremo qui indugiarci. Diremo soltanto che rappresentano una superba creazione pittorica, lontana dal senso di naturalismo plasticotattile, quale ritroviamo in Aquileia stessa nei frammenti degli asarotona, ed anche in maggiori rappresentazioni figurali, quale il famoso “Ratto d’Europa”. L'illusionismo della pittura murale, come lo conosciamo dalle catacombe, si è convertito nell’aste musiva in un divisionismo coloristico, il quale, pur mantenendo vivo certo senso di plasticità, riproduce gli oggetti non nella toro ponderosità materiale, ma bensì negli aspetti puramente ottici, nella loro essenza visiva, esistenti come luce e colore. E perchè questi aspetti diventassero quant’è più possibile immateriali, i tessellari scomposero le zone coloristiche in infinite gradazioni di tinte, le alleggerirono nelle variazioni tonali, ne ricercarono tutte le vibrazioni luminose. Nell’orbita di cotesto illusionismo pittorico, tendente poi a figurazioni statuarie e monumentali in una tendenza decorativamente astratta e sempre antinaturalistica, si svolge l’evoluzione susseguente della pittura musiva.
Fra le due aree dei musaici teodoriani si trova, a circa 50 cm. superiormente, il pavimento della Basilica del V secolo, costruita dopo la demolizione delle sue Basiliche teodoriane. I motivi ornamentali di questo musaico son miseri e scarsi, quando si confrontino con altri della stessa epoca, scoperti in Aquileia, o di poco più tardi, esistenti in Grado. Ma sia i resti murali, sia la disposizione della Chiesa, sia il battistero ivi scoperti possiedono un grande valore storico per lo studio della basilica cristiana in generale.
La grande area degli scavi è stata sistemata con un metodo molto ingegnoso, la cui iniziativa si deve all’attività svolta da U. Ojetti e G. Cirilli, ancora durante la guerra.
Si è coperta adunque tutta l’area degli scavi con una soletta in cemento armato, sostenuta da pilastri, che corrispondono alle fondamenta delle antiche colonne distrutte. Fitti lucernari illuminano la vasta cripta, e rendono così possibile studiare i musaici con la massima comodità. Anche l’aspetto architettonico dell’insieme è gradevole. Ai pilastri è dato un forte carattere rustico che bene s’intona con le fondamenta del campanile e la rocciosità degli scavi stessi ed anche infine, col musaico ondulato.
Un grande vantaggio ha recato cotesto partito di copertura in ispecie alla sistemazione del piazzale, che altrimenti non si sarebbe potuto effettuare.
L’abside popponiana. — Abbiamo trattato lo stesso argomento da un punto di vista puramente storicoartistico e indugiandoci in ispecie su lo stile delle pitture nel “Bollettino d’arte del Ministero dell’Istruzione”, agosto 1923; ma da codesto studio è stata incidentalmente omessa la fotografia dell’insieme, come l’abside appare a restauri ultimati.
Diremo dunque brevemente quanto è da dire sul nuovo assetto dell’abside. L’abside è stata ripristinata. La parola è poco simpatica perchè rispecchia una azione di solito infida e svisatrice. Abbiamo ancora negli occhi certi ripristini che han guastato monumenti suggestivi e considerevoli, e guastati irreparabilmente. Exempla sunt odiosa. Il ripristino aquileiese invece non ha nè svisato nè guastato niente: ha messo in luce quel che era nascosto, ha tolto quello che nascondeva; ed ha ridato insomma all’architettura absidale il suo primitivo significato estetico. Ecco le opere che nascondevano l’architettura popponiana: 1° la grande pala di Pellegrino da S. Daniele con la cornice intagliata da Antonio de’ Tironi; 2° gli stalli in legno scolpito e intarsiato, con frammenti di parti quattrocentesche e cinquecentesche: il tutto mal rafforzato nell’ultimo secolo; 3° le due finestre laterali quadrangolari, immurate nelle più antiche a sesto tondo; 4° resti dello stucco settecentesco, il quale, insieme ad un rozzo affresco di Matteo Furlanetto, ricopriva le pitture dell’anno 1043.
Togliendo di mezzo coteste sovrapposizioni, si sono riacquistati: 1° La finestra centrale, fonte importantissima di luce per l’equilibrio dell’ambiente absidale; 2° le finestre laterali, di forma consone all’architettura popponiana, insieme a tutta la decorazione dei tre intradossi delle finestre; 3° la lunga scritta che magnifica l’inaugurazione della chiesa sotto il Patriarca Poppone ed i vescovi soggetti al Patriarcato d’Aquileia; 4° le decorazioni delle zone basamentali con riquadri ornamentali e tutto il gradone con lo stallo ed i seggi vescovili, rivestito in marmo a completamento dei frammenti originari.
In una parola, l’abside popponiana è stata spogliata dalle sovrapposizioni posteriori e ridotta al suo indubbio aspetto originario: ma senza aggiunte immaginarie o nuove decorazioni “in stile”.
Si è tolto all’abside lo squilibrio, di cui certamente si resero conto a suo tempo anche gli artisti barocchi, quando affidarono a quel tale Furlanetto la nuova decorazione con stucchi. Allontanata dopo un secolo questa decorazione barocca, e riapparse le pitture, lo squilibrio fu ancor maggiore. Perchè questi elementi posteriori non soltanto turbavano, ma rendevano quasi impossibile afferrare il senso superbamente monumentale degli affreschi popponiani. E questi, che sono da considerarsi quale il monumento tra i più importanti d’Italia per la pittura del secolo XI, bene valevano il sacrificio di quelle poche opere aggiunte. Sacrificio, soltanto quale spostamento. Non furono, ben s’intende, distrutte, ma gli stalli furono allontanati dalla chiesa nei depositi; la pala del Pellegrino fu ottimamente collocata nella Cappella Torriani.
Per quanto riguarda l’ambiente architettonico della Basilica, è a dire che l’abside restaurata ha conferito anche alla navata centrale e al complesso dell’interno, un nuovo significato estetico. Dianzi, il centro ideale era posto nella pala del Pellegrino, che agiva con la materialità coloristica della tavola dipinta e degli ori della grande cornice ponendo allo sguardo dei fedeli un fermo di ponderosità, oltre cui non si passava. Oggi invece, la finestra centrale, crea una fonte di luce e lo sguardo si riposa nella fissità immensa delle figure spettrali, fantasmi della fede che hanno sconvolto le coscienze per creare un nuovo ordine all’umanità.
La sistemazione del piazzale della Basilica. — Ancora nei primi tempi della guerra è stato allargato il viale d’accesso al piazzale della Basilica; viale che infila direttamente l’asse del campanile. Si è pensato poi a piantarvi dei cipressi, che finalmente, dopo tre vani tentativi, crescon ora rigogliosi. Anche in giro al piazzale si son piantati filari di cipressi, i quali conferiranno col tempo un raccoglimento suggestivo all’ambiente paesistico. Perchè è da notare infatti che intorno al piazzale della Basilica sorgon poche case padronali, ed altre del tutto contadinesche, che restano pure in aperto contrasto colla grande severità dell’architettura basilicale. Non si tratta di creare intorno alla basilica un ambiente artificioso, una specie di serra per isolare dal mondo circostante la chiesa vetusta. Tanto è inutile illudersi. Aquileia romana è scomparsa e non vive che sotterra. Aquileia dei patriarchi è pure scomparsa; e sola la basilica resta. Sopra le rovine il contadino è ritornato alle sue opere dei campi. Nell’aperta campagna, come un colosso simbolico, si eleva la grande superstite; ed è così che commuove e quasi spaura l’animo nostro. Non si vuole quindi nasconderla dal paese circostante, ma si vuol creare un passaggio men brusco tra la grandezza antica e la meschinità presente.
Il piazzale era sin pochi anni addietro diviso dal retrostante cimitero dietro il campanile da un muro di cinta. Un cancello in ferro battuto, eseguito dal Calligaris su disegno dell’arch. Cirilli, chiude oggi il cimitero dal Piazzale, lasciando, però libero lo sguardo spaziare sino ai “cipressi pensierosi”.
Davanti li campanile è stata posta su una colonna di scavo e un architrave antica la lupa capitolina: vigile segno e perenne di romanità.
Musaici scoperti nel fondo Pasqualis; restauro del “Ratto d’Europa”. — Se gli artisti decoratori italiani, invece di ispirarsi — come troppo sovente fanno — a modelli tipicamente esteri, si accorgessero che gli esempi più grandi e perfetti e — quel che importa — massimamente suscettibili d’interpretazione moderna si trovano nell’arte musiva romana e medioevale in Italia, è certo che questo accorgimento ricadrebbe di grande vantaggio all’arte loro. Purtroppo invece alle opere d’arte antica non si rivolgono che gli studiosi; ed anche questi, di solito più intenti a quel che riguarda i problemi archeologici, che a quanto non si riferisca ai problemi stilisti ed estetici. Rari son coloro che sappiano afferrare l’opera d’arte antica quale creazione di valore eterno ed immanente.
Intendiamoci però su quel che stiamo dicendo.
Non si supponga per carità che noi si voglia consigliare l’imitazione degli esempi antichi, la copia. Se così fosse cadremmo nello stesso errore degli “stili storici”. È qualcosa di ben diverso, che noi s’intende.
Ogni periodo d’arte possiede certe tendenze dominanti prevalenti, le quali, quanto sono più forti, tanto più diminuiscono annullano i caratteri stilistici contrastanti a queste tendenze. È la potenza dello stile, questa. Nell’arte moderna indubbiamente si riscontrano quali caratteri prevalenti il senso della monumentalità della sintesi architettonica (anche nella pittura. decorativa), della semplicità austera in contrasto con tutti i residui del naturalismo gretto, delle volute complicazioni ornamentali, del pedantismo materialistico. Estrarre dagli esempi antichi quelle essenze stilistiche che possono aumentare e potenziare le tendenze predominanti anzidette, ed inquadrarle nel mondo figurativo moderno, ecco quel che crediamo concetto utile e sano.
Abbiam fatto questo breve preambolo per presentare, appunto sotto questo punto di vista, alcuni esempi di musaici pavimentali scoperti nel fondo del geometra sig, Pasqualis in Aquileia due anni or sono.
Il mosaico formava nel secolo IV il pavimento d’una grande palestra, e le figurazioni in esso contenute si riferiscono appunto in gran parte ai giochi dei ginnasti e degli atleti. Tutto l’insieme gioca su armonie di gialli e rossi, d’intonazione perfetta. Quanta affinità possiede questa figurazione non soltanto con certa pittura decorativa, ma anche con certa pittura “neoclassica” è superfluo accentuare.
La testa del gladiatore nel riquadro ottangolare, possiede una grandiosità di linea ed una fierezza di portamento senza pari. Non diremo del colore, luminosissimo nel suo forte divisionismo, perchè troppo vivamente rimpiangiamo di non poterlo qui riprodurre. Accenniamo soltanto ancora al gioco degli scomparti riquadrati, ingegnosissimo nella sua ininterrotta. E presentiamo infine un campo con fascia alla greca e divisioni interne a cerchi, ellissi, quadrati, per dimostrare quanto questi motivi si prestino ad esser modernamente elaborati. Piuttosto che imbatterci in decorazioni di sapor troppo viennese e magiaro (e quel ch’è peggio, già sorpassato nei paesi d’origine) ci pare che convenga guardare a questi esempi romani non per far dello sciovinismo tipicamente detto. I pezzi più importanti del litostrato si son trasportati al Museo.
Negli ultimi tempi è stato anche ricomposto il “Ratto d’Europa”, conosciuto sinora dalla pubblicazione per il segno colorato dell’epoca del suo ritrovamento. Già fu ritrovato frammentario, e colll'andare del tempo subì altri deterioramenti. L’Ufficio Belle Arti ne provvide al restauro, eseguito sotto la sorveglianza del prof. Brusin, dall’assistente di quel Museo, il bravo Pozzar. Pubblichiamo per la prima volta il musaico ricomposto che presenta diverse varianti dalla copia colorata riprodotta in Caprin “Pianure Friulane” e lo pubblichiamo quale pezzo decorativo della più grande bellezza.

ANTONIO MORASSI.

CONCORSO DELLA SOCIETÀ DELLE NAZIONI
PER LA COSTRUZIONE
DELLA SALA DELLE CONFERENZE

La Società delle Nazioni indirà quanto prima un concorso per un progetto di una Sala delle Conferenze in Ginevra. Sono ammessi a detto concorso gli Architetti degli Stati che fanno parte della Società, e perciò anche gli architetti italiani. Un giurì internazionale, composto di distinti architetti sarà incaricato dell’esame e della classifica dei progetti presentati. Il giurì avrà a sua disposizione la somma di centomila franchi svizzeri per ripartirla fra coloro che avranno presentato i migliori progetti.
Il programma del concorso sarà pronto quanto prima e verrà spedito da Ginevra in modo che esso pervenga ai Governi ed ai concorrenti possibilmente nella stessa data.
Il Governo italiano riceverà alcuni esemplari. Dopo aver spedito il programma ai Governi, il Segretariato le invierà direttamente da Ginevra a chiunque glie ne faccia richiesta rimettendogli in anticipo la somma di 20 frs. svizzeri.

VOTO PER L’ESTETICA DEI NEGOZI
E DEI FABBRICATI

L’Associazione artistica fra i cultori di architettura preoccupata del continuo incremento delle botteghe, specialmente nel centro della città e dei danni evidenti che ciò arreca all’estetica stradale di Roma quando nelle mostre delle botteghe stesse non si tenga conto del rispetto dovuto all’architettura dell’edificio in cui sono incluse ed in generale al gusto dell’ambiente architettonico romano, mentre plaude a quegli architetti che nel disegnare alcune fra le più recenti mostre hanno obbedito ad un tale rispetto, ed ai commercianti che, rivolgendosi agli architetti hanno ben compreso le necessità del decoro di Roma e del buon gusto, richiama le autorità competenti alla necessità ed urgenza di impartire norme ponderate e severe affinchè l’arbitrio, la volgarità, la irriverenza verso l’estetica stradale di Roma non producano danni irrimediabili deturpando l’architettura dei palazzi e delle case, trasformando le strade della città in una mostra permanente del capriccio e del cattivo gusto.


COMMENTI E POLEMICHE

A tante grandiose proposte, a tante belle iniziative che riguardano i monumenti romani (ricordiamo qui il restauro del tempio della Fortuna Virile, la liberazione del foro di Augusto, i propositi pel Circo Massimo, gli studi per la sistemazione del quartiere del Rinascimento o per l'isolamento del Campidoglio) non fa purtroppo riscontro una cura assidua nella difesa e nella conservazione dei tanti resti che interessano l’Arte e l’Archeologia, il carattere diffuso nell’abitato. Tra Comune e Sovraintendenza ai Monumenti, ove pur sono persone egregie animate da ottima volontà, deve mancare qualche anello di congiunzione, qualche elemento propulsore del lavoro modesto e coscienzioso di sorveglianza, di segnalazione, di azione energica che induca i privati ad una disciplina e ad un rispetto.
Il compito è certo arduo in una grande città piena di opere architettoniche che hanno valore intrinseco ovvero assumono importanza ambientale, quando l’interesse e la fretta di fabbricare sono le forze dominanti; ma pure non sarebbe impossibile con una più severa organizzazione eliminare gli inconvenienti maggiori.
Segnaliamone alcuni tra i recentissimi. Il monastero di S. Clemente, una delle più importanti costruzioni medievali romane, che manteneva quasi integre le sue pareti in cui poteva leggersi tutta la evoluzione delle strutture murarie nel Medio Evo è stato regolarmente intonacato e tinteggiato, sicchè ora fa bella mostra di sè come un edificio nuovo. Ed analoga sorte ha subito, nel suburbio, il bel protiro del monastero delle Tre Fontane.
E le sopraelevazioni di vecchi edifici imperversano, contrarie all’estetica ed all’igiene. Una di un fabbricato sul corso Vittorio Emanuele ha nascosto la vista della mirabile cupola di S. Andrea, la più bella tra le tante figliuole della cupola di S. Pietro.
Ed imperversano insieme le tinteggiature di vecchie case, improvvidamente decretate per metter Roma in aspetto di festa per l’anno santo, per le quali ben poco ha valso l’intervento d’una volonterosa Commissione; e palazzi come l’Odescalchi, case caratteristiche come quella all’inizio del Corso o l’altra sul Foro Traiano hanno dovuto subire l’oltraggio di tinte cretacee e di vernici celesti alle persiane, che ne hanno alterato tutti i valori architettonici, sconvolgendo il senso tradizionale del colore romano.
E le mostre di negozi mobili o fisse, od in legno od in pietra, si sono sovrapposte senza riguardo ad edifici architettonici importanti e caratteristici: la casa dei Manili, la casa Turci, gioielli del Rinascimento, sono tutte alterate da tende o da insegne di latta; pel Corso, in piazza di Spagna, in piazza Barberini, le architetture antiche cominciano al primo piano, soffocate in basso dalle architetture nuove, piene di pretese monumentali di varia provenienza.
E gli acquedotti antichi presso porta Furba utilizzati per sostegno di casupole, e lo stabilimento dell’acqua Lancisiana quasi addossato alle mura Vaticane, ed i riporti addossati alle mura tra S. Giovanni e Santa Croce, e gli strazi nelle murature dell’Augusteo per ricavarvi passaggi e scale...
E due grandi minaccie, a cui non si è saputo opporre neanche una resistenza passiva: quella di un immenso edificio monotono ed orrendo che andrebbe dalla porta S. Spirito al colonnato di S. Pietro facendo angolo sul Borgo di S. Spirito; e quello di un quartiere di villini che sorgerebbe nei cosidetti prati di Costantino, addosso alla basilica di S. Paolo, che non più isolata in mezzo al piano, frastagliata tra le casette ed i piccoli torrini pretenziosi perderebbe il suo carattere e la sua maestà....

G. GIOVANNONI.

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