CONCORSI.
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE DEL CONCORSO BANDITO DALL'ISTITUTO ROMANO DEI BENI STABILI PER IL PROGETTO DI UNA CASA ECONOMICA DI ROMA.
Al concorso bandito dall'istituto Romano del Beni Stabili per il progetto di una casa economica da costruirsi in Roma, hanno preso parte ventiquattro concorrenti, e cioè: i sigg. Rubinik, Coletti, Bencini e Piccardi, Scialpi, Sicca, Ferranini Furiosi e Riccò. Motta, Fabbris e De Lordi, Chiesa e Marazzi, Barucci e Jofan, Ceas e Sandri, De Veroli e Rosati, Medori, Vinaccia, Giobbo, Campini, Energici, Sabbatini, Fiorini, Viano, Wittinch, Benigni e Giannoli, Ciacconetti, Gugia.
La Commissione cominciò i soci lavori nei pomeriggio del 27 corr. ed assicuratasi che tutti i progetti erano giunti in tempo utile e che i concorrenti si erano attenuti alle condizioni rescritte dall'art. 3 del bando di concorso deliberò dopo un primo esame delle opere presentate, di fissare la sua attenzione su quelle dei sigg. Rubinik, Bencini e Piccardi, Furiosi e Riccò, Chiesa e Marazzi, Barucci e Jofan, Ceas e Sandri, De Verdi e Rosati, Medori, Vinaccia, Giobbe, Campini, Energici, Sabbatini, Fiorini, Viano, Wittinch, Benigni e Giannoli.
A questa prima cernita ne segue una seconda con la eliminazione in evidente contrasto con le disposizioni edilizie del Comune di Roma.
Restarono quindi in gara i progetti del concorrenti Medori, Vinaccia, Giobbe, Energici, Sabbatini, Fiorini, Viano, Wittinch, Benigni e Giannoli, che i Commissari presero in particolare esame come i più meritevoli di essere discussi, e quelli che avevano assicurato il successo dell'ottima iniziativa dell'Istituto Romano dei Beni Stabili.
Le conclusioni alle quali giunta la Commissione dopo mature osservazioni e ponderati confronti, sono le seguenti:
Benigni e Giannoli. È il progetto che ha risolto più brillantemente il tema del concorso, per la distribuzione logica ed economica degli ambienti, per la buona soluzione data all'ingresso principale del fabbricato, per la decorazione quasi sempre sobria ed elegante delle facciate, rispondente al tipo della costruzione.
Energici. Artisticamente è il progetto meglio riuscito per l'indovinato movimento delle masse e per lo spirito tradizionale dell'architettura nostra che l'informa e che è espresso con modernità signorile e di ottimo gusto. A questi pregi indiscutibili non hanno però corrisposto in eguale misura la distribuzione planimetrica ed il criterio economico.
Giobbe. Ottima pianta nella quale al senso pratico di una buona utilizzazione dello spazio, è accoppiata una logica distribuzione degli ambienti ed un felice equilibrio fra le aree coperte e scoperte. Non altrettanto riuscita è la parte artistica.
Sabbatini. E' un progetto che pure non eccellendo nè sotto il punto di vista artistico nè sotto quello tecnico o distributivo tuttavia ha molte buone qualità che lo rendono degno di considerazione.
Wittinch. Presenta pregevoli doti nella parte artistica, ma nella parte distributiva si sono riscontrate alcune deficienze rivelanti uno studio eccessivamente affrettato.
Fiorini, Medori, Viano, Vinaccia. Progetti che pure dovendo considerarsi inferiori al precedenti, dimostrano però nei loro autori una buona preparazione, uno studio coscienzioso del tema e non comuni attitudini tecniche ed artistiche.
Premesso quanto sopra, la commissione si onora di proporre al Consiglio di Amministrazione dell'Istituto Romano dei beni stabili che il premio di lire diecimila venga conferito ai sigg. Bonigni e Giannoli autori del progetto risultato il migliore del concorso. Valendosi poi della facoltà concessale dall'art. 5 del bando, propone che la somma di lire diecimila messa a sua disposizione venga così distribuita: 2° premio di L. 3000 al progetto del sig. arch. Energici - 2° premio ex aequo di L. 3.000 al progetto del signor ing. Giobbe 3° premio di L. 2000 ex aequo al progetto del sig. arch. Wittinch.
LA COMMISSIONE
Arch. MARCELLO PIACENTINI, Presidente
Ing. GUIDO BASCHIERI
Arch. ALBERTO CALZA - BINI
Ing. G. R. MILANI
Arch. GINO CHIERICI, Relatore.
CONCORSO PER IL MONUMENTO AI CADUTI DI BUSSOLENGO
La commissione giudicatrice del concorso per il Monumento ai Caduti di Bussolengo formata dai sigg.: cav. Uff. prof. Filippo Nereo Vignola, sig. cav. Giuseppe Zanetti scultore e sig. arch. Giorgio Wenter Marini, nella loro riunione del 2 marzo 1924 esaminati i dieci progetti e bozzetti presentati, trovati regolari rispetto alle norme del concorso.
Nella difficoltà di presentare una terna a parità di merito si trova nella necessità di esaminare definitivamente solamente due lavori presentati riscontrando che un lavoro supera di gran lunga tutti gli altri per serietà, semplicità, e sana coscienza del suo autore.
Il progetto contrassegnato col motto "Gradatim Conscenditur ad Alta" presenta una soluzione architettonica eminente che si riallaccia alla migliore nostra tradizione vivificandola modernamente.
La commissione si compiace nel vedere come l'Autore abbia sentito l'ambiente, lo abbia vissuto intimamente, ed abbia così sviluppato il suo pensiero risolvendolo pienamente nella sua forma generale che è organica e sintetica. Indubbiamente tale progetto è il solo atto a vivificare con valore dominante la bellissima ma altrettanto difficile posizione stabilita per il monumento. Il gioco dell'acqua e la cinta di piante del Parco della Rimenbranza porterà certamente un notevole contributo vivificatore. Aperta la busta si trovò che autore del progetto è l'arch. G. Fagiuoli, ben noto ai lettori del nostro periodico.
C.C.
CONCORSO PER UN MONUMENTO ALLA MADRE DEL FANTE - FIRENZE.
La Commissione chiamata a giudicare il concorso di secondo grado, per il monumento alla madre del fante da porsi nella chiesa di Santa Croce in Firenze, ha emesso il suo giudizio definitivo assegnando il primo premio allo scultore Libero Andreotti il cui lavoro è stato prescelto per l'esecuzione.
Il secondo premio di L. 10.000 è stato attribuito allo scultore Attilio Selva di Roma.
CONCORSO PER UN MONUMENTO AI GENOVESI CADUTI IN GUERRA - GENOVA.
Nel concorso di secondo grado per onorare con un grande monumento ai caduti genovesi dell'ultima grande guerra per l'unità italiana, è stato prescelto il progetto dei Sigg. Marcello Piacentini e Arturo Dazzi di Roma.
NOTIZIE VARIE
FACCIATA DELLA CHIESA DI RENDANA
Diamo nell'unita figura riproduzione della decorazione testè eseguita dal pittore Carlo Donati di Verona sulla Facciata della parrocchiale di Rendana nel Trentino.
Trattasi di una chiesa ampliata nel 1542 con architettura semplice ma di buon gusto e di una certa grandiosità. La fronte, rimasta completamente nuda (all'infuori del portale) esigeva una decorazione che non turbasse con nuove linee architettoniche l'effetto originario.
Il Donati ideò una serie di gruppi figurati, disposti assimetricamente lungo la facciata, e sostenuti da altrettante finte mensole: una risorsa certo originale e degna di nota.
UN VOTO DELLA ASSOCIAZIONE AMATORI E CULTORI DI ARCHITETTURA D'EMILIA E DI ROMAGNA.
«L'Associazione fra gli amatori e cultori di architettura d'Emilia e Romagna per una maggiore tutela della fisonomia artistica di Bolognà, da ollenerslt colla conservazione dell'ambiente e della tradizione dell'arte; coll'esigere che anche le opere statali e pubbliche debbano essere considerate come elementi della bellezza cittadina e che le costruzioni, anche se umili od aventi carattere economico, debbano essere ispirate ad un senso d'arte; fa voti: affinchè l'on. Amministrazione Comunale provveda alla realizzazione al parere della Commissione Edilizia Consultiva anche i lavori di pertinenza dello Stato».
BIBLIOGRAFIA
Le chiese di Roma illustrate: PLACIDO LUGANO O.S.B.: Santa Maria Nona (Santa Francesca Romana) - A. COLASANTI: Santa Maria in Aracoeli - S. ORTOLANI: Sant'Andrea della Valle - A. MUNOZ: S. Pietro - B.
NOGARA:SS. Ambrogio e Carlo al Corso S. ORTOLANI: Santa Croce in Gerusalemme, Casa editrice «Roma» - Roma.
Nel promettentissimo risveglio di studii e di belle edizioni che si nota da qualche tempo in Italia, non è affatto esagerato attribuire uno dei primi posti a questa bella serie di - piccole monografie suscitata da una nuova casa editoriale romana e sopratutto dalla ferrea ed intelligente volontà e giovine studioso che la dirige: Carlo Galazzi-Paluzzi. Per merito suo le Chiese di Roma hanno finalmente una degna illustrazione che concilia le scientifiche esigenze con opportuni criteri di divulgazione. Ma si domanderà: È possibile un'opera di divulgazione quando ancora tanti e tanti problemi archeologici, artistici, storici attendono la loro soluzione? A stretto rigore, no. Ma chi si fosse troppo impressionato di questa difficoltà, avrebbe finito col rinunciare ad ogni impresa, mentre urgeva la necessità di offrire ai visitatori delle meravigliose Chiese di Roma, qualcosa di più e di meglio di ciò che danno le orribili guide stampate fino ad ora e che non fanno altro fuorchè ripeterai con l'altra. A buon conto, tutto lo sviluppo scientifico dell'ultimo ventennio ha consolidato una piattaforma sulla quale posso essere stabilita una nuova illustrazione delle Chiese di Roma e dei loro capolavori artistici. Chiamando a raccolta gli studiosi che su di un argomento determinato, avevano qualche studio particolare, l'opera, sia pure in via provvisoria, poteva essere senz'altro iniziata. Ciò comprese il Galazzi-Paluzzi che vi si applicò animosamente. E poichè le guide già esistenti erano quasi del tutto prive di illustrazioni, egli fece in modo che ogni monografia avesse un ampio e nitido corredo dl figure, parte utilizzando le già eseguite, parte facendone eseguire espressamente il tipo di ogni volumetto è questo: Precede una introduzione con notizie generali in prevalenza storiche. Vien poi una accurata bibliografia. Indi comincia la serie delle tavole a fronte delle quali è la illustrazione artistica. Da generali in prevalenza storiche. Da ultimo vi è la pianta che (riprendendosi il sistema di una indimenticabile guida del 1848) ha tutte le indicazioni relative alle varie opere osservabili nel monumento. Sistema. praticissimo e che può servire tanto ad un visitatore minuzioso quanto ad uno frettoloso. Per di più la monografia resta quasi come un album - ricordo delle bellezze ammirate.
Non ci addentreremo nell'esame della materia contenuta in questi primi sei volumi. Le inesattezze, le omissioni (inevitabili in lavori di simil genere) sono controbilanciate e sorpassate da tale abbondanza di buon materiale, che sarebbe ingiusto farne carico eccessivo agli autori, alcuni dei quali sono, studiosi di valore ben noto, altri sono giovani che rappresentano più di una promessa. E perciò il visitatore potrà servirsi con fiducia di queste belle monografie (il cui prezzo è anche modesto) che esauriscono tutte le loro esigenze. Fare di più non è concepibile se non sotto l'aspetto della scienza pura. Alla quale s'ispirerà un'altra collezione di studii sulle chiese romane. Quella che sta preparando l'apposita Commissione dell'Associazione Cultori di Architettura e di cui il primo volume, elaborato in ogni parte ad opera di un gruppo di studiosi, vedrà la luce quanto prima.
C.C.
RAIMOND VAN MARLE. La peinture romaine au Moyen Agen, Son développement du 6me jusqu'à la fin du 13ême siecle Strasbourg, 1921 ed. 3. H. Heitz.
Su queste colonne, nel primo sono della Rivista, lo data notizia della monumentale opera di Josef Wilpert sulle pitture e i mosaici romani, corredata da grandi riproduzioni a colori. La presente opera tratta in parte gli argomenti del Wilpert, ma con fine ben diverso. Il Wilpert è un archeologo e, come tale, si preoccupa esclusivamente del contenuto iconografico delle opere d'arte illustrate. Il van Marle è invece uno storico dell'arte che contempla solamente la evoluzione degli stili. Perciò egli fa opera originale e possiamo dire che in essa vediamo il primo, robusto tentativo di una storia dell'arte alto-medievale romana. Fino ad ora essa era assai poco considerata. Un esiguo numero di pitture di tre o quattro chiese (Santa Maria Antiqua, S. Clemente, qualche affresco delle Catacombe) oltre al noti: mosaici, ottenevano, a mala pena ospitalità nelle storie dell'arte che vanno per la maggiore. Da poco la personalità di Pietro Cavallini (che, a volte, soverchia quella di Giotto) ha principiato ad interessate gli studiosi, e fu dopo lo scoprimento del meraviglioso giudizio universale esistente nei corétto di Santa Cecilia in Trastevere. Tuttora al Cavallini non è dedicata alcuna monografia particolare, e si resta paghi di due o tre buoni articoli (in primo lungo quello di Fed. Hermanin inserito nel vol. V delle Gallerie Nazionali Italiane). Ma che dire di tutte le falangi di artisti che operarono fra il VI e il XII secolo? Nessuno li conosce. Fra breve nessuno avrà più modo di conoscerli perchè i loro monumentali affreschi, nei brani che il tempo ha risparmiato, vanno di giorno in giorno divenendo più scialbi. È un pianto vedete l'opera edace delle intemperie sui capolavori (dico capolavori perchè vi sono figurazioni potenti) di Santa Maria Antiqua. Chi scrive ha avuto più volte occasione di protestate, di invocare una sollecita opera di salvazione, che nel caso attuale deve tradursi in un solo mezzo (doloroso per gli esteti, ma necessario): il distacco e il trasporto lungi dall'ambiente umido e sottoposto a sbalzi di temperatura. Ma se vi è gente che tremerebbe per la sorte di uno sgorbio di Mattia Preti, pochissimi si corano del deperimento dei più bei saggi dell'arte nostra alto medievale. Frutto di una deplorevole ignoranza. Si concepisce ancora il medio-evo come un epoca oscura, del tutto insensibile alla bellezza, piena di gente che si dilania e di monaci salmodianti. Le sue opere sono considerate come bastarde, forse pecchi la mancanza di notizie sui loro - autori, non invita ad occuparsene. Vi era un tempo in cui tutto tra spiegato con una denominazione unica: stile bizantino. Senza badare che notevoli differenze distinguono anche le figure accomunate da un identico gesto. Oggi molti studii (tutti, doloroso a dirsi, non italiani) hanno fatto giustizia della credula immobilità dell'arte bizantina. Si va pur ora facendo strada la conoscenza delle scuole nordiche attraverso all'indagine dei manoscritti miniati. Ed infine appare l'esistenza e la persistenza attraverso i secoli, di un'arte romana, che ha caratteri stilistici suoi proprii, che ha prodotto opere vigorose e di cui l'ultimo e più geniale rappresentante è il Cavallini, erede delle due tradizioni: la occidentale e la orientale.
Salutiamo perciò con gioia quest'opera del chiaro scrittore olandese, pur non dissimulandoci che essa non ha raggiunto il grado di perfettibilità.
Ilvan Marle fin dalle prime frasi del suo libro, si dichiara un romanista convinto. Egli nota i trascorsi e le partigianerie degli orientalisti e vi contrappone alcune giuste osservazioni su opere d'arte di Roma. Con ciò noi avremmo tuttavia desiderato una più ampia discussione della teoria intermedia di Wickhoff che non può senz'altro respingersi, ma ha molti punti suscettibili d'essere ripresi in esame. Ci sembra provato che moltissimi elementi di arte orientale penetrarono insieme al culti orientali nell'arte romana del II e III secolo. L'errore consiste nel ritenere che essi completamente trasformata mentre si limitarono a darle nuove possibilità di espressione e ad aggiungere nuovi motivi iconografici che, è bene dirlo, furono trattati con sentimento romano. Chi potrebbe scambiare con i prodotti orientali, i realistici (a volte, brutali) esemplari dell'arte del ritratto la cui tradizione si spinge per tutto il medio evo? Come classificare nell'arte orientale certa decorazione vigorosa, il cui forte rilievo si distanzia notevolmente dalle tenuità, dalle raffinatezze alessandrine, se pure i motivi ne sono, in fondo, gli stessi? Vi è un campo proprio dell'archeologo ma che serve anche allo storico dell'arte: grafico. Ebbene: attraverso ad esso noi possiamo constatare che, fra il III e il V secolo, molte rappresentazioni furono create in Roma. Ed è logico. In Roma come sede del pontificato, la pace della Chiesa doveva dare i primi frutti in tutti i campi. Si ebbe la necessità di costruir subito tutta l'arte monumentale cristiana e lo si fece fondendo gli elementi pagani (quelli cioè non contrastanti) ai cristiani - cemeteriali (quelli suscettibili di sviluppi monumentali). E soltanto in base a queste considerazioni che è possibile una confutazione degli eccessi dovuti alla, direi quasi, suggestione orientale.
Senza soffermarci oltre nell'allettante problema, notiamo il bel tentativo istituito dal van Marle per sottrarre alla completa influenza bizantina, i prodotti romani del IX secolo. Egli dice si constatano nel IX secolo, a parte la decadenza che incominciò verso l'870, due forme d'arte ben diverse: l'arte maestosa del mosaici o degli affreschi che rappresentano serie di santi, e l'arte d'intenzione narrativa, realistica, che soddisfa il gusto popolare. Nè l'una, ne l'altra è veramente bizantina. La prima nacque, è verso Bisanzio, ed ha esempii abbastsnta puri anche in Roma (S. Venanzio nel battistero lateranense ; alcuni freschi di Santa Maria Antiqua, etc.), ma se ne è chiara la filiazione, ha tuttavia nel IX secolo già troppi elementi locali per non doversene fare una distinzione. L'influenza diretta e immediata di Bisanzio era, in questo tempo ostacolata dai rapporti tesi con Roma e dalla penuria di figurazioni religiose stante la contesa iconoclasta.
Il van Marle segnala invece un'altra influenza: quella dell'arte carolingia che ha gran parte nella formazione dell'arte benedettina il cui centro, per l'Italia media, fu indicato dal Bertaux a Montecassino. Però il van Marte, sostiene una tesi contraria al Kraus e del Bertaux, i quali credettero che dall'arte benedettina di Montecassino si fosse formata la grande arte tedesca del IX e X secolo.
Egli osserva che solo la conoscenza degli avorii e delle miniature carolingie potè affrancare le scuole benedettine dall'influsso orientale. I cambiamenti più notevoli ai avvertono nei tipo della Crocifissione che non rassomiglia più al tipo siriaco riprodotto, appena un secolo prima, in Santa Maria Antiqua.
Questa parte dell'opera è senza dubbio la più pregevole e duole che altri recensori non l'abbiano notato. Il van Marte esamina minuziosamente tutti i prodotti del IX e X secolo, li confronta con opere sicure di arte carolingia, o, comunque, benedettina e ne trae ottime (se pure un pò eccessive, come accade a chi è infervorato d'una nuova tesi) conclusioni. Noi abbiamo constatato da tempo l'importanza dell'arte carolingia in l'Italia, ma abbiamo pur detto che nella sua formazione l'Italia ebbe gran parte. E fu certamente la tradizione romana (conservatasi nel centro e nel settentrione) che formò il tronco di quest'arte cui s'innestarono i motivi barbarici, quelli bizantini e sopratutto quelli elaborati dalla prima civiltà islamica che portano con sè elementi sassanidi. Nel chiuso dei cenobii benedettini, illustrati dall'intenso lavoro umano oltrechè dall'ardore religioso (secondo il vivificante precetto del fondatore dell'Ordine: «ora et labora!») si prepara tutta una nuova fioritura in coi ogni artista tiene a distinguersi il più possibile e a fare opera indipendente alla quale non raramente appone la propria firma in un monogramma, in una epigrafe metrica, in un indovinello. Molto influiscono su questi sviluppi i mutamenti politici, anzi possiamo dire che l'arte vada di pari passo con essi. Il van Marle nota l'importanza di un'arte del tempo degli Ottoni, che per verità non ci sembra altro fuorchè la diretta propaggine della carolingia. L'impero d'occidente, tranne che in poche zone, aveva sottratto l'Italia all'influenza di Bisanzio. Quando, intorno al mille, si affermano le autonomie regionali, anche l'arte, svincolata, assume caratteri marcatamente diversi nelle varie zone della penisola. Ma con ciò si entra nel periodo noto e trattato da tutte le storie dell'arte, e non intendiamo perciò di farne più oltre discorso.
C. CECCHELLI
COMMENTI E POLEMICHE
LA TRASFORMAZIONE DEL PALAZZO DEL SANT' UFFIZIO
E' doloroso notare come anche dal Vaticano, che noi eravamo avvezzi a considerare degna sede di una nobile tradizione conservatrice del patrimonio artistico e monumentale, partano ormai esempi non commendevoli dl scarso rispetto per monumenti insigni e di utilizzazione con pochi scrupoli per nuove esigenze. Il più tipico caso recente è quello del palazzo del S. Uffizio in Borgo.
Era il palazzo del S. Uffizio uno degli edifici più interessanti e nel tempo stesso più suggestivi del Rinascimento romano. Iniziato nel suo braccio meridionale ai primi del Cinquecento per il cardinale Pucci, era stato completato solo al tempo di S. Pio V per farne appunto la arde del S. Uffizio e del suo stato in tutto il periodo Intermedio nonchè, dei progetti inattuati pel suo completamento ci dànno chiara notizia una stampa dell'Eram, circa dei 1566, ed i disegni pregevolissimi di Baldassare Peruzzi che si conservano alla Galleria degli Uffizi a Firenze.
Opera di alto valore della costruzione dei primi del Cinquecento è il cortile che, analogamente a quanto contemporaneamente avveniva pel cortile di S. Damaso in Vaticano, rimase per molti anni Incompleto per venir racchiuso definitivamente al tempo del secondo periodo costruttivo quando gli altri bracci del portici vennero eseguiti in stile similare al primo. Ed è stile che riannodasi direttamente alla scuola del Bramante se non pure alla sua opera immediata. Nelle proporzioni del portico duplice, nella disposizione del pilastro d'angolo del secondo ordine, appaiono motivi che possono dirsi intermedi tra quelli della corte della Cancelleria e di quella suaccennata di S. Damaso; e basti questo accenno per dimostrarne l'importanza nello sviluppo del pieno Rinascimento Architettonico (ancora così incompletamente noto) in Roma.
Orbene i recenti lavori hanno tutto trasformato il bellissimo cortile; vi hanno aggiunto nuovi corpi dl fabbrica, vi hanno ricostruito pilastri ed archi, con una inescusabile alterazione di proporzioni e di linee. Ed intanto la parete laterale verso porta Cavalleggeri, così imponente e forte nel suo rude aspetto di parete massiccia, si è trasformata nella facciata di una casa d'abitazione dalle cornici di stucco, dalle finestre fitte e sottili, dal bianco colore del finto travertino. Ed il portone possente, stretto ormai definitivamente dalla nuova fabbrica del Museo, manca di spazio e di respiro, e nelle sale radicali trasformazioni hanno corrisposto all'immeschinimento della destinazione. Tutta una magnifica pagina dl arte e di storia della Roma papale, tutta una grandiosa nota di ambiente non Indegna del prossimo tempio Vaticano hanno così avuto, senza preoccupazioni e senza controlli, un danno grave ed irreparabile!
G. GIOVANNONI.
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