FASCICOLO V GENNAIO FEBBRAIO 1925
GUSTAVO GIOVANNONI: Disegni Sangalleschi pel Palazzo Medici a Roma, con 6 illustrazioni
DISEGNI SANGALLESCHI PEL PALAZZO MEDICI IN ROMA

Complesse e fortunose son state attraverso i tempi le vicende del magnifico palazzo romano dei Medici, che Cosimo il vecchio edificò nel suo primo nucleo a sede del suo banco e che il cardinal Giovanni, poi Leone X, rese magnifica sede della sua biblioteca, della sua collezione d’Arte, delle sue riunioni intellettuali, dei suoi ricevimenti fastosi. Tra i numerosi centri d’Arte e d’Archeologia che la grande famiglia fiorentina ha lasciato in Roma (la villa Madama, il palazzo di Firenze, il palazzo di Giuliano ai Caprettari, la villa alla Trinità de’ Monti, il giardinomuseo a S. Maria Nova) il vasto edificio costruito in quello che nei primi del Cinquecento fu il cuore dell’Urbe, deve essere stato certo il più sontuoso ed importante. Ma ora, secondo l’eterna vicenda delle cose, scarse traccie e non grandi testimonianze ce ne rimangono sotto i rifacimenti organici del secolo successivo; e perfino il nome è stato mutato in quello di palazzo Madama, come per la villa suburbana ed il castello S. Angelo oltre Tivoli, del nome con cui fu abitualmente designata in Roma la tarda proprietaria, Margherita d’Austria, che raccolse gran parte dei beni medicei passati ai Farnesi.
Dagli studi del Barracco (1) e del Lanciani (2) o da quelli ora intrapresi dal Ricci (3), molte luci son venute o verranno sulle storiche vicissitudini dell’insigne edificio, sui resti archeologici cui innestasi, e sugli antichi oggetti che contenne (4), ed infine sul tipo d’Arte che ebbe e sulle opere che ancora ne sopravvivono; ed i disegni dell’Hemskerck, del Barbault, di Alò Giovannoli forniranno interessanti elementi di artistica documentazione.
Qui non si vuol certo trattare profondamente il vasto argomento, ma solo portarvi il contributo di due interessanti elementi. Sono, due progetti, l’uno di Giuliano da Sangallo, l’altro di Antonio da Sangallo il giovane che si riferiscono ad un completo rifacimento del palazzo e del suo ambiente. Ambedue devono appartenere all’inizio del pontificato di Leone X, quando tutte le speranze degli artisti si levarono verso il fasto ed il sentimento d’Arte del nuovo papa per rimanere presto in gran parte deluse; ambedue quindi appartengono alla grandissima famiglia dei progetti rimasti inattuati, fiori senza frutti. E forse questo loro destino si riannoda al carattere di magnificenza e di megalomania che li informa e che ne fa due tra le più vaste, belle e significative manifestazioni dell’aureo Cinquecento.
È da ritenersi pertanto che i due progetti siano contemporanei, e non è improbabile che siano stati presentati non in concorrenza, ma di comune accordo, in modo da far scegliere l’augusto committente tra due soluzioni diverse. Erano infatti intimi e cordiali i rapporti nella famiglia dei Sangallo, che aveva le sue case in proprietà comune, a Firenze al Borgo Pinti, a Roma presso S. Rocco; ed erano continue le collaborazioni d’Arte tra i suoi vari membri: ad esempio tra Antonio il giovane (Antonio Cordiani) ed Antonio il vecchio (Giamberti), suo zio, pei progetti di S. Giovanni de’ Fiorentini, di Antonio il giovane con lo zio Giuliano per 5. Pietro, e col cugino Francescò, figlio di Giuliano, per numerosissime altre opere professionali (5).
Ambedue i progetti, di cui si darà ora breve cenno, contemplano un totale rifacimento del palazzo esistente. I due artisti hanno voluto essere liberi da ogni vincolo col passato ed hanno svolto le loro grandiose composizioni senza tener conto della massa dell’antico edificio (che è ancora, salvo lievi variazioni, la massa attuale), nè dei bei portici arcuati che lo abbellivano (fig. a pag. 200). La fronte del palazzo è portata da circa 40 metri a 36 canne, cioè quasi 80 metri, nell’uno e nell’altro disegno: e tale ampliamento è ottenuto, come lo indica il bozzetto topografico di Antonio, con la occupazione delle zone a destra del palazzo, cioè della via degli Staderari e dell’attuale palazzo Carpegna, fino a giungere di fronte al palazzo della Sapienza, di cui appunto in quel tempo iniziavasi la costruzione.
La pianta del progetto di Giuliano (fig. a pag. seg.) che si conserva nella Galleria degli Uffizi ed ha il numero 540 di quella insigne Collezione di disegni architettonici, appartiene molto probabilmente a quel più vasto progetto che, secondo ne informa il Lanciani, trovasi ora al British Museum di Londra e porta la scritta “palazo de papa lione in navona di Roma 1513 a dì p° di luglio”.
E’ in pergamena ed è delineata con grande cura. Per chi conosce il modo rapido e sommario con cui gli architetti del Cinquecento elaboravano i loro disegni, quasi minimo mezzo per fissare i propri concetti, appare chiaro che in questo caso trattasi di un disegno ricopiato “in bello” per essere presentato nel modo migliore ad un committente.
Nulla di singolare offre la pianta dell’edificio nella sua interna distribuzione, se non forse in quanto ci dà l’antica forma dell’oratorio di S. Salvatore in Thermis compreso nel fabbricato ed oggi quasi distrutto; ma il suo interesse grande può dirsi, ben più che architettonico, edilizio. Nella zona anteriore al palazzo è infatti creata una amplissima piazza rettangolare circondata da portici che si affaccia sulla piazza Navona, e che, con grandiosa soluzione scenografica, raggiunge il duplice scopo di non turbare la linea del grande spazio avente nell’antico Circo Agonale le sue radici e di costituire, con unità di linea architettonica, un atrio raccolto e racchiuso avanti al nuovo palazzo. E non potrebbe avere più tipica espressione l’antico concetto di ambientismo, rimasto in vigore fino a tutto il Seicento, che intendeva creare intorno ai monumenti uno spazio limitato e tranquillo, restringendo le visuali, nascondendo gli sbocchi delle vie (6). La piazza di S. Marco a Venezia, la piazza dei Signori a Verona, la piazza di S. Pietro in Roma quale la voleva il Bernini e perfino la piazza anteriore al palazzo di Caserta, secondo i disegni del Vanvitelli, sono di questa costante tendenza i più tipici esempi, pur tra loro diversissimi.
Quanto al progetto di Antonio da Sangallo, espresso nei dis. 1259, recto e verso, della suddetta collezione degli Uffizi, esso non è, a differenza del precedente, che un piccolo bozzetto affrettato. Nel recto appare, come si è accennato, lo schema topografico della località, in tutto analogo all’attuale e designato con tante indicazioni, che non si comprende come ancora nessuno lo abbia identificato. Allo spazio del palazzo Medici appare l’indicazione “papa”. La chiesa di S. Luigi dei Francesi, di cui era allora appena iniziata la nuova costruzione per opera del Letorières, sostituito più tardi dal Mangone, è indicata con le case annesse con la scritta “Sâlois”. Sulla piazza Navona è la chiesa di “san jachomo”. L’edificio della Sapienza è designato (la scritta è di mano di Giambattista da Sangallo mentre tutte le altre sono di Antonio) come “studio”. Sulla piazza di S. Luigi dei Francesi, le case hanno i nomi dei proprietari “santo janni” “lante” “gasperi”; ed infine è indicato dal nome di “martino” il gruppo di casupole ancora esistente tra l’attuale piazza Madama e la via della Sapienza, gruppo destinato, nel pensiero del Sangallo, alla parziale demolizione per prolungare fino a piazza Navona la via trasversale e dar luogo alla vasta mole del nuovo edificio.
La pianta di questo appare parzialmente e grossolanamente delineata nel verso del foglio, intersecata da due schizzi di porte forse già esistenti nel palazzo (poichè una reca nel fregio l’epigrafe COSIMO....), e da una serie di conti, alcuni dei quali si riferiscono ai pezzi di pietra delle porte suddette.
Ma ricostruendo da questi accenni la pianta, come si è fatto schematicamente nella fig. a pag. 198, appare una disposizione di una grandiosità davvero magnifica; e la restituzione è facile e sicura, pur se tratta da un modello così sommario, per l’adozione del metodo “dei quadrati” costantemente seguito dal Sangallo (molto prima che lo adottasse il Palladio e gli desse il nome) nella grande composizione planimetrica. L’ingresso è un vestibolo a 3 navate del tipo di quello del palazzo Farnese, fiancheggiato da due ambienti laterali; e nel piano superiore lo spazio del vestibolo e dei due ambienti è destinato, come lo indicano le diagonali e la scritta “sala”, a divenire un salone unico. Negli angoli altri due “salotti” vastissimi. Indietro, due cortili quadrati lasciano tra loro una galleria centrale posta nell’asse principale del palazzo; e nel fondo a questa è una grande scala a tenaglia che nel mezzo lascia il passaggio al giardino. Due avancorpi proseguono ai lati in modo da racchiudere ad U il giardino suddetto, limitato nel quarto lato dalla linea corrispondente all’attuale via della Dogana vecchia.
Le dimensioni sono colossali. Mancano invero nella pianta le misure; ma se si prende per modulo la larghezza interassiale dei pilastri dei portici sui cortili e le si attribuisce una misura non dissimile da quella degli analoghi portici di palazzo Farnese, si giunge appunto, come può vedersi nel disegno di restituzione, a quei m. 80 di fronte che si avevano nel progetto di Giuliano. E si avrà un’idea della vastità degli spazi rilevando che dei tre saloni al primo piano i due laterali misurerebbero circa m. 10x21 ed il centrale circa m. 10x34, cioè ampiezze paragonabili a quelle delle sale del palazzo di Venezia.
Sia questa grandiosità di proporzioni, sia la inusitata disposizione scenografica dei principali elementi danno al bozzetto una importanza singolarissima, perchè escono dalla ordinaria composizione cinquecentesca ed anticipano lo stile dei periodi successivi. La disposizione dei due cortili e del portico centrale (7), quella dello scalone a tenaglia collocato al posto d’onore, simile in tutto a quello che due secoli più tardi verrà costruito al palazzo Corsini in Roma, la forma del giardino coi due corpi laterali avanzati, come al palazzo Barberini, ci richiamano le grandi concezioni del Borromini, del Fuga, del Vanvitelli, con l’associazione degli spazi coperti e scoperti in un insieme ampio e fastoso, col prolungarsi delle visuali, coi contrasti di ombre e di luci, coi portici multipli che “allargano l’aere”. Per trovare qualcosa di analogo bisogna ricorrere ad un progetto di Antonio da Sangallo pei Pucci di Orvieto, ovvero ad altri due progetti per un palazzo reale, disegnati anch’essi, uno da Giuliano (8), l’altro da Antonio da Sangallo (9), del quale ultimo la fig. a pag. 199 dà la ricomposizione geometrica relativa alla sola zona centrale. Questo disegno specialmente, con l’atrio grandioso simile a quello del palazzo Barberini, ci mostra l’architetto cinquecentesco — vario, multiforme, fecondissimo, tormentato sempre della ricerca di nuove manifestazioni — avviato già verso la grande composizione barocca.
Ma niun artista può di troppo precedere i tempi. La idea abbozzata da Antonio da Sangallo pel palazzo di Leone X e le altre più o meno accademiche son rimaste sulla carta, e l’opera sua, ben meditata ed equilibrata, aiutata da tutta una maestranza di architetti minori, si è svolta, infelicemente in un tema immenso, quello di S. Pietro, e faustamente nel palazzo Farnese e nelle tante opere minori di architettura civile e religiosa, dalle case dei Baldassini, dei Del Pozzo, dei Leroy, del Del Monte, al palazzo Farnese di Gradoli, alla Zecca, alla città di Castro, dalla rocca Paolina di Perugia, ai forti di Ancona, di Firenze e di Roma; dalle chiese romane di S. Maria di Loreto, di S. Maria di Monserrato, di S. Spirito, di S. Giacomo di Scossacavalli, alle chiese di Farnese, di Montefiascone, di Nepi, ai tanti lavori in Loreto, in Orvieto, in Terni, in Perugia: produzione nel suo insieme meravigliosa per energia, per armonia di proporzioni, per salda unità di stile.
GUSTAVO GIOVANNONI


(1) G. BARRACCO. Il Palazzo Madama, Roma, 1904.
(2) R. LANCIANI Storia degli scavi di Roma. I, 145, 203, 209.
(3) Alla preparazione di una monografia sul palazzo Madama il sen. Corrado Ricci lavora da tempo per la collezione dei “Palazzi di Roma” (Soc. ed. Roma).
(4) Sulle antiche collezioni riunite nel palazzo vedi MICHAELIS in Jahrbuch des d. a. Inst. etc. 1893, p. 19: e MÜNTZ in Mémòires de l‘Academie des inscriptions etc. a. 1895. II.
(5) Questo argomento dei rapporti famigliari tra i vari Sangallo e, più ancora, quello della produzione architettonica del maggiore di essi, sarà ampiamente trattato in un mio volume di prossima pubblicazione su Antonio da Sangallo e la sua opera, di cui è breve saggio il presente articolo.
(6) Cfr. su questo soggetto C. SITTE. L’art. de bâtir les villes. Genève, 1902.
(7) Il prototipo di questa magnifica disposizione del portico centrale posto tra due cortili può trovarsi nel Monastero di S. Benedetto in Ferrara, attribuito al Rossetti.
(8) Il disegno, ideato nel 1488 pel re di Napoli trovasi nel ben noto Codice barberiniano di Giuliano Giamberti, ora alla Vaticana, e ne costituisce la tav. 24.
(9) Il disegno è nella Collezione degli Uffizi al N. 999.
(10) Debbo il cortese invio delle fotografie dei vari disegni della collezione degli Uffizi al direttore, Comm. Poggi, cui desidero esprimere vivi ringraziamenti.

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