FASCICOLO VI FEBBRAIO 1924
ENRICO MORPURGO: Un architetto genovese a Vienna: Giovanni Luca de Hildebrand, con 10 illustrazioni
Vi sono delle anime tormentate, incapaci di frenare la loro vita randagia; vanno sempre, spinte da una fortuna avventurosa, insensibili ai dolci richiami della nostalgia. Patria? Per i migratori non esiste. Questa smania di vagare, passa di padre in figlio. Piccini, quando il profilo della città natale non può ancora fissarsi nella loro mente, iniziano il loro pellegrinaggio; grandicelli, seguono il padre sulle impalcature, nella campagna o stilla scena; giovani ancora, si staccano dalla famiglia per iniziare da soli la loro vita di nomadi.
Il Seicento ed il Settecento, secoli effervescenti, ricchi di fatti Carme, di intenso lavorìo artistico, di sconvolgimenti caotici, di infiltrazioni straniere, dovevano necessariamente favorire la vita dei randagi — fossero artisti o guerrieri di ventura, E tra essi primissimi gli italiani, ricercati e richiamati ovunque, in un tempo in cui era a noi universalmente riconosciuto il primato nel pensiero e nell’arte.
Uno di questi, ingegno magnifico, ricco di risorse e di mente vastissima, si che se fosse rimasto in Italia molto di lui si ragionerebbe, è l’architetto Giovanni Luca de Hildebrand, nato il 14 novembre 1668 a Genova. Il padre Cristoforo, capitano negli eserciti imperiali, dopo aver bivaccato in tutti gli stati della penisola — dal Trentino alla Calabria — passò alcuni anni di vita riposata a Genova, ove prese moglie. L’ufficiale non era di pretta origine tedesca; parecchi degli antenati si erano ammogliati in Italia, e qualche ramo della famiglia, piegato il nome alle esigenze della lingua vi era rimasto. Dall’unione del capitano con la donna genovese, nacque l’architetto di opere civili e militari, prediletto da quel genio italiano — il Prinz Eugen dei tedeschi — che noi col pieno nome chiamiamo Eugenio di Savoia.
La fama di Giovanni Luca non è fondata di riflesso, per esser stato l’architetto di un grand’uomo, ma per l’opera stessa, prodotto della sua mente e delle sue mani, geniale vasta insuperata. Non inganni il suo nome (chè già troppo è stato nominato tra i tedeschi), l’arte sua, come la sua nascita e i suoi studi, la sua anima e il suo ingegno, sono squisitamente italiani e i suoi palazzi e le sue lettere briose e spigliate lo attestano chiaramente.
Giovanni Luca de Hildebrand dilettandosi fin da fanciullo di tracciare disegni e progetti, assecondato dalla famiglia, si diede all’arte, e andò a Roma, ove — dopo una breve preparazione avuta dal Ceruti, si perfezionò sotto la guida del celebre architettore e matematico Fontana, Come di tutti gli artisti del barocco, pochissimo si sa della sua vita. Le date incerte, a volte discordano tra loro.
Una recentissima pubblicazione del Grimschitz, ricca di scoperte e densa di osservazioni prezioso contributo alla conoscenza dello sviluppo intellettuale e artistico del nostro architetto non rileva a noi nuovi particolari sulla sua vita giovanile.
Sicuramente egli — come il milanese Donato Felice d’Allio, costruttore del convento di Klosterneuburg presso Vienna, e il trentino Paolo Strudel, scultore — arruolatosi nell’esercito imperiale, vagò lunghi anni per le provincie del (allora) fiorente impero, Eugenio di Savoia, creato — dopo la battaglia di Torino nel 1706 governatore di Milano, lo incontrò durante un’ ispezione e ne rimase ammirato: le costruzioni del giovine architetto gli dicevano molto di più delle buone relazioni dei suoi generali. Il principe, uomo d’azione, che sapeva vagliare gl’ ingegni e trarre il massimo utile dalla loro capacità, ritornando a Vienna, lo condusse seco, assieme a una coorte di eletti artisti, tra quali il dimenticatissimo stuccatore Santino Bussi, Marcantonio Chiarini, il Dorigny, il Solimena e lo scultore genovese Domenico Parodi.
Il Hildebrand conosceva l’ambiente viennese. Nella sua vita randagia altre volte vi era stato; anzi poco tempo dopo esser stato nominato architetto di corte — titolo allora rispettabilissimo, riservato quasi esclusivamente a italiani — nel 702 progettava alcune modificazioni al palazzo imperiale.
Ma prima di questo incarico, che cosa fece a Genova, a Milano? Non si sa. Eppure, prima che l’imperatore gli commettesse un incarico, doveva aver dato prove della sua perizia.
A Vienna il Hildebrand, incaricato dal vicecancelliere conte Federico Carlo di Schònborn, rifece a più riprese tra gli anni 1706 e 1721 il palazzo di campagna, che la famiglia possedeva nelle vicinanze della città. Non è gran cosa: la costruzione un po’ asmatica — sparisce al paragone delle opere stupende erette più tardi.
Il compagno d’armi di Eugenio — il generale Daun — incaricò l’architetto di progettargli un palazzo, che venne senza indugio costruito. Sorse cosi tra il 1709 e il 1711 quel gioiello di architettura, ammiratissimo dai contemporanei, che diede all’arte della capitale una nuova impronta: il palazzo Da un (ora Kinsky). Con l’abile interpolazione di pile a guisa di erme, di trofei e di statue, egli conferì alla facciata un aspetto grazioso e leggiero che tutti vollero imitare.
Intanto il conte Schönborn lo incaricava di costruire a Göllersdorf (luogo amaro nel ricordo dei redenti ove scontarono in dura prigionia l’amor di patria) una villa estiva. Tra il 1712 e il 1714, nel qual anno un architetto tedesco lo sostituì nella direzione dei lavori, il Hildebrand progettava ed eseguiva il piccolo castello, che è la prima costruzione organica nella quale abitazione e giardino si equilibrano e si fondono armoniosamente.
È il primo passo verso il capolavoro.
Il Hildebrand lasciò anche in Germania tracce magnifiche della sua arte, e il castello di Pommersfelden, da lui ivi costruito, è la sua prima opera monumentale. Spetta al Grimschitz il merito di aver sciolto l’enigma che ne avvolgeva la storia. L’architetto — raccomandato dal vicecancelliere Schönborn al principe elettore Lotario Francesco — nel 1713, iniziò i suoi lavori, quando gran parte del castello era già considerevolmente cresciuta dalle fondamenta. L’architetto Dientzenhofer ne aveva tracciato i piani, ma il Nostro, non soddisfatto del progetto, chiese di poterlo rifare. Dopo lunghi dibattiti gli si concedette soltanto di rinnovare completamente la parte centrale, che pur ora — confrontata con le ali laterali — sembra una gemma incastrata in un cerchio di metallo: nelle ali tutto è freddo e schematico rispetto al padiglione centrale pieno di anima e di movimento. Esso all’interno alberga la scala, che è la più bella, la più ariosa, la più fantastica scala della Germania.
Il Hildebrand non sempre era presente alla costruzione del palazzo; per lo più da Vienna, ove nel frattempo eseguiva altri lavori — inviava per iscritto ordini e disposizioni.
La fama era fatta. Il principe Eugenio di Savoia gli commise la costruzione della sua residenza estiva.
Non è cosa facile descrivere ciò che il Hildebrand fece: gentilezza e severità, bellezza di profilo e maestosità di complessi donano all’edificio un vero fascino; e il “Belvedere”, soffuso com’è d’una leggiadria quasi irreale, vive nella superstizione del popolo come soggiorno di fate. E noi italiani, entrando nei suoi recinti segnati della croce sabauda, ci sentiamo pure trascinati dalla bellezza tutta nostra. Gli alberi, i viali, le statue, le fontane, le scalinate — tutto ci sembra nostro, come se il costruttore avesse strappato a Roma un brano delle sue delizie e del suo cielo, per trasportarli nella capitale nebbiosa.
Incresciose complicazioni ereditarie dispersero i tesori d’arte raccolti nelle sale del palazzo e purtroppo anche i fascicoli contenenti i progetti e le fatture: così, poco o nulla si sa degli artisti che ivi oprarono — e possiamo bene dirci fortunati che non si negò all’architetto genovese la paternità di cotanto edificio.
Il trattamento non sempre benevolo della corte viennese gli amareggiò spesso la vita. Il suo arco trionfale di tutta pietra, eretto l’anno 1712 per il castello imperiale, che fino allora era privo di un’entrata decorosa, venne nel 1728 demolito, dovendo cedere ai nuovi palazzi ideati non da lui, ma da altro architetto.
Questi il Fischer sia pure involontariamente — gli contese vittoriosamente il concorso per la costruzione della chiesa di S. Carlo, nel quale i progetti del Bibiena e del Hildebrand erano stati scattati. Da ultimo — nel 1724 — l’imperatore negò di conferirgli (sia pure per motivi economici), il titolo di primo architetto di corte; ed allora il Hildebrand riprese la vita randagia, preferendo esser primo in provincia che secondo nella capitale.
Già nel 1710 aveva eseguito alcuni lavoretti per l’arcivescovo di Salisburgo, che in splendidezza di costruzioni superava lo stesso imperatore.
Ivi rifiorì il genio di Giovanni Luca, che diede alla città alpina, il suo palazzo migliore: il “Mirabello”.
Salisburgo la Roma tedesca aveva ospitato un secolo prima, un altro genio italiano, Scamozzi, l’architetto delle Procuratie nuove di Venezia, e allora era ancora piena di artisti italiani, che la ornavano di fontane, di chiese e di palazzi. Durante la costruzione del “Mirabello” il nostro architetto non stette sempre a Salisburgo, ma continuò la sua vita nomade.
Lo troviamo a Vienna, a Linz, a Göttweih; ora qua ora là si segnala il suo passaggio.
La sua mente vulcanica disponeva tre costruzioni contemporaneamente: il “Mirabello”, la chiesa per i templari tedeschi a Linz ed il monastero di Göttweih. Quando v’è un'incertezza nella costruzione accorre qua o là, pur che non s'intralcino i lavori. In periodo di lavoro normale nota in cenni concisi le istruzioni necessarie.
Il “Mirabello” due volte devastato dal fuoco, è cattivo testimonio della sua primaria bellezza: lo scalone centrale, la sola parte intatta, con la sua balaustra capricciosa ricca di volute e putti irrequieti, dà un'impressione tanto viva, che riesce impossibile concepire l’aspetto del palazzo in origine.
Della piccola chiesa di Linz poco si può dire, specialmente se consideriamo il progetto per il monastero di Göttweih. Allora i conventi erano presi da quella mania costruttiva, che generando, a tutta gloria d’Italia e dei suoi architetti, gioielli architettonici impareggiabili, corrodeva tanto le finanze ecclesiastiche e le borse dei sudditi, da costringere Giuseppe II, a frenare la follia dei religiosi chiudendo chiese e cacciando i frati.
Naturalmente anche i fondi non bastavano, e spesso bisognava interrompere i lavori. E ciò che accadde a Klosterneuburg e in parte a S. Floriano, il magnifico convento ideato da G. E. Carlone, avvenne pure a Göttweih.
Il progetto presentato dal Hildebrand superava in estensione e in magnificenza l’Escurial: una chiesa, tra un infinito numero di caseggiati, divisi da giardini o da boschetti, entro una cinta altissima di bastioni. Anche qui mancò il denaro, e non si finì la quinta parte del progetto che già si dovettero sospendere i lavori.
Anche il progetto del nuovo castello imperiale di Vienna — come già più sopra si disse — ad eccezione di un piccolo teatro nella Schauflergasse, rimase sulla carta. Ci rimangono però i disegni eseguiti tra il 1724 e il 1725.
Il Hildebrand non si scoraggiò, e continuò in altre opere la sua attività, finchè giunse il momento della giusta ricompensa. L’imperatore Io richiamò a Vienna e gli concedette il titolo di primo architetto di corte accompagnato da un lautissimo stipendio. Il suo concorrente era morto; architetto celebrato, consigliere ricercatissimo, visse gli ultimi anni di sua vita in seno alla famiglia.
Il 16 novembre 1745 mori lasciando importi di denaro a artisti italiani bisognosi e le case ai figli.
Così perdette la storia dell’arte italiana un suo maestro: se il Hildebrand fosse rimasto in Italia, tutti ripeterebbero il suo nome. Ma ebbe il torto di varcare le Alpi.
E la fama non lo seguì.

ENRICO MORPURGO.




Bibliografia: ALBERT ILG, Die Fischer von Erlach, Wien, 1895. — Prinz Eugen von Savoyen als Kunstfreund, Wien, 1889. — Das Palais Kinsky auf der, Freiung in Wien, Wien, 1894.
Mitteilungen d. K. K. Zentralkommission in Wien, 1896. JOH. Ev. SCHLAGER, Materialien zur öst Kunstgeschichte, Wien, 1850.
Monatsblatt des Alterthumvereines in Wien, Wien, 1889, 1897, 1910.
Österreichische Kunsttopographie; Vol. XIII, Die profanen Denkmäler der Stadt Salzburg, Hansa Tietz, Wien, 1914; Vol. XIX. Jahrhundert, Moritz Dreger, Wien.
Bruno GRIMSCHITZ, Joh. Lucas von Hildebrandts Künstlerische Entwicklung bis zum Jahre 1725, Wien, 1922.

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