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PIETRO ROMANELLI: Vecchie case arabe di Tripoli, con 21 illustrazioni |
Laspetto in cui Tripoli si presenta oggi, dal punto di vista edilizio e monumentale, prescindendo naturalmente dalle più re-centi costruzioni e dai cambiamenti del suo piano, verificatisi sopratutto dopo loc-cupazione italiana, si può dire sia stato assunto dalla città dalla metà del 1500 in poi, e precisamente dal momento in cui i Turchi la riconquistarono nel 1551, dopo il breve periodo della dominazione cristiana di Spagna e di Malta. Prima dallora vien da credere che essa non offrisse alcun che di monumentalmente notevole, a giudicare dalla mancanza più che scarsità di resti, e quasi perfino di memorie, di edifici che avessero carattere di edifici darte. Al con-trario dopo la metà del 1500, mentre tutti i paesi del Mediterraneo si risvegliano al soffio di vita che la nostra penisola irradia con il fulgore e il vigore della sua rinascenza, e mentre daltro lato la capitale islamica segna, quasi in modo materialmente visibile, con la grandezza e lo splendore delle sue costruzioni, lapice della potenza ottomana, Tripoli, che di quella vita e di questa potenza non può non sentire, pur lontano ed affievolito, il riflesso, assurge pure essa nel suo aspetto esteriore al grado di città. Essa vede non solo rialzarsi più possenti gli spalti del castello e i forti della cinta urbana, ma vede sorgere entro di que-sta moschee, bagni, case, che, nella ricerca di linee architettoniche e più particolarmente di partiti decorativi, mostrano in maniera evidente di perseguire, con risultato sia pure più o meno felice, intenti darte.
Le antiche case tripolitane oggi ancora esistenti (1) si distribuiscono dunque cronologicamente fra la fine del secolo XVI e il principio del secolo XIX: allinfuori di una, che in un iscrizione su mattonelle di maiolica (fig. 17) conserva lanno della sua costruzione (1228 d. E. = 1813 d. C.), e il nome del costruttore (ustâ Yûsuf el-Chmaier), di nessunaltra siamo in grado di stabilire con precisione la data esatta di fondazione: è peraltro possibile determinare per tutte o per quasi tutte il periodo di tempo in cui sorsero, e più in particolare è possibile determinare di esse una specie di successione cronologica. A ciò concorrono in parte le memorie storiche che con le case stesse si ricollegano, ma sopratutto il confronto dei motivi e delle forme decorative che si riscontrano in esse con i motivi e le forme decorative delle moschee della città, delle quali tutte possediamo la data precisa di fondazione. Gli stessi maestri infatti che costruirono i luoghi di preghiera, dovettero lavorare anche ad innalzare e a decorare le case private, o quanto meno dagli uni dovette prendersi modello per le altre: tanta era del resto la scarsità di vita artistica, e tanta la penuria di artisti nella città, che doveva venir naturale, una volta create certe forme artistiche, queste ripetere sempre ed ovunque di esse fosse bisogno. Di queste forme alcune permangono costanti per tutto il periodo dal 600 al -800, altre invece mutano col tempo o scompaiono per cedere il posto a forme nuove. Per questi mutamenti e successioni di forme ci è dato distinguere delle case tripolitane tre gruppi diversi, che si differenziano fra loro non tanto per quella che è la fisonomia generale della costruzione, che rimane sempre la medesima, quanto per alcune particolarità sopratutto degli elementi decorativi. Il primo gruppo, e più antico, può stabilirsi, senza una più esatta determinazione, tra la fine del secolo XVI, dopo la riconquista turca, e la fine del secolo XVII, presentando forme somiglianti a quelle dellhammâm di Sidi Dorghût (1013 d. E. = 1604-1605 d. C.) e della moschea di Mohammed Pascia Shâib elâyn a Sûg et-Turk (1110 d. E. =1698-1699 d. C.); gli altri due gruppi sembrerebbero invece discostarsi cronologicamente ben poco luno dallaltro: ambedue infatti si raccolgono nel periodo allo stesso tempo, del principato indipendente dei Caramanli, il regno di Yûsuf Pascia, che va dal 1795 al 1832 e segna con la sua fine il termine dellindipendenza tripolitana: ambedue presentano eguali e confondono fra loro certi elementi, ma si differenziano invece per certi altri, per cui luno apparirebbe di poco precedente allaltro, ripetendo il primo alcune forme della moschea di Ahmed Pascia Caramanli, che è di più di mezzo secolo anteriore (1148-1150 d, E. 1735-1737 d. O), e ricollegandosi laltro più strettamente alla moschea di Gûrgî, lultima delle grandi moschee di Tripoli, costruita nel 1249 d. E.~ 1833-1834 d. C. Le differenze fra gruppo e gruppo sono soltanto, come ho accennato, in qualche elemento costruttivo e decorativo: il tipo e l'impronta generare della casa sono invece in tutti i gruppi i medesimi. La pianta della casa tripolitana, nella sua semplicità, si accosta più di quella di ogni altra casa di Oriente alla casa romana: un cortile centrale, a muri pieni o a colonne, talvolta anche con una vasca nel centro, limpluvium (fig. 2), intorno al quale si raccolgono le stanze che da esso hanno accesso e su di esso normalmente aprono le loro finestre. Fondamentalmente è questo il tipo generale e riconosciuto della casa in tutti i paesi dellOriente (2): senonchè è naturale che là dove la vita raggiungeva, con una maggiore agiatezza, un più alto e raffinato grado di sviluppo, il tipo tradizionale si svolgesse e si ampliasse e si modificasse, anche per meglio corrispondere alle necessità e alle abitudini particolari del popolo cui la casa doveva servire. Così avviene ad es., che in Egitto (3) e in Tunisia (4), per limitarci alle regioni dellAfrica del Nord, le case che si distinguono pur di poco dalle abitazioni comuni, presentano assai spesso non un solo cortile, ma una successione di cortili e di ambienti, e sopratutto alterano loriginaria e semplice disposizione di questi al fine di stabilire, secondo le leggi e le consuetudini islamiche, la maggiore possibile divisione fra le stanze destinate al padrone della casa ed agli uomini e le stanze delle donne e della servitù. La casa tripolitana, più modesta, conosce appena, si potrebbe dire: quel tanto solo che basta, questa divisione di quartieri: riunisce tutte le stanze intorno ad un unico e solo cortile, e per uso del padrone riserba una sola stanza, o poco più, cui si accede direttamente dallandito di ingresso, stanza situata molto spesso ad un piano intermedio tra il piano terreno e il primo piano, talvolta aperta verso lesterno, talvolta affacciantesi anchessa sul cortile interno. Questa stanza riserbata al padrone, e corrispondente al selâmlik dei Turchi, è detta a Tripoli ghurfet essaqîfa. Il cortile, quadrangolare, rimane dunque la parte più importante della casa, il centro di essa; vi si accede dalla strada per un andito ad angolo retto, secondo una disposizione comune anchessa a tutte le case dei paesi islamici (5), e dettata dalla opportunità di dar modo alle donne, che nel cortile passano di solito molte ore detta giornata, di ritirarsi quando luomo, o qualche estraneo con lui, sta per entrare. Il cortile è generalmente circondato di portici al pianterreno, e da una larga veranda, stendentesi tutto allingiro, al piano superiore: la casa non ha mai più di un piano. Nelle case del primo gruppo il portico si limita di solito ad un solo lato del cortile, in generale a quello corrispondente allingresso, e la scala che sale al piano superiore si apre nel mezzo del lato opposto; nelle case degli altri due gruppi invece il portico corre normalmente eguale su tutti i quattro lati. Portico e veranda sono sostenuti in parte da colonne, in parte da alti ritti in legno, simpatica ed esteticamente gradita persistenza delle antiche costruzioni lignee fiorite nelle regioni asiatiche. Le colonne sono nelle case più antiche di pietra locale, un calcare marmoreo, rossastro, che viene con grande probabilità dai monti del Gharyân e di Tarhûna, nelle più recenti, e cioè in quelle del terzo gruppo, di marmo bianco portato, con assoluta certezza, dallItalia. I capitelli, pur essi di pietra o di marmo come la colonna, sono nelle case del primo gruppo assai semplici, di forma quasi cubica, come il capitello bizantino a dado, con leggere incisioni, che vorrebbero segnare i contorni di foglie. Nelle case del secondo gruppo essi presentano invece un tipo che potremmo dire caratteristico di Tripoli, tanta è la frequenza con cui esso si ritrova nelle costruzioni, pubbliche e private, della città: lo abbiamo nel portico esterno della moschea dei Caramanli e in moltissime case ed edifici, che daltronde non mostrano alcun carattere darte. E un capitello in cui gli elementi tradizionali, classici, si mescolano stranamente con elementi locali, formando tuttavia un complesso che non può dirsi disorganico o inarmonico (figg. 5 e 6). Dalla base del capitello si distaccano, a rilievo appena segnato, quattro foglie a tre o a cinque lobi, che, col vatice in basso, piegano in alto il loro picciuolo per sostenere ognuna due volute, disposte ad angolo luna rispetto allaltra. Le volute si ripetono doppie ed eguali su ciascuna delle facce del capitello; il cuscinetto si riduce a qualche linea ad onda che congiunge tra loro le due volute, quando pure non scompare del tutto, dando luogo tra voluta e voluta ad un piccolo triangolo scolpito. Sotto a questo, tra foglia e foglia o è scolpita una mezzaluna, ovvero due steli, sorgenti pure essi dal basso, si congiungono e si piegano verso lesterno, formando come una bozza sporgente, lontano ricordo, chissà, degli steli e delle foglie dacanto dei capitello composito romano, di cui i maestri che lavorarono questi capitelli tripolitani avevano dinanzi, dispersi per tutta la città, esempi numerosi e non dispregevoli. Labaco, a tronco di piramide, è spesso ornato di una rosetta su ognuna delle fronti, e riceve direttamente la spinta degli archi sovrapposti, I capitelli delle case del terzo gruppo, che, come le colonne, sono in marmo, hanno invece perduto ogni caratteristica locale, e non sono che la monotona ripetizione di un tipo dalle forme freddamente classicheggianti, assai diffuso in Italia sul principio dell800; per inquadrarlo nel nuovo ambiente gli artisti non seppero fare altro in questo capitello che apporvi una mezzaluna su ogni fronte dellabaco! Larco usato in tutte le case tripolitane non è generalmente a tutto sesto, ma a sesto leggermente acuto e quasi sempre un po oltrepassato: è un arco tra il romano e larabo, o meglio è un arco arabo un po sciatto e sformato. La copertura dei portici e delle verande e costantemente piana, a travetti di legno; la copertura a vôlta o a crociera è del tutto sconosciuta, anzi ad evitare la difficoltà che poteva presentare, col sistema dei travetti, lincontro delle ali alle testate, è quivi, ad ognuna di queste, ricavato mediante due archi perpendicolari luno allaltro, e ricadenti sulla colonna dangolo, un vano di forma quadrangolare, e quindi anchesso facilmente riparabile con tetto piano a travetti. Le camere della casa si aprono con porte e finestre sul cortile e stilla veranda, una per ogni lato, senza comunicazione fra foro. La loro forma ne risulta perciò assai allungata; senonchè tale forma conferisce alla disposizione dellappartamento arabo, o per meglio dire è genialmente adoperata per ricavare dalla minore area il maggiore vantaggio possibile. Ogni stanza si trasforma infatti, mediante soppalchi in legname, in un intero appartamento. La stanza è talvolta a vano semplice, rettangolare: ad ognuna delle due estremità si innalza un palco in legname, una sedda che, nascosta da cortinaggi, riceve i letti; il centro della stanza è la sala da ricevere, il disotto della sedda serve da deposito. Talvolta invece, e ciò avviene di solito in alcune soltanto, non in tutte le stanze della casa, la stanza è a triplice vano: il vano principale ha forma di T con la barra orizzontale molto lunga, e vasta verticale corta e larga: le due estremità della prima ricevono le sedad, la seconda, più riccamente adorna nelle pareti e nel soffitto, e la sala da ricevimento. Altri due vani secondari sono ricavati agli angoli tra la barra orizzontale e lasta verticale; anchessi sono divisi nel senso dellaltezza in due: nella parte più bassa si depositano provviste, nella parte alta sono altre sedad accessibili da quelle del vano principale, e affacciantisi su di esso da due finestrine bifore di gentile e grazioso effetto (figg. 7 a 11). Come tutte le case dOriente, anche la casa tripolitana mostra il suo maggior pregio e la sua più particolare caratteristica nella decorazione, profusa nei cortili e nelle stanze, vivace, intonata allambiente sia fisico che etnico. Tale decorazione si fonda sopratutto su quattro elementi, tutti di lunga e copiosa tradizione nellarte musulmana: le cornici scolpite intorno i vani delle porte e delle finestre, i rivestimenti parietali di maioliche policrome, i soffitti in legno intagliato e dipinto, gli ornati in stucco. Il primo di questi elementi, le cornici scolpite, si ritrova esclusivamente nel primo gruppo di case, in quelle più antiche, nelle quali invece è meno frequente e meno diffuso luso delle maioliche; scompare nelle case più recenti, riducendosi a semplici fascie liscie, che inquadrano i singoli e tutti i vani delle porte e delle finestre. Il materiale adoperato per queste cornici è raramente il marmo; più spesso la consueta pietra marmorea locale, che meno del primo consente finezza di incisione e precisione di particolari. Alcune volte invece, e precisamente negli edifici che si avrebbe ragione di ritenere più antichi, la cornice e la decorazione sono ricavate direttamente dai conci stessi di arenaria (pietra di Gargâresh), adoperati nella costruzione (fig. 13). È una decorazione assai semplice, che consta di rosette di varia forma e di ruote a raggi alternate fra loro: motivo che non scompare negli edifici posteriori, ma rimane come accessorio, cedendo invece il primo posto allarabesco, floreale più che geometrico. Gli esempi più notevoli della decorazione ad arabesco sono nella casa detta dei Pascia in Sciara Glama ed-Drug, e in due case di Kûshet es-Saffâr (fig. 14-15): tutte, possiamo ritenere, contemporanee o quasi tra loro e alla moschea di Mohammed Pascia, Le roselline tradizionali sono ridotte a guarnire le fasce esterne delle cornici; sugli stipiti, sugli architravi, lungo i fornici si svolge invece, ora impacciato e come stretto nel viluppo complicato dei suoi intrecci, ora più libero nel giro delle sue volute, larebesco. Il rilievo è generalmente assai basso, quasi piatto; il motivo predominante, anzi esclusivo il floreale, dalle forme molto stilizzate, talvolta un po trite e dure, talvolta più morbide e più larghe, ma quasi tronfie: sono forme che, se si riallacciano nella loro ispirazione fondamentale alla tradizione araba, mostrano però daltro lato di avere risentito, e non poco, dellarte e della decorazione del seicento italiano e spagnuolo. Più libero e più naturale movimento assume invece la scultura se, abbandonando i motivi irreali e tradizionali, imprende a trattare un motivo, anchesso si di lunga tradizione, ma più romana e bizantina che araba, e comunque ravvivato di continuo dallispirazione sempre fresca e sempre presente della natura cioè il tralcio di vite. Esso, anche se si riveste delle forme irrigidite e stilizzate che ha già nella tarda arte bizantina, della quale vari esempi conosciamo a Tripoli e nella Tripolitania, mostra però sempre di fronte agli altri motivi una maggiore vivacità; ma noi vediamo che esso è capace di assumere talvolta anche forme di una naturalezza davvero sentita dal maestro che lo scolpì, se consideriamo ad es. le cornici di una delle case di Kushet esSaffar (fig. 14), nelle quali lispirazione naturalistica si rivela anche da altre figure e da altri segni, come gli alberelli di palma carichi di grandi grappoli penduli di datteri. Dinanzi a queste figurazioni che si scostano dalla tradizione, o che per lo meno questa rivivono di vita propria, noi avvertiamo finalmente una personalità e una individualità negli artisti che lavorarono ad ornare queste case tripolitane, e scopriamo le fonti onde essi trassero i motivi della loro arte. E tra queste fonti, oltre quella della natura, che, abbiamo visto, essi non trascuravano, par di riconoscerne una di carattere tuttaffatto locale: e cioè larte romano-tripolitana e bizantino-tripolitana, fiorita nella regione negli ultimi secoli della dominazione romana e dopo la conquista di Bisanzio (6) I rivestimenti di maiolica sono lelemento principe della decorazione di queste case, elemento venuto dalla Persia e dalla Mesopotamia, largamente e signorilmente adoperato dai Turchi nei più belli edifici di Costantinopoli, e per opera loro sopratutto diffuso dopo il sec. XVI in queste regioni dellAfrica settentrionale, Sotto un certo aspetto si può dire che questa decorazione tenga nelle case e negli edifici dellOriente medioevale e moderno il posto che nelle case romane, specie dellAfrica, teneva il mosaico: certo è nelluna come nellaltro la stessa vivacità di policromia ed è di ambedue quel senso di giocondità e quasi direi di freschezza che da loro deriva agli am-bienti. Le case del primo gruppo, come del resto le moschee che sono dello stesso tempo, sono meno ricche di tale decorazione, la quale invece è assai diffusa nelle case degli altri due gruppi: essa gira, a guisa di alta zoccolatura, intorno la parte inferiore delle pareti dei cortili e delle stanze più importanti, incornicia i vani delle porte, si raccoglie in pannelli tra finestra e finestra: non di rado anche i pavimenti se ne adornano, ma in forme assai semplici, perchè sono allora mattonelle monocrome o bicrome, per metà bianche e per metà brune, che si dispongono a scacchiera o a linea spezzata. La quasi contemporaneità di questi rivestimenti fa sì che le loro forme siano in quasi tutte le case le stesse. Il motivo principale è il floreale, così come nei rivestimenti ceramici delle moschee costantinopolitane: più spesso è la ripetizione monotona di rose entro cerchi, di stelle, di rombi: solo di rado la composizione prende aspetto di quadro: ma anche allora non si discosta dalle figurazioni più tipicamente tradizionali: o e un alberello di fiori e fronde multicolori che si leva da un vaso (fig.16), o è una moschea dalle molte cupole e dagli alti minareti che si incornicia nel vano di un arco a ferro di cavallo. I colori predominanti sono il verde e il giallo: mancano generalmente profondità di toni e delicatezze di sfumature; sia per impasto e per cottura come per decorazione non si può dire che le mattonelle di questi rivestimenti siano tra i migliori esemplari dell'industria ceramica: assai superiore sono ad es., per rimanere in Tripoli stessa, quelle dei rivestimenti della moschea di Ahmed Pascia Caramanli. Donde siano venute a Tripoli queste maioliche non si può affermare con sicurezza, chè, per quanto così vicine a noi di tempo, manca finora un documento certo della loro provenienza. C'è chi afferma che esse erano importate di solito dall'Italia, altri ritiene invece venissero dalle fabbriche dell'Oriente: soltanto un più accurato esame intrinseco della loro lavorazione potrà darci maggiore luce al riguardo. Anche l'uso del legno intagliato e dipinto l'arte tripolitana derivò dalle tradizioni dell'arte tripolitania derivò dalle tradizioni dell'arte musulmana. I soffitti sono talvolta a cassettone, quando il vano da coprire ha una superficie limitata, più spesso a tavole e travetti. L'intaglio simula una specie di corda lungo gli orli delle tavole, stonda gli spigoli dei travetti, ne sagoma le testate, sì da formare con esse come una serie di dentelli. La decorazione è essenzialmente a motivi floreali: leggeri, delicati, arabizzanti nelle forme e nel colorito lungo le superfici ristrette ed obbligate dei travetti, fastosi, confusi, con un'aria di barocco e di rococò italiano e francese nel fondo più ampio dei cassettoni. In legno, tornito, sono altresì le transenne delle verande, che fermano l'attenzione soprattutto per l'uniformità del tipo, eguale in tutte indistintamente le case tripolitane (figg. 19 e 20): tipo di forma un po pesante, ma non inelegante, se lavorato con una qualche cura e regolarità, ed ispirato alle forme usuali delle mucharabie egiziane (7). La decorazione a stucco, che nelle due principali moschee della città ha una parte così eminente e si presenta con così fantasiosa profusione di ornati sulle pareti, lungo gli archivolti, nel fondo delle cupole; ravvivata qua e là da una delicata policromia, non offre nelle case che scarsi e limitati esempi di sè. In una sola di queste case, la casa Gûrgî, ultima in ordine cronologico delle antiche case di Tripoli, e costruita in parte con i materiali residuati dalla costruzione della moschea della stessa famiglia, questa decorazione assume vera e propria funzione ornamentale, distendendosi sulle pareti della sala grande al piano superiore, e raccogliendosi in pannelli, tra finestra finestra o negli angoli intorno le porte, lungo i quattro lati della veranda. Invece in tutte le altre case tripolitane la decorazione a stucco si limita unicamente alle chiusure a traforo, con breve incorniciatura allintorno, di certe piccole finestre aperte sopra le porte delle stanze e dette dagli arabi del luogo gattùse (le gatte), e alle lunghe, semplici teorie di arcatelle allineate sulle pareti delle stanze, dei cortili, delle verande. Questa decorazione ad arcatelle, creata allo scopo di dare un aria ed un aspetto di leggerezza ai muri su cui si distende, è un'altra delle caratteristiche più spiccate delle case tripolitane, tanta è la frequenza con cui ritorna in ognuna di esse e in tutti gli ambienti di esse; decorazione del resto non particolare tripolitana, ma moresca e magrebina in generale, che a Tripoli dovettero portare i maestri tunisini ed algerini, ai quali la tradizione, e sembra giustamente, attribuisce concorde l'esecuzione di tutti gli ornati in stucco delle moschee. E' certo d'altronde che tutti i monumenti tripolitani (ce lo dice il rapido esame che abbiamo fatto delle vecchie case della città, ma più chiare prove ritrarremmo dallo studio dei monumenti, sotto ogni aspetto più significativi, di carattere sacro) debbono inquadrarsi nel quadro dell'arte magrebina, al cui campo di sviluppo e di diffusione la Tripolitania si ricollega geograficamente e storicamente: arte magrebina però che si manifesta qui non pura, bensì influenza e modificata grandemente dalle correnti ottomane, portate nella regione dalla dominazione di Costantinopoli e divenute in essa tanto più efficaci quanto meno vive e sentite erano le forze originali. Accanto peraltro a queste correnti ottomane un altro influsso si esercitò, e nemmeno in piccola misura, sui maestri tripolitani, ed è quello dell'arte coeva di Europa, e più in particolare di quella d'Italia , donde , oltre che i metodi e le forme, dovettero trarsi assai spesso anche i materiali costruttivi e decorativi; influsso a spiegare il quale non deve tenersi conto soltanto della vicinanza dei due paesi e dei frequenti scambi intercedenti fra loro, quanto piuttosto del fatto che molti di questi ignoti maestri, o per lo meno i loro più validi ed abili collaboratori, furono senza dubbio italiano, schiavi presi dalle navi barbaresche, portati a Tripoli, e quivi obbligati a lavorare per conto del pascià o dei suoi ministri (8). Sotto questo riguardo lo studio dei monumenti musulmani di Tripoli assume per noi una importanza assai maggiore di quanto a primo giudizio, e per il loro limitato valore artistico, potrebbe ritenersi. PIETRO ROMANELLI (1) Queste case d'interesse artistico e storico furono recentemente, per iniziativa di S. E. il Governatore della Tripolitania, On. Conte Volpi, riconosciute ad una ad una e sottoposte a speciali disposizioni di tutela. Appunto in occasione di tale lavoro di censimento fu possibile accedere in molte di esse, e raccogliere gli elementi per il loro studio. Il presente articolo non vuole essere che una rapida sintesi degli elementi raccolti: la descrizione particolareggiata delle singole case si spera possa essere data in una prossime pubblicazione di maggior mole, avente per oggetto non le sole case, ma tutti i monumenti d'arte musulmana della città. I rilievi che accompagnano lo scritto sono dovuti al valente topografo della R. Sovraintendenza ai Monumenti, sig. L. Turba; le fotografie al sig. O. Bragoni di Tripoli. (2) FRANZ PASCHA, Die Baukunst des Islam, p. 134 segg. Per la casa barbaresca v. anche SHAW, Travels or Observations relating to several parts of Barbary and the Levant, pag. 273 segg. (3) FRANZ PASCHA, loc. cit. (4) SALADIN, Arcitecture Musulmane, p. 282 sg., fig. 236. (5) FRANZ PASCHE, op. cit., p. 135. (6) ROMANELLI, L'arte nella Tripolitania romana, in Rassegna d'arte, 1921, p. 193. Una decorazione assai singolare e bizzarra, e che mal si può inquadrare con quella delle altre case tripolitane, mostra un edificio dell'oasi di Tripoli: di essa mi propongo trattare a parte altra volta. (7) MIGEON, Art Musulman, II, p. 110 segg. (8) Per l'Algeria vedi analoghi esempi nell'articolo in questa Rivista (I,3) di G. GIOVANNONI, Un quesito architettonico nel chiostro di Monreale. |
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