Chi varchi la soglia del breve ingresso della seconda cappella a sinistra di Santa Maria Maggiore - la Cappella Sforza - sente una grande anima spirare dalle ampie linee di una insolita architettura.
Nel confronto delle cappelle vicine, ricche di marmi, la bianca vastità di questo disadorno vano, sorprende: "ell'è rozza, perchè dove tutte le altre cappelle di Roma sono di marmi antichi, questa è fatta di travertini (1)". Ma approfondendo il raffronto, quanto ad organismo, con altre architetture, sentiamo che tale potente espressione emana da una singolare, nuova impostazione del concetto architettonico.
Una romana austerità si esprime dalla semplicità costruttiva sdegnosa d'ogni lenocinio di decorazione, che è affidata solamente al ritmo dell'unico dominante ordine composito, inquadrante, in giro, il perimetro dell'ambiente: questo ordine si raggruppa, in determinati punti, in un fascio di pilastri e colonne, a guisa di contrafforti interni, protesi, con accentuato distacco dalla linea perimetrale, verso il centro del vano, cui si volgono, secondo direzioni diagonali, veri nodi sui quali convergono le linee arcuate di due absidi ribassate, amplianti lateralmente il vano, nonchè i pennacchi di una volta centrale a vela; questi si spiccano dalle quattro colonne distaccate, disposte secondo le diagonali del quadrato base della volta a vela (figg. 1-2-3).
L'effetto che ne sorprende, deriva dal contrasto di questi nuclei costruttivi e dal modo della loro disposizione in confronto dello sviluppo calmo delle pareti che da essi si dipartono: dal distacco di questi nuclei nasce un giuoco prospettico che isolando alcune parti della composizione rispetto ad altre, accresce profondità agli spazi, creando una sensazione di maggiore ampiezza.
Il complesso dispiegarsi degli elementi della composizione, in una logica, necessaria distribuzione di azioni statiche di volta, effettuantisi nel contrasto tra l'azione della volta centrale a vela e le calotte degli emicicli laterali e delle volte a botte longitudinali, il predominio che in quest'insieme ha la linea arcuata, creano una sensazione di forza, che sembra voglia espandersi dall'interno verso l'esterno, incurvando, quasi gonfiandole, le pareti racchiudenti il vano. Onde non può sorprenderci l'impressione su la Cappella Sforza, che potrebbe sembrarci settecentisticamente amplificatrice, ma sostanzialmente giusta, che il Bottari esprime nelle sue parole (2): "quanto al disegno ella è uno sforzo dell'ingegno del Buonarroti, perchè ella contiene una semplicità magnifica, una novità bizzarra sì, ma regolarissima, ed un grande ed un terribile che sorprende chi la mira, in forma che non vi sembra di vedere una cosa vera, ma un'idea astratta o figurata col pensiero o veduta in sogno di un edificio il più singolare e magnifico che sorpassi le fòrze del pensiero umano" (fig. 4).
Questa Cappella Sforza, che per lunga tradizione, dal Vasari attraverso il Sei e settecento, ininterrottamente e ammirativamente (abbiamo riportato le parole del Botlan) è designata col nome di Michelangelo (3), aveva una superba facciata che la rivelava all'interno della navata della Chiesa.
Potè essere ammirata fino al 1748, La ricorda il Pancirolo e Cecconi in "Roma Sacra" (1725); "la Cappella dei signori Sforza tutta con architettura di Michelangelo Buonarroti, con buona facciata di travertini (4), Bottari (5) così la descrive: "ha una facciata superbissima, di una maestà e sodezza ammirabile, che risponde in Chiesa, e forma l'ingresso in detta Cappella, con una cancellata di ferro che la chiude. Questo pezzo d'architettura dagli intendenti è stimato più bello della Cappella medesima, quantunque bellissima. Adesso, nel rimuovere la chiesa per pareggiare le muraglie sento che vogliono tor via questa facciata col pretesto ch'ella si scompagni."
E in lettera 20 luglio 1748 descrive ancora la "bellissima facciata" nel mezzo della quale era come un portone chiuso da una cancellata di ferro e di qua e di là due cartelle, con de' pilastri. "Ora tutta questa facciata è stata nel mese passato buttata a terra per pareggiare il muro, dicendo che deturpava la simmetria della Chiesa..."
Questa facciata fu riprodotta da Joachin von Sandrart in "Andere Theil des grossen Schauplatzes von dem alten u. neuen Rom 1694, Tav. IX-X".
Ne abbiamo un'idea dal disegno che si riproduce (fig. 5), tolto dal De Angelis (6), e sulla scorta del quale abbiamo tentato di ricavarne le proiezioni, riferendo le dimensioni a quelle delle colonne della navata, e a quelle della porta originaria tutt'ora conservata nell'interno della Cappella (fig. 6).
Se non ci affidasse la designazione della tradizione, e se non ne rassicurasse il possente linguaggio che può percepire chi si sia accostato altre volte al mistero dell'opera michelangiolesca, l'analisi dei caratteri di quest'opera, il raffronto con i documenti grafici del maestro che anche su questo tema dell'architettura di organismi a forma centrale seppe imprimere i segni della sua potente individualità, basterebbe consentirci di collocare questo monumento nella serie delle opere del maestro, di considerarla anzi fra quelle nelle quali il suo spirito più compiutamente si definisce.
L'opera appartiene certo al periodo della vecchiezza del Buonarroti allorchè egli "aveva raggiunto il più alto grado dell'eccellenza in genere di architettura" nel tempo che la sua mente si affaticava nelle ricerche grandiose del tempio dei fiorentini. Ne guida l'accenno del Vasari: "fece (Michelangelo) allegare a Tiberio con suo ordine a Santa Maria Maggiore una cappella per il cardinale di Santa Fiora restata imperfetta per la morte di quel cardinale e di Michelangelo e di Tiberio che fu di quel giovane grandissimo danno (7).
Questo Tiberio è il Tiberio Calcagni, artista fiorentino nato nel 1532 e morto in Roma nel 1565, cui tocca in sorte di unire il mediocre suo nome a quello del maestro, perchè questi ebbe a ben volere "questo scultore fiorentino giovane molto desideroso d'imparare ". "In questo tempo (sembra intorno al 1556) Tiberio Calcagno, scultore fiorentino, era divenuto molto amico di Michelangelo per mezzo di Francesco Baldini e di M. Donato Giannotti" tanto che Michelangiolo gli dava a finire il marmo della Pietà che egli aveva rotto e la testa del Bruto.
Ora appunto nel tempo che Michelangelo operava alla elaborazione dei piani della Chiesa dei Fiorentini - tra il 1559 e il 1560 - egli teneva ad aiuto questo Tiberio: "per le cose di architettura, non potendo disegnare più per la vecchiaia, nè tirare linee nette, si andava servendo di Tiberio perchè era molto gentile e discreto ", Tiberio lo assiste nel rilievo (del sito della chiesa), nel tracciamento dei disegni, secondo quanto fu concordato con i deputati della nazione fiorentina: "conclusero che l'ordinazione fosse tutta di Michelangelo e le fatiche dello eseguire detta opera fussero di Tiberio", Tiberio col consenso di Michelangelo reca a Cosimo I i disegni della Chiesa.
Come per l'opera della Chiesa dei Fiorentini così l'opera del Calcagni nella Cappella Sforza che il Vasari richiama, deve essere considerata come quella di un materiale aiuto nella esecuzione di dati costruttivi e tecnici a sviluppo della ideazione del maestro. Nè d'altra parte la figura artistica di questo Tiberio Calcagni si manifesta in altre opere che possano legittimare una qualsiasi altra partecipazione all'opera della Cappella Sforza oltre i limiti indicati. I pochi disegni poveri, stentati, senza vita che a lui si attribuiscono alla Galleria degli Uffizi, se mostrano qualche derivazione dal màestro, ma con particolari più baroccheggianti, non rivelano alcuna personalità. Oltre ad un restauro della chiesa di Sant'Angelo in Borgo (8) egli affida il suo nome nel tempo solo che per la partecipazione che indirettamente lo lega secondo Vasari alle vicende delle due sculture michelangiolesche, la "Deposizione" e il "Bruto ", e quanto all'architettura, alla costruzione del modello della Chiesa dei Fiorentini (9) sui dati di Michelangelo, e quindi, analogamente, alla elaborazione di disegni costruttivi della cappella del card. Santa Fiora in Santa Maria Maggiore "che era cominciata ", rileviamo bene, quando Michelangelo gli fece "allogare" l'opera.
Ilcardinale di Santa Fiora, che una iscrizione all'ingresso ricorda, è Ascanio Sforza, discendente da Bosio II, conte di Santa Fiora e da Costanza Farnese, sorella di Pierluigi Duca di Parma, ramo quindi di Bosio Sforza, primo figlio legittimo di Sforza il grande. Appena il cardinale Farnese fu assunto al Pontificato (Paolo III), Ascanio ai di 18 settembre 1534, all'età di sedici anni è fatto cardinale, e nel 1541 Camerlengo di Santa Chiesa, legato in Romagna e di Ungheria.
Si segnala per la sua grande abilità nelle cose politiche e per la sua fiera opposizione alla politica del Pontefice Paolo IV Carafa che iniziava una formidabile lotta contro la preponderanza spagnuola in Italia,
Dopo averlo osteggiato durante il conclave, capeggia in Roma il partito imperiale, per gli spagnuoli, sfida l'ira del Papa facendosi partecipe della diserzione di certe galere comandate dai suoi fratelli, e militanti nell'armata francese, che, da Civitavecchia, passano agli spagnuoli, Ne subisce la severità pagando con denaro e con la prigionia in Castel Sant'Angelo la ribellione al Pontefice sdegnato. Ma l'attaccamento alla Santa Sede lo trae nell'aspra vicenda della guerra tra Santa Sede e Carlo V, culminante in grave minaccia fin sotto le mura di Roma, a trattare col duca D'Alba la pace, e, quindi, a farsi intermediario della riconciliazione tra il Papa e la Corte di Spagna (10).
Il cardinale Sadoleto ne elogia la prudenza e la "natural piacevolezza"; Marcantonio Flaminio la sua liberalità, la sua dottrina e l'amore alle lettere, dimostrate nel fondare una Accademia di Belle Lettere in Castelarquato e per l'incremento della ricca biblioteca Sforziana, celebre al tempo del Baronio, L'artistica Villa nei pressi di Santa Maria Maggiore (oggi Fondo Culto) e il Palazzo di Proceno presso Acquapendente, di nobile arte derivata dagli schemi Sangalleschi, testimoniano oggi la signorilità di questo Principe.
Michelangelo aveva avuto dal giovane cardinale il beneficio della sua intercessione allorchè questi nel 1538 si interessava perchè gli fosse riconosciuta una rendita del passo del Po sopra Piacenza, che Paolo III gli aveva istituito e che una Beatrice Trivulzi gli contendeva vantando i suoi diritti, ne faceva registrare nei libri della Camera apostolica il breve di Paolo III, e Michelangelo entrava in possesso di quelle rendite ai 4 febbraio 1538 (11).
Molti anni più tardi, il cardinale illuminato e potente, arciprete della Basilica, devolvendone le rendite, vuole dedicare alla Congregazione di Maria Vergine la costruzione di questa Cappella, destinandola per sua sepoltura (12). Il nipote di Papa Farnese, che in tanto onore aveva tenuto l'opera di Michelangelo, che questa aveva compensata con tanta amorevolezza e con molti onori, trova in quegli che fu l'architetto della sua casa, che era, per Breve, tra i famigliari del Papa, l'architetto del monumento da lui votato.
Alla sua morte avvenuta al 7 ottobre 1564 è incerto se nella Villa di Comedi in territorio mantovano o in territorio di Cremona, la Cappella, come dice il Vasari, era incompiuta.
Non è dato stabilire in quale epoca poterono avere inizio le opere: allorchè secondo i dati del Vasari si delinea nelle opere di architettura il minore aiuto del Calcagni, e cioè entro i limiti che vanno dall'anno 1556 in cui "per mezzo di Francesco Baldini e di Donato Giannotti" egli fu presentato al maestro, attraverso il periodo del 1559-60 epoca della elaborazione dei progetti per S. Giovanni dei Fiorentini fino al 1564, anno della morte di Ascanio e di Michelangelo, l'opera doveva essere nel suo pieno svolgimento secondo i piani del maestro e con la materiale esecuzione del Calcagni cui l'opera era stata allogata. La morte di Calcagni l'anno dopo, 1565, tronca nuovamente questo svolgimento. Secondo quanto Ascanio Sforza morendo comandava, gli eredi, cui lasciava un legato, proseguivano il monumento della sua Pietà, e il card. Alessandro, fratello di Ascanio, arciprete della Basilica, conduce infatti a compimento la cappella, dedicandola nel 1573 alle Sante Lucilla e Flora (13), e nel suo quarantottesimo anno, essendo ancora in vita cioè nel 1582 essendo egli nato nel 1534, si fa costruire il suo sepolcro.
È per questi ultimi lavori di compimento che si fa il nome del Della Porta. Possiamo forse riconoscerne l'opera nelle finestre a forte rastremazione e con i doppi timpani quali prima non si erano adoperate in Roma trascurate nel dettaglio, nonchè, nei due sepolcri a marmi colorati: la policromia largamente usata nelle opere del Della Porta ci testimonia, per quanto a noi non sia possibile averne altre prove, che i due monumenti possano a lui attribuirsi (fig. 8).
Taluno ritiene (14) che una variante sia stata portata ai piani di Michelangelo dagli esecutori posteriori, Calcagno e Della Porta. Uno schizzo di mano di Michelangelo (Frey 95) che i seguito esamineremo in relazione alle altre concezioni michelangiolesche sul tema delle costruzioni a forma centrale, può quasi con certezza ritenersi la preparazione del concetto architettonico compiuto nella Cappella Sforza, oltre che per i caratteri generali che consentono tale riferimento, anche per molti elementi specifici, quali la linea esteriore racchiudente un perimetro a guisa di delimitazione di un edificio a sè come fu la Cappella Sforza (vedi fig. 8), e l'accenno di una comunicazione che indica come l'ambiente disegnato debba collegarsi ad altro(15).
Se si riferisce questo disegno allo stato attuale di esecuzione della Cappella Sforza ne rileviamo veramente una differenza: una delle absidi, quella che dovrebbe essere di fronte all'ingresso, sarebbe stata soppressa nella costruzione e mutata in una navatella rettangolare coperta da volte. È questa la variante portata alla Cappella Sforza dagli esecutori Calcagni o Della Porta? Riteniamo di doverlo escludere: la forma dei quattro piloni angolari doveva necessariamente essere stabilita fino dagli inizi della costruzione, costituendo la base costruttiva ed architettonica della composizione: questa forma cosi com'è, non può consentire altro collegamento di absidi oltre le due laterali: il pilone infatti non ha una simmetria diagonale che consenta un attacco simmetrico di un'altra abside: ora questi piloni anche tecnicamente sono i primi elementi della ordinazione, che risale necessariamente al tempo in cui Michelangelo operava: qualsiasi modifica non poteva essergli ignota, ne è da supporre che l'aiuto Calcagni di fronte al maestro osasse apportare varianti senza il suo consentimento.
Il concetto generale del resto rimane fondamentalmente intatto e lo schizzo esaminato rappresenta appunto la prima idea che tuttavia sussiste nel compimento.
Potrebbe supporsi forse una variante in qualche dettaglio nel materiale, tracciamento delle volte di copertira (16), ma null'altro confermiamo quindi quanto sui limiti dell'opera del Della Porta si è detto precedentemente.
Del resto altri particolari comuni ed altre architetture michelangiolesche tornano in quest'opera. Tali l'adozione dell'ordine unico per il quale Michelangelo, nella sua ricerca di grandiosità, ha preferenza (Campidoglio, Biblioteca Laurenziana, S. Pietro, e questo ordine, nella Cappella Sforza, spicca al modo fiorentino che qui nuovamente si manifesta.
Ritroviamo ancora il contrafforte costituito da una associazione di pilastro e colonna con i quali egli muove la parete concentrando in alcuni punti, nuclei costruttivi di forza (Vestibolo della Biblioteca Laurenziana), fasci di colonne e pilastro nei disegni per la Sacrestia di S. Lorenzo (Frey II, 199) e per la facciata di S. Lorenzo (vedi figg. 9-10).
E il distacco rispetto alla linea perimetrale dei sostegni di copertura portati accentuatamente verso il centro dell'organismo come si vede nella Cappella Sforza, troviamo ancora nei disegni per la Chiesa dei Fiorentini e in genere nelle ricerche architettoniche (Frey Il, 267, 273, 223).
Sulla nudità bianca delle pareti della Cappella Sforza solamente l'orgogliosa forma romana composita intagliata nel rude travertino: l'artista fiorentino adusato ai bianchi sfondi dei suoi monumenti nativi, sposa alla semplicità originaria, la più superba forma decorativa. Non sorprende che in quest'opera della sua possente vecchiezza il maestro abbia adottati con esempio nuovo in un interno, la rude pietra romana, chè questo è conforme al sentimento di forza di cui s'improntano le sue ultime opere romane (Porta Pia) e a tale espressione bene si addice la complessa forma dell'ordine trionfale.
Certo qui non è la elegante interpretazione degli ordini del periodo fiorentino, allorchè Michelangelo, più giovane s'indugia in una sottile personale ricerca. Qui è la sbozzatura potente, come nelle sculture incompiute nel taglio maschio: l'ansia delle opere nuove trae il maestro: l'opera può nel suo secondario dettaglio esser compiuta da un minore artefice, o, come forse in questa cappella, da qualche maestranza, senza che perciò l'impronta ne vadà diminuita. Non ricerchiamo qui il particolare tranne l'idea della adozione dell'ordine composito, che Michelangelo già ripetutamente annota nei suoi disegni dell'Arco di Costantino, che, dopo i lavori di sistemazione di Santa Maria degli Angeli nella sala termale Diocleziana, in questo monumento si rinnova, per voltare la vela, spiccandola al modo termale dalla colonna distaccata, tranne la fondamentale idea, non possiamo nel particolare ritrovare il maestro. Non la profilatura della trabeazione, banale e grossolana, in confronto alle ricercatezze strane di modinature del tutto nuove e speciali che sono nelle opere fiorentine o nei suoi disegni: non il capitello, del quale un curioso particolare esecutivo ci conferma in quanto si è accennato, che, cioè, l'esecuzione delle parti in pietra possa spettare a maestranze sotto la guida forse del Calcagni. In questo capitello, le foglie della seconda corolla degli acanti, non hanno, come in ogni puro e compiuto modello, la nervatura del loro nascimento tra l'intervallo delle foglie della sottoposta fila degli acanti, ma i due ordini di foglie si distaccano nettamente l'uno dall'altro, discoprendo la svasatura della campana rovesciata costituente la forma geometrica del capitello stesso. Identico particolare d'esecuzione si riscontra nel capitello composito delle colonne del cortile del Palazzo Ducale di Urbino. In tutte e due i casi si rileva questa grossolanità di esecuzione che non può certo risalire agli artefici che danno il nome a quelle opere insigni. Un secolo di distanza, ma identico procedimento: è che ancora il metodo di lavoro della Rinascenza lascia che accanto al maestro fiorisca il minore laboratorio d'arte decorativa che sulla scorta dei dati architettonicamente essenziali elabora le parti decorative accessorie: ad uno di questi laboratori appartengono alcune parti del monumento michelangiolesco.
Ma non per questo l'opera perde il suo alto sentimento trasfuso dall'artefice che è riconoscibile nell'impeto, nel senso di grandiosità di questa architettura che basa il suo effetto nel contrasto delle masse e degli spazi, nella semplicità di pareti ampie, di linee semplici, nella solidità di nuclei di essenziale costruzione. Impostata così l'architettura michelangiolesca romana, il minore dettaglio perde la sua importanza nella valutazione dell'opera, Questo del resto è il procedere dell'opera massima di S. Pietro.
II
Il tema di costruzione a forma centrale, cui tanto si appassionano gli architetti della Rinascenza, trova in Michelangelo un'interpretazione singolare e nuova: ci è dato seguire l'elaborazione di questi concetti, concretantisi finalmente nella forma compiuta nella Cappella Sforza, attraverso la serie dei disegni e degli schizzi di sua mano, che ci rimangono a documentazione di tali idee.
Due concetti fondamentali si delineano negli appunti rapidamente tracciati a fermare in modo sintetico l'idea.
L'uno è dato da uno schema a croce: gli spazi esterni ai lati della croce si completano con vani curvati ad absidi. L'altro si svolge sulla base del quadrato ai cui lati si aprono simmetricamente delle absidi.
Nell'un modo e nell'altro - ed è questo che caratterizza queste concezioni - lo spirito che guida la mano imprime alla curva un vuoto per cui la forma che ne risulta non è quella del semplice meccanico semicerchio, ma si accentua in una forma elittica, o se in forma circolare, oltrepassando il semicerchio stesso, rivelando così quella forza interiore, quella tensione, che in ogni forma plastica michelangiolesca, si racchiude (si veda nella fig. 16 i modi architettonici con cui tale sentimento viene materializzato).
Il primo concetto si concreta nel disegno per la Chiesa dei Fiorentini (vedi fig. 11 tratta dal Frey II, 294) (17) che nell'opera "Insignium Romae Templorum prospectus" pubblicato da G. Jacopo De Rossi nel 1684 apparisce in forma architettonicamente completa nell'incisione di Valeriano Regnard (fig. 12) e, pure con qualche variante nel concetto dell'innesto delle absidi alla croce fondamentale tuttavia insistenti ed evidenti su l'impianto predominantemente circolare, nel disegno Frey II, 296 costituente ancora un'altra idea per la Chiesa della Nazione fiorentina (fig. 13).
Al secondo schema appartengono il disegno Frey 295 (fig. 11) sempre per la detta Chiesa, il disegno Frey II 293, e finalmente i disegni Frey II 284 e Frey I 95 che più ci interessano perchè sono in essi delineate alcune delle essenziali caratteristiche della Cappella Sforza.
Le nicchie si ricongiungono in quattro angoli del quadrato base, in accenno di pilastro al quale si addossano in ogni angolo due colonne secondo direzioni oblique diagonali.
È questo il modo del tutto nuovo ed inconsueto di associare la colonna al pilastro, insistentemente ricercato anche in altri frammenti di disegni, rivelanti il dubbio tra pilastro d'angolo, e colonna d'angolo, o pilastro e colonna che ad esso si associ letteralmente o no (vedi oltre alle tavole indicate la tav. del Frey II 273, 223).
Tale dubbio si risolve nel disegno Frey 95 che abbiamo già citato ponendolo in relazione con la Cappella Sforza.
Anche in questo disegno, tracciato quasi compiutamente in ogni simmetria dello schema planimetrico e con precisa definizione della forma costruttiva architettonica, riapparisce ancora in uno degli angoli del vano, il dubbio dianzi rilevato: mentre in tre dei cantoni del quadrato dell'ambiente centrale base, sono segnate le colonne distaccate, normalmente disposte rispetto ai pilastri, in un quarto cantone riapparisce ancora l'accenno del dispositivo, altre volte ricercato, di portare la colonna a fiancheggiare obliquamente il limite della nicchia:
è precisamente la soluzione che vediamo oggi compiuta nella Cappella Sforza, e che costituisce la materializzazione in forma di architettura di quelle linee absidali ellittiche o di quelle forme più complete di curvatura nelle linee primetrali, che furono più sopra poste in evidenza (fig. 15-16).
L'espressione di classica romanità che dal monumento emana deriva dalla maniera analoga a quella dai romani usata per voltare le crociere nelle grandi sale termali, maniera che qui si rinnova nel suo speciale atteggiamento. Questo dispositivo per il quale i pennacchi della volta trovano il loro sostegno in colonne distaccate collocate negli angoli del quadrato base dell'ambiente coperto, oltre al modo indicato, è attuato in altri esempi romani; nella sala delle grandi terme di Villa Adriana resta il peduccio della volta che doveva proseguire nella colonna, come lo annota Giuliano di Sangallo (vedi il libro di Giuliano da Sangallo tav. 41): soluzione analoga di crocera impostata su colonne angolari è disegnata in una pianta del Sepolcro dei Cercenii (18) (Codice Vaticano 3439 riprodotta da Rivoira, arch. rom. pag. 230).
Questo modo - attraverso la particolare alterazione romanica che fonde nel piedritto in un solo fascio tanto le colonne che proseguono gli archi direttori delle crociere e delle vele, quanto le colonne destinate a raccogliere le nervature diagonali delle crociere, è ripreso largamente nell'architettura del Rinascimento, allorchè il problema di svolgere una forma sferica sulla pianta quadrata sarà tentato con nuovo spirito: citiamo l'esempio bramantesco del S. Bernardino di Urbino.
Non è altrettanto frequente trovare in esempi dell'antichità classica riscontro nella disposizione in senso diagonale di tale piedritto, sia esso colonna, sia pilastro, disposizione che costituisce la caratteristica singolare del monumento che stiamo studiando. Possiamo intravedere forse una tale soluzione nel disegno di Giuliano da Sangallo (tav. II) e di una pianta di tomba "insuprati fuora di Roma miglia III" nel quale sono raffigurate quattro semi colonne ri-volte in senso diagonale, e proiettate sul piano dal disegno, come due nervature o costoloni di volta che quelle colonne dia-gonalmente collegano: oppure in quel più complesso e vasto edificio che fu "a lato del Battesimo di Costantino" al Laterano, che Giuliano da Sangallo e Sansovino dise-gnano (19) nel quale la volta centrale dell'organismo a croce (i lati della croce sono a volta a botte) si sviluppa dai quattro pie-dritti, ad ampia forma circolare, che costi-tuiscono un motivo architettonico simme-tricamente disposto rispetto alle diagonali del quadrante centrale.
Altrettanto eccezionale è questo dispo-sitivo in opere della Rinascenza, anteriori a Michelangelo: possiamo intravederla nel bizzarro pilone della Cattedrale di Carpi, e, con più affinità con la realizzazione effettuata nella Cappella Sforza, in una tro-vata architettonica raffigurata nell'affresco raffaellesco delle stanze, l'Eliodoro scacciato dal Tempio la cui immaginaria architet-tura è costituita da una serie di navatelle coperte da cupolette e il passaggio della base quadrata alla impostazione rotonda delle calotte è costituito, negli angoli in cui la cupola sarebbe in falso, da colonne di-staccate e rivolte diagonalmente.
È solo in questo monumento michelan-giolesco che si concreta un concetto archi-tettonico con altri espedienti e solo ecce-zionalmente posto nell'antichità e timida-mente accennato in qualche costruzione anteriore a Michelangelo, per cui ci è lecito affermare che questa architettura michelangiolesca costituisce la conclusione dei cicli anteriori, relativi alle forme di orga-nismi di piante centrali o almeno di una delle particolari forme che tali organismi assumono. Si riconnette questa architettura alle forme absidate, trilobate o di celle an-cora in uso nell'architettura dei romani.
La forma cruciforme di sale e di sepol-cri deriva organicamente dal predisposto contrasto delle masse murarie, e dall'am-pliarsi dei quattro archi direttori di una volta centrale, in quattro più grandi braccia coperte da volte a botte: sono numerosi e noti gli esempi di questa forma. Più raro nell'architettura romana è l'esempio che queste braccia a croce - in genere rettan-gole - siano absidate, portando a contrasto della volta centrale l'azione dei semi ca-lotte ricoprenti i lati in curva degli am-pliamenti laterali. Alcuni esempi sono ri-prodotti dei disegni di Montano degli edifici antichi. Un edificio antico, ignoto, a tre emicicli sviluppati su tre lati della sala qua-drata è disegnata da fra Giocondo (vedi Bartoli I, LX). Citiamo, ancora perchè più direttamente in analogia col monumento michelangiolesco una sala delle terme di Caracalla (riprodotta da Rivoira Arch. Rom. fig. 330-331) nella quale appunto l'am-pliamento laterale di una sala rettangola e ottenuta con absidi a curva ribassata co-perta da semicalotte contrastanti la volta centrale a crociera; e ancora una sala qua-drilobata nel Palazzo imperiale di Porto: forma centrale ampliata da ambienti ab-sidali laterali vedesi anche nelle Piccole Terme a Villa Adriana (20).
Questa forma trilobata si propaga nel-l'architettura cristiana dei primi secoli la ritroviamo in alcune architetture cristiane della Siria ed in altre caratteristiche d'A-frica (architetture cristiane del IV, VI sec.) e, per convergere dei procedimenti latini d'occidente e di quelli del centro d'Asia Minore, culmina in più estesa e complessa forma nelle architetture bizantine: variano e si complicano le forme, ma il concetto è quello romano.
L'architettura del Rinascimento nella ricerca dei modi di voltare la cupola, si appoggia a questa forma perchè organicamente logica, esteticamente più atta al convergere verso il fastigio della cupola centrale: lo svolgimento di questa ricerca, attraverso al fondamentale impianto bramantesco (Santa Maria delle Grazie, progetti per S. Pietro) potrebbe ampiamente seguirsi nei disegni che pel S. Pietro elaboravano i maggiori della Rinascenza.
Raggruppiamo in un primo schema (schema A, vedi fig. 20) relativo a organismi costituiti da un vano centrale coperto da volta o da cupola contrastante da absidi immediatamente tracciate sui lati del quadrato base dell'organismo centrale, alcuni esempi.
Minori realizzazioni possono intravedersi in alcune chiese Umbre; la chiesa Tonda in Spello e l'Annunziata a Foligno.
Si sviluppano da questo schema in complesse e grandi architetture la magnifica chiesa di Santa Maria della Consolazione a Todi iniziata nel 1506, la crociera del transetto coperto a cupola nella chiesa del Redentore a Venezia, e posteriormente la magnifica pianta di Santa Maria del Belvedere a Città di Castello. E a questo schema ancora, ma con la particolarità di colonne disposte negli angoli del quadrato centrale a sostegno di archi e di volte che da esse si svolgono al modo già citato nel bramantesco S. Bernardino, altri più tardi esempi, quale la parte del transetto della cupola di S. Pietro in Bologna e le navate del S. Fedele di Milano nel quale il dispositivo termale per svolgere le volte a crociera di una grande sala è rinnovato nel tardo cinquecento del Tibaldi.
Questo primo schema si amplia: i lati della croce si protendono mediante navate conchiuse in absidi (vedi schema B fig. 17) oppure mentre il quadrato base di cupola o di volta centrale si riduce ad un sostegno su colonna o pilastro retto o smussato o misto di pilastro o colonna, la linea perimetrale si amplia, si aprono cioè le navate della croce, a somiglianza del sistema bizantino del X e XI secolo, (vedi figura schema C).
Numerosi sono gli esempi del 1° modo: su essi si esercitano in ideazioni varie, Pietro da Cortona (dis. Uff. 2252-2253), Ammannati (Uff. 3884-3825-2826) Giorgio Vasari (Uff. 4793-4795-4818).
Ma sopratutto importanti sono le attuazioni: per lo schema B, S. Luca e Martino di Pietro da Cortona che molta analogia ha con la Cappella Sforza, sia pure con maggiore complessità anche per il dispositivo di colonne angolari, la Madonna della Steccata a Parma, il coro del Duomo di Como, S. Attanasio dei Greci di Giacomo della Porta, la Sant'Agnese del Borromini.
Appartengono allo schema C tutta la serie dei progetti che da Bramante, a Raffaello, da Peruzzi e Sangallo a Michelangelo ricercano la più grandiosa espressione di questo concetto, già, con altre forme ed in altre epoche delineato.
Appartengono allo schema C, l'armonica Chiesa della Vergine a Macerata, e, in Roma un piccolo gioiello della Rinascenza, la Chiesa di Santa Maria della Quercia, del 1532, che in una perfetta proporzione, quasi in una miniatura, riproduce la maggiore concezione architettonica che su questo schema idea il Rinascimento.
I progetti che per il massimo tempio elaborano gli architetti della Rinascenza, rappresentano lo svolgimento nelle forme le più complesse, di tale schema.
Tali forme sono più complicate nel piano bramantesco; la forma della zona a, b, c, d ad ambiente multiplo, cruciforme; il perimetro esterno frastagliato da rientranze costituenti porticati; agli angoli del grande quadrato base a, m, p, q, poderose torri che avrebbero dovuto contrastare come piloni la cupola ribassata al modo di quella del Pantheon, cinta dall'anello del colonnato svolgentisi all'intorno del tamburo: intorno alla cupola centrale, corrispondentemente alle quattro zone a, b, c, d, altre quattro minori cupole che avrebbero dovuto far corona alla maggiore. È questa la massima concezione, che mente umana, con le possibilità della materia costruttiva, come svolgimento di forme elaborate dall'esperienza di precedenti secoli, e portate già alle più ardue altezze, si potesse ideare.
Peruzzi e Raffaello, raccolgono alquanto la vasta concezione bramantesca: il perimetro si conchiude più semplicemente, e nei loro piani, come anche in quello di Sangallo, le absidi terminali dalle braccia della croce, avranno, nel gioco planimetrico e nel contrasto delle masse, la essenziale loro importanza. E comune ai progetti dei tre architetti seguenti Bramante, la concezione delle absidi a deambulatorio, come per formare una navatella minore che gira secondo l'abside stessa.
Sono questi procedimenti che conducono verso l'ulteriore semplificazione, verso la sintesi michelangiolesca. Il piano bramantesco, cui umilmente Michelangelo si proponeva di attenersi, per restare, secondo il suo detto, nella verità, si disperde, all'atto pratico, e prende il sopravvento la forza dell'opera michelangiolesca, che elimina il superfluo, limita nella sua linea conchiusa, nella essenziale organicità e necessità costruttiva, la visione architettonica del tempio.
Planimetricamente un sapiente proporzionamento delle sezioni murarie (fig. 18): il vano centrale, coperto dall'immenso duomo circondato da una navata a quadro, le quattro braccia della croce, racchiuse dalle absidi, che internamente ed esternamente si rivelano chiare, invitando, col loro incurvarsi nella zona basamentale, il giro del tamburo della cupola ascendente. Esteriormente non più il frantumarsi di ordini sovrapponentesi in loggiati ed ambulacri, come altre ideazioni anteriori: l'ordine unico e posto nei nuclei di contrafforte. Michelangelo, rinnova nella sua più grandiosa concezione, atteggiamenti già rivelati in altri suoi studi, e in questa minore Cappella Sforza che abbiamo esaminato: ecco, nel punto dove le absidi si distaccano dal quadro perimetrale, egli dispone, come raccordo, quasi speroni, piloni aventi un andamento diagonale rispetto agli assi fondamentali ortogonali della composizione i (vedi nella Fig. 18 le zone tratteggiate): torna ed insiste ancora una delle particolari movenze dell'architettura michelangiolesca, già nel corso di questo studio rilevato.
Allo stesso modo che Todi e S. Celso, o la Chiesa delle Grazie sono, nel ciclo bramantesco, la minor prova della più completa ideazione del tempio della Rinascenza, così nella Cappella Sforza noi ritroviamo in minor scala, la minore espressione dei concetti portati quindi alla più ardua complessità nel S. Pietro michelangiolesco.
A quale di questi schemi leghiamo la Cappella Sforza? Essa contiene in sé elementi di ciascuno, e se ne distacca in pari tempo: deriva dalle più semplici forme trilobate; contiene sia pure in modo più raccolto e concentrato il concetto di quello schema che caratterizza specialmente le architetture bizantine e più tardi di alcune particolari forme della Rinascenza che abbiamo citato, e che si definisce per il modo di portare verso il centro, isolandoli, i sostegni della copertura centrale. Nella Cappella Sforza, questo distacco, non è così completo ma si accentua decisamente; tuttavia la forma e il modo di volgere questi piloni, il sapiente tracciamento di curve che crea contrasti di piani e di masse intervengono a dare con accorgimenti d'arte la più completa sensazione di questo distacco che richiama perciò il raffronto di precedenti tipi.
Ecco dunque che questo monumento s'incastra come un anello nella serie degli svolgimenti architettonici sul tema delle forme di edifici a organismo centrale: ma dove gli altri monumenti analoghi si creano per lenta elaborazione di secoli e di stirpi qui è l'intuizione meravigliosa del genio, che crea un tipo; tipo che è un nodo che apre nuove possibilità.
Già il barocco trova della libertà di movenza che è nella Cappella Sforza, dalla forza contenuta della sua linea, buono spunto alla sua esuberanza ed al suo impeto. Borromini nella sua Chiesa di S. Carlino alle Quattro Fontane, associando absidi ribassate, vòlgendo obliquamente colonne donde si partono nervature di una completa volta, e più ancora l'architettura della Vergine di S. Luca a Bologna che molto direttamente si ricollega al concetto michelangiolesco, la magnifica Chiesa di Santa Maria di Belvedere a Città di Castello, mostrano appunto una nuova interpretazione del tema posto con potente individualità dal grande artefice di ogni arte.
VINCENZO FASOLO.
Debbo ricordare con gratitudine il peni. Giovannoni e mons. Blasiotti Il primo, mio maestro negli studi di ar-chitettura, proponendomi il tema e confortandomi del suo sapiente consiglio nell'arduo studio intrapreso, e il secondo conoscitore profondo della storia della Chiesa di Santa Maria Maggiore, e fautore entusiasta della paternità di Michelan-gelo nella Creazione della Cappella Sforza, favorendomi parte del materiale illustrativo, hanno contribuito al presente studio e mi è grato dovere esprimere i sensi della mia riconoscenza.
(1)BOTTARI Lettera 8 giugno 1748 nel Fanfani: Spi-golature Michelangiolesche, pag. 90.
(2)BOTTARI: Lettera cit.
(3)Vedi PANCIROLO e CECCONI: Roma sacra, ed. 1725; BOTTARI: Lettera citata e l'altra 20 luglio 1748; POMPI-LIO TOTI: Ritratto di Roma antica, 1638.
(4)TITI: Nuovo studio di pittura e scultura delle Chiese di Roma, pag. 283 dice: "la cappella del sig. Sforza che ha bella facciata di travertino, fatto il tutto con eccellen-tissimo disegno del Buonarroti.
(5)BOTTARI: Lettere citate a nota 1 e 3.
(6)Da ANGELIS: Basilica di Santa Maria Maggiore Descriptio et delineatio. Tav. 99, pag. 72.
(7)VASARI: Vita di Michelangelo, Ed. Milanesi, VII, pag. 264.
(8)Vedi THIEME-BECKER: Lexicon, V, p. 376.
(9)Vedi DAGOBERT FREY: Michelangeos Studien: I progetti di Michelangelo per S. Giovanni dei Fiorentini.
(10)RATTI: La famiglia Sforza, pag. 233: Vedere anche PASTOR: Storia dei Papi. Vol. VI.
(11)GOTTI: Vita di M., pag. 301.
(12)L'iscrizione all'ingresso della Cappella dice: "Guido Ascanio Sfortia - Diacon Card. S. Florae - huius basilicae archipresbyter - Sacellum hoc - pietatis suae monumentum a se dom viveret - inchoatum - moriens legata haeredi-bus - pecunia absolvi - testamento iussit - Anno MDLXIV".
(13)Iscrizione all'ingresso della Cappella: " Alex. Sfor-tiae - S. R. E. Presbyter Card. - Huius Basilicae Archi-presbyter - Sacellum a Guidone Ascanio - Erette incoatum de suo perfecit divisque Florae et Lucillae - Gentia sue patronis a se dicatum Bonis ad sacra lacendia auxit - or-navitque - anno MDLXXIII".
Iscrizione del sepolcro che Alessandro si fece erigere in vita: "D. O. M. Alexander Sfortia. S. S. E. Card. Pauli III Pont. max. nepos - Bononiae et Flaminiae sub. Pio IV et GregorioXIII legatus -Signaturae iustitiae prefectus Huiusque basilicae archipresbyter - sito mortis memor posui Annum agens XLVIII.
Iscrizione del sepolcro di Ascanio Sforza: "D. O. M. Guido Ascanio Sfortia. Card. Pauli III nep - S. R. E. Ca-merario Bononiae et Flaminiae legato - atque huius basi-licae archipresbytero.
Alex. Card. Sfortiae fratri desideratis - visit an XLV menses X dies XII obiit an sol, MDLXIV non. oct.
(14)RATTI: Basilica Liberiana, pag. 20. "La Sforza, incominciata dal card. Guido Ascanio, col disegno del gran Michelangelo e terminata dal di lui fratello card. Alessandro arcipreti ambedue, colla direzione di Giacomo della Porta, essendo già morto il Buonarroti e in nota: "Essendo forse la parte anteriore variata dal primo disegno del Buonarroti perchè eseguito dal Della Porta, taluno non la ritiene opera di Michelangelo, ma sarebbe presunzione il negar ciò data la testimonianza del Vasari"; Anche GURLITT: "Ges-chichte des Barockstile" pag. 63 dice parlando di Della Porta, che elevò secondo i piani creati da Michelangelo la Cappella Sforza": Id. BURKHARDT: Cicerone, "A Santa Maria Maggiore la Cappella Sforza è stata eseguita da G. Della Porta o Tiberio Calcagni da un piano di Michelan-gelo arbitrariamente modificato".
(15)Vedi DAGOBERT FRAY: Michelangelo Studien.
(16)Una tale idea mi è stata espressa da mons. Bia-siotti: ma deve escludersi perchè tecnicamente nessuna altra forma di volta può essere adottata su l'impianto basamen-tale della Cappella.
(17)Nella citazione di disegni Michelangioleschi mi attengo per brevità alla sola indicazione della numerazione delle tavole nelle quali sono riprodotte nell'opera di CARL FREY: Die Handzeichnungen Michelangiolos Buonarroti, opera che è facilmente consultabile.
(18)Vedi RIVOIRA: Arch. Rom., pag. 230.
(19)Vedi il Libro di Giuliano da Sangallo, tavola 32. Rivoira ne riproduce un disegno degli Uffizi n. 438: vedi in Arch. Rom., pag. 314.
(20)LANCIANI: Annali dell'Ist. di Corr. Arch. 1868, pagg. 148-172.
(21)Nel rilievo de me eseguito e nel disegno relativo, ho omesso la rappresentazione dei due sepolcri laterali es-sendo mio intendimento non turbare la visione dell'insieme architettonico della Cappella, con accessori secondari.
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