FASCICOLO III E IV - NOVEMBRE - DICEMBRE 1925
Notiziario

CONCORSI

ANCORA DEL CONCORSO PER IL PONTE DI VERONA

A proposito di questo concorso dicemmo nell’annata precedente (fasc. XI - XII) che avremmo pubblicato alcuni progetti non premiati ma che ci sembravano meritevoli d’essere conosciuti. Manteniamo la promessa pubblicando i progetti Buzzi, Manelli; Ponti, Carli (consorziati) Aschieri e Nori. Per il primo una nota esplicativa ci è stata gentilmente favorita dal nostro corrispondente milanese arch. Prof. P. Mezzanotte.
Il secondo prendendo partito dal carattere medievale del ponte Scaligero (che verrebbe a trovarsi accanto al nuovo ponte) svolge, specie nel magnifico pilone, un giuoco di mensole e di archetti di raccordo marcati dagli effetti policromi ottenuti con l’alternanza di pietre e mattoni. Alla testata del ponte un massiccio pilastro è aggettato dalla sagoma di un cannone pesante campale.
Il progetto Nori, molto più semplice, è pure assai simpatico nel particolare del pilone, di questo essenzialmente veneto, non solo per l’aggiunta del leone di S. Marco, ma puranche per il tipo del pilastro bugnato che non è ignoto all’architettura veneta del 500.
Ed ora diamo la parola al nostro amico in merito al primo progetto:
“Nel recente concorso per il ponte monumentale di Verona una buona eccezione alla troppa retorica ornamentale, solita a dilagare in simili competizioni, era il progetto presentato dai milanesi architetti Tomaso Buzzi, Modole Manelli, Giovanni Ponti e dall’ingegnere Max Carli, che, anche non favorito dal verdetto della Commissione aggiudicatrice, si è voluto qui riprodurre, quale interessante saggio delle nuove tendenze prevalenti nello scarso, ma pugnace manipolo giovanile lombardo.
Poichè il programma di concorso assegnava alla sagoma del ponte grande ampiezza di luci e poca freccia, gli architetti, per evitare un andamento troppo teso, hanno abbandonato la soluzione più ovvia di una successione di archi ribassati, per adottare risolutamente il partito tutto moderno di una travata rettilinea continua ad appoggi equidistanti; partito che conferisce alle masse un aspetto singolare di monumentalità di tutto utile, in quanto la struttura reggente stessa contiene, oltre alla carreggiata, due ali di portico ed un superiore doppio - passaggio pedonale.
Il rivestimento marmoreo di classico sapore riesce a legarsi ingegnosamente, se non sempre con perfetta spontaneità, alle strutture di cemento.
Schemi geometrici intercalati alle tavole sono testimoni di uno spirito di laboriosa ricerca rivolta a ottenere, attraverso una severa disciplina delle forme, il ritmo solenne e l’ampio respiro delle grandi composizioni classiche.
P. MEZZANOTTE

P. S. - Nella pubblicazione dei progetti vincitori avvenuta nel passato anno della Rivista siamo incorsi (non per nostra colpa) in un errore che ci preme rettificare. Il progetto che ottenne il secondo premio non appartiene al prof. Valle Provino di Udine, ma all’ing. A. Rigotti di Torino.


UN CONCORSO DEI “CULTORI” DI NAPOLI.

L’Associazione artistica napoletana fra i cultori di architettura, che da poco si è ricostituita, bandì, nel luglio scorso, per conto del signor Rindelaub, un concorso per il progetto di massima di un villino da costruirsi a Posillipo.
Il tema era attraente, ma l’eseguità dell’unico premio (mille lire), il breve tempo assegnato e precedenti poco confortanti in materia, lasciavano dubbiosi sull’esito del tentativo. Il quale però riuscì superiore all’attesa e dimostrò la fiducia dei giovani nell’associazione e la simpatia con la quale veniva accolta questa iniziativa. Dei dieci concorrenti almeno una metà seppero affrontare con successo le varie difficoltà della gara e, prima fra tutte, quella di intonare il tipo della costruzione al luogo, che è uno dei più belli e suggestivi del golfo di Napoli.
La Commissione giudicatrice, composta del prof. Gustavo Giovannoni, del pittore Caprile e dell’architetto Pantaleo, dopo maturo esame assegnò il premio al progetto Non nobis, dell’arch. Roberto Pane, classificando secondo il progetto Horace, dell’arch. Marcello Canino, e terzo il progetto R. S. dell’arch. Smith. Ebbe inoltre parole di elogio per il progetto A. B. C. dell’arch. Sanarica.
Il Pane si è ispirato all’architettura del tardo settecento, interpretandola con libertà di spirito, ed è riuscito a comporre, servendosi di una grande semplicità di mezzi, un insieme pieno di gusto e, nella linea severa e composta, caldo di sentimento.
Questa gara modesta ha dimostrato che a Napoli non mancano giovani di ottime qualità i quali potranno, se aiutati, concorrere a risollevare le sorti dell’arte nostra. Napoli, in fatto di edilizia, è la più disgraziata città d’Italia. Qui non esiste un piano regolatore: qui non si rispettano i regolamenti municipali e le autorità che dovrebbero farli osservare hanno, spesso e volentieri, chiuso gli occhi. Così sono sorte case dagli aspetti più strani, nei luoghi più impensati; e sistemazioni logiche e necessarie vennero impedite dal capriccio di privati che costruirono seguendo criteri di utilità immediata e personale.
La storia dell’edilizia napoletana di questi ultimi cinquant’anni ha pagine penose di disinteressamento, di impotenza, di sopraffazione, di cecità. Forse un giorno riprenderemo l’argomento per studiare a fondo le cause che hanno ridotto Napoli in tali condizioni.
Per oggi salutiamo con simpatia questi giovani architetti dai quali molto speriamo per combattere il cattivo gusto che spesso ispira ai nostri edifici moderni.
G. G.

CONCORSO PER IL MONUMENTO AI CADUTI DI ANAGNI (ROMA).

Fu vinto dall’arch. E. Del Debbio e dallo scult. Volterrani. Il progetto ispirato alla semplicità e grandiosità romane è a base triangolare.
Entro questa figura geometrica si elevano i simboli della

“VITTORIA, LA GLORIFICAZIONE E IL RICORDO”

Tre offerenti unite fra di loro, poste una per ogni angolo, ferme, quasi cariatidi, sorreggono su in alto un’Ara con faro luminoso nella parte ove arderebbe il fuoco di rito, e portante nelle sue tre facce la Effige dei Fanti gloriosi tra festoni di lauro.
Alle offerenti e custodi sono affidati i tre Simboli, così che l’una ha con sè la Vittoria di bronzo dorato, l’altra l’Alloro della Gloria, e la terza custodisce la Lampada della Ricordanza. Ai loro piedi sono gli scudi con le date memoriali e le armi deposte dopo la Vittoria.
Nella parte basamentale entro i riquadri sono incisi i nomi dei Caduti e la Dedica.
Una gradinata a forma di rampe semicircolare si risolve in piccole aiuole fiorite e in un ripiano prospiciente il Parco della Rimembranza.
Si impiegheranno i materiali seguenti:

1. — La rampa semicircolare e ripiano: cigli e cubetti di pietra silicea.
2. — La parte architettonica basamentale e terminale: in travertino di Tivoli.
3. — Il gruppo scultoreo: in marmo bianco di Carrara.
4. — La Vittoria, i simulacri dei Fanti, le decorazioni: in bronzo.
5. — Le iscrizioni: incise e di colore rosso lapidario.
6. — Il Faro luminoso: cristalli legati in bronzo.


IL SECONDO CONCORSO DELLE CASE PER I DIPENDENTI DEL COMUNE DI ROMA.

Già dicemmo del primo Concorso (vedi fascicolo XI - XII dell’anno precedente) rilevando il suo grande successo, specie nei riguardi della partecipazione dell’elemento giovanile.
Oggi illustriamo il secondo che aveva per fine la costruzione di case (sempre per i dipendenti Comunali) nell’area compresa fra le vie Terni ed Orvieto.
Anche a questo secondo concorso vi è stato grande afflusso di giovani, ma dobbiamo francamente dire che il livello raggiunto è stato un po’ inferiore. Forse vi ha contribuito il susseguirsi di due concorsi a distanza di tempo esiguo, che ha impedito di maturare forse idee più originali.
Fors'anche quella specie di falsariga in cui si sono cacciati i giovani e che ora comincia ad essere, dopo tanto sfruttamento, convenzionale. In arte è la legge: Rinnovarsi o decadere. Irreparabilmente. E perciò esortiamo i giovani a non fermarsi in schemi nobili quanto si voglia, e che rappresentano un grande progresso sulla produzione ordinaria di anni addietro, ma che tuttavia rischiano di cadere nel tritume.
Venendo ora alla semplice cronaca del concorso diremo che il primo premio è stato vinto dall’arch. Vetriani e dall’ing. Roccatelli (associati), il secondo dall’ing. G. Nicolosi, il terzo è stato concesso ex equo ai progetti Iacobucci-Martini e Malgherini-Polidori.
Se lo spazio ce lo avesse permesso avremmo voluto riprodurre anche qualche altro progetto non premiato, ma degno di nota come ad esempio quelli dell’arch. Viano e dell’ing. Tagliolini.

MONUMENTO PER LA DIFESA DEL CANALE DI SUEZ
A ISMAILJA (EGITTO).

La Compagnia Universale del Canale Marittimo di Suez bandì - aprì un Concorso per la costruzione di un Monumento per la difesa del Canale sulla riva del lago d’Ismailja. Il primo premio, con la relativa esecuzione del progetto, fu conseguito dall’architetto Michele Roux Spitz, antico pensionante della Villa Medici.
Questo Monumento sarà costruito in granito rosso, tagliato alla punta, e si comporrà di due colossali piloni, posati su lunghi terrazzi ai quali si accederà da dolci declivi.
Fu concepito in modo da esser visto da tutte le navi passanti in tutti i lati del Canale di Suez, ed anche dalla città d’Ismailja situata sulla spiaggia del lago Tiusaah.
L’insieme si eleverà all’altezza di 40 metri e 2 terrazzi si stenderanno su una lunghezza di circa 130 metri.
Due figure ieratiche verranno intagliate nello stesso granito dallo statuario R. Delamarre.


UN MONUMENTO DI GUERRA (v. pagg. 171-172).

Per gli eroi di Dixmude, per i centauri dell’aria M. Roux Spitz, artista illustre e nostro grande collaboratore, ha immaginato nient’altro che una superba ala di pietra confitta al suolo e che vista dal dorso (ove appaiono le scritte) sembra una stele immensa, un che di primitivo e di forte invitante ai ricordi austeri. Segnaliamo questo esempio di monumento semplice e grandioso a tutti coloro che si abbandonano alla voluttà del cincischiamenti odiosi, al concettualismo imbottito di pensierini vanagloriosi che svariano nelle solite torme del guerriero con la daga e della vittoria col ramo d’alloro.
C.C.


LA NUOVA BASILICA DELLA TRASFIGURAZIONE SUL MONTE TABOR.
(v. pag. 173 e seg.).
L’INSIEME

L’arte italiana ha avuta una bella vittoria in Palestina con la risorta basilica del Monte Tabor in Galilea. Benchè il finanziamento fosse dato da Nord - Americani, tutti gli artisti che cooperarono a questa rinascita d’arte sono nostri. Gli architetti che ricostruirono il vetustissimo tempio di cui quasi non esisteva più traccia, sono i Barluzzi; il pittore che eseguì le decorazioni murali in mosaico è Rodolfo Villani; le maestranze anche appartengono all’alma Roma. L’ingresso, in forma di cortile è chiuso tra la facciata della basilica, e i muri delle due cappelle laterali. Da qui, per un breve vano coperto a volta, si entra nella chiesa e lo spazio verso i fianchi è preso dalle scalee che salgono ai coretti, alle torri campanarie situate sulle due cappelle. Robusti pilastri, a sezione rettangolare, dividono la basilica in tre navate, la centrale, più ampia, e le due laterali da cui si accede, con comode scale alla nuova abside. Rodolfo Villani ha appunto decorate la cripta e l’abside con vivaci musaici, eseguiti a Roma dalle maestranze di Monticelli e Cassio. Questi musaici, che formano l’ammirazione di quanti li hanno veduti sul posto, raffigurano degli angeli che sorvegliano e quasi proteggono i simboli della Natività, Eucaristia, Passione e Resurrezione di Cristo. Le dodici figure angeliche sono disposte sopra una unica linea, armonicamente, in modo da conferire a tutta la volta uno spiccato carattere decorativo. E da questa, che era una imprescindibile esigenza di committenti, deriva quella che può parere una piccola contraddizione fra il verismo di qualche loro parte e l’idealizzazione di altre. L’artista invece, a chi bene osservi, si è studiato di contemperare le due esigenze riuscendovi bene. Il simbolo è sempre chiaro, il colore sobrio, pur affermando, negli azzurri e negli ori, la smaglianza propria del musaico. Un rosone raggiante divide i gruppi e riempie tutto lo spazio della volta. Ricchi ornati in azzurro, bianco e oro completano e circondano tutte le composizioni. Il Villani ha eseguito anche i cartoni per l’abside superiore ove sorge il gran quadro della Trasfigurazione ispirato ai Vangeli di S. Luca, S. Matteo, e S. Marco. La bianca figura di Gesù, attorniata da Mosè e da Elia, si leva sopra un fondo aureo, mentre in primo piano spiccano Pietro, Giacomo e Giovanni in attitudine di adorazione. Una gran fascia ornamentale, con bei motivi di palme, completa la decorazione dell’abside, e conferma nell’artista nobili qualità di decoratore.

A. L.

IL PAVIMENTO A MOSAICO


Offriamo ai lettori le fotografie di un’opera che onora insieme un nobile artista e le officine romane dei musaicisti.
Si tratta del pavimento per la Basilica del Getsemani a Gerusalemme costruita insieme a quella del Monte Tabor dagli Ingegneri Giulio Antonio e Barluzzi di Roma consacrate del Cardinal Giorgi nella primavera del 1924.
È già un fatto confortante e pieno di significato che le due Basiliche costruite dalla benemerita Custodia Francescana di Terrasanta sieno costruite e decorate da artisti italiani; e di ciò ha merito singolarissimo il Padre Custode Ferdinando Diotallevi che da molti anni dedica la sua appassionata opera di missionario al compimento di vasti disegni. Ma un sintomo altrettanto significativo di ciò che gli artisti italiani sono capaci di creare è nel modo con cui Pietro D’Achiardi ha risolto il problema di dare alla Basilica del Getsemani un pavimento veramente stupendo disegnandone e colorandone i cartoni con il giusto accordo fra i motivi tradizionali e la sensibilità moderna.
Pietro D’Achiardi era singolarmente indicato per un tale lavoro: storico dell’arte fra i nostri migliori e pittore dotato di gusto, di equilibrio, di senso del colore, non straniato mai dalle mode effimere di questi giorni, egli è partito dal desiderio di concepire l’opera con antichi motivi dei primi tempi cristiani modernamente rivissuti e interpretati. Si deve notare a questo proposito come nello scavare le fondamenta della Basilica del Getsemani si siano ritrovate le traccie dell’antico tempio costruito da S. Elena nell’orto degli olivi sopra la roccia sacra dove Cristo sparse il sangue della sua pena nell’orazione: e queste traccie stanno accanto alle misere vestigia dell’altra basilica costruita dai crociati nel luogo stesso.
Il tappeto di musaico ideato da Pietro D’Achiardi si stende nella navata centrale dinanzi alla roccia dell’orazione di Cristo, preziosa reliquia intorno alla quale il tempio si svolge e fonde in una sola armonia motivi paleo-cristiani con ornamenti orientali. Piccoli, modestissimi avanzi dell’antico pavimento ne han dato lo spunto in modo che la tradizione dei musaici pavimentali romani si sposa con la ricerca dell’opulenza orientale negli avanzi dei monumenti locali.
La nota dominante del musaico è bianca e nera fra le rigide squadrature, fra gli intrecci geometrici, fra la grande croce mediana col monogramma di Cristo innestata felicemente col motivo di vaso ansato e dei pavoni affrontati. Tutta la parte centrale si svolge in placidi ritmi segnati dalla ripetizione dei motivi, degli intrecci, delle iscrizioni, col massimo di ricchezza ornativa nel centro là dove è la chiave lineare e coloristica della composizione totale.
A chiudere e incorniciare questa parte centrale si svolge attorno una grande balza a fiorami e volute su fondo nero, in cui i ricordi delle volte di S. Costanza si fondono con il gusto delle bordure nei tappeti d’Oriente.
Da questa balza e dalla parte centrale tutta l’armonia di bianco e di nero è arricchita dallo squillo dei colori vivaci nelle tessere di marmi rari e di vitreo smalto: boccioli e viticci, rosoni e fiorami, foglie d’acanto e foglie di vite si alternano sul fondo nero con la vivacità del colore distribuito in accordi perfetti; qua e là uccelli policromi si posano fra gli intrecci vegetali con le piume composte di lucido smalto. E tutta la composizione si svolge calma, misurata, architettonica nel contrasto dei toni contenuto in perfetto equilibrio, vigilato da un gusto squisito.
Chiunque ha visto il musaico esposto in una sala della Mole Vittoriana ha potuto apprezzare l’opera di Pietro D’Achiardi in cui così felicemente s’accoppia il rispetto per la tradizione col desiderio d’interpretarla modernamente. Ma alle lodi per l’artista che volontieri tributiamo senza riserva non possono essere disgiunte le lodi per le maestranze della Ditta Monticelli e Cassio di Roma, già provata con successo nell’esecuzione delle lunette del Bargellini; le quali maestranze dimostrano che l’antica tradizione dei musaicisti romani non è spenta e che esse sono perfettamente capaci di interpretare l’opera di un artista con spirito di collaborazione, con intelligente fedeltà.
R. P.


UN’ OPERA DELL’ARCHITETTO GUIDO FIORINI.

Alle volte le cose posticcie riescono meglio di quelle destinate a restare. In Roma una Società aveva deliberato di costruire un grande Albergo per l’Anno Santo. Scelse un’area presso la meravigliosa pineta di Villa Torlonia. Il fabbricato sorse in due tempi. Nel primo si fece il nucleo diviso in 700 vani. In un secondo tempo si chiamò l’architetto per mettere un “paravento” (è la parola) che nobilitasse quel nucleo il quale, a dire il vero, non era assolutamente un capolavoro. E l’architetto, l’ing. Guido Fiorini di Roma anche legato alla schiavitù del già costruito, se la cavò nel migliore dei modi.
Senza spendere troppe parole diamo varie fotografie avvertendo che la parte scultoria di questo imponente fabbricato fu affidata allo scultore B. Morescalchi.
Avremmo desiderato che un edificio così nobile ed anche originale fosse rimasto, ma purtroppo esso ha vissuto lo spazio..… non di un mattino, ma di un anno giubilare.
C. C.


CRONACA DEI MONUMENTI

LA CHIESA IN S. FRANCESCO IN TREVISO.

Un’ottima iniziativa, che merita di essere segnalata e sorretta, è quella dell’Associazione pel patrimonio artistico trevigiano, che si propone di ripristinare al culto ed all’arte, in occasione del prossimo centenario francescano, la bella Chiesa di S. Francesco in Treviso.
Interessantissimo monumento è la chiesa. Essa appartiene al periodo di transizione romanico-gotico e presenta numerose affinità con altri monumenti importanti del Veneto: più prossima tra tutte quelle con la grandiosa chiesa domenicana di S. Nicolò anche in Treviso.
Sebbene volgarmente se ne attribuisca la fondazione a Gherardo da Camino negli ultimi anni di sua vita - e anche lo stesso Wadding lo affermi - essa è senza dubbio anteriore di qualche decennio. Gli statuti Caminesi del 1284 stabiliscono oblazioni per la “fabbrica” della chiesa e contributi per il “completamento” del Monastero, e Gherardo nel 1303 dettava il suo testamento nella sacrestia della Chiesa ordinando di essere sepolto in “loco fratrum minorum” e lasciando al Monastero stesso 200 lire per messe. A quel tempo dunque la chiesa era già costruita e aperta al culto.
Prima di questa ebbero i francescani altra chiesa ed altro convento in Treviso, ma alquanto discosto dalle muta cittadine. Ad esso venivan, nel giorno della vigilia del Santo, in solenne processione il Vescovo, il Podestà e il popolo di Treviso per celebrarvi il ritorno dei fuorusciti trevigiani avvenuto appunto in quel giorno dell’anno 1259. Questa festività risale al 1261, ordinata dagli statuti trevigiani dopo la strage di Alberico da Romano. Ma ben presto parve disagiato il lungo cammino che doveasi percorrere per giungere alla meta della processione, e si volle trasportare chiesa e convento più presso alla città. Ciò dovette avvenire poco tempo dopo la istituzione della solennità sopraindicata, e pertanto la nuova chiesa di S. Francesco - ch’è l’attuale - si può considerare quasi come una conseguenza di quella.
La novella chiesa, nel crescente prestigio dell’ordine Francescano, favorita dalle più cospicue famiglie cittadine, prima fra tutte quella dei Rinaldi, da numerose scuole e confraternite, si arricchì, nei secoli, di insigni opere d’arte, quadri, sculture, intagli e di illustri tombe.
La chiesa è a forma di croce latina e si accosta per la semplicità della struttura e per il tetto ligneo a quel tipo fondamentale di chiese francescane ligie alle ordinanze del Capitolo Narbonense, il quale si sviluppò principalmente nella regione umbro-toscana. Una sola cappella per lato fiancheggiava in origine la maggiore ma in seguito, molto presto, forse appena qualche decennio dopo, si aggiunsero la seconda a sinistra e la seconda a destra, sotto il campanile. Assai antica, se non proprio contemporanea alla costruzione della chiesa, dovrebbe essere la piccola cappella aggiunta nel mezzo del fianco meridionale della chiesa - quella dedicata a S. Rocco - con piccola abside semicircolare, che fu più tardi tagliata quando si costruirono le altre cappelle laterali. Sono queste opera settecentesca, ad eccezione della seconda, che pare fatta assai più tardi, per completare la linea delle cappelle e costituire quasi una navata laterale.
Già nel sec. XVII cominciarono ad essere portate alterazioni e manomissioni all’insigne monumento: ma ben più recente è il triste periodo che lo ha trasformato in un avanzo quasi informe e mutilo, il quale solo a chi lo rilevi e lo studi mostra ancora l’antica bellezza di proporzioni, l’antica nobiltà di forme. Le leggi eversive napoleoniche nel 1812 ne distrussero gli altari e le tombe, ne distrussero i quadri e le statue (dei quali pochi ancora si conservano in collezioni pubbliche o presso privati) e, destinatala al demanio, ne fecero stalla, magazzino, uffici. Demoliti il campanile ed il convento, costruitasi coi materiali ricavati la brutta casa che ancor oggi deturpa la facciata, chiuse le vecchie finestre ed aperte di nuove, sconciata in tutti i modi, divisa in tre piani da impalcature, l’ultima barbarica inutile offesa che ebbe a patire la chiesa fu la distruzione del magnifico soffitto a chiglia che era uno dei migliori esempi di siffatta disposizione, così comune e caratteristica nel Veneto.
Soltanto nel 1921 la chiesa è stata ceduta dal Demanio al Comune: e da allora datano i buoni intendimenti di restauro vôlti a ridar vita all’insigne monumento.
Sanare ad una ad una le piaghe che hanno straziato il bel corpo dell’edificio, demolire la casa che ora si addossa alla facciata e riaprire in questa le finestre e gli occhi, togliere all’interno le suddivisioni e le superfetazioni indecorose (senza con questo voler ridurre a stretta unità stilistica il monumento), ripristinare il soffitto a chiglia e parte scoprire, parte eseguire nuovamente le belle decorazioni parietali su cui si sovrapposero le imbiancature, riportare nella chiesa quegli elementi della suppellettile che ancora è possibile rintracciare, ecco altrettante fasi dei proposti lavori di ripristino che il benemerito Comitato, presieduto dal Coletti, si propone di iniziare, e che è da augurare possano presto essere compiuti.
Qui certo non è possibile riferirli ed illustrarli nella loro frastagliata complessità. Ma riuscirà non privo d’interesse il mostrare, nelle mute riproduzioni, i rilievi ed i disegni d’insieme e di particolari, dovuti agli egregi architetti Alpago Novello, Cabiati e Ferrazza, che al restauro stesso serviranno di guida.
Quasi più che i disegni architettonici possono riuscire utili i particolari decorativi che si riferiscono all’ornato policromo delle pareti e della chiglia. Questa, come si è detto, copriva tutta la chiesa ed era a cinque lobi nella navata principale ed a tre nel transetto. I mensoloni che la sorreggevano, tutti intagliati e dipinti, si conservano in parte intatti, e nei transetti rimangono anche tra essi talune tavolette divise in quattro quadrati, ornati ciascuno di una stella bianca.
Anche il motivo della decorazione fra l’uno e l’altro mensolone, che alterna un fregio di foglie stilizzato su fondo nero - tipo Loggia dei Cavalieri - e un fregio a fasce policrome ondulate, è conservato intatto; qua e là visibile, dappertutto ricavabile scrostando i sovrapposti intonaci a finti marmi. Ed egualmente il fregio originale a greca su fondo scuro che corre sotto i mensoloni lungo tutte le pareti del Tempio, può in gran parte ritrovarsi. E se, come è da confidare, un senso di rispetto e di francescana sobrietà artistica presiederà alla ripresa ed al completamento di questi elementi ornamentali, la chiesa potrà riprendere insieme con la sua linea architettonica, il suo caratteristico aspetto di preziosità, che italianamente ne temperava la forma forte ed austera.

SPOLETO. — Le condizioni statiche del Duomo di Spoleto destano da gran tempo preoccupazioni non lievi. Già nel periodo dei Barberini i lavori di rifacimento e di trasformazione intrapresi sotto la direzione del Bernini dovettero avere per scusa, se non per ragione, la necessità di provvedere alla stabilità del monumento: QUOD DE COLLABENTIS HUIVS CATHEDRALIS REPARATIONE COGITAVERAT, come si legge nella iscrizione commemorativa sopra la porta nell’interno della chiesa.
Eppure son proprio le costruzioni barberiniane poste verso l’angolo N. E., cioè la cappella di S. Ponziano e la cappella del Sacramento, che ora mostrano le più gravi lesioni, gli spostamenti più impressionanti. E l’allarme fu gravissimo, quando, il 6 gennaio 1904, subito a valle del Duomo, un tratto di ben sessanta metri di mura urbane medioevali rovinò improvvisamente, lasciando temere analogo disastro pel monumento prossimo.
Da allora si è avuta tutta una successione di Commissioni di studio che hanno coscienziosamente eseguito saggi e ricercato le cause dei perturbamenti statici ovvero proposto provvedimenti immediati o graduali. È facile in Italia dir male delle commissioni; ma di fatto avviene quasi sempre che queste studiano con cura e con competenza i temi loro assegnati ed espongono i risultati ottenuti in ampie (troppo ampie) relazioni; ma queste non sono lette da nessuno e tutto si dimentica negli uffici, finchè dopo qualche anno le proteste di qualche volonteroso o le preoccupazioni del pubblico fanno nominare una Commissione nuova. E così è avvenuto per il Duomo di Spoleto.
Le cause dei distacchi e degli spostamenti che in questo si sono da lungo tempo verificati ed a cui, come è naturale niun vantaggio potevano portare le numerose catene poste nel secolo scorso, son da ricercarsi nel sottosuolo. Il monumento sorge su di un terreno a complessa stratificazione avente fortissima pendenza verso la valle del Tessino; e vi si alternano gli strati di marne compatte del periodo terziario, di conglomerato, cioè il “breccione” su cui son fondati quasi tutti gli edifici di Spoleto e di argille incoerenti e di terreno di riporto. Alcune delle costruzioni avanzate verso la valle sono appunto appoggiate su questi strati superficiali più infidi, forse perchè il raggiungere gli strati più profondi e stabili sarebbe stato troppo complesso e costoso; e da lì il fenomeno dello slittamento, verificatosi in modo non dissimile da quello, ben più grandioso dell’abside del Duomo di Reims, distaccatosi di oltre un metro. Fortunatamente, come in quello, i muri son discesi mantenendosi verticali e non tendendo a rovesciarsi. Il che dà una certa sicurezza che niun pericolo urgente minaccia l’edificio, che pur mostra così impressionanti lesioni.
I provvedimenti proposti, seguendo quel criterio di gradualità che nei vecchi monumenti appare quasi sempre più opportuno di quello dei rinforzi radicali e violenti, consistono per ora nell’allacciamento delle abbondanti acque circolanti nel sottosuolo che costituiscono l’elemento dinamico dello spostamento. Essi dovrebbero cioè consistere nella raccolta e nel convogliamento delle acque pluviali della chiesa e delle aree circostanti, nella formazione a monte, cioè sul lato meridionale, di un cunicolo di drenaggio posto ove gli strati impermeabili confinano coi permeabili, in modo da allacciare e condurre in un canale a valle la maggior quantità delle acque freatiche.
In un secondo tempo, se l’esperienza dimostrerà tali opere non sufficienti, sarà da pensare a drenaggi più profondi e più prossimi alla zona tesa, ed anche a lavori organici di sottofondazione, che, costosi e complessi, sembrerebbero ora prematuri. Ed in questo concetto dell’attuazione per gradi secondo un criterio sperimentale, in questa diagnosi del male, in questo metodo di cura sono pienamente concordi le due ultime commissioni consulenti, cioè quella del 1912, composta dal Ceradini, dello Stella, del Susinuo, e l’attuale, composta del Ciappi e del Giovannoni. Sembra quindi ormai che la via da seguire sia ben tracciata e non vi sia altro dovere da compiere verso il monumento insigne che il passare all'attuazione. Quando?
G. G.

MILANO. - Nella lotta continua tra la ricerca di utilizzazione di aree edilizie centrali ed il rispetto al carattere artistico ed alla integrità dei monumenti è stata minacciata, e forse lo è ancora, la bella chiesetta di S. Protaso “ad monachos” nella via S. Protaso.
E' opera del Pellegrini, eretta al tempo di S. Carlo Borromeo; ma sembra, a quanto afferma il Prof. D. Polvara (per quanto l’organicità dell’insieme lo faccia mettere alquanto in dubbio) che il pronao dorico non sia parte del primitivo disegno e sia stato aggiunto sotto il Cardinale Federico Borromeo. Elegante e di linee sobrie ed armoniche l’interno; pregevoli gli altari e le opere d’arte che contiene, tra cui un affresco del Crespi. Il tutto rappresenta una bella e tranquilla opera architettonica in cui ancora spira un fine sentimento cinquecentesco e che dà una pausa d’Arte in mezzo alle case volgari che la speculazione le ha stretto intorno.
Appunto questo contrasto col nuovo ambiente è una delle ragioni portate in campo dai demolitori per sostenere che la chiesa non ha più ormai le sue condizioni armoniche di visuale e di apprezzamento e che pertanto conviene sacrificarla. A questa stregua non rimarrebbe in piedi neanche un monumento nelle vecchie città. Lo stesso duomo di Milano conserva davvero il suo carattere ambientale tra i vasti casamenti, sulla piazza enorme, nel turbine del carosello tramviario?
In questo caso poi non sono le esigenze, talvolta invincibili, della viabilità e dell’igiene a richiedere l’abbattimento; ma solo il desiderio di vendere l’area risultante e far denari, sia pure per impiegarli a scopo nobile qual’ è quello della costruzione di nuove chiese nei quartieri periferici della città. Bene hanno fatto quindi l’amministrazione delle Belle Arti e la Commissione centrale a negare il loro consenso, che avrebbe consacrato il principio della distruzione degli elementi d’Arte e dei monumenti minori quando son d’intralcio alla speculazione. A Milano, ove qualunque vivace iniziativa prospera e trova aiuti cospicui, non sarà difficile trovare i mezzi per innalzare chiese nuove nella città nuova. Basterà un po’ di fede e un po’ di buon volere, senza troncare le radici del rispetto ai ricordi ed all’Arte.
G. G.

P. S. - Purtroppo, dopo scritte le presenti righe, la faccenda ha avuto l’epilogo che si temeva, perchè gl’interessi materiali hanno prevalso. Questo è stato un principio, giacchè appresso è subito venuta l’antica chiesa di S. Maria Beltrade.

ASCOLI PICENO. — E stato recentemente approvato il progetto del riattamento e della ricostruzione della facciata su di una linea arretrata dell’interessante palazzetto in Via Bonaparte n. 6, (vedi la figura qui unita). Le ragioni esterne della viabilità e quelle intrinseche della fatiscenza hanno reso necessario il provvedimento, non certo lieto. Qui solo si vuol segnalare non soltanto il «caso clinico», ma l’esempio notevole dell’Architettura cinquecentesca, di cui Ascoli è ancora tutta rivestita, dalle casette ai palazzi maggiori, come forse nessun altra città italiana, se si escludono forse Vicenza e Verona e qualche quartiere delle minori città toscane.

PERUGIA. — In occasione del centenario francescano, anche Perugia vorrebbe portare l’offerta d’un monumento restaurato: S. Francesco al Prato la bella chiesa posta sulla piazzetta tranquilla accanto all’Oratorio di S. Bernardino.
Principalmente dovrebbe il restauro avere per oggetto la facciata, e liberarla delle costruzioni anteriori aggiuntevi, e completarne la decorazione ad intarsio marmoreo. Si estende ora questa, quasi ricca veste ornamentale anti-architettonica, fino all’edicola centrale, ma un’accurata rappresentazione contenuta nel gonfalone di S. Bernardino, dipinto dal Bonfigli, che si conserva nella Pinacoteca di Perugia, ce ne dà con sicurezza anche il disegno della parte superiore quale conservava alla fine del sec. XV. Da esso già molti anni or sono trasse Francesco Moretti il tipo della facciata quale doveva apparire in tale tempo e quale è riprodotto nella figura unita.
Tratterebbesi ora di attuare quel disegno completandolo con la costruzione del timpano, e vari progetti sono stati presentati all'uopo e vivamente s’interessa al tema la benemerita Brigata degli Amici de’ Monumenti di Perugia. È questo restauro opportuno e desiderabile ? Tra i vantaggi del liberare una facciata riccamente adorna, e gli inconvenienti delle aggiunte, parte autentiche, parte no, dove pende la bilancia?

FERRARA: Rimozione del monumento di Vittorio Emanuele e Scavi alla base del Duomo. — L’auspicato trasporto della statua di Vittorio Emanuele II, del Monteverde, da piazza Cattedrale a piazza Torquato Tasso, avvenuto nell’anno testè decorso, continua l’opera di redenzione delle piazze monumentali d’Italia.
È per merito della “Ferrariae Decus” società per la protezione dei monumenti storici e d’arte, della quale è presidente Giuseppe Agnelli e segretario Donato Zaccarini, che il Comune ha eseguito in tempo relativamente breve, anche lo scavo e l’abbassamento della piazza di oltre settanta centimetri, davanti alla meravigliosa Cattedrale, ed il restauro di tutta la parte basamentale che conserva quasi inalterate le basi dei postali e le gradinate.
Sul gradino ricorrente la facciata, si sono scoperte le iscrizioni delle sepolture di Villelmo e di Maestro Bellino ai quali gli studi ulteriori potranno definitivamente assegnare la direzione e l’esecuzione dell’opera muraria, come è certa quella scultoria da parte di Maestro Nicolò. I grifi ed i leoni della scomparsa Porta dei Mesi, sono stati messi ai lati delle gradinate di accesso al piano ribassato.
Al restauro della base del Duomo, farà seguito, entro il corrente anno, quello del trecentesco palazzo comunale, che sta sulla stessa piazza, e della Torre Estense all’angolo di Via Cortevecchia, la quale sarà coronata da una “Vittoria” dello scultore ferrarese Arrigo Minerbi, fatta per commemorare i caduti della grande guerra di redenzione.
D. Z.


NOTIZIE VARIE

MILANO. — Nel rinnovamento edilizie della vecchia Milano alcune strade sono state tracciate attraverso l’abitato nella zona della Vetra e di Porta Ticinese. Esse interessano due monumenti insigni quali il S. Lorenzo ed il S. Eustorgio, forse opportunamente pel primo alla cui cupula imponente aprono una visuale nuova, forse dannosamente pel secondo di cui una parte essenziale verrebbe tagliata e l’ambiente tranquillo e raccolto, distrutto.
In temi di questo genere la prudenza e lo studio non sono mai di troppo. Piccoli accorgimenti ingegnosi possono ottenere una valorizzazione di una bellezza monumentale, e possono imprevedutamente averne vantaggio. Questo studio integrale è stato in questo caso compiuto? Gli organi preposti alla difesa dei monumenti hanno dato in proposito il loro parere?
G. G.

RIETI. — Stanno per iniziarsi, d’accordo tra la Sovraintendenza ai Monumenti della provincia di Roma, il Comune di Rieti e la Cassa di Risparmio, i lavori di restauro del bel palazzo arcivescovile ed in particolare della sua grande aula che per tempo e per carattere ha molti elementi analoghi a quelli del palazzo papale di Viterbo. La ricostruzione del tetto in gran parte crollato, la riapertura di porte e di finestre obliterate costituiranno i principali provvedimenti del lavoro, a cui così lodevolmente si interessano gli enti locali.
G. G.

ROMA. — Gli accordi intervenuti, per iniziativa della nostra Associazione fra i Cultori d’Architettura, tra la Sovraintendenza ai Monumenti e vari enti, quali il Comune, il Fondo per il culto, l’Amministrazione provinciale consentiranno tra breve di vedere riaperti gli intercolunni del portico medioevale della chiesa di San Lorenzo in Lucina, ora chiusi in una rozza muratura.
È la chiesa nel suo complesso una basilica del XII secolo che segue il tipo tradizionale pianimetrico romano, così tenacemente conservatosi in Roma per tutto il Medio-Evo; e solo l’interno è talmente alterato da murature e da stucchi relativamente recenti, da render vano ogni proposito di ripristino. Il bel campanile a quadrifore, dalle ghiere che tendono ad un carattere di classico archivolto fu già restaurato circa venti anni or sono. Per la parte superiore della facciata saggi accurati sono stati compiuti ed hanno condotto ad utili contributi alle nostre conoscenze nel Medio Evo romano nel determinare la forma del rosone, l’esistenza di due finestrelle laterali, il tipo delle antiche strutture murarie ed il loro collegamento, con quello dei fianchi, ad arcate cieche che sembrano sopravvivenza di influenze ravennati; ma questi risultati, interessanti per gli studi, mal potrebbero tradursi in movimenti di ripristino, che si risolverebbero in una ricostruzione completa. E' sembrato quindi più opportuno lasciare a tale parte architettonica il suo rivestimento in stucco pur di scarso valore, aggiuntovi ai primi del Seicento e limitare le opere di liberazione a quelle dell’atrio; che riprenderà così, nella caratteristica piazza romana, il suo aspetto e la sua funzione.
G. G.

VICENZA. — La porta Nuova, uno dei pochi elementi superstiti della cinta Scaligera di Vicenza, sta per essere restaurata secondo un ottimo progetto dell’Arch. Forlati della R. Sovraintendenza per l’Arte Medioevale e Moderna del Veneto; ne saranno riaperti i fornici, ripristinato il ponte, completata la merlatura. Meglio ancora se in qualche zona di nuova costruzione le piante rampicanti verranno sapientemente condotte a sovrapporre il loro rivestimento romantico alle murature.
Con questo restauro è da sperare che i minacciosi propositi d’abbattimento da parte dell’Amministrazione Comunale si dilegueranno. Si vedrà infatti da tutti, con quella evidenza che gli studiosi non richieggono ma che occorre al pubblico che un monumento è, non soltanto un morto ricordo, ma un elemento vivo di bellezza; e si vedrà altresì sperimentalmente che la porta e la barriera laterale (pur così infelicemente disposta e collegata con le vie interne ed esterne) sono più che sufficienti per defluire il non soverchiamente intenso movimento cittadino.
G. G.


NOTIZIARIO


EREZIONE DI UN MONUMENTO AI CADUTI IN GUERRA DEI QUARTIERI NOMENTANO E SALARIO - ROMA.

L’Amministrazione Comunale, in seguito a parere della Commissione d’Arte moderna, ha autorizzato l’erezione di un monumento ai caduti in guerra dei quartieri Nomentano e Salario approvando il giudizio favorevole pronunciato dalla Commissione anzidetta sul bozzetto eseguito dallo scultore Arnaldo Zocchi.
Il monumento sorgerà in Piazza della Regina.
B. M.

PER IL MONUMENTO A VIRGILIO - ROMA.

Il Comune di Mantova ha preso la nobile iniziativa per la erezione di un monumento a Virgilio nella città che vide nascere il poeta. Roma, sua patria adottiva la cui grandezza egli glorificò cantando le gesta degli eroi progenitori del fondatore dell’Urbe, ha voluto prestare il suo concorso alla bella iniziativa che altamente onora il Comune di Mantova.
B. M.

CONCORSO PER LA EREZIONE IN COMO DI UN RICORDO MONUMENTALE AI CADUTI IN GUERRA.

Il Comitato per le onoranze ai caduti in guerra della città di Como bandisce un concorso fra gli Artisti italiani per la erezione di un ricordo monumentale, la cui spesa dovrà aggirarsi intorno alle 700.000 lire. Pur essendo data al concorrente la maggiore libertà di ideazione, il Comitato consiglia che lo svolgimento del tema avvenga sull’area che rimarrà libera in seguito all’abbattimento dell’ex pronao della Basilica di S. Giacomo e dell’attigua casa. In tal caso i progetti dovranno essere coordinati e armonizzati con la Torre Campanaria e il Palazzo del Broletto, le cui fotografie potranno ottenersi dal Comitato.
I progetti dovranno pervenire alla sede del Comitato in Como (Piazza Grimaldi 11) entro il 15 aprile 1926.
Il premio destinato al progetto vincitore è di 20.000. La giuria disporrà di L. 10.000 da destinarsi agli altri progetti meritevoli di considerazione.
C. V.

SISTEMAZIONE EDILIZIA E ARCHITETTONICA
DEL PIAZZALE DELLE BELLE ARTI ALLA TESTATA DEL PONTE DEL RISORGIMENTO - ROMA

La Società N.I.C.E. (Nuova Impresa Costruzioni Edilizie) si è obbligata per contratto, con l’Amministrazione del Comune di Roma a costruire entro il 31 Dicembre 1928 sulle aree di sua proprietà al Piazzale delle Belle Arti, due edifici di carattere monumentale decorati con quattro fontane ornamentali in conformità dei progetti già approvati dalla Commissione Edilizia.
Ciò contribuirà a vedere in breve completata la sistemazione della zona posta fra il piazzale delle Belle Arti e la via Flaminia alla testata del Ponte del Risorgimento.
B. M.

COSTRUZIONE DELLA SEDE PER L’ISTITUTO DI
ARTE E PER IL MUSEO ARTISTICO
INDUSTRIALE - ROMA.

L’Amministrazione del Comune di Roma ha aggiudicato l’appalto per la costruzione di un nuovo padiglione nell’area annessa all’Edificio di Via S. Francesco di Paola (ex R. Scuola Complementare Aldo Manuzio) dove con il nuovo anno scolastico sono state trasferite le sedi del Museo Artistico Industriale e dell’Istituto d’Arte.
B. M.

FABBRICAZIONE DI AREE FUORI PORTA
CAVALLEGGERI - ROMA.

La Società Finanziaria Commerciale per intervenuta convenzione con l’Ufficio del Piano Regolatore si è obbligata a costruire entro 24 mesi sulle aree di sua proprietà in Via di Porta Cavalleggeri alcuni fabbricati ad uso di civile abitazione.
Ciò, oltre che contribuire ad alleviare la crisi degli alloggi, gioverà alla decorosa sistemazione del quartiere compreso fra Porta Cavalleggeri e la stazione di S. Pietro.
B. M.

CONCORSO A DARMSTADT.

La Rivista tedesca Innen Dekoration pubblica nel numero di Dicembre 1925 il bando del XIII Concorso per “merletti semplici ma eleganti”. Il concorso è internazionale, i progetti restano di proprietà degli autori e verranno pubblicati nella Rivista Stickereien und Spitzen, i premi sono 12, in marchi oro. E' questo concorso una delle espressioni della simpatica instancabile attività di Alexander Koch, il noto editore d’arte di Darmstadt, attività volta ad incoraggiare la soluzione di tutti i piccoli, ma preoccupanti problemi della decorazione e dell’arredamento moderno della casa.
Hanno preceduto questo concorso altri dedicati a temi interessantissimi: uno per i lampadari, uno per le tende e gli addobbi delle finestre, uno per le stufe ed i camini, uno per i mobili, ecc.
Dei migliori lavori dei vincitori daremo anche noi qualche fotografia.
L. P.

ESPOSIZIONE D’ARCHITETTURA
DI MANNHEIM.

Nella Städtische Kunsthalle di Mannheim è stata aperta una rimarchevole esposizione di tipi di architettura nuova. Oltre agli olandesi (i quali hanno un reparto speciale) sono rappresentati tutti i pionieri della nuova Architettura tedesca: Behrens, Bonatz, Gropius, Poelzig, ecc.
L’arch. Mendelsohn di Berlino ha tenuto una interessante conferenza nell'occasione (pubblicata in molte riviste) sul tema: Problemi della nuova architettura.
Naturalmente l’Italia non era rappresentata. — Daremo qualche fotografia delle opere più significative.
L. P.

LA FACCIATA DEL TEATRO ALLA “SCALA”
DI MILANO.

Il Comune di Milano è nel proposito di modificare l’attuale facciata del Teatro alla “Scala” sia per mascherare le sopraelevazioni avvenute durante il rinnovamento del Teatro, sia per nascondere alla vista l’antico tetto del Teatro, tuttora visibile per l’ampliamento della Piazza.
Mentre un’apposita Commissione si occupa della cosa il giornale “La Fiera Letteraria” indice il seguente referendum sulla questione:
1. - L’attuale facciata del Teatro alla Scala deve essere riformata con costruzioni che nascondano il tetto e le recenti sopraelevazioni, o deve essere rispettata?
2. - Quali ragioni storiche, estetiche e sentimentali consigliano la conservazione pura e semplice dell’opera del Piermarini? (oppure) quali esigenze tecniche ed estetiche ne consigliano la riforma?
3. - Qualora si dovesse ritener necessaria una rinnovazione sarà più opportuno procedere ad una trasformazione completa e radicale o basterà una correzione del timpano e del coronamento?
4. - L’architettura piermariniana del Teatro ha bisogno di essere intonata a quella dei vecchi e nuovi edifici della piazza?
Nel prossimo numero pubblicheremo alcune delle risposte ed esprimeremo i nostri commenti.
C. V.


NOTIZIE VARIE

Il giorno 8 dicembre è stato inaugurato a Roma l'ippodromo di Villa Glori, capace di circa 5000 persone. Le costruzioni consistono in due tribune principali per gli spettatori, più una per i soci con tribuna reale nel centro. Vi sono poi locali accessori per buffet, pronto soccorso, ecc. Le scuderie contengono circa cento cavalli. L’opera (i cui disegni figurano nel fascicolo I - II di questa Rivista, anno V), è dovuta all’arch. Marcello Piacentini che ha avuto come collaboratore per la parte tecnica l’ing. Bruner. Le sculture sono del Biagini.

A Venezia è stata posta il 9 dicembre la prima pietra del nuovo tempio votivo, opera dell’arch. Giuseppe Torres, che sorgerà al Lido, a scioglimento del voto formulato dai veneziani nel 1917 per la incolumità e la salvezza di Venezia (il bozzetto comparve su questa stessa Rivista, anno I, pag. 289).

A Roma, nella Città-Giardino Aniene è stata aperta al culto il giorno 9 dicembre la Chiesa degli Angeli Custodi, costruita su disegno dei prof. Giovannoni. La Chiesa si eleva, su una scalinata in marmo bianco, nel centro della piazza della popolosa borgata.

Nel Parco dei Daini a Villa Umberto I a Roma, è stato inaugurato il giorno 22 dicembre il robusto castello dell’acqua, della capacità di un milione di litri, opera dell’arch. De Vico. Nella zona inferiore l’edificio contiene gli ambienti ad uso dell’amministrazione. L’architetto si è voluto ispirare al carattere seicentesco di quella zona della Villa che circonda il vicino Museo.

Il Comune di Roma, allo scopo d’impedire che l’estetica edilizia delle strade sia continuamente deturpata dalle mostre dei negozi, ha preso una serie di disposizioni per risolvere il problema rimasto fin oggi quasi insoluto: le domande degli esercenti, anche per mostre di secondaria importanza, devono essere concentrate presso l’ispettorato Edilizio.
Alle domande deve essere allegato il progetto con la fotografia dell’edificio su cui deve essere applicata.
Per la revisione delle mostre attualmente esposte, s'incaricherà una Commissione che proporrà le eliminazioni o modificazioni necessarie.
Pubblicheremo i primi risultati ottenuti con questo opportuno provvedimento che ci piacerebbe vedere attuato non soltanto a Roma.

MOSTRA INTERNAZIONALE DI EDILIZIA
A TORINO.

Nella prossima primavera (maggio-giugno 1926) si terrà in Torino nei palazzi del Giornale e della Società promotrice di Belle Arti (nel Parco del Valentino) una seconda mostra internazionale di Edilizia.
L’esposizione è divisa nelle tre Sezioni di Architettura, Edilizia propriamente detta ed applicazione elettrica. Particolare sviluppo assumerà la mostra di architettura che comprende tre classi:

1. Mostra retrospettiva degli architetti antichi e moderni defunti; che darà modo al pubblico di conoscere le raccolte delle opere degli architetti piemontesi.

2. Mostra di architettura moderna comprendente tutta la materia che si riferisce alla edilizia moderna, dai piani regolatori urbani alle case di abitazione comuni e signorili alle costruzioni economiche ed altre costruzioni speciali pubbliche e private del commercio, dell’Assistenza Ospitaliera, delle Pubbliche Amministrazioni, ecc.

3. Pubblicazioni di architettura.

Nella Mostra di edilizia propriamente detta il visitatore avrà modo di conoscere in rapida sintesi tutti i più recenti materiali, brevetti e mezzi di lavorazione che vanno rendendo l’edilizia una delle arti più complete.
Coloro che intendono di partecipare alla Mostra debbono inviare un elenco descrittivo delle opere non oltre il 30 gennaio 1926 indicando lo spazio approssimativamente necessario. La consegna delle opere dovrà essere fatta entro il 30 marzo alla sede della Mostra.
Per informazioni e comunicazioni rivolgersi alla Segreteria della Mostra: Via Goito N. 8 - Torino.

ING. C. VALLE.

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