FASCICOLO V GENNAIO 1924
GUSTAVO GIOVANNONI: Recenti opere di Guido Cirilli, con 21 illustrazioni
Non è certamente nostro intendimento riassumere nei brevi confini di un articolo tutta la vasta produzione di uno degli ar-chitetti italiani più vivaci e significativi quale è il Cirilli, e tracciarne la completa figura di artista, e seguirne la multiforme attività nei campi dell’architettura, dell’in-segnamento, della conservazione e del re-stauro dei monumenti; poichè, se pure lo spazio della Rivista lo consentisse, riter-remmo quanto mai vano ed imperfetto il trasformarsi in biografi di un architetto nel pieno fervore della vita, in critici di un’o-pera immediatamente prossima a noi, che svolge il suo ciclo pieno e che non può es-sere considerata con gli stessi metodi obiet-tivi di archeologi e di storici d’Arte con cui noi ricerchiamo e studiamo, ad esempio. quella di Ictino, o di Rabirio, o di Bramante o del Bernini…
Più semplicemente, ma più efficacemente, e scopo delle attuali note e, più ancora, delle riproduzioni che le illustrano e che richieggono breve commento — poichè l’opera architettonica parla da sè il suo linguaggio semplice e chiaro senza che occorrano ciceroni autorizzati a dichiararne il significato — il dare nozione di alcune delle più notevoli opere del Cirilli compiute in questi ultimi anni, nell’ambito dell’architettura monumentale o dell’architettura pratica o delle arti decorative.
Ma pure in questa modesta forma di obiettiva cronaca d’Arte non sarà inopportuno il rilevare le doti che danno una fisonomia singolare a tutte le opere del Cirilli, a cominciare da quelle ben note della cappella espiatoria di Monza o della tomba di re Umberto al Pantheon, o del sepolcro Besso, o della sede della Esposizione di Venezia, ecc, per giungere alle attuali, E sono la cura coscienziosa di ogni particolare, l’affetto pel proprio lavoro che traspare in ogni elemento, la conoscenza raffinata di tutte le tecniche e di tutti gli effetti delle arti decorative, la ispirazione serena, la fine eleganza e l’armonia di forme e di colore della composizione, e sopratutto il sentimento vivo d’italianità che sempre la pervade, senza mai una nota fuori tono, una frase od una parola tratta da altro linguaggio: sentimento ribadito nello studio, nella comprensione sicura, nella assimilazione, elaborata e ravvivata da uno squisito temperamento d’artista, di tutte le manifestazioni significative del nostro passato.
E non è piccolo merito. In questo tempo in cui l’Architettura troppo spesso si esaurisce in tentativi isolati, in mode effimere ed in trasposizioni irrazionali ed innaturali, il mantenere viva la fiaccola della più gloriosa e permanente delle nostre tradizioni vera tradizione imperialistica della nostra stirpe — il tener fede senza tentennamenti ad una religione di arte italiana, ed il cercare di rinnovellarne le espressioni e di continuarne il cammino nelle applicazioni nuove, è impresa nobilissima, destinata ad esercitare una provvida funzione diretta od indiretta nello sviluppo e, speriamo, nella ripresa vivace e trionfale (molti indizi ce ne danno ferma fiducia) della nostra Architettura.

Tra le opere che qui si presentano la più importante è certo quella dell’altare e dell’ iconostasis nella Santa Casa di Loreto, di cui danno illustrazione le figure annesse. Allor che il gravissimo incendio ebbe distrutto tutto l’interno della Santa Casa (rispettando per fortuna il marmoreo rivestimento esterno dovuto a Bramante ed al Sansovino, e le parti essenziali del tempio), sorse immediatamente il voto che l’Arte compiesse la sua devota opera ricostruttrice, e rielevasse in nuova forma l’iconostasis che molti anni prima aveva il Sacconi eseguito, rinnovando e sviluppando, forse con fasto esagerato e con troppa complicazione e sovrapposizione di linee e di elementi, un vecchio motivo esistente. Ed il compito fu legittimamente assunto dal Cirilli, architetto della S. Casa, il quale ora, da qualche mese, l’ha condotto felicemente a termine.
Nelle rudi pareti interne della S. Casa ogni superfazione è stata eliminata; nelle offerte dei fedeli che prima si affollavano e ricoprivano inorganicamente pareti ed altare, ora è stato tolto ogni carattere sporadico ed introdotta una severa unità con la concezione artistica; la quale si concentra nel fondo, intorno al sacro simulacro rinnovato e racchiuso io una nicchia ed in una composizione architettonica e decorativa, materiata di marmi colorati e di bronzi. Anteriormente un arco trionfale collegasi con la volta della cappella, ed un altare, di non vaste dimensioni, si avanza. Dietro questo è il corridoio, a cui si accede dalle due porte laterali ed ivi, sotto la sacra icone, è il camino.
Così nello spazio ristretto, nell’ambiente suggestivo, l’effetto è affidato essenzialmente alla preziosità del materiale, alla raffinata perfezione delle forme e degli ornati e, più che tutto, alla sinfonia dei colori che il Cirilli compone con una vera scienza musicale. La zona anteriore ha il marmo greco come materiale dominante, nello stilobate della zona più interna è il pavonazzetto, innestato con marmo africano e cipollino antico ed alabastro orientale; e nella composizione sovrastante, in cui è ricavata la nicchia della Sacra Icone, è il cipollino con note di porfido e di verde antico.
Ai marmi s’innestano le decorazioni in bronzo, magistralmente eseguite dalla officina Caligaris di Udine: di ricco e squisito motivo ornamentale nelle griglie dei pannelli fiancheggianti la nicchia e, più ancora, in quelli retrostanti all’altare, ove s’intrecciano foglie di vite e grappoli d’uva.
Ogni particolare dell’ornato della suppellettile è stato curato dal Cirilli: i candelabri e la croce sull’altare, le cinque lampade di metallo e di vetro di Murano che pendono dall’alto; gli effetti di luce e di ombre affidate in parte a lampadine nascoste che permettono l’accentuazione del potere coloristico di alcune parti, la concentrazione intensa su alcune zone. E le due statuette di S. Anna e di S. Giuseppe, egregiamente modellate dal Morelli di Ancona, che si avanzano alla base dell’arco trionfale, mostrano nella loro sobrietà di atteggiamento che per una volta tanto l’ispirazione di un’unica energia di artista è riuscita in un’opera moderna a ricollegare all’architettura la scultura, non più libera, svolazzante, priva di linea e di solidità.

Da questo lirismo d’Arte passiamo, nelle fig.1 a 4, ad una più pratica espressione architettonica quale è quella della sede della Banca d’Italia in Ancona che si eleva sul porto, e più precisamente tra il porto e la piazza del Teatro. Trattasi invero più che di una costruzione organicamente nuova di un ampliamento e di un adattamento di un edificio preesistente; che tuttavia assume un carattere a sè in molte pani, specialmente all’esterno nell’angolo volto verso il porto (fig. 11) ed all’interno nei vestiboli, nell’antisala (fig. 11), nella sala della Tesoreria (fig. 12), nel salone del pubblico (fig. 14). Ed è carattere di arte signorilmente sobria, dall’ornato sottile e talvolta tenuissimo dai giusti rapporti di proporzione e di colore.

Nelle figg. 15 a 18 ci si presentano alcuni interessanti monumenti memoriali. È a fig. 15 ed a fig. 16 il monumento ai dieci Militi Ignoti in Aquileia che si eleva a tergo della Basilica monumentale e viene compresa nello spazio centrale della cortina di cipressi che precisano la cinta esterna del cimitero di guerra. Essa riannodasi alla sacra cerimonia a ricordo ed a celebrazione dei nostri giovani eroi caduti nella guerra di redenzione: cerimonia in cui tanta parte ha avuto il Grilli con le decorazioni ideate del carro, delle urne, del luogo.
Nel progetto integrale del Cirilli, il cui disegno è riprodotto nella fig. 15, un grande arco, a guisa di arcosolio, racchiude un altare e sostiene una lampada. Il progetto è stato eseguito soltanto ora (fig. 16) e noi possiamo dare la primizia di questa opera la cui severità di linea risponde alla severità del colore della pietra grigia di S. Giovanni, sopra Trieste in cui è eseguito, mentre la dignità della classica forma offre all’insieme un mirabile carattere degno davvero della grandezza del significato.
Ed ecco altri due monumenti: la grande targa commemorativa elevata a quota dodici presso le foci del Timavo ed offerta dai forestali e dagli elettrotecnici italiani, ed il monumento ai caduti di Offagna, nelle Marche; alta stele che si eleva da un pluteo, a ridosso della rocca quattrocentesca. Or quanta differenza fra queste sobrie espressioni, raccolte in una chiara linea architettonica, suggestive appunto nella loro forma semplice, ritmiche nell’innesto dell’ornato limitato a brevi zone e la nudità della parete, con le tante opere retoriche, banali, sciocche che quasi ovunque nelle città e nelle borgate d’Italia deturpano le belle piazze armoniose ed offendono insieme il sentimento di pietà e di patriottismo che dovrebbero celebrare!
È la differenza, è il contrasto tra la piatta volgarità dei mestieranti e la nobiltà di temperamento di un artista che pensa e che sa, e che riunisce armonicamente entro l’architettura tutte le manifestazioni d’Arte: come era nel bel tempo antico e come dovrà essere nuovamente.

GUSTAVO GIOVANNONI

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