CONCORSI
ANCORA DEL CONCORSO PER IL PONTE DI VERONA
A proposito di questo concorso dicemmo nell’annata precedente
(fasc. XI - XII) che avremmo pubblicato alcuni progetti non premiati
ma che ci sembravano meritevoli d’essere conosciuti. Manteniamo
la promessa pubblicando i progetti Buzzi, Manelli; Ponti, Carli (consorziati)
Aschieri e Nori. Per il primo una nota esplicativa ci è stata
gentilmente favorita dal nostro corrispondente milanese arch. Prof.
P. Mezzanotte.
Il secondo prendendo partito dal carattere medievale del ponte Scaligero
(che verrebbe a trovarsi accanto al nuovo ponte) svolge, specie nel
magnifico pilone, un giuoco di mensole e di archetti di raccordo marcati
dagli effetti policromi ottenuti con l’alternanza di pietre e
mattoni. Alla testata del ponte un massiccio pilastro è aggettato
dalla sagoma di un cannone pesante campale.
Il progetto Nori, molto più semplice, è pure assai simpatico
nel particolare del pilone, di questo essenzialmente veneto, non solo
per l’aggiunta del leone di S. Marco, ma puranche per il tipo
del pilastro bugnato che non è ignoto all’architettura
veneta del 500.
Ed ora diamo la parola al nostro amico in merito al primo progetto:
“Nel recente concorso per il ponte monumentale di Verona una buona
eccezione alla troppa retorica ornamentale, solita a dilagare in simili
competizioni, era il progetto presentato dai milanesi architetti Tomaso
Buzzi, Modole Manelli, Giovanni Ponti e dall’ingegnere Max Carli,
che, anche non favorito dal verdetto della Commissione aggiudicatrice,
si è voluto qui riprodurre, quale interessante saggio delle nuove
tendenze prevalenti nello scarso, ma pugnace manipolo giovanile lombardo.
Poichè il programma di concorso assegnava alla sagoma del ponte
grande ampiezza di luci e poca freccia, gli architetti, per evitare
un andamento troppo teso, hanno abbandonato la soluzione più
ovvia di una successione di archi ribassati, per adottare risolutamente
il partito tutto moderno di una travata rettilinea continua ad appoggi
equidistanti; partito che conferisce alle masse un aspetto singolare
di monumentalità di tutto utile, in quanto la struttura reggente
stessa contiene, oltre alla carreggiata, due ali di portico ed un superiore
doppio - passaggio pedonale.
Il rivestimento marmoreo di classico sapore riesce a legarsi ingegnosamente,
se non sempre con perfetta spontaneità, alle strutture di cemento.
Schemi geometrici intercalati alle tavole sono testimoni di uno spirito
di laboriosa ricerca rivolta a ottenere, attraverso una severa disciplina
delle forme, il ritmo solenne e l’ampio respiro delle grandi composizioni
classiche.
P. MEZZANOTTE
P. S. - Nella pubblicazione dei progetti vincitori avvenuta nel passato
anno della Rivista siamo incorsi (non per nostra colpa) in un errore
che ci preme rettificare. Il progetto che ottenne il secondo premio
non appartiene al prof. Valle Provino di Udine, ma all’ing. A.
Rigotti di Torino.
UN CONCORSO DEI “CULTORI” DI NAPOLI.
L’Associazione artistica napoletana fra i cultori di architettura,
che da poco si è ricostituita, bandì, nel luglio scorso,
per conto del signor Rindelaub, un concorso per il progetto di massima
di un villino da costruirsi a Posillipo.
Il tema era attraente, ma l’eseguità dell’unico premio
(mille lire), il breve tempo assegnato e precedenti poco confortanti
in materia, lasciavano dubbiosi sull’esito del tentativo. Il quale
però riuscì superiore all’attesa e dimostrò
la fiducia dei giovani nell’associazione e la simpatia con la
quale veniva accolta questa iniziativa. Dei dieci concorrenti almeno
una metà seppero affrontare con successo le varie difficoltà
della gara e, prima fra tutte, quella di intonare il tipo della costruzione
al luogo, che è uno dei più belli e suggestivi del golfo
di Napoli.
La Commissione giudicatrice, composta del prof. Gustavo Giovannoni,
del pittore Caprile e dell’architetto Pantaleo, dopo maturo esame
assegnò il premio al progetto Non nobis, dell’arch. Roberto
Pane, classificando secondo il progetto Horace, dell’arch. Marcello
Canino, e terzo il progetto R. S. dell’arch. Smith. Ebbe inoltre
parole di elogio per il progetto A. B. C. dell’arch. Sanarica.
Il Pane si è ispirato all’architettura del tardo settecento,
interpretandola con libertà di spirito, ed è riuscito
a comporre, servendosi di una grande semplicità di mezzi, un
insieme pieno di gusto e, nella linea severa e composta, caldo di sentimento.
Questa gara modesta ha dimostrato che a Napoli non mancano giovani di
ottime qualità i quali potranno, se aiutati, concorrere a risollevare
le sorti dell’arte nostra. Napoli, in fatto di edilizia, è
la più disgraziata città d’Italia. Qui non esiste
un piano regolatore: qui non si rispettano i regolamenti municipali
e le autorità che dovrebbero farli osservare hanno, spesso e
volentieri, chiuso gli occhi. Così sono sorte case dagli aspetti
più strani, nei luoghi più impensati; e sistemazioni logiche
e necessarie vennero impedite dal capriccio di privati che costruirono
seguendo criteri di utilità immediata e personale.
La storia dell’edilizia napoletana di questi ultimi cinquant’anni
ha pagine penose di disinteressamento, di impotenza, di sopraffazione,
di cecità. Forse un giorno riprenderemo l’argomento per
studiare a fondo le cause che hanno ridotto Napoli in tali condizioni.
Per oggi salutiamo con simpatia questi giovani architetti dai quali
molto speriamo per combattere il cattivo gusto che spesso ispira ai
nostri edifici moderni.
G. G.
CONCORSO PER IL MONUMENTO AI CADUTI DI ANAGNI (ROMA).
Fu vinto dall’arch. E. Del Debbio e dallo scult. Volterrani.
Il progetto ispirato alla semplicità e grandiosità romane
è a base triangolare.
Entro questa figura geometrica si elevano i simboli della
“VITTORIA, LA GLORIFICAZIONE E IL RICORDO”
Tre offerenti unite fra di loro, poste una per ogni angolo, ferme,
quasi cariatidi, sorreggono su in alto un’Ara con faro luminoso
nella parte ove arderebbe il fuoco di rito, e portante nelle sue tre
facce la Effige dei Fanti gloriosi tra festoni di lauro.
Alle offerenti e custodi sono affidati i tre Simboli, così che
l’una ha con sè la Vittoria di bronzo dorato, l’altra
l’Alloro della Gloria, e la terza custodisce la Lampada della
Ricordanza. Ai loro piedi sono gli scudi con le date memoriali e le
armi deposte dopo la Vittoria.
Nella parte basamentale entro i riquadri sono incisi i nomi dei Caduti
e la Dedica.
Una gradinata a forma di rampe semicircolare si risolve in piccole aiuole
fiorite e in un ripiano prospiciente il Parco della Rimembranza.
Si impiegheranno i materiali seguenti:
1. — La rampa semicircolare e ripiano: cigli e cubetti di pietra
silicea.
2. — La parte architettonica basamentale e terminale: in travertino
di Tivoli.
3. — Il gruppo scultoreo: in marmo bianco di Carrara.
4. — La Vittoria, i simulacri dei Fanti, le decorazioni: in bronzo.
5. — Le iscrizioni: incise e di colore rosso lapidario.
6. — Il Faro luminoso: cristalli legati in bronzo.
IL SECONDO CONCORSO DELLE CASE PER I DIPENDENTI DEL COMUNE DI ROMA.
Già dicemmo del primo Concorso (vedi fascicolo XI - XII dell’anno
precedente) rilevando il suo grande successo, specie nei riguardi della
partecipazione dell’elemento giovanile.
Oggi illustriamo il secondo che aveva per fine la costruzione di case
(sempre per i dipendenti Comunali) nell’area compresa fra le vie
Terni ed Orvieto.
Anche a questo secondo concorso vi è stato grande afflusso di
giovani, ma dobbiamo francamente dire che il livello raggiunto è
stato un po’ inferiore. Forse vi ha contribuito il susseguirsi
di due concorsi a distanza di tempo esiguo, che ha impedito di maturare
forse idee più originali.
Fors'anche quella specie di falsariga in cui si sono cacciati i giovani
e che ora comincia ad essere, dopo tanto sfruttamento, convenzionale.
In arte è la legge: Rinnovarsi o decadere. Irreparabilmente.
E perciò esortiamo i giovani a non fermarsi in schemi nobili
quanto si voglia, e che rappresentano un grande progresso sulla produzione
ordinaria di anni addietro, ma che tuttavia rischiano di cadere nel
tritume.
Venendo ora alla semplice cronaca del concorso diremo che il primo premio
è stato vinto dall’arch. Vetriani e dall’ing. Roccatelli
(associati), il secondo dall’ing. G. Nicolosi, il terzo è
stato concesso ex equo ai progetti Iacobucci-Martini e Malgherini-Polidori.
Se lo spazio ce lo avesse permesso avremmo voluto riprodurre anche qualche
altro progetto non premiato, ma degno di nota come ad esempio quelli
dell’arch. Viano e dell’ing. Tagliolini.
MONUMENTO PER LA DIFESA DEL CANALE DI SUEZ
A ISMAILJA (EGITTO).
La Compagnia Universale del Canale Marittimo di Suez bandì -
aprì un Concorso per la costruzione di un Monumento per la difesa
del Canale sulla riva del lago d’Ismailja. Il primo premio, con
la relativa esecuzione del progetto, fu conseguito dall’architetto
Michele Roux Spitz, antico pensionante della Villa Medici.
Questo Monumento sarà costruito in granito rosso, tagliato alla
punta, e si comporrà di due colossali piloni, posati su lunghi
terrazzi ai quali si accederà da dolci declivi.
Fu concepito in modo da esser visto da tutte le navi passanti in tutti
i lati del Canale di Suez, ed anche dalla città d’Ismailja
situata sulla spiaggia del lago Tiusaah.
L’insieme si eleverà all’altezza di 40 metri e 2
terrazzi si stenderanno su una lunghezza di circa 130 metri.
Due figure ieratiche verranno intagliate nello stesso granito dallo
statuario R. Delamarre.
UN MONUMENTO DI GUERRA (v. pagg. 171-172).
Per gli eroi di Dixmude, per i centauri dell’aria M. Roux Spitz,
artista illustre e nostro grande collaboratore, ha immaginato nient’altro
che una superba ala di pietra confitta al suolo e che vista dal dorso
(ove appaiono le scritte) sembra una stele immensa, un che di primitivo
e di forte invitante ai ricordi austeri. Segnaliamo questo esempio di
monumento semplice e grandioso a tutti coloro che si abbandonano alla
voluttà del cincischiamenti odiosi, al concettualismo imbottito
di pensierini vanagloriosi che svariano nelle solite torme del guerriero
con la daga e della vittoria col ramo d’alloro.
C.C.
LA NUOVA BASILICA DELLA TRASFIGURAZIONE SUL MONTE TABOR.
(v. pag. 173 e seg.).
L’INSIEME
L’arte italiana ha avuta una bella vittoria in Palestina con
la risorta basilica del Monte Tabor in Galilea. Benchè il finanziamento
fosse dato da Nord - Americani, tutti gli artisti che cooperarono a
questa rinascita d’arte sono nostri. Gli architetti che ricostruirono
il vetustissimo tempio di cui quasi non esisteva più traccia,
sono i Barluzzi; il pittore che eseguì le decorazioni murali
in mosaico è Rodolfo Villani; le maestranze anche appartengono
all’alma Roma. L’ingresso, in forma di cortile è
chiuso tra la facciata della basilica, e i muri delle due cappelle laterali.
Da qui, per un breve vano coperto a volta, si entra nella chiesa e lo
spazio verso i fianchi è preso dalle scalee che salgono ai coretti,
alle torri campanarie situate sulle due cappelle. Robusti pilastri,
a sezione rettangolare, dividono la basilica in tre navate, la centrale,
più ampia, e le due laterali da cui si accede, con comode scale
alla nuova abside. Rodolfo Villani ha appunto decorate la cripta e l’abside
con vivaci musaici, eseguiti a Roma dalle maestranze di Monticelli e
Cassio. Questi musaici, che formano l’ammirazione di quanti li
hanno veduti sul posto, raffigurano degli angeli che sorvegliano e quasi
proteggono i simboli della Natività, Eucaristia, Passione e Resurrezione
di Cristo. Le dodici figure angeliche sono disposte sopra una unica
linea, armonicamente, in modo da conferire a tutta la volta uno spiccato
carattere decorativo. E da questa, che era una imprescindibile esigenza
di committenti, deriva quella che può parere una piccola contraddizione
fra il verismo di qualche loro parte e l’idealizzazione di altre.
L’artista invece, a chi bene osservi, si è studiato di
contemperare le due esigenze riuscendovi bene. Il simbolo è sempre
chiaro, il colore sobrio, pur affermando, negli azzurri e negli ori,
la smaglianza propria del musaico. Un rosone raggiante divide i gruppi
e riempie tutto lo spazio della volta. Ricchi ornati in azzurro, bianco
e oro completano e circondano tutte le composizioni. Il Villani ha eseguito
anche i cartoni per l’abside superiore ove sorge il gran quadro
della Trasfigurazione ispirato ai Vangeli di S. Luca, S. Matteo, e S.
Marco. La bianca figura di Gesù, attorniata da Mosè e
da Elia, si leva sopra un fondo aureo, mentre in primo piano spiccano
Pietro, Giacomo e Giovanni in attitudine di adorazione. Una gran fascia
ornamentale, con bei motivi di palme, completa la decorazione dell’abside,
e conferma nell’artista nobili qualità di decoratore.
A. L.
IL PAVIMENTO A MOSAICO
Offriamo ai lettori le fotografie di un’opera che onora insieme
un nobile artista e le officine romane dei musaicisti.
Si tratta del pavimento per la Basilica del Getsemani a Gerusalemme
costruita insieme a quella del Monte Tabor dagli Ingegneri Giulio Antonio
e Barluzzi di Roma consacrate del Cardinal Giorgi nella primavera del
1924.
È già un fatto confortante e pieno di significato che
le due Basiliche costruite dalla benemerita Custodia Francescana di
Terrasanta sieno costruite e decorate da artisti italiani; e di ciò
ha merito singolarissimo il Padre Custode Ferdinando Diotallevi che
da molti anni dedica la sua appassionata opera di missionario al compimento
di vasti disegni. Ma un sintomo altrettanto significativo di ciò
che gli artisti italiani sono capaci di creare è nel modo con
cui Pietro D’Achiardi ha risolto il problema di dare alla Basilica
del Getsemani un pavimento veramente stupendo disegnandone e colorandone
i cartoni con il giusto accordo fra i motivi tradizionali e la sensibilità
moderna.
Pietro D’Achiardi era singolarmente indicato per un tale lavoro:
storico dell’arte fra i nostri migliori e pittore dotato di gusto,
di equilibrio, di senso del colore, non straniato mai dalle mode effimere
di questi giorni, egli è partito dal desiderio di concepire l’opera
con antichi motivi dei primi tempi cristiani modernamente rivissuti
e interpretati. Si deve notare a questo proposito come nello scavare
le fondamenta della Basilica del Getsemani si siano ritrovate le traccie
dell’antico tempio costruito da S. Elena nell’orto degli
olivi sopra la roccia sacra dove Cristo sparse il sangue della sua pena
nell’orazione: e queste traccie stanno accanto alle misere vestigia
dell’altra basilica costruita dai crociati nel luogo stesso.
Il tappeto di musaico ideato da Pietro D’Achiardi si stende nella
navata centrale dinanzi alla roccia dell’orazione di Cristo, preziosa
reliquia intorno alla quale il tempio si svolge e fonde in una sola
armonia motivi paleo-cristiani con ornamenti orientali. Piccoli, modestissimi
avanzi dell’antico pavimento ne han dato lo spunto in modo che
la tradizione dei musaici pavimentali romani si sposa con la ricerca
dell’opulenza orientale negli avanzi dei monumenti locali.
La nota dominante del musaico è bianca e nera fra le rigide squadrature,
fra gli intrecci geometrici, fra la grande croce mediana col monogramma
di Cristo innestata felicemente col motivo di vaso ansato e dei pavoni
affrontati. Tutta la parte centrale si svolge in placidi ritmi segnati
dalla ripetizione dei motivi, degli intrecci, delle iscrizioni, col
massimo di ricchezza ornativa nel centro là dove è la
chiave lineare e coloristica della composizione totale.
A chiudere e incorniciare questa parte centrale si svolge attorno una
grande balza a fiorami e volute su fondo nero, in cui i ricordi delle
volte di S. Costanza si fondono con il gusto delle bordure nei tappeti
d’Oriente.
Da questa balza e dalla parte centrale tutta l’armonia di bianco
e di nero è arricchita dallo squillo dei colori vivaci nelle
tessere di marmi rari e di vitreo smalto: boccioli e viticci, rosoni
e fiorami, foglie d’acanto e foglie di vite si alternano sul fondo
nero con la vivacità del colore distribuito in accordi perfetti;
qua e là uccelli policromi si posano fra gli intrecci vegetali
con le piume composte di lucido smalto. E tutta la composizione si svolge
calma, misurata, architettonica nel contrasto dei toni contenuto in
perfetto equilibrio, vigilato da un gusto squisito.
Chiunque ha visto il musaico esposto in una sala della Mole Vittoriana
ha potuto apprezzare l’opera di Pietro D’Achiardi in cui
così felicemente s’accoppia il rispetto per la tradizione
col desiderio d’interpretarla modernamente. Ma alle lodi per l’artista
che volontieri tributiamo senza riserva non possono essere disgiunte
le lodi per le maestranze della Ditta Monticelli e Cassio di Roma, già
provata con successo nell’esecuzione delle lunette del Bargellini;
le quali maestranze dimostrano che l’antica tradizione dei musaicisti
romani non è spenta e che esse sono perfettamente capaci di interpretare
l’opera di un artista con spirito di collaborazione, con intelligente
fedeltà.
R. P.
UN’ OPERA DELL’ARCHITETTO GUIDO FIORINI.
Alle volte le cose posticcie riescono meglio di quelle destinate a
restare. In Roma una Società aveva deliberato di costruire un
grande Albergo per l’Anno Santo. Scelse un’area presso la
meravigliosa pineta di Villa Torlonia. Il fabbricato sorse in due tempi.
Nel primo si fece il nucleo diviso in 700 vani. In un secondo tempo
si chiamò l’architetto per mettere un “paravento”
(è la parola) che nobilitasse quel nucleo il quale, a dire il
vero, non era assolutamente un capolavoro. E l’architetto, l’ing.
Guido Fiorini di Roma anche legato alla schiavitù del già
costruito, se la cavò nel migliore dei modi.
Senza spendere troppe parole diamo varie fotografie avvertendo che la
parte scultoria di questo imponente fabbricato fu affidata allo scultore
B. Morescalchi.
Avremmo desiderato che un edificio così nobile ed anche originale
fosse rimasto, ma purtroppo esso ha vissuto lo spazio..… non di
un mattino, ma di un anno giubilare.
C. C.
CRONACA DEI MONUMENTI
LA CHIESA IN S. FRANCESCO IN TREVISO.
Un’ottima iniziativa, che merita di essere segnalata e sorretta,
è quella dell’Associazione pel patrimonio artistico trevigiano,
che si propone di ripristinare al culto ed all’arte, in occasione
del prossimo centenario francescano, la bella Chiesa di S. Francesco
in Treviso.
Interessantissimo monumento è la chiesa. Essa appartiene al periodo
di transizione romanico-gotico e presenta numerose affinità con
altri monumenti importanti del Veneto: più prossima tra tutte
quelle con la grandiosa chiesa domenicana di S. Nicolò anche
in Treviso.
Sebbene volgarmente se ne attribuisca la fondazione a Gherardo da Camino
negli ultimi anni di sua vita - e anche lo stesso Wadding lo affermi
- essa è senza dubbio anteriore di qualche decennio. Gli statuti
Caminesi del 1284 stabiliscono oblazioni per la “fabbrica”
della chiesa e contributi per il “completamento” del Monastero,
e Gherardo nel 1303 dettava il suo testamento nella sacrestia della
Chiesa ordinando di essere sepolto in “loco fratrum minorum”
e lasciando al Monastero stesso 200 lire per messe. A quel tempo dunque
la chiesa era già costruita e aperta al culto.
Prima di questa ebbero i francescani altra chiesa ed altro convento
in Treviso, ma alquanto discosto dalle muta cittadine. Ad esso venivan,
nel giorno della vigilia del Santo, in solenne processione il Vescovo,
il Podestà e il popolo di Treviso per celebrarvi il ritorno dei
fuorusciti trevigiani avvenuto appunto in quel giorno dell’anno
1259. Questa festività risale al 1261, ordinata dagli statuti
trevigiani dopo la strage di Alberico da Romano. Ma ben presto parve
disagiato il lungo cammino che doveasi percorrere per giungere alla
meta della processione, e si volle trasportare chiesa e convento più
presso alla città. Ciò dovette avvenire poco tempo dopo
la istituzione della solennità sopraindicata, e pertanto la nuova
chiesa di S. Francesco - ch’è l’attuale - si può
considerare quasi come una conseguenza di quella.
La novella chiesa, nel crescente prestigio dell’ordine Francescano,
favorita dalle più cospicue famiglie cittadine, prima fra tutte
quella dei Rinaldi, da numerose scuole e confraternite, si arricchì,
nei secoli, di insigni opere d’arte, quadri, sculture, intagli
e di illustri tombe.
La chiesa è a forma di croce latina e si accosta per la semplicità
della struttura e per il tetto ligneo a quel tipo fondamentale di chiese
francescane ligie alle ordinanze del Capitolo Narbonense, il quale si
sviluppò principalmente nella regione umbro-toscana. Una sola
cappella per lato fiancheggiava in origine la maggiore ma in seguito,
molto presto, forse appena qualche decennio dopo, si aggiunsero la seconda
a sinistra e la seconda a destra, sotto il campanile. Assai antica,
se non proprio contemporanea alla costruzione della chiesa, dovrebbe
essere la piccola cappella aggiunta nel mezzo del fianco meridionale
della chiesa - quella dedicata a S. Rocco - con piccola abside semicircolare,
che fu più tardi tagliata quando si costruirono le altre cappelle
laterali. Sono queste opera settecentesca, ad eccezione della seconda,
che pare fatta assai più tardi, per completare la linea delle
cappelle e costituire quasi una navata laterale.
Già nel sec. XVII cominciarono ad essere portate alterazioni
e manomissioni all’insigne monumento: ma ben più recente
è il triste periodo che lo ha trasformato in un avanzo quasi
informe e mutilo, il quale solo a chi lo rilevi e lo studi mostra ancora
l’antica bellezza di proporzioni, l’antica nobiltà
di forme. Le leggi eversive napoleoniche nel 1812 ne distrussero gli
altari e le tombe, ne distrussero i quadri e le statue (dei quali pochi
ancora si conservano in collezioni pubbliche o presso privati) e, destinatala
al demanio, ne fecero stalla, magazzino, uffici. Demoliti il campanile
ed il convento, costruitasi coi materiali ricavati la brutta casa che
ancor oggi deturpa la facciata, chiuse le vecchie finestre ed aperte
di nuove, sconciata in tutti i modi, divisa in tre piani da impalcature,
l’ultima barbarica inutile offesa che ebbe a patire la chiesa
fu la distruzione del magnifico soffitto a chiglia che era uno dei migliori
esempi di siffatta disposizione, così comune e caratteristica
nel Veneto.
Soltanto nel 1921 la chiesa è stata ceduta dal Demanio al Comune:
e da allora datano i buoni intendimenti di restauro vôlti a ridar
vita all’insigne monumento.
Sanare ad una ad una le piaghe che hanno straziato il bel corpo dell’edificio,
demolire la casa che ora si addossa alla facciata e riaprire in questa
le finestre e gli occhi, togliere all’interno le suddivisioni
e le superfetazioni indecorose (senza con questo voler ridurre a stretta
unità stilistica il monumento), ripristinare il soffitto a chiglia
e parte scoprire, parte eseguire nuovamente le belle decorazioni parietali
su cui si sovrapposero le imbiancature, riportare nella chiesa quegli
elementi della suppellettile che ancora è possibile rintracciare,
ecco altrettante fasi dei proposti lavori di ripristino che il benemerito
Comitato, presieduto dal Coletti, si propone di iniziare, e che è
da augurare possano presto essere compiuti.
Qui certo non è possibile riferirli ed illustrarli nella loro
frastagliata complessità. Ma riuscirà non privo d’interesse
il mostrare, nelle mute riproduzioni, i rilievi ed i disegni d’insieme
e di particolari, dovuti agli egregi architetti Alpago Novello, Cabiati
e Ferrazza, che al restauro stesso serviranno di guida.
Quasi più che i disegni architettonici possono riuscire utili
i particolari decorativi che si riferiscono all’ornato policromo
delle pareti e della chiglia. Questa, come si è detto, copriva
tutta la chiesa ed era a cinque lobi nella navata principale ed a tre
nel transetto. I mensoloni che la sorreggevano, tutti intagliati e dipinti,
si conservano in parte intatti, e nei transetti rimangono anche tra
essi talune tavolette divise in quattro quadrati, ornati ciascuno di
una stella bianca.
Anche il motivo della decorazione fra l’uno e l’altro mensolone,
che alterna un fregio di foglie stilizzato su fondo nero - tipo Loggia
dei Cavalieri - e un fregio a fasce policrome ondulate, è conservato
intatto; qua e là visibile, dappertutto ricavabile scrostando
i sovrapposti intonaci a finti marmi. Ed egualmente il fregio originale
a greca su fondo scuro che corre sotto i mensoloni lungo tutte le pareti
del Tempio, può in gran parte ritrovarsi. E se, come è
da confidare, un senso di rispetto e di francescana sobrietà
artistica presiederà alla ripresa ed al completamento di questi
elementi ornamentali, la chiesa potrà riprendere insieme con
la sua linea architettonica, il suo caratteristico aspetto di preziosità,
che italianamente ne temperava la forma forte ed austera.
SPOLETO. — Le condizioni statiche del Duomo di Spoleto destano
da gran tempo preoccupazioni non lievi. Già nel periodo dei Barberini
i lavori di rifacimento e di trasformazione intrapresi sotto la direzione
del Bernini dovettero avere per scusa, se non per ragione, la necessità
di provvedere alla stabilità del monumento: QUOD DE COLLABENTIS
HUIVS CATHEDRALIS REPARATIONE COGITAVERAT, come si legge nella iscrizione
commemorativa sopra la porta nell’interno della chiesa.
Eppure son proprio le costruzioni barberiniane poste verso l’angolo
N. E., cioè la cappella di S. Ponziano e la cappella del Sacramento,
che ora mostrano le più gravi lesioni, gli spostamenti più
impressionanti. E l’allarme fu gravissimo, quando, il 6 gennaio
1904, subito a valle del Duomo, un tratto di ben sessanta metri di mura
urbane medioevali rovinò improvvisamente, lasciando temere analogo
disastro pel monumento prossimo.
Da allora si è avuta tutta una successione di Commissioni di
studio che hanno coscienziosamente eseguito saggi e ricercato le cause
dei perturbamenti statici ovvero proposto provvedimenti immediati o
graduali. È facile in Italia dir male delle commissioni; ma di
fatto avviene quasi sempre che queste studiano con cura e con competenza
i temi loro assegnati ed espongono i risultati ottenuti in ampie (troppo
ampie) relazioni; ma queste non sono lette da nessuno e tutto si dimentica
negli uffici, finchè dopo qualche anno le proteste di qualche
volonteroso o le preoccupazioni del pubblico fanno nominare una Commissione
nuova. E così è avvenuto per il Duomo di Spoleto.
Le cause dei distacchi e degli spostamenti che in questo si sono da
lungo tempo verificati ed a cui, come è naturale niun vantaggio
potevano portare le numerose catene poste nel secolo scorso, son da
ricercarsi nel sottosuolo. Il monumento sorge su di un terreno a complessa
stratificazione avente fortissima pendenza verso la valle del Tessino;
e vi si alternano gli strati di marne compatte del periodo terziario,
di conglomerato, cioè il “breccione” su cui son fondati
quasi tutti gli edifici di Spoleto e di argille incoerenti e di terreno
di riporto. Alcune delle costruzioni avanzate verso la valle sono appunto
appoggiate su questi strati superficiali più infidi, forse perchè
il raggiungere gli strati più profondi e stabili sarebbe stato
troppo complesso e costoso; e da lì il fenomeno dello slittamento,
verificatosi in modo non dissimile da quello, ben più grandioso
dell’abside del Duomo di Reims, distaccatosi di oltre un metro.
Fortunatamente, come in quello, i muri son discesi mantenendosi verticali
e non tendendo a rovesciarsi. Il che dà una certa sicurezza che
niun pericolo urgente minaccia l’edificio, che pur mostra così
impressionanti lesioni.
I provvedimenti proposti, seguendo quel criterio di gradualità
che nei vecchi monumenti appare quasi sempre più opportuno di
quello dei rinforzi radicali e violenti, consistono per ora nell’allacciamento
delle abbondanti acque circolanti nel sottosuolo che costituiscono l’elemento
dinamico dello spostamento. Essi dovrebbero cioè consistere nella
raccolta e nel convogliamento delle acque pluviali della chiesa e delle
aree circostanti, nella formazione a monte, cioè sul lato meridionale,
di un cunicolo di drenaggio posto ove gli strati impermeabili confinano
coi permeabili, in modo da allacciare e condurre in un canale a valle
la maggior quantità delle acque freatiche.
In un secondo tempo, se l’esperienza dimostrerà tali opere
non sufficienti, sarà da pensare a drenaggi più profondi
e più prossimi alla zona tesa, ed anche a lavori organici di
sottofondazione, che, costosi e complessi, sembrerebbero ora prematuri.
Ed in questo concetto dell’attuazione per gradi secondo un criterio
sperimentale, in questa diagnosi del male, in questo metodo di cura
sono pienamente concordi le due ultime commissioni consulenti, cioè
quella del 1912, composta dal Ceradini, dello Stella, del Susinuo, e
l’attuale, composta del Ciappi e del Giovannoni. Sembra quindi
ormai che la via da seguire sia ben tracciata e non vi sia altro dovere
da compiere verso il monumento insigne che il passare all'attuazione.
Quando?
G. G.
MILANO. - Nella lotta continua tra la ricerca di utilizzazione di aree
edilizie centrali ed il rispetto al carattere artistico ed alla integrità
dei monumenti è stata minacciata, e forse lo è ancora,
la bella chiesetta di S. Protaso “ad monachos” nella via
S. Protaso.
E' opera del Pellegrini, eretta al tempo di S. Carlo Borromeo; ma sembra,
a quanto afferma il Prof. D. Polvara (per quanto l’organicità
dell’insieme lo faccia mettere alquanto in dubbio) che il pronao
dorico non sia parte del primitivo disegno e sia stato aggiunto sotto
il Cardinale Federico Borromeo. Elegante e di linee sobrie ed armoniche
l’interno; pregevoli gli altari e le opere d’arte che contiene,
tra cui un affresco del Crespi. Il tutto rappresenta una bella e tranquilla
opera architettonica in cui ancora spira un fine sentimento cinquecentesco
e che dà una pausa d’Arte in mezzo alle case volgari che
la speculazione le ha stretto intorno.
Appunto questo contrasto col nuovo ambiente è una delle ragioni
portate in campo dai demolitori per sostenere che la chiesa non ha più
ormai le sue condizioni armoniche di visuale e di apprezzamento e che
pertanto conviene sacrificarla. A questa stregua non rimarrebbe in piedi
neanche un monumento nelle vecchie città. Lo stesso duomo di
Milano conserva davvero il suo carattere ambientale tra i vasti casamenti,
sulla piazza enorme, nel turbine del carosello tramviario?
In questo caso poi non sono le esigenze, talvolta invincibili, della
viabilità e dell’igiene a richiedere l’abbattimento;
ma solo il desiderio di vendere l’area risultante e far denari,
sia pure per impiegarli a scopo nobile qual’ è quello della
costruzione di nuove chiese nei quartieri periferici della città.
Bene hanno fatto quindi l’amministrazione delle Belle Arti e la
Commissione centrale a negare il loro consenso, che avrebbe consacrato
il principio della distruzione degli elementi d’Arte e dei monumenti
minori quando son d’intralcio alla speculazione. A Milano, ove
qualunque vivace iniziativa prospera e trova aiuti cospicui, non sarà
difficile trovare i mezzi per innalzare chiese nuove nella città
nuova. Basterà un po’ di fede e un po’ di buon volere,
senza troncare le radici del rispetto ai ricordi ed all’Arte.
G. G.
P. S. - Purtroppo, dopo scritte le presenti righe, la faccenda ha avuto
l’epilogo che si temeva, perchè gl’interessi materiali
hanno prevalso. Questo è stato un principio, giacchè appresso
è subito venuta l’antica chiesa di S. Maria Beltrade.
ASCOLI PICENO. — E stato recentemente approvato il progetto del
riattamento e della ricostruzione della facciata su di una linea arretrata
dell’interessante palazzetto in Via Bonaparte n. 6, (vedi la figura
qui unita). Le ragioni esterne della viabilità e quelle intrinseche
della fatiscenza hanno reso necessario il provvedimento, non certo lieto.
Qui solo si vuol segnalare non soltanto il «caso clinico»,
ma l’esempio notevole dell’Architettura cinquecentesca,
di cui Ascoli è ancora tutta rivestita, dalle casette ai palazzi
maggiori, come forse nessun altra città italiana, se si escludono
forse Vicenza e Verona e qualche quartiere delle minori città
toscane.
PERUGIA. — In occasione del centenario francescano, anche Perugia
vorrebbe portare l’offerta d’un monumento restaurato: S.
Francesco al Prato la bella chiesa posta sulla piazzetta tranquilla
accanto all’Oratorio di S. Bernardino.
Principalmente dovrebbe il restauro avere per oggetto la facciata, e
liberarla delle costruzioni anteriori aggiuntevi, e completarne la decorazione
ad intarsio marmoreo. Si estende ora questa, quasi ricca veste ornamentale
anti-architettonica, fino all’edicola centrale, ma un’accurata
rappresentazione contenuta nel gonfalone di S. Bernardino, dipinto dal
Bonfigli, che si conserva nella Pinacoteca di Perugia, ce ne dà
con sicurezza anche il disegno della parte superiore quale conservava
alla fine del sec. XV. Da esso già molti anni or sono trasse
Francesco Moretti il tipo della facciata quale doveva apparire in tale
tempo e quale è riprodotto nella figura unita.
Tratterebbesi ora di attuare quel disegno completandolo con la costruzione
del timpano, e vari progetti sono stati presentati all'uopo e vivamente
s’interessa al tema la benemerita Brigata degli Amici de’
Monumenti di Perugia. È questo restauro opportuno e desiderabile
? Tra i vantaggi del liberare una facciata riccamente adorna, e gli
inconvenienti delle aggiunte, parte autentiche, parte no, dove pende
la bilancia?
FERRARA: Rimozione del monumento di Vittorio Emanuele e Scavi alla
base del Duomo. — L’auspicato trasporto della statua di
Vittorio Emanuele II, del Monteverde, da piazza Cattedrale a piazza
Torquato Tasso, avvenuto nell’anno testè decorso, continua
l’opera di redenzione delle piazze monumentali d’Italia.
È per merito della “Ferrariae Decus” società
per la protezione dei monumenti storici e d’arte, della quale
è presidente Giuseppe Agnelli e segretario Donato Zaccarini,
che il Comune ha eseguito in tempo relativamente breve, anche lo scavo
e l’abbassamento della piazza di oltre settanta centimetri, davanti
alla meravigliosa Cattedrale, ed il restauro di tutta la parte basamentale
che conserva quasi inalterate le basi dei postali e le gradinate.
Sul gradino ricorrente la facciata, si sono scoperte le iscrizioni delle
sepolture di Villelmo e di Maestro Bellino ai quali gli studi ulteriori
potranno definitivamente assegnare la direzione e l’esecuzione
dell’opera muraria, come è certa quella scultoria da parte
di Maestro Nicolò. I grifi ed i leoni della scomparsa Porta dei
Mesi, sono stati messi ai lati delle gradinate di accesso al piano ribassato.
Al restauro della base del Duomo, farà seguito, entro il corrente
anno, quello del trecentesco palazzo comunale, che sta sulla stessa
piazza, e della Torre Estense all’angolo di Via Cortevecchia,
la quale sarà coronata da una “Vittoria” dello scultore
ferrarese Arrigo Minerbi, fatta per commemorare i caduti della grande
guerra di redenzione.
D. Z.
NOTIZIE VARIE
MILANO. — Nel rinnovamento edilizie della vecchia Milano alcune
strade sono state tracciate attraverso l’abitato nella zona della
Vetra e di Porta Ticinese. Esse interessano due monumenti insigni quali
il S. Lorenzo ed il S. Eustorgio, forse opportunamente pel primo alla
cui cupula imponente aprono una visuale nuova, forse dannosamente pel
secondo di cui una parte essenziale verrebbe tagliata e l’ambiente
tranquillo e raccolto, distrutto.
In temi di questo genere la prudenza e lo studio non sono mai di troppo.
Piccoli accorgimenti ingegnosi possono ottenere una valorizzazione di
una bellezza monumentale, e possono imprevedutamente averne vantaggio.
Questo studio integrale è stato in questo caso compiuto? Gli
organi preposti alla difesa dei monumenti hanno dato in proposito il
loro parere?
G. G.
RIETI. — Stanno per iniziarsi, d’accordo tra la Sovraintendenza
ai Monumenti della provincia di Roma, il Comune di Rieti e la Cassa
di Risparmio, i lavori di restauro del bel palazzo arcivescovile ed
in particolare della sua grande aula che per tempo e per carattere ha
molti elementi analoghi a quelli del palazzo papale di Viterbo. La ricostruzione
del tetto in gran parte crollato, la riapertura di porte e di finestre
obliterate costituiranno i principali provvedimenti del lavoro, a cui
così lodevolmente si interessano gli enti locali.
G. G.
ROMA. — Gli accordi intervenuti, per iniziativa della nostra
Associazione fra i Cultori d’Architettura, tra la Sovraintendenza
ai Monumenti e vari enti, quali il Comune, il Fondo per il culto, l’Amministrazione
provinciale consentiranno tra breve di vedere riaperti gli intercolunni
del portico medioevale della chiesa di San Lorenzo in Lucina, ora chiusi
in una rozza muratura.
È la chiesa nel suo complesso una basilica del XII secolo che
segue il tipo tradizionale pianimetrico romano, così tenacemente
conservatosi in Roma per tutto il Medio-Evo; e solo l’interno
è talmente alterato da murature e da stucchi relativamente recenti,
da render vano ogni proposito di ripristino. Il bel campanile a quadrifore,
dalle ghiere che tendono ad un carattere di classico archivolto fu già
restaurato circa venti anni or sono. Per la parte superiore della facciata
saggi accurati sono stati compiuti ed hanno condotto ad utili contributi
alle nostre conoscenze nel Medio Evo romano nel determinare la forma
del rosone, l’esistenza di due finestrelle laterali, il tipo delle
antiche strutture murarie ed il loro collegamento, con quello dei fianchi,
ad arcate cieche che sembrano sopravvivenza di influenze ravennati;
ma questi risultati, interessanti per gli studi, mal potrebbero tradursi
in movimenti di ripristino, che si risolverebbero in una ricostruzione
completa. E' sembrato quindi più opportuno lasciare a tale parte
architettonica il suo rivestimento in stucco pur di scarso valore, aggiuntovi
ai primi del Seicento e limitare le opere di liberazione a quelle dell’atrio;
che riprenderà così, nella caratteristica piazza romana,
il suo aspetto e la sua funzione.
G. G.
VICENZA. — La porta Nuova, uno dei pochi elementi superstiti
della cinta Scaligera di Vicenza, sta per essere restaurata secondo
un ottimo progetto dell’Arch. Forlati della R. Sovraintendenza
per l’Arte Medioevale e Moderna del Veneto; ne saranno riaperti
i fornici, ripristinato il ponte, completata la merlatura. Meglio ancora
se in qualche zona di nuova costruzione le piante rampicanti verranno
sapientemente condotte a sovrapporre il loro rivestimento romantico
alle murature.
Con questo restauro è da sperare che i minacciosi propositi d’abbattimento
da parte dell’Amministrazione Comunale si dilegueranno. Si vedrà
infatti da tutti, con quella evidenza che gli studiosi non richieggono
ma che occorre al pubblico che un monumento è, non soltanto un
morto ricordo, ma un elemento vivo di bellezza; e si vedrà altresì
sperimentalmente che la porta e la barriera laterale (pur così
infelicemente disposta e collegata con le vie interne ed esterne) sono
più che sufficienti per defluire il non soverchiamente intenso
movimento cittadino.
G. G.
NOTIZIARIO
EREZIONE DI UN MONUMENTO AI CADUTI IN GUERRA DEI QUARTIERI NOMENTANO
E SALARIO - ROMA.
L’Amministrazione Comunale, in seguito a parere della Commissione
d’Arte moderna, ha autorizzato l’erezione di un monumento
ai caduti in guerra dei quartieri Nomentano e Salario approvando il
giudizio favorevole pronunciato dalla Commissione anzidetta sul bozzetto
eseguito dallo scultore Arnaldo Zocchi.
Il monumento sorgerà in Piazza della Regina.
B. M.
PER IL MONUMENTO A VIRGILIO - ROMA.
Il Comune di Mantova ha preso la nobile iniziativa per la erezione
di un monumento a Virgilio nella città che vide nascere il poeta.
Roma, sua patria adottiva la cui grandezza egli glorificò cantando
le gesta degli eroi progenitori del fondatore dell’Urbe, ha voluto
prestare il suo concorso alla bella iniziativa che altamente onora il
Comune di Mantova.
B. M.
CONCORSO PER LA EREZIONE IN COMO DI UN RICORDO MONUMENTALE AI CADUTI
IN GUERRA.
Il Comitato per le onoranze ai caduti in guerra della città
di Como bandisce un concorso fra gli Artisti italiani per la erezione
di un ricordo monumentale, la cui spesa dovrà aggirarsi intorno
alle 700.000 lire. Pur essendo data al concorrente la maggiore libertà
di ideazione, il Comitato consiglia che lo svolgimento del tema avvenga
sull’area che rimarrà libera in seguito all’abbattimento
dell’ex pronao della Basilica di S. Giacomo e dell’attigua
casa. In tal caso i progetti dovranno essere coordinati e armonizzati
con la Torre Campanaria e il Palazzo del Broletto, le cui fotografie
potranno ottenersi dal Comitato.
I progetti dovranno pervenire alla sede del Comitato in Como (Piazza
Grimaldi 11) entro il 15 aprile 1926.
Il premio destinato al progetto vincitore è di 20.000. La giuria
disporrà di L. 10.000 da destinarsi agli altri progetti meritevoli
di considerazione.
C. V.
SISTEMAZIONE EDILIZIA E ARCHITETTONICA
DEL PIAZZALE DELLE BELLE ARTI ALLA TESTATA DEL PONTE DEL RISORGIMENTO
- ROMA
La Società N.I.C.E. (Nuova Impresa Costruzioni Edilizie) si
è obbligata per contratto, con l’Amministrazione del Comune
di Roma a costruire entro il 31 Dicembre 1928 sulle aree di sua proprietà
al Piazzale delle Belle Arti, due edifici di carattere monumentale decorati
con quattro fontane ornamentali in conformità dei progetti già
approvati dalla Commissione Edilizia.
Ciò contribuirà a vedere in breve completata la sistemazione
della zona posta fra il piazzale delle Belle Arti e la via Flaminia
alla testata del Ponte del Risorgimento.
B. M.
COSTRUZIONE DELLA SEDE PER L’ISTITUTO DI
ARTE E PER IL MUSEO ARTISTICO
INDUSTRIALE - ROMA.
L’Amministrazione del Comune di Roma ha aggiudicato l’appalto
per la costruzione di un nuovo padiglione nell’area annessa all’Edificio
di Via S. Francesco di Paola (ex R. Scuola Complementare Aldo Manuzio)
dove con il nuovo anno scolastico sono state trasferite le sedi del
Museo Artistico Industriale e dell’Istituto d’Arte.
B. M.
FABBRICAZIONE DI AREE FUORI PORTA
CAVALLEGGERI - ROMA.
La Società Finanziaria Commerciale per intervenuta convenzione
con l’Ufficio del Piano Regolatore si è obbligata a costruire
entro 24 mesi sulle aree di sua proprietà in Via di Porta Cavalleggeri
alcuni fabbricati ad uso di civile abitazione.
Ciò, oltre che contribuire ad alleviare la crisi degli alloggi,
gioverà alla decorosa sistemazione del quartiere compreso fra
Porta Cavalleggeri e la stazione di S. Pietro.
B. M.
CONCORSO A DARMSTADT.
La Rivista tedesca Innen Dekoration pubblica nel numero di Dicembre
1925 il bando del XIII Concorso per “merletti semplici ma eleganti”.
Il concorso è internazionale, i progetti restano di proprietà
degli autori e verranno pubblicati nella Rivista Stickereien und Spitzen,
i premi sono 12, in marchi oro. E' questo concorso una delle espressioni
della simpatica instancabile attività di Alexander Koch, il noto
editore d’arte di Darmstadt, attività volta ad incoraggiare
la soluzione di tutti i piccoli, ma preoccupanti problemi della decorazione
e dell’arredamento moderno della casa.
Hanno preceduto questo concorso altri dedicati a temi interessantissimi:
uno per i lampadari, uno per le tende e gli addobbi delle finestre,
uno per le stufe ed i camini, uno per i mobili, ecc.
Dei migliori lavori dei vincitori daremo anche noi qualche fotografia.
L. P.
ESPOSIZIONE D’ARCHITETTURA
DI MANNHEIM.
Nella Städtische Kunsthalle di Mannheim è stata aperta
una rimarchevole esposizione di tipi di architettura nuova. Oltre agli
olandesi (i quali hanno un reparto speciale) sono rappresentati tutti
i pionieri della nuova Architettura tedesca: Behrens, Bonatz, Gropius,
Poelzig, ecc.
L’arch. Mendelsohn di Berlino ha tenuto una interessante conferenza
nell'occasione (pubblicata in molte riviste) sul tema: Problemi della
nuova architettura.
Naturalmente l’Italia non era rappresentata. — Daremo qualche
fotografia delle opere più significative.
L. P.
LA FACCIATA DEL TEATRO ALLA “SCALA”
DI MILANO.
Il Comune di Milano è nel proposito di modificare l’attuale
facciata del Teatro alla “Scala” sia per mascherare le sopraelevazioni
avvenute durante il rinnovamento del Teatro, sia per nascondere alla
vista l’antico tetto del Teatro, tuttora visibile per l’ampliamento
della Piazza.
Mentre un’apposita Commissione si occupa della cosa il giornale
“La Fiera Letteraria” indice il seguente referendum sulla
questione:
1. - L’attuale facciata del Teatro alla Scala deve essere riformata
con costruzioni che nascondano il tetto e le recenti sopraelevazioni,
o deve essere rispettata?
2. - Quali ragioni storiche, estetiche e sentimentali consigliano la
conservazione pura e semplice dell’opera del Piermarini? (oppure)
quali esigenze tecniche ed estetiche ne consigliano la riforma?
3. - Qualora si dovesse ritener necessaria una rinnovazione sarà
più opportuno procedere ad una trasformazione completa e radicale
o basterà una correzione del timpano e del coronamento?
4. - L’architettura piermariniana del Teatro ha bisogno di essere
intonata a quella dei vecchi e nuovi edifici della piazza?
Nel prossimo numero pubblicheremo alcune delle risposte ed esprimeremo
i nostri commenti.
C. V.
NOTIZIE VARIE
Il giorno 8 dicembre è stato inaugurato a Roma l'ippodromo di
Villa Glori, capace di circa 5000 persone. Le costruzioni consistono
in due tribune principali per gli spettatori, più una per i soci
con tribuna reale nel centro. Vi sono poi locali accessori per buffet,
pronto soccorso, ecc. Le scuderie contengono circa cento cavalli. L’opera
(i cui disegni figurano nel fascicolo I - II di questa Rivista, anno
V), è dovuta all’arch. Marcello Piacentini che ha avuto
come collaboratore per la parte tecnica l’ing. Bruner. Le sculture
sono del Biagini.
A Venezia è stata posta il 9 dicembre la prima pietra del nuovo
tempio votivo, opera dell’arch. Giuseppe Torres, che sorgerà
al Lido, a scioglimento del voto formulato dai veneziani nel 1917 per
la incolumità e la salvezza di Venezia (il bozzetto comparve
su questa stessa Rivista, anno I, pag. 289).
A Roma, nella Città-Giardino Aniene è stata aperta al
culto il giorno 9 dicembre la Chiesa degli Angeli Custodi, costruita
su disegno dei prof. Giovannoni. La Chiesa si eleva, su una scalinata
in marmo bianco, nel centro della piazza della popolosa borgata.
Nel Parco dei Daini a Villa Umberto I a Roma, è stato inaugurato
il giorno 22 dicembre il robusto castello dell’acqua, della capacità
di un milione di litri, opera dell’arch. De Vico. Nella zona inferiore
l’edificio contiene gli ambienti ad uso dell’amministrazione.
L’architetto si è voluto ispirare al carattere seicentesco
di quella zona della Villa che circonda il vicino Museo.
Il Comune di Roma, allo scopo d’impedire che l’estetica
edilizia delle strade sia continuamente deturpata dalle mostre dei negozi,
ha preso una serie di disposizioni per risolvere il problema rimasto
fin oggi quasi insoluto: le domande degli esercenti, anche per mostre
di secondaria importanza, devono essere concentrate presso l’ispettorato
Edilizio.
Alle domande deve essere allegato il progetto con la fotografia dell’edificio
su cui deve essere applicata.
Per la revisione delle mostre attualmente esposte, s'incaricherà
una Commissione che proporrà le eliminazioni o modificazioni
necessarie.
Pubblicheremo i primi risultati ottenuti con questo opportuno provvedimento
che ci piacerebbe vedere attuato non soltanto a Roma.
MOSTRA INTERNAZIONALE DI EDILIZIA
A TORINO.
Nella prossima primavera (maggio-giugno 1926) si terrà in Torino
nei palazzi del Giornale e della Società promotrice di Belle
Arti (nel Parco del Valentino) una seconda mostra internazionale di
Edilizia.
L’esposizione è divisa nelle tre Sezioni di Architettura,
Edilizia propriamente detta ed applicazione elettrica. Particolare sviluppo
assumerà la mostra di architettura che comprende tre classi:
1. Mostra retrospettiva degli architetti antichi e moderni defunti;
che darà modo al pubblico di conoscere le raccolte delle opere
degli architetti piemontesi.
2. Mostra di architettura moderna comprendente tutta la materia che
si riferisce alla edilizia moderna, dai piani regolatori urbani alle
case di abitazione comuni e signorili alle costruzioni economiche ed
altre costruzioni speciali pubbliche e private del commercio, dell’Assistenza
Ospitaliera, delle Pubbliche Amministrazioni, ecc.
3. Pubblicazioni di architettura.
Nella Mostra di edilizia propriamente detta il visitatore avrà
modo di conoscere in rapida sintesi tutti i più recenti materiali,
brevetti e mezzi di lavorazione che vanno rendendo l’edilizia
una delle arti più complete.
Coloro che intendono di partecipare alla Mostra debbono inviare un elenco
descrittivo delle opere non oltre il 30 gennaio 1926 indicando lo spazio
approssimativamente necessario. La consegna delle opere dovrà
essere fatta entro il 30 marzo alla sede della Mostra.
Per informazioni e comunicazioni rivolgersi alla Segreteria della Mostra:
Via Goito N. 8 - Torino.
ING. C. VALLE.